Hamas: «Non tolleriamo scorrettezze contro la Siria»

da hispantv

 

Hamas ha sottolineato il suo “stretto” rapporto con il governo siriano e ha ringraziato Damasco per il sostegno alla causa palestinese.

Il vice capo della leadership politica di Hamas, Musa Abu Marzuq, ha rilasciato un’intervista alla agenzia di stampa turca “Anadolu’, in cui ha negato il raffreddamento dei rapporti tra il movimento palestinese e il governo siriano ed ha assicurato che Hamas «non tollera alcun comportamento scorretto nei confronti del governo siriano».

Abu Marzuq ha affermato di essere rammaricato che la crisi siriana abbia costretto Hamas ad abbandonare questo paese e ha sottolineato che la decisione di lasciare Damasco ha molto turbato il movimento di resistenza, a causa del suo “stretto rapporto” con il presidente Bashar al-Assad.

«Hamas in nessun caso ha mai fatto mancare i ringraziamenti alla la Siria (…) La decisione di lasciare la Siria è stata presa su una base etica e politica, anche se il gruppo sapeva che sarebbe stato la prima e la più grande vittima di questa misura», ha spiegato.

Abu Marzuq ha raccontato che Hamas non ha mai preso provvedimenti contro il governo di Al-Asad e la sua decisione di lasciare la Siria è dovuta alla “politica di neutralità” di questo movimento nella crisi nel paese arabo.

da ALBAinformazione           -    Traduzione di Francesco Guadagni

Palestina: una storia di quotidiana violenza

E’ una notizia che rappresenta la quotidiana violenza alla quale siamo ormai assuefatti, però se alle persone, alle vittime, si dà un nome, si guarda ai loro affetti, alle loro famiglie, alla loro storia, forse un po’ di umanità ci può ancora aiutare ad indignarci e a gridare  per queste ingiustizie che insanguinano la vita di persone/famiglie molto simili a noi. Abbiamo tradotto e sottotitolato il telegiornale palestinese che racconta questa storia che difficilmente se ne parlerà sui nostri canali televisivi… 

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La Primavera Siriana : dai prodromi al Califfato

Relazione di Mons. Giuseppe Nazzaro, ex-Visitatore Apostolico di Aleppo ed ex-Custode di Terrasanta, al Convegno  di  Impegno  Civico  "Siria, ascoltiamo la gente ", all'Istituto Veritatis  Splender di Bologna, il 31 ottobre  2014.

Mi sia concesso iniziare questa mia presentazione affermando che, prima del 15 marzo 2011 non erano tantissime le persone al mondo che conoscevano dove trovare la Siria sulla carta geografica. Era un problema di pochi addetti ai lavori. Interessava piuttosto certi ambienti colti che si interessavano di archeologia, dei popoli legati alle antiche civiltà assiro -babilonese o di storia del cristianesimo .

Il mondo intero, oggi, parla della Siria e si interessa di questo paese di circa 185.180kmq, che si estende sulla costa del Mediterraneo Orienta le per circa 80 Kilometri.

 

I prodromi di una situazione

La data del 15 marzo 2011, ufficialmente, coincide con quella che possiamo definire: l'inizio di una rivoluzione nata quasi per gioco al confine con la Giordania, sui muri della città di Dera'a, ad opera di dodicenni che s'erano divertiti a scrivere dei graffiti del seguente tenore: "abbasso il regime".

Ciò che all'inizio, poteva sembrare un gioco o, meglio, una ragazzata, in realtà, non era altro che l'inizio di una richiesta di maggiore apertura al Governo centrale del paese che, per i non addetti ai lavori o per chi non aveva conosciuto la Siria prima dell'anno 2000, avrebbe potuto anche essere una richiesta legittima. Chi invece vi è vissuto ha visto e costatato con i propri occhi e con tutto il suo essere, non solo l'apertura del Governo verso le riforme sociali, ma soprattutto ha visto il benessere che le riforme avevano già portato e continuavano a portare a l popolo siriano.

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Il Consiglio di Cooperazione del Golfo

Quadro Generale

Del “Gulf Cooperation Council” (GCC), istituito con l’accordo firmato l’11 novembre del 1981 ad Abu Dhabi, dopo che nel maggio dello stesso anno i Capi di Governo avevano manifestato la volontà di formalizzare i loro intenti in tal senso, fanno parte sei Paesi arabi, bagnati dalle acque del Golfo Persico e dell’oceano Indiano. Essi sono l’Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, Emirati arabi uniti, Qatar e Oman, membri della Lega araba e uniti da sistemi politici affini, contraddistinti, seppur in misura differenziata, da autoritarismo e politiche repressive nonché da una matrice sunnita fortemente e severamente condivisa. Lo spazio territoriale del suddetto organismo è molto vasto (2.500.000 kmq) mentre la consistenza demografica si aggira su valori proporzionalmente piuttosto bassi (39 milioni).

Il Consiglio di Cooperazione del Golfo, la cui sede centrale è a Riyadh, capitale dell’Arabia saudita, nasce all’indomani del successo della rivoluzione islamica in Iran nel 1979, con il rovesciamento del regime filo-occidentale dello Scià e con l’inizio, un anno dopo, della guerra, durata otto anni, tra la Repubblica islamica e l’Iraq di Saddam Hussein. In quell’occasione il dittatore iracheno beneficiò del sostegno dichiarato dell’Occidente, del blocco sovietico e di tutto il mondo arabo, fatta eccezione per il regime baathista siriano di Hafez al-Assad, il padre dell’attuale uomo forte a Damasco, e per lo schieramento irredentista curdo.

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Gli imprevisti seguiti dalla primavera araba

Premessa

Il Medio Oriente sembra precipitare in quella che alcuni analisti anglosassoni non esitano a definire “a warlord era”.  Cosa s’intende con questo? La risposta degli studiosi fa riferimento al progressivo mutamento degli assetti geopolitici della regione intervenuti all’indomani del crollo dell’Impero ottomano alla fine della prima guerra mondiale e al ruolo crescente svolto in questo processo dai “non-state actors” ovvero la galassia di organizzazioni, formazioni politiche e milizie subentranti a uno Stato-nazione in difficoltà nel riuscire a far fronte ai sommovimenti in corso nella regione.

In effetti, quel che avviene sotto i nostri occhi in Siria, Iraq, Yemen, Libia e Libano fornisce conferma di sviluppi che sarebbero apparsi impensabili fino a un tempo recentissimo.

La creazione lo scorso giugno attraverso una sorta di “blitzkrieg” di un “califfato” imposto dalle milizie dell’Islamic State in Iraq and Levant (ISIL) nella vasta area che copre il nord-est della Siria e il nord-ovest dell’Iraq ha costituito il più impattante esempio della fragilità di un ordine istituzionale scarsamente rappresentativo delle reali esigenze di comunità tenute fino ad ora in uno stato di povertà ed emarginazione, assoggettate al potere di un assetto statale forte della sua capacità repressiva ma estremamente debole sotto il profilo della base sociale di consenso.

L’aggressione occidentale all’Iraq di Saddam Hussein del 2003, che ha comportato la distruzione dell’assetto statale e dell’apparato di sicurezza in un Paese sovrano, seguita dall’esplodere delle tensioni etnico-settarie, e i venti della Primavera araba, che dal 2011 hanno segnato l’inizio di un cruento processo di trasformazione nel mondo arabo, hanno indubbiamente contribuito al prodursi di mutamenti che a prima vista apparirebbero irreversibili.

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