Aggiornamento sulla situazione in Siria (22 gennaio 2013)
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- Scritto da Paolo Borgognone
A detta di fonti provenienti da vari operatori della stampa libanese (http://www.voltairenet.org/article177188.html) e da uno dei più accreditati intellettuali e giornalisti francesi indipendenti, da tempo residente a Damasco, Thierry Meyssan, l’Esercito siriano avrebbe ripreso il controllo dell’80 per cento del territorio nazionale, contrariamente a quanto affermano i principali media occidentali, che sostengono invece l'esatto opposto, giungendo ad affermare la fuga di Assad e del suo inner circle a bordo di una non meglio specificata nave da guerra russa ancorata nel Mediterraneo.
Tutte le grandi città siriane e le campagne circostanti sarebbero ritornate, dopo gli scontri del dicembre 2012, sotto il controllo governativo, di conseguenza le cosiddette «zone liberate» sarebbero dileguate e laddove ancora esistenti si caratterizzerebbero esclusivamente per il dominio terroristico di bande armate composte da takfiristi di provenienza straniera, le cui basi sono situate al di là del confine, in Turchia, Giordania, Libano.
Le cosiddette «zone liberate» non ebbero comunque mai confini definiti e la mobilità che le contraddistinse sarebbe all'origine del mancato insediamento, in tali avamposti, di identificate strutture politiche e militari facenti riferimento ai «ribelli». In altri termini, la resistenza opposta dall'Esercito siriano[1], supportato dalla popolazione locale avrebbe, fino all'inizio del 2013, impedito la formazione di una fascia territoriale stabilmente in mano alle milizie, una sorta di «Bengasi siriana». L'unico precedente congruo ad indurre una similitudine con lo «scenario cirenaico» del febbraio 2011 fu la creazione, nel corso dei primi mesi del 2012, del famigerato Emirato islamico di Baba Amr, allorquando bande jihadiste (i cui portavoce furono successivamente ricevuti, nel luglio 2012, dal presidente francese Hollande all'Eliseo) si insediarono nel quartiere Baba Amr di Homs, terza città siriana per numero di abitanti; questi gruppi di fanatici sunniti terrorizzarono ed indussero alla fuga l'intera popolazione residente, proclamarono la Sharia, la secessione dalla Siria e, sino all'intervento risolutore (e liberatore) dell'Esercito regolare, terrorizzarono le poche migliaia di anime rimaste in loco mediante le esecuzioni sommarie (fino a 150, attuate per decapitazione) sentenziate da un sedicente Tribunale rivoluzionario, il cui scopo era eliminare i «collaborazionisti» del governo di Damasco e gli «infedeli» alla dottrina rigorista sunnita (takfirismo).
Le varie bande di cui s'è detto, concentrerebbero tutt’ora la loro azione prevalentemente nelle zone nord-occidentali del Paese, nei pressi della frontiera con la Turchia, attorno alle province di Idlib ed Aleppo, città all’interno della quale occupano ancora alcuni quartieri (dai leader miliziani proclamati Stato islamico indipendente), dove però sono in forte arretramento, anche per motivazioni psicologiche, ed alcune piazzeforti contigue al confine libanese, nelle campagne di Homs e Damasco.
L’Esercito siriano ha inoltre integrato i suoi ranghi con la costituzione di unità volontarie composte da 20.000 giovani, aventi funzioni di riservisti, in supporto ai Comitati popolari, milizie cittadine impegnate nell’azione di consolidamento delle recenti conquiste sul campo.
I dissidi sempre più intensi tra le varie anime della sedicente «opposizione siriana» hanno impedito la convocazione e la formazione di un governo-fantoccio all'estero, che avrebbe dovuto fungere da “esecutivo di transizione” in attesa della «caduta di Assad». Questo non ha impedito al massimo dirigente formale di tale Coalizione, il “fratello musulmano” Moaz Al Khatib, di recarsi a Doha in Qatar, per “battere cassa” all'emiro relativamente ai fondi necessari per strutturare e mantenere attivo questo rassemblement di forze eterogenee, creato dagli Stati Uniti, sempre a Doha, nel novembre 2012, al fine di conferire legittimità politica e copertura mediatica alle azioni terroristiche dei gruppi takfiristi infiltrati nel Paese. Non è un caso che Khatib abbia preso la distanze dalla formale decisione statunitense di inserire la brigata al-Nusra, emanazione siriana del brand di matrice saudita-Cia Al Qaida, nella lista delle cosiddette «organizzazioni terroristiche internazionali» (lista che comprende anche movimenti di liberazione nazionale, religiosi e laici, democraticamente legittimati ed operanti alla luce del sole, quali l'Hezbollah libanese ed il Fronte popolare in Palestina). Al-Nusra costituisce, con i suoi 5.000 uomini in armi, il nerbo delle forze mercenarie, cosiddette «ribelli», operanti in Siria, ed ha preso nettamente il sopravvento nei confronti delle brigate costituite dai Fratelli musulmani.
Ad Aleppo l’attentato criminale contro la sede dell’Università, che a metà gennaio 2013 è costato la vita a 87 persone, perlopiù studenti, ed il ferimento di altre centinaia di unità civili, testimonia la disperazione dei gruppi takfiristi e mercenari di cui sopra, ormai privi di qualunque possibilità di vittoria militare nonché del sostegno popolare all’interno dei quartieri della città da essi «liberati». L’attentato all’Università è stato attribuito dai principali media occidentali alle forze del «regime»; un’interpretazione che fa emergere la vergognosa e spudorata faziosità dei grandi gruppi editoriali del cosiddetto «mondo libero», impegnati in una sistematica operazione di disinformazione tesa alla copertura del terrorismo jihadista in Siria, in quanto la causa dei «ribelli» è strettamente funzionale alle mire neo-coloniali di Francia, Gran Bretagna, Usa e petromonarchie feudali del Golfo sulla Siria. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha definito «blasfemo» il tentativo, posto in essere dalle diplomazie occidentali e dai media ad esse subalterni, di ricondurre alle forze governative siriane la responsabilità dell'attentato terroristico all'Università di Aleppo. Il quartiere dove infatti si è consumato l'attacco, teso a falciare gli studenti impegnati nella sessione invernale di esami, si trova infatti nella zona della città sotto il controllo dell'Esercito, il quale non trarrebbe obiettivamente alcun vantaggio nell'inimicarsi la popolazione attraverso la messa in opera di simili atti barbarici.
Sempre ad Aleppo, una manifestazione organizzata in uno dei quartieri della città sotto il controllo dei «ribelli» per chiederne l’allontanamento dalla città ed il ripristino dell’ordine costituzionale, è stata da questi ultimi repressa nel sangue, nel silenzio dei media di cui sopra, per i quali i gruppi legati all’Esl altro non sarebbero che fautori della «rivoluzione democratica» in Siria. Il terrore scatenato contro la popolazione non incline a lasciarsi assoggettare alle norme della Sharia (e soprattutto contro le minoranze religiose cristiane ed alawite) dai gruppi takfiristi nelle zone cosiddette «liberate», avrebbe avuto l’effetto di ricompattare attorno al governo siriano vasti strati sociali che nel 2011 potevano essere definiti «dissidenti» o comunque sostenitori delle proteste della «primavera araba».
Arabia Saudita e Qatar avrebbero in parte perso la fiducia riposta nei capi miliziani arruolati e pagati per combattere il jihad in Siria a seguito del verificarsi di numerosi episodi di malversazione, corruzione ed appropriazione indebita dei fondi delle petromonarchie da parte di ufficiali ed affaristi legati al reclutamento dei miliziani mercenari. Consci della disfatta subita e dell’impossibilità di conseguire una vittoria militare, parte di questi gruppi utilizzerebbero ormai il denaro proveniente da Doha e da Riyad a mero fine personale, a volte anche dandosi alla fuga verso l’estero con i fondi ottenuti dai governi saudita e qatariota. Non pochi miliziani dell’Esl, dopo la disfatta riportata nelle operazioni militari contro l’Esercito regolare siriano, avrebbero invece abbandonato il Paese per intraprendere nuove avventure, in Mali per esempio, dove potrebbero fungere da massa di manovra agli ordini francesi per la futura operazione di destabilizzazione (sotto il pretesto della «guerra al terrorismo») dell’Algeria; uno Stato laico e democratico, ma strategicamente alleato di Russia e Cina; uno Stato contro cui la Francia nutre ambizioni revansciste e neo-colonialiste.
Paolo Borgognone, CIVG.
[1] Si consiglia a proposito la visione del docu-film di Anastasia Popova, Diario Sulla Siria, realizzato da una troupe russa sulla base di 7 mesi di lavoro direttamente sul campo, visionabile in http://www.youtube.com/watch?v=_jiEA5KKupg.