Resoconto del viaggio nella Striscia di Gaza
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- Scritto da ISM
26 Giugno 2014 – 6 Luglio 2014
Arrivo a Gerusalemme alle 23.00 dopo una giornata passata tra aeroporti e voli e trovo una città deserta. Negozi chiusi e solo un ristorante tra la Porta di Giaffa e la Porta Nuova è aperto. Gerusalemme Est è già off limits. Pattuglie di soldati e della sicurezza israeliana si muovono per le strade. Ho davanti una decina di giorni da passare in Palestina. Da Nablus mi dicono che la situazione è molto difficile, gli spostamenti da Gerusalemme sono lunghi e difficili. Il giorno dopo il mio arrivo parto per Erez per entrare nella prigione più grande al mondo: la Striscia di Gaza. Dal 12 giugno, giorno della sparizione dei tre coloni, si sono intensificati i bombardamenti sulla Striscia di Gaza mentre la Cisgiordania è sotto rastrellamento. L’accesso alla prigione di Gaza è come al solito sotto l’attento controllo israeliano. Sembra una giornata tranquilla, calda e umida, ma tranquilla. Arrivo alla solita sistemazione messa a disposizione da uno dei nostri partner a Gaza, l’associazione Medical Relief. Nelle prime ore del pomeriggio del mio primo giorno a Gaza, sento un forte boato: hanno assassinato due resistenti, Osama e Mohammed, mentre erano in macchina e attraversavano il campo profughi di Shati. Un drone, con grande precisione, ha colpito la macchina senza lasciare scampo ai due ragazzi. Vado sul posto e trovo tanti palestinesi attorno a quello che è rimasto della macchina; i corpi martoriati sono già stati portati all’obitorio dello Shifa Hospital. Con un passaggio di fortuna, mi sposto allo Shifa dove incontro i padri e fratelli dei due ragazzi assassinati; è qui che grazie all’aiuto di un amico palestinese che fa da traduttore, parlo con i parenti di Osama e Mohammed. Sono stanca di pubblicare e far girare foto di martiri, corpi di bambini e donne straziati, chiedo che si faccia conoscere il volto dei ragazzi in un momento di vita, anche se sono consapevole che quei corpi martoriati dentro la cella sono l’immagine della loro quotidianità.
Questa è una foto che li ritrae tutt’e due vivi:
Mentre a Gaza si colpiscono i resistenti, in Cisgiordania continuano i rastrellamenti con il pretesto di cercare i tre coloni spariti. L’esercito israeliano, con l’aiuto della sicurezza palestinese, predispone le perquisizioni nelle case; durante le operazioni vengono distrutti beni personali, rubati materiali e documenti e i palestinesi vengono prelevati dalle loro case senza motivo (detenzione amministrativa). Sono oramai più di 500 i palestinesi arrestati in queste settimane e tre di loro assassinati dopo essere stati sequestrati. I dieci giorni trascorsi a Gaza sono stati impegnati incontrando i bambini e le bambine del progetto Gazzella; monitorando la condizione sanitaria dello Shifa hospital dove la carenza cronica di medicinali, di materiali monouso ma anche l’impossibilità di fare manutenzione ai macchinari hanno determinato una situazione molto difficile. Con la chiusura, o apertura a singhiozzo, dei valichi Kerem Shalom e Rafah, ma anche con la chiusura dei tunnel, tanti materiali sanitari, medicine e non solo, non sono più reperibili. Si negano i diritti alla vita, alla salute e alle cure. Durante la mia presenza a Gaza i bombardamenti sono stati frequenti su tutta la Striscia, si dice siano contro i resistenti, per distruggere depositi di armi, ma qualsiasi attacco è contro la popolazione civile di Gaza. Bombardamenti che si intensificano soprattutto durante la notte: iniziano verso le 2 del mattino e proseguono per ore. Nel cuore della notte vieni svegliato da un forte boato, il letto oscilla come per una forte scossa di terremoto. Vetri delle finestre in frantumi, crepe vistose sulle pareti delle case, e tanta paura. Questa è la vita a Gaza! Il Ramadan è iniziato e forse qualcuno spera che almeno in questo periodo gli attacchi siano limitati, ma non è così. Il Ramadan viene vissuto sotto le bombe, con l’elettricità a fasce orarie divise per zona; un Ramadan più povero del solito a causa anche dei mancati pagamenti dei salari dallo scorso mese di maggio a più di 40.000 dipendenti del governo di Hamas; per la disoccupazione cronica, mali tutti determinati dall’occupazione israeliana e dalle politiche complici dell’Europa e degli USA. Vengono ritrovati i corpi dei tre coloni e gli attacchi su Gaza si intensificano, ancora martiri della resistenza e feriti tra i civili, mentre in Cisgiordania continuano gli arresti e rastrellamenti. Il mondo condanna l’omicidio dei tre coloni, omicidio che Israele vuole imputare a Hamas che invece, fin dal primo momento dell’annuncio della loro sparizione, ha negato qualsiasi responsabilità. La faccenda dei tre coloni ha messo in luce le non tanto nascoste divergenze politiche palestinesi. Mahmud Abbas Abu Mazen da una parte ha denunciato le punizioni collettive attuate dall’esercito israeliano in Cisgiordania, e dall’altra ha espresso solidarietà a Israele condannando il “rapimento” dei tre coloni e continuando la collaborazione tra le forze di sicurezza dell’ANP e l’esercito israeliano per organizzare rastrellamenti e sequestri dei palestinesi nei territori occupati. A Gaza arrivano notizie della situazione esplosiva in Cisgiordania, notizie inquietanti di aggressioni a bambini e ragazzi palestinesi da parte dei coloni, una caccia al palestinese al grido “morte agli arabi”, fino all’assassinio di Mohammed Abu Khdeir, 16 anni, sequestrato da coloni israeliani e dato alle fiamme. Una morte che i sionisti italiani imputano alla famiglia del ragazzo perché, scrivono, è gay, e postano su facebook e non solo insulti e menzogne. Intanto dalla Striscia di Gaza si intensificano i lanci di razzi contro le colonie israeliane, molti di questi intercettati dal sistema antimissile Iron Dome. Una risposta da Gaza contro l’occupazione, contro le politiche israeliane di pulizia etnica iniziate prima del 1948 e mai terminate. Riporto per dovere di cronaca le dichiarazioni rilasciate dai gruppi islamici mentre ero a Gaza. Il 3 luglio la Brigata armata Ezzedin Qassam, braccio armato di Hamas, tiene una conferenza stampa a Gaza nella quale ribadisce il diritto alla resistenza contro l’occupante e il diritto alla difesa del popolo palestinese. Una conferenza stampa dai toni bassi nella consapevolezza del difficile momento politico, ma con una dichiarata determinazione: “Se gli occupanti daranno il via a un’escalation o a una guerra, apriranno le porte dell’inferno su loro stessi”. Anche il leader dell’organizzazione islamica Jihad, Khaled AlBatsh esprime una ferma condanna nei confronti degli assassini di Mohammed Abu Khdair e per coloro che hanno prestato e prestano sostegno agli assassini. Il leader dell’organizzazione islamica Jihad lancia un appello ai palestinesi dei territori occupati perché organizzino comitati a protezione dei bambini, delle donne e delle case, contro le aggressioni dei coloni e dell’esercito israeliano e dichiara “se non combatteremo contro i coloni loro ci uccideranno e se non li manderemo fuori dalla nostra terra loro ci espelleranno… e chiediamo alla comunità musulmana di guardare con attenzione alla situazione palestinese, perché la vera resistenza è qui”. Esco dalla prigione della Striscia di Gaza domenica 6 luglio nella speranza che i bombardamenti non si intensifichino, ma già sulla strada da Erez verso Gerusalemme la vista di convogli di camion che trasportano carri armati, mi fa pensare che non sarà così. Arrivo a Gerusalemme, una città sotto shock, dove pochi turisti si muovono nella città vecchia. Gerusalemme Est e Beit Hanina, dove vorrei andare per trovare degli amici, sono sotto controllo delle forze di occupazione israeliane, ma anche di coloni armati che si aggirano minacciosi per le strade. Lascio la Palestina, mentre da Gaza arrivano notizie preoccupanti di un prossimo attacco. Il pensiero è ai nostri bambini che dovranno affrontare e sopportare ancora tanta sofferenza, alle persone che mi hanno accolto con affetto, a quella terra, a quel popolo che ho avuto la fortuna di conoscere e di incontrare. Mentre cerco di scrivere un resoconto del mio viaggio indirizzato a sostenitori di Gazzella, mi rendo conto di non saper adeguatamente trasmettere quello che porto dentro come conoscenza di un popolo che resiste, che ricerca quotidianamente – in una condizione di vita vissuta sotto occupazione da più di 60 anni – la propria dignità. Penso alle politiche compromesse della cooperazione internazionale che con il “servizio sociale” e l’aiuto umanitario, mantengono lo stato delle cose; penso alle sfilate dei politici a favore sia della Palestina sia di Israele, negando così il fatto che, fin dalla dichiarazione dello Stato di Israele è iniziata la pulizia etnica, la deportazione del popolo Palestinese. Siamo, dopo circa due anni dall’ultima aggressione israeliana, nuovamente alla conta: in 5 giorni più di 130 martiri e più di 1.000 i feriti. Il valico di Rafah sul confine egiziano, sigillato da settimane, è stato aperto solo per poche ore per far uscire alcuni attivisti internazionali, cittadini con passaporto egiziano e i feriti più gravi. L’Egitto guarda indifferente l’agonia dei palestinesi! Sono rimasti a Gaza solo alcuni attivisti del gruppo Unadikum e dell’ISM: stanno danno il loro appoggio e sostegno, anche come scudi umani, per salvaguardare siti individuati da parte di Israele quali obiettivi da colpire, come l’ospedale Al Wafa. È tutta la Palestina che ci chiama e che ha bisogno della nostra protezione, del nostro sostegno!. Ancora troppo silenzio. La comunità internazionale sta cercando un dialogo per una tregua. Ne abbiamo visti tanti di accordi per una tregua, ogni volta violata da Israele, con licenza di uccidere; abbiamo visto troppi morti, troppi feriti, troppa sofferenza che non si cancellano con un colloquio di pace, con una tregua. Non si cancellano i video dello strazio di intere famiglie, non si cancella nel cuore, nella mente e nella crescita di un popolo l’orrore degli omicidi che Israele ha compiuto, che la comunità internazionale non ha voluto fermare. Non sento di dover alcun rispetto al popolo ebraico, sento rispetto per i milioni di persone assassinate nei campi di concentramento a causa dell’ideologia nazi-fascista, una cultura che oggi il governo sionista israeliano sta riproducendo e applicando. C’è chi vive e muore per la libertà, per la democrazia, per l’autodeterminazione dei popoli, per i diritti universali; queste morti non potranno mai essere messe sul piatto di una bilancia che vorrebbe vittime anche i carnefici, gli oppressori, gli occupanti. Chi vuole e ha voluto “bilanciare” queste morti ha solo l’obiettivo di delegittimare le ragioni della lotta e della morte degli oppressi Intanto l’informazione al servizio dei sionisti scrive sulle prime pagine dei giornali: “Israele ad Hamas: fermatevi”. Basta occupare la terra di Palestina, basta rubare terra e acqua, basta costruire insediamenti, basta costruire il muro, basta con la pulizia etnica della Palestina, basta con il genocidio dei palestinesi! Chi fa un certo tipo di informazione tutto questo non lo può scrivere, eppure la Corte internazionale si è già espressa, l’Onu ha detto la sua….appunto ognuno ha detto la sua, ma solo per facciata. A noi tutti il dovere di dare voce alle ragioni e ai diritti del popolo palestinese, senza sostenere questo o quel partito, ma con la determinazione di essere contro l’occupazione e riconoscere al popolo palestinese il diritto di resistere con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma.
G.B.12.7.2014 - da ISM