Libia. Dopo la condanna a morte di Saif al Islam Gheddafi, viene inventato un governo virtuale, in un paese distrutto e devastato


A ottobre è stata confermata la sentenza di condanna a morte per Saif al Islam Gheddafi (secondogenito di M. Gheddafi) e a dicembre è stato pubblicizzato un inesistente governo libico NATO, formato in Marocco, composto da figure estranee alla terribile situazione interna al paese e non riconosciuto da nessuna fazione, banda, milizia jihadista che stanno distruggendo la Libia e il suo popolo.

Un governo virtuale ma necessario alla NATO e all’occidente per poter giustificare il prossimo intervento militare.

Due notizie su cui riflettere per capire come hanno ridotto un paese e un popolo che fino a 5 anni fa aveva la più alta aspettativa di vita dell'Africa continentale, 74 anni.

Aveva anche il più alto prodotto interno lordo in quel continente (PIL), al pari di paesi come il Messico o l’Argentina; era al primo posto dell’Indice di sviluppo umano dell’Africa.

Oggi la Libia è un paese devastato da una guerra importata dall’esterno e condotta da bande criminali, o fanatiche o al servizio di paesi stranieri. Una guerra dove in soli quattro anni sono stati uccisi, torturati, imprigionati o fatti scomparire centinaia di migliaia di libici; altrettanti hanno dovuto scappare o andare in esilio. Oggi la Libia è un paese in una situazione catastrofica, a detta di esperti e organismi internazionali, in cui non esiste alcuna legge neppure formale. Un Paese dove dei comuni criminali e tagliagole, ciascuno sorretto da bande e milizie proprie, applicano arbitrariamente pratiche spietate e primitive di controllo del territorio e della popolazione, alcuni nascondendosi sotto le spoglie del fanatismo religioso, altri con scopi apertamente predatori. Un paese che fino a quattro anni era fa economicamente in grado di investire nei paesi fratelli africani centinaia di milioni di dollari per infrastrutture e per lo sviluppo di quei popoli. Oggi ogni infrastruttura è demolita, in piedi resta, per ovvi motivi di rapina e saccheggio, solo lo sfruttamento del petrolio. Solo quattro anni fa la Jamahirija stava per inaugurare quella che anche la stampa occidentale aveva definito l’ottava meraviglia del mondo: portare l’acqua desalinizzata del Mediterraneo fino al deserto. Un’opera colossale di migliaia di chilometri, oggi in rovina.

Una Libia dove oggi l’ISIS ha ormai messo radici, e rischia di egemonizzare una parte del popolo libico, ottenendo consensi con un’opera di ristabilimento dell’ordine, seppur tragico e spaventoso. Ma forse qualcuno dovrebbe ricordare che un processo simile era avvenuto anche in Afghanistan, dove i Talebani avevano preso il potere in una marcia trionfale attraverso il paese, con il placito della popolazione stanca di bande di criminali e assassini che li vessava e strangolava da anni.                                                  Tutto sempre conseguenza di strategie criminali dell’occidente e del suo braccio armato, la NATO. Non dobbiamo mai dimenticare che la Libia ha riserve di petrolio stimate in 46 miliardi di barili, così come grandi depositi di gas naturale ancora da sfruttare pienamente.

Ma la Libia di oggi è anche un fiorire di forme di resistenza e riorganizzazione in tutto il paese, con le sue basi al sud dove, la “Resistenza Verde”, quella cioè formata da spezzoni del vecchio esercito popolare, unito alle tribù Tuareg, controlla intere aree e prepara una guerriglia per la riconquista del paese, vantando il sostegno fondamentale delle maggiori tribù libiche, estranee finora al bagno di sangue ed al saccheggio del paese e al fanatismo religioso. Ricordiamoci che l’architettura della Jamahirija (la Repubblica Popolare Araba Socialista) più che una forma di stato-nazione è stata una nazione tribale, che affidava un ruolo fondamentale sia politico che economico alle tribù. Scelta che ha garantito un equilibrio e uno sviluppo del paese per oltre 40 anni.     

 

Saif al Islam Gheddafi e altre decine di esponenti del legittimo governo libico, dopo anni di torture sono stati recentemente condannati a morte da un tribunale di Tripoli, un tribunale non riconosciuto a livello internazionale, che fa riferimento a un governo oltretutto in guerra con un altro governo, anch’esso non riconosciuto da nessuno. Un processo farsa in cui gli accusati non presenziavano e non potevano difendersi dalle accuse e dalle incriminazioni.

Un processo in cui 32 funzionari dell’epoca di Gheddafi sono stati condannati per reati commessi nel corso della guerra del 2011, con gravi violazioni della concezione internazionale di giusto processo, come anche Human Rights Watch ha dichiarato. "Questo processo è stata caratterizzato da attendibili e persistenti accuse di violazioni del concetto di “giusto processo”, che garantisca una procedura giurisdizionale indipendente e imparziale. La crisi politica in corso in Libia, insieme al generale deterioramento delle condizioni di sicurezza, mette in discussione la capacità dei giudici di giudicare il caso in modo indipendente e imparziale. Ci sono seri dubbi sul fatto che i giudici e i pubblici ministeri possono essere veramente indipendenti in un Paese dove prevale la totale anarchia e alcuni gruppi sono spudoratamente esterni alla giustizia. Si è tenuto questo processo nel bel mezzo di un conflitto armato e in un paese diviso dalla guerra, dove l'impunità è diventata la norma", ha affermato Joe Stork, vice direttore per il Medio Oriente e Nord Africa di Human Rights Watch.

Anche il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie ha stabilito nel novembre 2013, che la detenzione di Al Saif Gheddafi è stata arbitraria e che la gravità delle violazioni ha reso impossibile garantirgli un processo equo in Libia, e che avrebbe dovuto essere quindi liberato.

  

Saif al IslamGheddafi, dopo l’arresto


Da tempo si ventila, per cercare una via d'uscita da questa situazione aggrovigliata tragicamente su sé stessa, l’ipotesi di una amnistia per tutti gli arrestati del vecchio governo. Le fazioni di Bengasi sembra lo abbiano già deciso, questa voce nel paese ha provocato in molte città manifestazioni nelle strade per sostenere questa ipotesi, manifestazioni in cui nuovamente la bandiera verde simbolo della Jamahirija e ritratti di Gheddafi, sono esibiti pubblicamente.

 

Mentre il popolo libico torna a lottare e manifestare, i responsabili del rovesciamento di Gheddafi e della distruzione del paese (che sono gli stessi che oggi continuano a fornire sostegno a coloro che tentano il rovesciamento del governo costituzionale della Siria) restano impuniti. Ora si sono inventati la nascita di un “governo unito libico” con personaggi usciti da agenzie pubblicitarie o uffici dei servizi di sicurezza occidentali, dai quali vengono stipendiati e protetti. Nessuna fazione o banda criminale consistente, che oggi è presente nel tragico scenario libico, ha riconosciuto quanto pubblicizzato sui media internazionali occidentali, ribadendo che esso non rappresenta niente. Ma è evidente che questo passaggio era necessario alla cosiddetta comunità internazionale (leggi: NATO), per pianificare le prossime mosse militari per l’occupazione del territorio libico, o perlomeno delle aree fornite di petrolio e gas.

 

"La NATO e i ribelli hanno entrambi fretta e vorrebbero finire questa storia il più presto possibile perché hanno fame, sono stanchi e vogliono dividersi la torta. Per loro la Libia è come un fast food, come un McDonald, perché vogliono che tutto diventi veloce: una guerra rapida, compagnie aeree rapide, proiettili veloci, vittoria veloce. Ma io sono molto paziente, perché questo è il nostro Paese, e ho fiducia nel nostro popolo." Saif al-Islam Gheddafi.

 

 

 

 

Gennaio 2016