Srebrenica. Le contraddizioni di un genocidio sancito a priori.
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- Scritto da J. Toschi Marazzani Visconti (ex collaboratrice di Limes e Il Manifesto)
Il Parlamento europeo ha stabilito che l’11 luglio sia il giorno dedicato al genocidio di Srebrenica. In pratica ha proclamato un dogma: si deve credere che i Serbi sono colpevoli dello sterminio della popolazione musulmana della città senza possibilità di dubbio, obbiezioni o di ulteriore indagine.
Effettivamente gli avvenimenti che si sono svolti fra il 10 e il 19 luglio 1995 sono oscuri ed oscurati, per quindici giorni dopo la presa della città da parte serba non sono state compiute investigazioni accurate, mentre già il governo di Sarajevo aveva denunciato all’opinione pubblica internazionale un eccidio di proporzioni inaudite senza che questo potesse essere constatato in maniera obiettiva e sollecitando un vero cataclisma emozionale sui Media. Secondo il governo musulmano 8000 uomini sarebbero stati fucilati dai Serbi.
All’epoca circolavano voci che il presidente USA, Bill Clinton, avesse promesso al leader musulmano Alija Izetbegovic di intervenire se le vittime dei Serbi fossero state superiori a 5000. L’Amministrazione Clinton, pressata dal Senatore repubblicano Robert Dole e dalle lobby del petrolio, che volevano favorire i patroni arabi di Sarajevo, cercava una giustificazione plausibile per agire. In realtà gli US erano già degli attivi partecipanti alla guerra nella ex Jugoslavia, erano a poco a poco passati, unilateralmente e segretamente, ad un coinvolgimento diretto, sempre proclamando la loro volontà di pace ed equidistanza.
Per tutta la durata della guerra civile la dirigenza musulmana aveva tentato in ogni modo di sollecitare l’intervento della NATO contando sull’appoggio dei Media. Joseph Bodansky aveva scritto nel 1995 nel suo Offensive in the Balkans (ISSA, Londra 1995).
Come descritto nel suo memorandum Dichiarazione Islamica, Alija Izetbegovic desiderava trasformare tutta la Bosnia in uno Stato musulmano e pretendeva l’aiuto occidentale per ottimizzare il progetto. Un progetto che i suoi eredi politici perseguono ancora oggi.
Per tentare di capire qualcosa bisogna innanzi tutto considerare la posizione geografica della città, l’andamento della guerra civile in corso e le ragioni politiche e tattiche delle parti in causa, in questo caso Serbi e Musulmani.
Srebrenica si trova nella regione che costeggia il fiume Drina al di la del quale c’è la Serbia. Tutto quel territorio popolato sia da Serbi – prevalentemente nei villaggi e nelle campagne -che da Musulmani era stato conquistato dai Serbi nel corso della guerra fino a raggiungere il Montenegro. Rimanevano escluse due città, Srebrenica e Gorazde, dichiarate enclavi protette dall’ONU. Il forte interesse dei Musulmani a mantenere queste cittadine era dovuto alla loro posizione geografica: davanti alla Serbia e vicino al Sanjack al di la della Drina, regione serba a maggioranza musulmana, attraverso la quale filtravano armi e guerriglieri.
Queste città protette erano ben lungi da essere città demilitarizzate al contrario erano sede di comandi delle Legioni Musulmane. In particolare a Srebrenica era di stanza la 28° Legione Musulmana, forte di 5500 uomini, al comando di Naser Oric. Questo militare aveva fatto parte delle guardie del corpo di Slobodan Milosevic ed era stato licenziato perché accusato di furto, in seguito a questa accusa era rientrato in Bosnia dove gli era stato affidato il comando della 28° legione.
Scrive il Generale canadese Lewis Mc Kenzie, primo comandante delle truppe ONU (UNPROFOR) a Sarajevo: “ (…) il mio successore alla testa della forza di protezione dell’ONU, il Generale Philippe Morrillon, aveva forzato la sua entrata in Srebrenica – contro il consiglio dei suoi superiori dell’ONU – in compagnia di un piccolo contingente di soldati canadesi e ha dichiarato ai cittadini della città che erano ormai sotto la protezione delle Nazioni Unite. La gente dell’ONU era furiosa per questa sua iniziativa, ma Morillon aveva i Media dalla sua parte, e l’ONU è stata forzata a far ricorso al concetto di “zona protetta” per sei settori della Bosnia, ivi compresa Srebrenica.
Questa iniziativa del Generale Morrillon non era stata supportata da un numero sufficiente di uomini che il Generale Mc Kenzie aveva ipotizzato in 135.000 e il suo successore al comando della UNPROFOR, il generale belga Francis Bricmont, in 65.000. Il Consiglio di Sicurezza aveva inviato in supporto 2000 soldati.
Scrive ancora il generale Mc Kenzie: (…) Il Consiglio di Sicurezza ha allora modificato i termini della risoluzione riguardante le zone protette rimpiazzando “Le Nazioni Unite difenderanno le zone protette” con “Le Nazioni Unite con la loro presenza dissuaderanno i Serbi dall’attaccare le zone protette”. In altre parole, un contingente minuscolo, simbolico e armato leggermente era piazzato a Srebrenica, come capro espiatorio, per “dissuadere” l’esercito serbo bosniaco.
Non c’è voluto molto tempo ai Musulmani bosniaci per comprendere che l’ONU non era in condizione di mantenere la sua promessa di “proteggere” Srebrenica. Con un certo aiuto esterno, hanno incominciato ad infiltrare migliaia di combattenti e armi nella zona protetta. Man mano che i combattenti musulmani erano meglio equipaggiati e allenati, si sono messi ad uscire da Srebrenica per rivitagliarsi, a incendiare i villaggi serbi e ad ucciderne gli occupanti prima di riguadagnare rapidamente la sicurezza della zona protetta dall’ONU. Questi attacchi hanno raggiunto l’apice nel 1994 e sono continuati fino all’inizio del 1995, dopo che la compagnia canadese di fanteria è stata rimpiazzata da un contingente olandese più importante. I Serbi bosniaci avevano forse armamenti più pesanti, ma i Musulmani bosniaci erano loro pari per la potenza della fanteria, indispensabile sul terreno aspro intorno a Srebrenica. Quando si è sciolta la neve nella primavera del 1995, è diventato evidente per Naser Oric, l’uomo che comandava i combattenti musulmani bosniaci, che l’esercito serbo bosniaco avrebbe assalito Srebrenica per far cessare gli attacchi ai villaggi serbi. Così, egli e un grande numero dei suoi uomini hanno lasciato la città alla chetichella. Srebrenica è stata lasciata senza difesa nell’idea strategica che, se i Serbi attaccavano la città senza difesa, questo avrebbe spinto la NATO e l’ONU a considerare le incursioni aeree della NATO sui Serbi giustificate. Il risultato è stato un’entrata senza opposizione dell’esercito serbo bosniaco in Srebrenica. ( The Globe and Mail del 14 luglio 1995 - Srebrenica, il dossier nascosto del genocidio, La città del sole, Napoli 2007)
Dal 1992 al 1995 nel corso di sanguinosi raid Naser Oric aveva comandato l’eccidio di almeno 3500 civili serbi che abitavano i villaggi e le campagne della regione fino alla cittadina di Bratunac ed oltre. Va detto che solo la città di Srebrenica era una zona protetta, non la regione di Srebrenica che comprendeva la città stessa e le cittadine di Bratunac, Skelane e Milici.
Il reporter canadese Bill Schiller racconta del comandante Oric“… L’ho incontrato nel gennaio 1994 a casa sua in una Srebrenica assediata. Era una notte fredda e nevosa. Ero seduto nel suo salotto e stavo guardando un video atroce che rappresentava quello che si può chiamare il “palmares di Naser Oric”. C’erano case incendiate, cadaveri, teste decapitate, gente in fuga. Oric non smetteva di inalberare un largo sorriso ammirando il proprio lavoro. “Li abbiamo presi in un’imboscata” ha detto quando i cadaveri dei Serbi sono comparsi sullo schermo. La sequenza seguente mostrava dei corpi a brandelli per esplosivi. “Li abbiamo spediti fino alla luna” si è vantato. Davanti alle immagini di una città fantasma dalle case crivellate di pallottole, senza un’anima che si vedesse, ha annunciato “Là abbiamo ucciso 114 Serbi”. Dopo, si sono svolte delle celebrazioni con cantanti che intonavano le sue lodi”. ( Toronto Star, 7 luglio 2005 –, Il dossier nascosto del genocidio di Srebrenica, La città del sole, Napoli 2007)
I graffiti sul solo muro rimasto ancora in piedi in un villaggio serbo dopo un’incursione di Naser Oric riportavano quanto i suoi ammiratori urlavano: “Naser, Turchia, Bosnia, Alija, Srebrenica”.
Per inciso Naser Oric è stato in seguito processato dal Tribunale dell’Aja e condannato a due anni in prima istanza, assolto in appello. In seguito, accusato di furto e truffa, è stato arrestato a Sarajevo.
Le indiscriminate uccisioni di civili serbi sono possibilmente una delle ragioni di quanto è successo in quei giorni del luglio 1995. Perché i Serbi hanno attaccato Srebrenica? Gli esperti ritenevano che la città e la presenza della 28° Legione creassero un problema al rifornimento, obbligando i camion a un percorso maggiorato con una deviazione di oltre 40 chilometri per rifornire la regione serba sottostante. La penuria di benzina dovuta all’embargo imposto dalla Serbia alla Republika Srpska, dopo che l’Assemblea della Republika Srpska, rispettando i risultati di un referendum popolare, aveva rifiutato il piano Vance-Owen sulla divisione della Bosnia-Erzegovina in zone etniche a macchie come una pelle di leopardo, aveva reso i trasporti molto precari. A volte mancava anche la benzina per i carri armati.
Il 6 luglio 1995 cinque carri armati e duecento soldati serbi della Drina Corps si presentarono davanti a Srebrenica. Un esiguo manipolo per attaccare una città difesa da cinquemila uomini e controllata da 300 soldati olandesi dell’UNPROFOR che si trovavano intorno alla città come forza di interposizione. Comunque l’arrivo dei Serbi aveva scatenato un nervosismo e una confusione parossistici nelle truppe musulmane lasciate in mano ad ufficiali di grado inferiore dopo la partenza di Naser Oric e del suo stato maggiore, richiamati dal Governo di Sarajevo.
Il comandante del contingente olandese, Karremans, si era messo subito in contatto con il generale Mladic per cercare una soluzione.
L’8 luglio quando il battaglione dell’UNPROFOR si ritirava per attestarsi su altre posizioni, alcuni soldati musulmani lanciarono delle granate sul battaglione olandese e uccisero tre civili e un casco blu, il sergente Van Reesen, esigendo che gli Olandesi andassero a combattere contro i Serbi bosniaci. ( Srebrenica, rendiconto di un crimine di guerra, Honig, Jan (Willelm), Both, Norber, pag. 79, Penguin Book, 1996.)
Il 9 luglio, i Musulmani che non avevano permesso il ritiro degli Olandesi bloccarono un altro battaglione olandese per la durata di una notte. (Srebrenica, rendiconto di un crimine di guerra, pag.12)
Il 10 luglio, le truppe musulmane minacciarono un capitano olandese con le armi anticarro impedendogli di muovere i carri armati, sebbene il capitano olandese volesse spostare i suoi uomini per meglio controllare i Serbi bosniaci. (Srebrenica, rendiconto di un crimine di guerra, pag. 17).
L’11 luglio, i soldati olandesi videro dei combattimenti in diverse zone fra soldati musulmani che volevano consegnarsi e altri che volevano continuare a battersi. (Rapporti del battaglione olandese dell’UNPROFOR)
Il Generale Mladic negoziò tre volte con Karremans, il comandante olandese, e tre delegati rappresentanti i civili e i rifugiati musulmani, fra cui una donna. Mladic aveva lasciato libertà di scelta ai cittadini della città di rimanere o partire per la zona controllata dall’esercito di Sarajevo. Secondo le loro decisioni Mladic organizzò l’evacuazione della popolazione e domandò l’aiuto dei tre delegati per effettuarla al meglio. I Serbi avrebbero dato gli autobus per il trasporto di chi voleva lasciare la città e gli olandesi avrebbero fornito la benzina. Il Generale Mladic ripeté a numerose riprese che i soldati dovevano deporre le armi nelle 24 ore. Anche a loro fu proposto di rimanere o partire con il resto della popolazione, ovviamente avrebbero prima passato un controllo per verificare il loro stato anagrafico. Dichiarò anche che i soldati musulmani, compresi quelli senza uniforme, sarebbero stati trattati conformemente alle convenzioni di Ginevra se consegnavano le loro armi. Questo non avvenne, probabilmente la maggior parte dei combattenti musulmani avevano partecipato ai raid contro i civili serbi fra il 1992 e il 1995. Temevano verosimilmente la vendetta dei parenti o speravano di farla franca tentando una sortita verso Tuzla sotto controllo dell’esercito di Sarajevo.
Dall’11 al 19 luglio i soldati musulmani cercarono di raggiungere la zona musulmana attraverso le foreste su un territorio erto e difficile. Si verificarono scontri violenti con i Serbi che in seguito ammisero di aver subito pesanti perdite. Quanto è successo ai Musulmani rimane un mistero.
E’ senz’altro possibile che ci siano state delle vendette personali, ma casi sporadici e individuali.
Questa analisi degli avvenimenti di Srebrenica è stata scritta da Carlos Martins Branco, un ufficiale portoghese che ha servito in Bosnia come UNMO (UN Military Observer - Osservatore Militare) in qualità di ufficiale vice comandante delle operazioni UNPF (UN Peace Forces – Forze di pace dell’ONU) sul campo.
(…) La zona di Srebrenica, come quasi tutta la Bosnia orientale, è caratterizzata da un terreno molto aspro. Vallate scoscese con dense foreste e gole profonde che rendono impossibile il passaggio di mezzi da guerra e favoriscono le forze difensive. Dati i mezzi disponibili di ambedue le parti e la natura del terreno, l’esercito musulmano bosniaco aveva la forza necessaria per difendersi, se si fosse servito di questo vantaggio. Non l’ha fatto.(…) Questa assenza di risposta militare musulmana contrasta in modo impressionante con lo stile offensivo che caratterizzava le azioni musulmane durante tutto il periodo precedente l’assedio, quando incursioni violente venivano lanciate sui villaggi serbi intorno all’enclave, facendo numerose vittime fra la popolazione serba.
Ma all’occorrenza, con l’attenzione dei media concentrata sul settore, la difesa militare dell’enclave avrebbe rivelato la vera situazione nelle zone protette e mostrato che non erano mai state zone veramente smilitarizzate come si pretendeva, ma che albergavano unità musulmane fortemente armate. Una resistenza militare avrebbe compromesso l’immagine di vittime dei Musulmani, che era stata accuratamente fabbricata e che i Musulmani consideravano dovesse essere mantenuta a qualsiasi prezzo.(…)
(…). Un altro aspetto strano era l’assenza di reazione militare da parte del 2° corpo dell’esercito musulmano (all’esterno dell’enclave), che non ha fatto nulla per alleggerire la pressione militare sull’enclave. Era di pubblica notorietà che l’unità serbo-bosniaca, Drina Corp, era logorata e che l’attacco a Srebrenica era possibile solo con l’aiuto di unità di altre regioni. Malgrado questo fatto, Sarajevo non ha alzato un dito per lanciare un’offensiva che avrebbe diviso le forze serbe e rivelato la loro vulnerabilità, impegnata nella concentrazione delle risorse delle forze serbe intorno a Srebrenica.(…) E’ anche importante notare il patetico appello del presidente dell’opština (comune in serbo-croato), Osman Suljić, il 9 luglio 1995, che supplicava gli osservatori militari di dire al mondo che i Serbi utilizzavano armi chimiche. Lo stesso personaggio ha in seguito accusato i Media di aver propagato false notizie sulla resistenza delle truppe nell’enclave e ha reclamato una smentita da parte dell’ONU.(…)
Verso la metà del 1995, il prolungamento della guerra aveva raffreddato l’interesse del pubblico. Si assisteva ad una diminuzione sostanziale di pressione antiserba nell’opinione pubblica delle democrazie occidentali. Un affare dell’importanza di Srebrenica avrebbe fornito una bruciante attualità ai Media per settimane, risvegliato l’opinione pubblica e stimolato nuove passioni (…) I Musulmani carezzavano da sempre la speranza che l’embargo fosse (ufficialmente) tolto. Era diventato l’obbiettivo principale del governo musulmano di Sarajevo e la decisione era stata appoggiata da un voto al Senato e al Congresso americani. Il presidente Clinton aveva nel frattempo messo il suo veto esigendo una maggioranza di due terzi alle due camere. La caduta dell’enclave ha dato il colpo di mano necessario alla campagna. Dopo la caduta, il Senato ha votato con più di due terzi l’alzata dell’embargo.
Era chiaro che prima o poi le enclavi sarebbero cadute in mano ai Serbi. Era inevitabile. Vi era un consenso fra i negoziatori (il governo USA, l’ONU e i governi europei) che si rendevano conto che era impossibile conservare le tre enclavi musulmane e che esse dovevano essere scambiate con dei territori nella Bosnia centrale. Madeleine Albright aveva suggerito questo scambio a Izetbegović a numerose riprese, sulla base delle proposte del Gruppo di Contatto. Dal 1993, al momento della prima crisi dell’enclave, il presidente della Republika Srpska, Radovan Karadžić, aveva proposto a Izetbegović di scambiare Srebrenica con i dintorni di Vogošća a Sarajevo. Lo scambio avrebbe compreso un movimento di popolazioni nelle due direzioni. Era l’oggetto di negoziazioni segrete per evitare un’indesiderabile pubblicità, poiché questo implicava che i paesi occidentali avrebbero accettato e incoraggiato la separazione etnica.
La verità è che gli Americani e il presidente Izetbegović avevano tacitamente ammesso che la preservazione di queste enclavi isolate in una Bosnia divisa non avevano alcun senso.(…) In altre parole si doveva dimenticare le enclavi. L’attacco a Srebrenica senza l’aiuto di Belgrado non era assolutamente necessario e si è rivelato essere uno degli esempi più significativi del fallimento politico della direzione serba.
Durante questo tempo i Media occidentali hanno esacerbato la congiuntura trasformando le enclavi in un potente simbolo giornalistico, una situazione che Izetbegović non ha messo molto tempo a sfruttare. CNN emetteva quotidianamente delle pretese immagini di “stragi con migliaia di corpi” così dicendo ottenute tramite i satelliti spia. Malgrado la ritenuta precisione microscopica nella localizzazione di questi “carnai”, è certo che alcune scoperte non hanno confermato queste affermazioni a tutt’oggi. Poiché non ci sono più restrizioni al movimento delle truppe della NATO attraverso la Bosnia, ci si può domandare perché non siano ancora state mostrate al pubblico. Se i Serbi avessero concepito un piano premeditato di genocidio, invece di attaccare in una sola direzione e lasciare così la possibilità di una scappatoia verso il nord e l’ovest, avrebbero messo in opera un assedio senza lasciare fuggire nessuno.(…) Ci sono indubbiamente delle fosse comuni intorno a Srebrenica come nel resto dell’ ex Jugoslavia dove hanno avuto luogo combattimenti, ma non c’è alcun fondamento nella campagna che è stata montata, o nelle cifre presentate dalla CNN.
Queste fosse comuni sono riempite da un numero limitato di corpi delle due parti e sono il risultato di furiosi combattimenti e non di un piano premeditato di genocidio, come quello perpetrato sulle popolazioni serbe della Krajina durante l’estate 1995, quando l’esercito croato si è abbandonato a stragi massicce di tutti i Serbi che vi si trovavano. In quella occasione (la presa della Krajina), i Media hanno osservato un silenzio totale, sebbene il genocidio sia durato tre mesi. L’obbiettivo a Srebrenica era una pulizia etnica e non un genocidio, a differenza di quanto si è prodotto in Krajina, dove l’esercito croato ha decimato i villaggi malgrado non vi fosse alcuna resistenza militare.
Ben sapendo che le enclavi erano già una causa perduta, Sarajevo ha voluto prendersi un profitto politico. L’inquinamento, già realizzato, dell’opinione pubblica ha reso più facile propagare la tesi del genocidio. Ma più importante ancora della tesi del genocidio o dell’isolamento politico dei Serbi, è stato il ricatto imposto all’ONU: o le Nazioni Unite univano le loro forze a quelle di Sarajevo nel conflitto (ciò che hanno finito per fare), o si screditavano completamente agli occhi del pubblico, un ricatto che doveva sfociare nel sostegno ai Musulmani di Bosnia. Srebrenica è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha unificato l’Occidente nella sua volontà di spezzare la “bestialità serba”. Il governo di Sarajevo sapeva di non avere la capacità militare per venire a capo dei Serbi bosniaci. Doveva creare le condizioni per le quali la comunità internazionale lo facesse per loro. Srebrenica ha giocato un ruolo capitale in questo processo.
Srebrenica fa parte di una serie di decisioni dei leader serbi tendenti a provocare l’ONU per dimostrare la sua impotenza. Questo è stato un grave errore strategico che è loro costato caro. La parte che aveva tutto da guadagnare dimostrando l’impotenza dell’ONU era Sarajevo e non Pale (la capitale della Republika Srpska).
Srebrenica ha costituito la copertura e il pretesto per diverse azioni in cui gli USA erano direttamente coinvolti. Il 5 agosto 1995 la Croazia con il supporto dell’agenzia americana di mercenari MPR (Military Professional Resources) e il tacito appoggio del Dipartimento di Stato e dell’intelligence US lanciava l’Operazione Storm in Krajina, ripetendo il successo e la crudeltà dell’Operazione Flash del 1 maggio precedente nella Krajina occidentale. Ovviamente i Media hanno dato poco risalto all’avvenimento e al fatto che 250 mila Serbi hanno dovuto fuggire e abbandonare per sempre le loro case e la loro terra. A tutt’oggi nessuno è ritornato.
Il Tribunale Internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia dell’Aja ha emesso in appoggio alla teoria del genocidio una strana sentenza.
Per genocidio si intende normalmente la volontà e l’atto di cancellare una etnia intera di uomini, donne e bambini come nel caso dell’eliminazione del 1.200.000 Armeni in Turchia. Nel caso di Srebrenica donne, anziani e bambini sono stati trasportati in salvo nella zona musulmana. Gli 8000 presunti uccisi sono uomini e giovani in età militare. Srebrenica aveva 40 mila abitanti, quindi gli ipotetici scomparsi non erano la totalità dei Musulmani della città.
Il Tribunale ha sentenziato, pur ammettendo che i Serbi non hanno attaccato la città allo scopo di uccidere tutti gli abitanti musulmani, che quando i Serbi hanno deciso di eliminare tutti quegli uomini, questa distruzione selettiva avrebbe avuto un impatto a lungo termine su tutto l’intero gruppo e la sparizione di due, tre generazioni di uomini avrebbe compromesso in modo catastrofico la sopravivenza di una società patriarcale tradizionale. La loro morte impedirebbe qualsiasi tentativo efficace di riprendere il territorio. La combinazione di questi massacri e del trasferimento forzato delle donne, dei bambini e dei vecchi avrebbe avuto come inevitabile conseguenza la sparizione fisica della popolazione musulmano bosniaca da Srebrenica. (Michael Mandel, Il Tribunale dell’Aja e il concetto di genocidio- Il dossier nascosto del genocidio di Srebrenica, La città del sole, Napoli 2007)
Il governo di Sarajevo aveva affermato che gli scomparsi erano da 7000 a 8000, il numero dei corpi esumati nella zona dal Tribunale dell’Aja è stato di 2028, molti di loro risultavano essere morti in precedenza.
Dei 7500 cadaveri assemblati a Tuzla, solo 2079 sono stati identificati dalla Commissione Internazionale per le Persone Scomparse e il tentativo di impiegare il DNA per associarli a Srebrenica è fallito.
La Croce Rossa Internazionale aveva depositato al Tribunale di Zvornik una lista di 5000 nomi di uomini scomparsi a Srebrenica.
Nel maggio del 1996 mi trovavo in Bosnia, partita dalla Drina non lontano da Milici, ero sulla strada per Pale. Il mio autista era molto nervoso, mi aveva spiegato che quella mattina un gruppo di Musulmani aveva massacrato tre Serbi in quella zona ed era possibile li incrociassimo. Fortunatamente la IFOR statunitense aveva fermato un gruppo di Musulmani, trovati in possesso di armi, e secondo gli accordi internazionali li aveva consegnati alla polizia di Pale. Pur sospettando che i dieci uomini fossero gli autori dell’eccidio, mancando prove evidenti, i Serbi li schedarono e rilasciarono. Appartenevano tutti ad un gruppo terrorista chiamato Laste, otto di loro risultavano sulla lista degli scomparsi di Srebrenica depositata dalla Croce Rossa Internazionale.
JTMV (2009)