Filosofia della disinformazione strategica

FILOSOFIA DELLA DISINFORMAZIONE STRATEGICA

 

 La costruzione geopolitica e sociologica del Nuovo Ordine Mondiale posta in essere dagli interessi privati legati alle multinazionali occidentali, agli istituti finanziari sovranazionali, al complesso militare industriale ed al Tesoro degli Stati Uniti, tramite il braccio armato della Nato, richiede il consenso, o per lo meno la non opposizione da parte delle opinioni pubbliche dei Paesi occidentali, i Paesi cosiddetti «civilizzati».

A tal fine si rende necessaria una operazione strategica e pianificata di manipolazione a mezzo stampa degli eventi e delle dinamiche politiche, economiche e sociali, connesse agli scenari di cui sopra. Scrive in merito il filosofo Domenico Losurdo:

 Già alla fine degli anni ‘90 sull’«International Herald Tribune» si poteva leggere: «Le nuove tecnologie hanno cambiato la politica internazionale»; chi era in grado di controllarle vedeva aumentare a dismisura il suo potere e la sua capacità di destabilizzazione dei paesi più deboli e tecnologicamente meno avanzati. Siamo in presenza di un nuovo capitolo di guerra psicologica[1].

La cosiddetta infowar ha radici assai antiche (Alessandro Magno, Roma), ma è certamente con l'avvento dei mezzi di comunicazione di massa che trova il proprio compimento. In particolare, nella storia del secolo XX si è assistito ad una sistematica opera di disinformazione delle realtà politiche e di sistema scaturite dall'esperienza storica della decolonizzazione, intesa come azione politica tesa alla liberazione nazionale e sociale dal regime di servaggio imposto ai popoli di Africa, Asia, America Latina e Vicino Oriente dall'Occidente imperialista e «bianco».

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Srebrenica. Le contraddizioni di un genocidio sancito a priori.

Il Parlamento europeo ha stabilito che l’11 luglio sia il giorno dedicato al genocidio di Srebrenica. In pratica ha proclamato un dogma: si deve credere che i Serbi sono colpevoli dello sterminio della popolazione musulmana della città senza possibilità di dubbio, obbiezioni o di ulteriore indagine.

Effettivamente gli avvenimenti che si sono svolti fra il 10 e il 19 luglio 1995 sono oscuri ed oscurati, per quindici giorni dopo la presa della città da parte serba non sono state compiute investigazioni accurate, mentre già il governo di Sarajevo  aveva denunciato all’opinione pubblica internazionale un eccidio di proporzioni inaudite senza che questo potesse essere constatato in maniera obiettiva e sollecitando un vero cataclisma emozionale sui Media. Secondo il governo musulmano 8000 uomini sarebbero stati fucilati dai Serbi.

All’epoca circolavano voci che il presidente USA, Bill Clinton, avesse promesso al leader musulmano Alija Izetbegovic di intervenire se le vittime dei Serbi fossero state superiori a 5000. L’Amministrazione Clinton, pressata dal Senatore  repubblicano Robert Dole e  dalle lobby del petrolio, che volevano favorire i patroni arabi di Sarajevo, cercava una giustificazione plausibile per agire. In realtà gli US erano già degli attivi partecipanti alla guerra nella ex Jugoslavia,  erano a poco a poco passati, unilateralmente e segretamente, ad  un coinvolgimento diretto, sempre proclamando la loro volontà di pace ed equidistanza.

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Niente di nuovo tranne il progresso

 

A PROPOSITO DI DISINFORMAZIONE, GUERRA...
NIENTE DI NUOVO TRANNE IL PROGRESSO

 

Nell’undicesimo secolo cominciarono le crociate. Gli anni bui erano alla fine.
Le crociate venivano proclamate dalla Chiesa, finanziate dai mercanti. Potremmo paragonare la funzione della Chiesa in quell’epoca a quella di un governo centrale nella nostra epoca; quanto ai mercanti, sono sempre gli stessi, solo che adesso sono multinazionali, benché anche allora gli interessi dei più potenti tra di loro si ramificassero in vari campi e varie nazioni. Niente di nuovo sotto il sole, dunque? Qualcosa di nuovo c’è, invece. Allora nessuno ci credeva all’obiettivo ideale e religioso delle crociate, tanto che la prima crociata fu indetta dal papa Urbano II con un discorso che di ambiguo o idealistico aveva ben poco: “… Intraprendete il viaggio fino al santo sepolcro, strappate quella terra al popolo infedele e sottomettetela…

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La disinformazione come arma di guerra

 

LA DISINFORMAZIONE COME ARMA DI GUERRA


Un anno dopo l’inizio dei bombardamenti sulla Serbia e il Montenegro, il 23 marzo 2000, in un’intervista al Corriere della Sera il portavoce della NATO, Jamie O’Shea dichiarava che la guerra è un prodotto difficile da vendere.
Questo prodotto poco popolare necessita un supporto pubblicitario e una comunicazione sofisticata, molto al di là della migliore propaganda di guerra. Per ottenere un risultato soddisfacente è  affidato alle agenzie esperte  nel lanciare e creare il  successo di marchi e prodotti ancorandoli all’inconscio collettivo del  pubblico. Oltre a creare l’immagine della buona guerra, è  necessario impiegare utilmente i Media e finalmente, la cosa  più importante, un’ottima campagna di lobbying.  
Lobbying significa fare pressione su personaggi o gruppi politici per ottenere aiuto e appoggio per fare accettare un progetto, una campagna, una guerra. Secondo l’International Herald Tribune del 12 gennaio 2006 nella sola Washington nella famosa Avenue K si trovano con oltre, 30.000 impiegati, le imprese e le compagnie che tentano di influenzare le decisioni del Campidoglio, della Casa Bianca e molte agenzie federali. Sedici società di lobbying sole impiegano più lobbisti che i cento membri del Senato e hanno un fatturato di più di due miliardi di dollari l’anno. Hanno conoscenze fra coloro che contano e  con ogni sistema e forse poca regola tentano di ottenere l’aiuto necessario al cliente.

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La disinformazione in ex Jugoslavia e Kosovo

 

LA DISINFORMAZIONE IN EX JUGOSLAVIA
E KOSOVO

 

Il linguista statunitense Noam Chomsky, nel saggio “Les illusioni necessarie”, scrive che, nei regimi democratici, le illusioni necessarie non possono essere imposte con la forza. Devono essere istillate nella testa della gente con mezzi raffinati…
 
E per creare “le illusioni necessarie” è necessario creare degli scenari credibili. Impiegare una comunicazione aggressiva e avere l’aiuto dei media: in due parole inventare la storia, propagare una disinformazione più credibile della realtà. La disinformazione si sviluppa attraverso la menzogna o l’omissione. In effetti è un nuovo modo di fare la guerra: è la guerra mediatica.
Nell’ ex Jugoslavia i Serbi sono caduti nella trappola della guerra mediatica, che è riuscita a far loro perdere ogni credibilità e li ha totalmente isolati sul piano internazionale. Non si può parlare della disinformazione in Kosovo senza ricordare quanto è successo in ex Jugoslavia prima, di cui il dossier Kosovo ne è una conseguenza.

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