Gli imprevisti seguiti dalla primavera araba

Premessa

Il Medio Oriente sembra precipitare in quella che alcuni analisti anglosassoni non esitano a definire “a warlord era”.  Cosa s’intende con questo? La risposta degli studiosi fa riferimento al progressivo mutamento degli assetti geopolitici della regione intervenuti all’indomani del crollo dell’Impero ottomano alla fine della prima guerra mondiale e al ruolo crescente svolto in questo processo dai “non-state actors” ovvero la galassia di organizzazioni, formazioni politiche e milizie subentranti a uno Stato-nazione in difficoltà nel riuscire a far fronte ai sommovimenti in corso nella regione.

In effetti, quel che avviene sotto i nostri occhi in Siria, Iraq, Yemen, Libia e Libano fornisce conferma di sviluppi che sarebbero apparsi impensabili fino a un tempo recentissimo.

La creazione lo scorso giugno attraverso una sorta di “blitzkrieg” di un “califfato” imposto dalle milizie dell’Islamic State in Iraq and Levant (ISIL) nella vasta area che copre il nord-est della Siria e il nord-ovest dell’Iraq ha costituito il più impattante esempio della fragilità di un ordine istituzionale scarsamente rappresentativo delle reali esigenze di comunità tenute fino ad ora in uno stato di povertà ed emarginazione, assoggettate al potere di un assetto statale forte della sua capacità repressiva ma estremamente debole sotto il profilo della base sociale di consenso.

L’aggressione occidentale all’Iraq di Saddam Hussein del 2003, che ha comportato la distruzione dell’assetto statale e dell’apparato di sicurezza in un Paese sovrano, seguita dall’esplodere delle tensioni etnico-settarie, e i venti della Primavera araba, che dal 2011 hanno segnato l’inizio di un cruento processo di trasformazione nel mondo arabo, hanno indubbiamente contribuito al prodursi di mutamenti che a prima vista apparirebbero irreversibili.

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Turchia: una realtà in incerta evoluzione

Quadro politico interno

La vittoria di Erdogan nella consultazione elettorale dello scorso 10 agosto, la settima in altrettanti scrutini dal momento in cui è divenuto Primo Ministro nel 2002, ha segnato una tappa importante nell’evoluzione del quadro politico in Turchia. Essa fa seguito al successo riportato nelle elezioni municipali del 30 marzo che aveva smentito le previsioni di coloro portati ad attribuire ai moti di protesta di Istanbul e di Ankara del 2013 un rilievo maggiore di quello che in realtà avevano.

La Turchia profonda continua a essere soggiogata dal populismo retorico di Erdogan, volto a proseguire senza soluzione di continuità la lotta contro “le elite civili e militari” che hanno dominato per decenni nel grande Paese anatolico.

L’evento del 10 agosto riveste una peculiare importanza se non altro perché ha costituito il primo esempio di un’elezione diretta del Capo dello Stato, il dodicesimo nella storia del Paese. Ma le novità non si fermano qui, dato che l’intendimento dell’ambizioso Erdogan è di cambiare la Costituzione, conferendo a una carica, fino ad oggi in larga misura simbolica, un’incidenza ben più marcata rispetto all’attuale.

La consultazione parlamentare del giugno 2015 rappresenterà dunque un passaggio strategico nel divenire della Turchia poiché sarà proprio in esito al successo, che ovviamente Erdogan auspica si riveli impattante, che il mutamento costituzionale potrà prodursi; consentendo a colui definito dagli oppositori politici “il nuovo Sultano” di continuare a operare per realizzare il sogno, intensamente perseguito, di figurare alla guida del Paese nel non lontano 2023 quando i turchi celebreranno il centenario della fondazione della Repubblica.

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Una guerra coloniale

Premessa

I tragici eventi che dallo scorso 8 luglio hanno insanguinato la martoriata Striscia di Gaza acquistano una marcata rilevanza se si pensa alla circostanza che quest’anno si celebra il centesimo anniversario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, che registrò il maggiore tributo di sangue nella storia del nostro continente.

Agli inizi dello scorso secolo il mondo era segnato dallo sfruttamento selvaggio e dal dominio incontrastato delle grandi Potenze europee sulle aree “periferiche” del mondo, Africa, Medio Oriente, Asia, America latina.

Non vi erano limiti alla proiezione di violenza e di arbitrio dei Paesi depositari di una civiltà ritenuta “superiore”. Chi scrive queste note è stato per diversi anni testimone diretto dello spettacolo di rovina e di distruzione lasciato dalle Potenze coloniali, Francia, Belgio, Gran Bretagna ed anche Italia nelle regioni situate a sud delle rive meridionali del Mediterraneo.

Intere comunità portano ancora, anche nei tratti fisici e mentali, lo stigmate delle terribili sofferenze subite che, sotto mutate spoglie, in un quadro politico-istituzionale in sintonia con i tempi, continuano peraltro a caratterizzare la vita di quelli che lo scrittore di lingua francese Frantz Fanon era solito definire “i dannati della Terra”.

Questo era il quadro internazionale nel quale maturarono le condizioni che portarono allo scoppio del primo conflitto mondiale dove lo scontro degli imperialismi generò milioni di morti ed indicibili devastazioni. Una guerra dai tratti di mostruosa disumanità dalla quale scaturirono ulteriori sconvolgenti conseguenze portatrici a distanza di vent’anni di un’altra conflagrazione dagli effetti nefasti per l’immagine e gli stessi interessi dell’Europa.

Ho ritenuto opportuno partire da questa premessa per far comprendere come il tipo di guerre che con implacabile cadenza lo Stato di Israele ha scatenato dalla fine degli anni quaranta contro il popolo palestinese ricalca in larga misura il comportamento delle Potenze coloniali europee contro i “dannati della Terra” fino alla metà del secolo scorso.

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L’onda dei mutamenti nel Golfo Persico

Premessa

La spirale dell’odio settario, aggravatasi all’indomani dell’invasione americana dell’Iraq nel 2003, ha assunto una dimensione regionale e interessa ora una grande parte del Medio Oriente, coinvolgendo anche la ricca regione del Golfo, fatta un’eccezione per Qatar ed il sultanato di Oman, entità quest’ultima con una storia e tradizione culturale e religiosa difformi dagli altri cinque Paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC).

Lo scontro all’interno dell’universo islamico non riguarda più soltanto il “divide” multi-secolare tra sunniti e sciiti e l’implacabile contrapposizione tra le due “powerhouse” del Golfo, l’Arabia saudita e l’Iran, fonte d’inaudita violenza in Siria, Iraq, Libano, Yemen, citando i casi più impattanti. Esso si è esteso alla stessa famiglia sunnita, dove l’islamismo militante dei Fratelli mussulmani è visceralmente osteggiato, con l’eccezione di Qatar, dal verbo religioso (e politico) prevalente nella regione del Golfo, ispirantesi al severo messaggio del wahabismo saudita professato e propagato dalla casa regnante della dinastia Saud, al potere nella penisola arabica da poco meno di un secolo.

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Medio Oriente: Mutamenti profondi e forse irreversibili

Comincia con questa riflessione, la collaborazione di Angelo Travaglini, ex Ambasciatore, sancendo così l’adesione al CIVG di cui entra a far parte nel Comitato Scientifico.

Premessa

Gli eventi in corso di svolgimento in Iraq rivestono un’importanza primordiale nella misura in cui potrebbero rivelarsi portatori di mutamenti irreversibili nella mappa del Medio Oriente quale noi conosciamo.

La proclamazione, da parte dell’ISIL (Stato islamico in Iraq e nel Levante), di un Califfato su un’area che va dall’est della Siria all’ovest dell’Iraq, dall’alto significato simbolico seppur dalla portata effettiva tutta da verificare, avvenuta lo scorso 29 giugno, primo giorno del sacro mese del Ramadan, suona conferma degli intendimenti dello schieramento estremista, sorto in Iraq, di conferire tratti di legittimità e credibilità internazionale alla sua azione destabilizzante volta ad alterare la configurazione territoriale concordata agli inizi del secolo scorso dalle diplomazie di Francia e Gran Bretagna.

Con la proclamazione del Califfato la formazione jihadista ha ridato vita ad una forma di potere politico venuta meno nell’universo islamico con la scomparsa dell’Impero ottomano all’indomani della prima guerra mondiale.

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Navi in fiera. La portaerei cavour, con due accompagnatrici, per sei mesi in giro per il mondo per fare promozione all’industria bellica (e non solo)

La proposta di “comunione” tra industria bellica e difesa, lanciata dal Ministro Mauro (vedi articolo su “Sole 24 Ore” del 7 ottobre 2013 dal titolo “Crociera ‘promo’ nel golfo e in Africa per la portaerei Cavour”) è totalmente inaccettabile sul piano etico e finanziario Tra i compiti della Difesa non è quello di fare “fiere” ambulanti per il commercio di armi, munizioni e merci di lusso, inviando in giro per il mondo, per sei mesi. tre navi con tutto il personale “spesato” per missioni all’estero. Con l’Italia in braghe di tela sul piano economico ci accolliamo allegramente un enorme costo per fare reclame perfino a ditte che producono motoscafi e yacht. Mentre non abbiamo soldi per dare accoglienza ai profughi, si spendono 200 mila euro al giorno per la sola Cavour. Non è precisato quanto occorre per le accompagnatrici (Bergamini e Etna?). E se la Cavour si rendesse necessaria in Mediterraneo, cosa faremmo?

Visto quanto è accaduto a Lampedusa  e visto che la portaerei è stata usata a Haiti come nave “Croce Rossa”, forse sarebbe più eticamente ed operativamente accettabile impiegarla nel canale di Sicilia per compiti umanitari. Magari potrebbe avvistare in tempo utile qualche naufrago. La Difesa non deve diventare Findifesa e le “comunioni” non debbono essere associate a “munizioni”.

 

Roma,  8 Ottobre 2013

Falco Accame

Vaccinicidio: una sineddoche

I casi di malattie attribuibili a vaccinazioni sono una parte di un tutto molto più ampio. Ci riferiamo ai circa 4000 casi segnalati alla Commissione d’Inchiesta del Senato, dal Col. Roberto Biselli nella sua audizione, o ai 2536 casi NOMINATIVI, segnalati nel 2007 alla Commissione d’Inchiesta, siano dovuti solo ai vaccini è del tutto errato.

E ciò sotto due aspetti: da una parte l’esistenza di vaccini che hanno lasciato sospetti in fatto di affidabilità (vedi ad esempio il Neotyf che è stato ritirato dal commercio), e dall’altra, sotto l’aspetto delle modalità di somministrazione dei vaccini stessi. In sostanza dosi eccessive scriteriatamente adottate.

Se si ammettesse che tutte le malattie sono addebitabili ad errori della Sanità Militare, probabilmente sarebbe necessario imbarcare su un piroscafo la Sanità tutta intera e inviarla per un periodo di lavori forzati alla Cayenna.

Forse con un poco di non ingiustificata malizia, possiamo pensare che la figura retorica evocata della sineddoche possa costituire uno stratagemma per nascondere la realtà della situazione. Le figure retoriche, infatti, possono essere pensate come delle mosse strategiche per depistare colui  al quale sono destinate. In strategia, per esempio (e ce lo hanno insegnato i 36 stratagemmi cinesi di 3 mila anni fa) può essere utile far passare un plotone per un reggimento al fine di indurre in errore l’avversario, oppure far passare un reggimento per un plotone al fine di spaventare l’avversario.  In questo senso il far passare la parte (casi di malattia verificatisi per vaccini) per il tutto (casi complessivi di malattia) può costituire un depistaggio “strategico”. Del resto, come da tempo si sa, c’è chi ritiene che il linguaggio serva sostanzialmente per ingannare.

Una riflessione di questo tipo non può essere evitata quando si addebita ai vaccini la causa di tutti i mali.

 

Falco Accame

 

Un problema finora taciuto nell'ambito della globalizzazione: la proliferazione delle armi all'uranio impoverito, cioe' la diffusione di scorie nucleari nel mondo

IL MONITO DI PAPA FRANCESCO (SU CUI È CADUTO IL TOTALE SILENZIO) CIRCA LA VENDITA DI ARMI COME ANTEFATTO DELLE GUERRE

Nella discussione che si è svolta finora attorno alla tematica della globalizzazione si è parlato delle guerre stellari, dello scudo spaziale e della disseminazione di armi nucleari. Ma è stato ignorato il problema della diffusione delle armi all'uranio impoverito e della loro triplice pericolosità: da un lato le radiazioni, dall'altro la tossicità chimica e dall’altro ancora il “particolato”. Ma si è appreso dal rapporto pubblicato da USA Today che anche negli Stati Uniti è emerso il problema della pericolosità delle armi all'uranio al punto che queste non verranno più utilizzate da reparti dei Marines.

La globalizzazione favorisce i fabbricanti di queste armi che portano straordinari utili a chi le produce perché il costo della materia prima (scorie di processi delle centrali nucleari) è bassissimo. Le industrie USA hanno esportato ad almeno 16 paesi armi all'uranio: tra questi Thailandia, Taiwan, Turchia, Bahreim, Israele, Arabia Saudita, Grecia e Kuwait.

La corsa agli armamenti all'uranio impoverito è partita dopo la guerra del Golfo quando i militari si sono accorti dei vantaggi di cui godevano carristi e piloti americani nei riguardi degli irakeni per via della particolare performatività delle nuove armi.

Gli USA fin dal ‘91 hanno usato munizioni all'uranio impoverito sui carri armati Abrams ed M 60 e nei sistemi navali antimissile Phalanx.

L'impiego si è esteso agli aerei A 10 ed F 16, ai mezzi blindati Bradley, agli elicotteri Cobra e a numerosi altri mezzi bellici. La Gran Bretagna fin dal ‘91 ha impiegato armi all'uranio sui carri armati Challenger, seguita a ruota dalla Francia che le ha impiegate sui carri armati Leclerc. Armi all'uranio impoverito sono state prodotte anche in Russia e Cina.

Falco Accame

Possibile bombardamento in Siria con missili tomahawk: armi chimiche contro armi chimiche?

Vale la pena di fare una riflessione sul fatto che l’utilizzo di missili Tomahawk implica la dispersione nell’ambiente di uranio impoverito. Le armi all’uranio impoverito producono un avvelenamento chimico. Ci troviamo dunque di fronte a un paradosso. Usare armi chimiche contro armi chimiche. Anche se le armi chimiche come il gas nervino, l’iprite producono effetti immediati, mentre gli effetti delle nanoparticelle e delle radiazioni emanate dall’uranio impoverito hanno effetti ritardati (provocazione di malattie di tipo tumorale ed altro). Il concetto della distruzione indifferenziata resta immutato.

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F35 e altro – 3 NO

 NO A FORZE ARMATE “STATUS SYMBOL”. NO A FORZE ARMATE FINMECCANIZZATE. NO A FORZE ARMATE “ALL CHIEFS AND NO INDIANS”

Di un anno fa la notizia delle 19 Maserati, di ieri la notizia degli aerei vip con mogli a bordo - ma le proprie terga possono essere spostate in modo più economico.

Del 26 aprile 2013 la notizia sull’Unione Sarda: “Uranio. Perde un testicolo per tumore. Militare ottiene un indennizzo di 1300 euro”. Questo la dice lunga sulla cura dell’uomo e sui “nostri ragazzi”. Solo da qualche mese ci siamo accorti dei prezzi che gli aerei F35 avevano quando li abbiamo ordinati. Ma il mezzo militare come status symbol è vecchio di almeno 70 anni. Mussolini si gloriava delle otto corazzate. Sappiamo come sono finite. Ora abbiamo la portaerei, uno status symbol, ma l’abbiamo potuta impiegare solo come nave Croce Rossa ad Haiti. L’altro giorno, il 18 giugno, il Gen. Mini ha tuonato “ufficiali trasformati in trafficanti di armi”. Ma non c’è solo la Finmeccanica. Alla Fincantieri abbiamo offerto due marò in affitto a prezzi ridotti rispetto a quelli dei contractors civili.

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