Il dovere di non dimenticare

Settembre 1982-Settembre 2012… Sabra e Chatila

IL DOVERE DI NON DIMENTICARE

 

 

   

 

- Maggio 2003…: Jenin, Palestina

“…il paesaggio sfida qualsiasi descrizione. Un incarnazione dell’orrore, una visione dopo un uragano. Case distrutte, in tutto o in parte, rottami di cemento e di ferro, grovigli di fili elettrici. Auto polverizzate dai carri armati o dai missili, aggiungono una dimensione di barbarie a questo spettacolo spaventoso. Un puzzo acre di cadaveri aleggia sulle macerie…”

( A.Kapeliouk- LeMondeDiplomatique, Maggio 2003)

Nostra dimora è il silenzio…nella mente nomi pietrificati….

nostra gente, nostri cari, nostre case mi sentite ? Vi batto nel buio,

tenui vi sento, invisibili spettri…” ( Abu Manu )

 

-Settembre 1982 …giorni che già sono stati :

Campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, Beirut, Libano…

 

“…la scena che si apriva davanti agli occhi degli osservatori stranieri che entravano all’interno del campo di Chatila era un incubo. Donne che urlavano sui corpi dei loro cari, corpi che cominciavano a gonfiarsi sotto il calore del sole.

Le case erano state distrutte dai bulldozer, spesso con gli abitanti dentro. Gruppi di corpi addosso ai muri, dove sembravano vittime di esecuzioni di massa. Altri erano sparsi tra le strade, freddati mentre cercavano vie di scampo. Ogni piccolo e lurido vicolo tra le abitazioni deserte dove i palestinesi erano vissuti da quando erano scappati dalla Palestina, quando fu creato lo stato di Israele, poteva raccontare una propria orrenda storia…”

( L. Jenkins - Washington Post, 23 settembre 1982 )

“…l’assedio è attesa…soli siamo a bere l’amaro calice…

Una donna ha detto alla nuvola : copri il mio amato, perché ho le vesti grondanti del suo sangue.

Se non sei pioggia amore mio, sii albero…colmo di fertilità…” ( M. Darwish )

 

Vent’anni e cinicamente si ripete la stessa scena di un massacro: basterebbe scambiare le date e la sostanza non cambierebbe di una virgola…puzza acre di guerra, donne, bambini, vecchi morti, feriti, mutilati. Fuoco, devastazioni, distruzioni, macerie. E le parti di questo scenario sono immutate, da un lato il tallone di ferro di uno stato occupante, feroce, spietato, sordo ad aneliti di giustizia e pace; dall’altra un popolo di esiliati, profughi, fuggitivi, che tenacemente, eroicamente ( senza timori in questo caso di cadere in neniosa retorica…), continua a rivendicare il diritto ad esistere, a vivere a casa propria, nella propria terra e che…non si è ancora piegato…dal 1948 ad oggi… 2002 !

Ed in questi 52 anni, di arroganza e barbaria ne è stata elargita, giorno dopo giorno, anno dopo anno senza tregua, metodicamente e cinicamente…ormai sono decine di migliaia i morti e centinaia di migliaia i feriti e mutilati, e milioni gli esuli e profughi. Eppure l’occupante, ancora non si è fermato, come ha scritto Monsignor H. Cappucci ( vescovo di Gerusalemme) : “…Sabra e Chatila, Balata, Nurel Shams, Khaa Younis, Gaza, Jenin ora. Allora le donne e i bambini palestinesi venivano sgozzati. Oggi le donne ed i bambini dello stesso popolo assistono al massacro dei padri, dei fratelli, dei nonni, muoiono nelle loro case demolite dai bulldozer, saltano in aria nei campi minati a tradimento, vengono inceneriti dai missili mentre transitano per strada o sono alla finestra delle loro case, oppure trovano la morte mentre attendono ai posti di blocco per poter raggiungere un ospedale. Migliaia di innocenti vennero massacrati allora. Migliaia sono stati sterminati adesso. Palestinesi cacciati dalle loro terre, senza una patria, senza una speranza, erano le vittime ieri. Palestinesi esasperati dall’occupazione, dalle umiliazioni, senza un futuro, sono le vittime oggi…Se non sarà un Tribunale sarà la Storia a giudicare le nefandezze commesse ai danni dei palestinesi. E non sarà facile per i padri di Israele spiegare ai figli ed ai nipoti come hanno potuto, dopo aver sofferto l’olocausto, portare tanto discredito e tanta vergogna all’ebraismo…”.

 

Facciamo giuramento che la notte passerà, per quanto lunga sia, occupante.

Ed il lampo sarà montagna di fuoco, fuoco rovente e nugolo d’aquile.”(M. El Kurd)

 

Sabra e Chatila, giovedì 16/9/1982, secondo la testimonianza di alcuni soldati israeliani, dalle ore 17 i massacratori penetrano nei campi da due direttrici, da sud e da sud-ovest; alla testa della spedizione : Elias Hobeika comandante delle milizie falangiste libanesi alleate di Israele.

Dalla testimonianza di Selma sfuggita al massacro : “…eravamo in cinque, mio padre, mia madre, mio fratello, la nonna ed io. Rimango soltanto io.. Eravamo nascosti da ore in un rifugio e siamo usciti perché non potevamo più respirare. I falangisti scendevano dalle dune…la mia gente è corsa loro incontro agitando fazzoletti bianchi e gridando di non sparare. Loro hanno cominciato a far fuoco sugli uomini. Poi sulle donne ed i bambini. Mi sono nascosta in un gabinetto e da lì ho visto ammazzare la mia famiglia e quasi tutti i miei vicini. Il quartiere veniva rastrellato casa per casa. Gli uomini venivano uccisi subito, le donne ed i bambini venivano portati in uno spiazzo…mio cugino di nove mesi piangeva. Un falangista ha gridato “ Perché piange ? Mi ha stufato “ e gli ha sparato in una spalla…poi lo ha afferrato per una gamba e con la baionetta lo ha ucciso… Al mattino sono arrivati camion e furgoni per portare via i cadaveri…ci hanno condotti allo stadio fino a sabato 18 settembre, nella mattinata i falangisti se ne sono andati, allora sono scappata…alla domenica sera sono tornata al campo per cercare qualcuno dalla mia famiglia…ho trovato mio zio Feisal che avevo lasciato come unico sopravvissuto…ma prima di andarsene avevano ammazzato anche lui…”

 

 

La carneficina dura sino alle 10 del mattino di sabato 19 settembre, con uccisioni, bulldozer che demoliscono case, preparano le fosse comuni da riempire per tutta la mattinata, gruppi di uomini e giovani vengono portati via e scompaiono su grossi camion e di loro nessuno saprà mai più nulla. Alle 10 il silenzio della morte cala sui campi Sabra e Chatila, tutto è immobile, come pietrificato, l’unico segno reale sono colonne di fumo che s’alzano verso il cielo e lo svolazzare di nugoli di mosche sopra il fetore soffocante dei cadaveri e del sangue. Poi i primi carri armati israeliani che da tre giorni circondavano esternamente i campi, si muovono verso le entrate : è il segnale che è tutto finito…dalle macerie fumanti i sopravvissuti riemergono come da un girone infernale dantesco.

 

G. Zohar giornalista israeliano : “…commissione d’inchiesta o no, ciò non toglie che noi sapevamo che c’era un massacro, che potevamo impedirlo e che non lo abbiamo fatto…”.

 

A. Grossman riservista : “…i mucchi di cadaveri dei campi di Beirut mi hanno fatto vergognare di appartenere all’esercito israeliano…”.

Il tenente colonnello B. Barbash ufficiale della riserva ha scritto : “…alla guida del nostro esercito c’è un uomo al quale ho personalmente sentito dire a più riprese che un buon arabo è un arabo morto…”.

 

Lo scrittore I. Orpaz ha dichiarato : “…non vi perdonerò mai di aver sconvolto un paese che amavo, con un orgia mostruosa di stupidità e morte. Nei campi di Sabra e Chatila, mio padre e mia madre, che ho perduto nell’olocausto, sono stati assassinati una seconda volta…”.

 

 

“…Palestina, terra sofferta nella carne del pianeta,

cimitero di tutti i dio spenti nei tuoi figli

Saturno ti pesa il segno dell’orrore, che ci umilia, che vi umilia…” ( Abu Manu)

 

 

Il numero della vittime non è mai stato accertato esattamente. La Croce Rossa Internazionale ha accertato una cifra di 2750 morti, a cui vanno aggiunti i corpi nelle fosse comuni, quelli restati sotto le macerie e i deportati mai più tornati. E’ opinione comune degli esperti internazionali che le vittime siano state tra le 3000 e le 3500, il tutto in sole 40 ore tra il 16 e il 18 settembre.

Dopo vent’anni si rompe il muro del silenzio ed un tribunale belga avvia un procedimento giudiziario contro Ariel Sharon, l’uomo che ha la responsabilità politica e militare di un operazione classificata come “genocidio” dall’assemblea dell’ONU nel dicembre 1982. Il Belgio, perché in quel paese vige una legge che accorda ai Tribunali di quel paese la competenza universale in materia di crimini di guerra, genocidi e crimini contro l’umanità, indipendentemente dai luoghi in cui questi sono stati perpetrati e delle nazionalità di vittime e carnefici. Una sede evidentemente non supina a Stati Uniti, Israele e Nato, finora immuni dal rispondere dei loro crimini contro i popoli e che per sottomettere la Jugoslavia renitente hanno dovuto inventarsi e fabbricarsi un Tribunale illegittimo ed illegale, personalizzato, come strumento dei loro interessi, quale è quello dell’Aja.

Il procedimento belga si basava soprattutto intorno alla figura di Elias Hobeika, capo delle milizie “ Forza libanese “ che entrarono nei campi e diretto responsabile della strage…Hobeika aveva infatti manifestato la volontà di testimoniare in un eventuale processo contro A. Sharon e la cui testimonianza, in quanto diretto testimone ed esecutore di tutta la vicenda, sarebbe stata devastante contro il granitico muro di silenzio costruito da Israele su Sabra e Chatila per ben 20 anni…Pochi giorni prima però che la corte di Bruxelles decidesse se aprire o meno il processo contro Sharon….il 24 gennaio 2002, una autobomba fa saltare in aria l’ex signore della guerra falangista…e Sabra e Chatila, sono nuovamente circondati dal granitico muro di letale silenzio. Ma qualcosa comincia ad incepparsi, tramite testimonianze di sopravvissuti che cominciano ad emergere qua e là e a vincere il terrore e la paura .

Nel frattempo un altro potenziale testimone scomodo, ex braccio destro di Hobeikas, M. Massar viene ucciso in Brasile, a colpi di pistola. Così come anche J. Ghanem, altro uomo di Hobeika, vittima di uno strano incidente stradale e poi morto dopo pochi giorni in ospedale…per un malore improvviso…

 “…Il responsabile dell'orrendo massacro è ancora al governo in Israele. E quasi va baldanzoso del massacro compiuto. E' un responsabile che dovrebbe essere bandito dalla società"…" Così si esprimeva l’allora presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini, nei confronti di uno dei mandanti ed esecutori del massacro di Sabra e Chatila, l'ex ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon. Info Pal

 

“…Non esistono tiranni che possono soffocare tutte le anime umane. Possono controllare la stampa, impedire di parlare, distruggere…Possono mettere a morte, calpestare…Ma nessuna forza può governare la vita di ogni uomo…e anche ci fosse, ci sarebbero sempre uomini nel fango capaci di non rassegnarsi, cuori nelle masse che si rivolterebbero…Anche se oggi viviamo come schiavi e stiamo morendo lentamente…”

( Ihab, 28 anni, Cisgiordania )

 

Questo articolo nasce dalla volontà di riaffermare e ricordare: non solo per Sabra e Chatila.

Per solidarizzare anche moralmente con l’eroica storia di lotte e resistenza del popolo palestinese che, oggi come ieri dal quel lontano 1948, continua a pagare ogni giorno con sacrifici spaventosi in vite umane, un prezzo che sembra non avere più un limite sopportabile da nessun popolo nella storia. Questo modesta riflessione va nella direzione di riaffermare un NO instancabile contro coloro che opprimono, umiliano, calpestano per perseguire lo scopo della loro esistenza : profitti e dominio. Io credo che anche assistere in silenzio, defilarsi, mimetizzarsi nell’impotenza dei tempi ( seppur effettiva ), sia una responsabilità di complicità con chi opprime, e riguarda e coinvolge tutti. Perché anche il silenzio può essere un crimine, così come connivente l’indifferenza. Una sorta di congrega del silenzio di chi si sente incolpevole o innocente. Io penso che la memoria storica per un uomo, per un popolo, non sia solo un diritto, ma soprattutto un dovere e innanzitutto verso le nuove generazioni. La memoria come luogo inalienabile della verità storica e sociale, luogo in cui riconoscersi e far riconoscere giovani e non; patrimonio per poter agire in un mondo da trasformare, da cambiare per quanto è diventato inaccettabile anche solo eticamente e socialmente.

I pezzi di storia come, in questo caso Sabra e Chatila, non gridano “castigo” solo per ciò che alcuni hanno fatto, o per come lo hanno fatto, o per come hanno ottenuto le loro vittorie. Ma anche perché lo hanno fatto e lo continuano a fare in nostra presenza, confidando nella loro immunità grazie anche al nostro silenzio, alla nostra “ disattenzione” o alla nostra smemoratezza…tipiche ormai del nostro “ Occidente”.

 

Ecco perché alle “resistenze” e lotte quotidiane, va affiancata una battaglia culturale e documentata della Memoria storica, se vogliamo operare per il futuro, per la verità e la giustizia.

Perché contrastare crimini e menzogne significa anche contribuire a rafforzare chiunque non accetta la propria condizione di subalterno nel nostro paese in particolar modo se giovane, facendogli comprendere che non è solo e che ci sono radici e patrimoni che vengono da lontano e che vanno lontano; e che possono essere strumenti anche e soprattutto per l’oggi e per il futuro.

      

“…Ogni tanto capita a qualche comunità di scoprirsi braccata e condannata, ma quando se ne accorge è ormai troppo tardi per tentare una salvezza. Altre volte, senza accorgersene, gli capita di venire scaraventata o risucchiata nell’occhio del ciclone ed altre volte ancora vede la morte impietosa avvicinarsi e allora decide di aggrapparsi, evidentemente in modo infantile ma cosciente al tempo stesso, ad una speranza che non c’è. Penso che quest’ultimo sia il caso di Sabra e Chatila : sapevano ma non volevano credere, come l’annegato che si aggrappa ad una pagliuzza. Erano lì, braccati nei loro miseri campi distrutti…erano lì a marcire nell’umiliazione e nel fango di un mondo che ha mostrato loro solo crudeltà, ormai ridotti ad un peso di cui liberarsi, sia per gli amici che per i nemici. Erano ormai lontani i giorni in cui anche loro, come tutti, avevano la propria terra, la propria casa ed il proprio Paese che ora non c’è più o è abitato da altri…

Abbi pazienza sorella…ti hanno levato il dolce peso, prima di partire abbraccia il tuo feto, lui non lo sa e non se n’è accorto, abbraccialo un istante prima di spegnerti nel bianco crudele e accecante che precede l’eterno buio. Lui non lo sa… soffio d’anima in cammino, morte di spiga…Pioggia di lacrime ha disegnato il suo volto…vai dove sei venuto o altrove, ma non qui dove c’è soltanto morte e tutti noi smarriti nel buio in fondo della nostra strada…” ( Ali Rashid )

 

“…vivere o morire per noi è la stessa cosa, perché questa non si può chiamare vita. E’ come se fossimo già morti. Diciamo che siamo in vita perché camminiamo. Ci uccidono cento volte al giorno…Cos’è questa vita. Negli scontri c’è solo qualche metro tra i palestinesi ed i soldati, vuol dire che non abbiamo paura. La vita e la morte sono la medesima cosa per noi. Ma ci rimane la speranza, non dimentichiamo mai la speranza, forse per questo continuiamo a vivere” (Na’el 25anni)

 

“…Camminano per le strade di città che gridano al peso dei loro stivali; circolano nei veicoli corazzati in un paese che non è loro; hanno i loro parabrezza protetti e accelerano la velocità guardando i margini delle strade con paura, pronti a sparare ed uccidere.

Ma non avranno mai abbastanza pallottole perché questa terra è piena di pietre e piena di mani pronte a lanciarle…” ( F. Longer )

    

Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano.

(Golda Meir, Primo Ministro di Irsaele, Sunday Times, 15/6/1969)

Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto.

(David Ben Gurion, 1937, “Ben Gurion and the Palestinian Arabs”, Oxford University Press)

I palestinesi saranno schiacciati come cavallette…le teste spaccate contro le rocce e i muri.

(Yitzahak Shamir, Primo Ministro, “New York Times”, 1/4/1988)

Non c’è sionismo, colonizzazione o Stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre.

(Ariel Sharon, ministro degli esteri, “Agence France Press”, 15/11/1998)

Israele ha il diritto di processare gli altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele.

Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano.

(Golda Meir, Primo Ministro di Irsaele, Sunday Times, 15/6/1969)

Da MONDO CANE di F: Grimaldi

 

Ho chiesto un po’ di sole e il poliziotto ha risposto: Signore, mettiti in coda!
Ho chiesto inchiostro per scrivere il mio nome. E mi è stato detto : L’inchiostro scarseggia
devi attendere in coda il tuo turno.
Ho chiesto un libro da leggere e una divisa kaki ha strepitato:
Chi vuole il sapere deve leggere le pubblicazioni del partito e gli articoli della costituzione.
Ho chiesto il permesso di incontrare la mia donna e mi è stato risposto: E’ cosa ardua incontrare le donne e l’innamorato deve sopportare una lunga coda.
Ho chiesto l’autorizzazione a mettere al mondo un figlio, ma un ispettore, scoppiando a ridere, mi ha detto: La prole è molto importante ma aspetta in coda ancora un anno.
Ho chiesto di vedere il volto di Dio ma un rappresentante di Dio ha urlato: Perché?
Ho risposto: Perchè sono un uomo sconfitto. Allora mi ha segnato a dito
ed ho compreso che anche gli sconfitti stanno in coda. Mio Signore: desidero incontrarti, ma non lasciarmi in coda come un cane randagio..
Da quando sono nato sono in coda, immobile.
Mi si sono ghiacciati i piedi simile alla carta straccia è la mia anima.
Spiagge calde e … uccelli. Non so come recitare i miei versi perché ovunque mi incalza la mannaia.
I fogli sono presi al laccio le penne al laccio al laccio i seni.
Il letto d’amore vuole un permesso di transito.
Mio Signore: l’orizzonte è sempre più sottile e questo paese è rannicchiato tra le acque
triste come una spada spezzata.
Se rifiutiamo la canfora ancora più canfora ci porterebbero. Mio Signore: l’orizzonte è grigio ed io mi struggo per un raggio di luce.
Se solo volessi aiutarmi mio Signore … mi muteresti in un passerotto. (Nizar Gabbani)

Ho voluto intramezzare le righe e le cronache di orrori e massacri con immagini (…senza parole), pezzi di scrittori, poeti o solamente uomini di Palestina, che con le loro intense, profonde, malinconiche righe, ci dicono quanto ricca e millenaria sia la loro cultura, in modo che ciascuno possa comprendere meglio ed arricchirsi, grazie al profondo messaggio che trasmettono. E poi perché come diceva il Leopardi, se ben usata la poesia possa anche essere strumento di resistenza e di lotta…: “ ….e cagioni nell’animo dè lettori una tempesta, un impeto…di passioni…e in cui principalmente consiste il diletto che si riceve dalla poesia, la quale ci dee sommamente muovere e agitare e non lasciar l’animo nostro in riposo e calma…” (G.Leopardi - Lo zibaldone)

 

solo PERNONDIMENTICAREMAI !! Almeno questo.

 

Settembre 2012 - Enrico Vigna