Notiziario Patria Grande - Luglio/Settembre 2024
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NOTIZIARIO LUGLIO-SETTEMBRE 2024
TELESUR (VENEZUELA) / OPINIONE / TERRORISMO CONTRO IL VENEZUELA
La Cospirazione terrorista contro il Venezuela
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / VENEZUELA
Il vasto universo delle contraddizioni di Edmundo González
GRANMA (CUBA) / ESTERI / VENEZUELA
Cuba denuncia la violenza, la destabilizzazione e il tentativo di golpe contro il Venezuela / Dichiarazione del Ministero delle Relazioni Estere
TELESUR (VENEZUELA) / OPINIONE / LA GUERRA IBRIDA
Dalla Guerra Fredda culturale alla Guerra Multidimensionale
GRANMA (CUBA) / ESTERI / IL SOGNO AMERICANO
Dov’è il sogno americano dei bambini di Skid Row?
GRANMA (CUBA) / ESTERI / IL NUOVO CAPO DELLA NATO
Il prossimo uomo NATO
GRANMA (CUBA) / ESTERI/ CONNIVENZE POLITICHE NELLE ELEZIONI STATUNITENSI
Il doppio filo delle armi e della politica
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA SUL CONFLITTO
Petro agli Stati Uniti: è antisemita uccidere bambini lanciando bombe a Gaza
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI /ARGENTINA
Milei cade in tutti i sondaggi e perde elettori
TELESUR (VENEZUELA) / OPINIONE / TERRORISMO CONTRO IL VENEZUELA
La Cospirazione terrorista contro il Venezuela
Un’operazione di disinformazione e manipolazione psicologica attraverso i social network sta accompagnando l’azione sovversiva dei mercenari contro la Rivoluzione Bolivariana. Foto: Cubadebate.
Per coloro che credevano che il tentativo di distruzione del Venezuela da parte dell’Occidente Atlantico dopo le elezioni fosse terminato, la cattura di mercenari stranieri coinvolti in una cospirazione terroristica internazionale forse è stata una sorpresa. Tutti ricordiamo, ad esempio, quando nel 2020, sotto il governo di Donald Trump gli Stati Uniti, in coordinamento con la Colombia, inviò in Venezuela un gruppo di mercenari legati all’agenzia Silvercorp della Florida, tutti con esperienza nelle forze speciali tra cui 2 statunitensi. Facevano parte di un progetto chiamato “Operazione Gedeón” il cui obiettivo era di infiltrarsi in Venezuela dalla Colombia attraverso uno sbarco navale.
L'operazione aveva lo scopo di rapire o assassinare il presidente Nicolás Maduro e, secondo le indagini, sarebbe stata concordata con Juan Guaidó, la figura politica che si autoproclamò presidente del Venezuela nel 2019. Il tentativo si risolse però in un fallimento perché i servizi di intelligence venezuelani avevano già smantellato il piano (che coinvolgeva militari venezuelani in esilio e mercenari stranieri) mesi prima, quindi le forze di sicurezza venezuelane erano preparate all’attacco. Durante l'operazione furono uccisi 6 invasori e 91 furono catturati.
È importante notare che parte degli obiettivi dei mercenari era di provocare la rivolta degli ufficiali insoddisfatti all'interno delle Forze Armate venezuelane. Questa intenzione è evidente e, di fatto, si ripete in tutti i piani contro il Venezuela perché i militari hanno un ruolo di primo piano nel sistema bolivariano dove, a differenza dei sistemi liberali, hanno anche un ruolo politico rilevante.
In questo senso, ci sono dei precedenti per quanto affermato nei giorni scorsi dal ministro dell'Interno, Diosdado Cabello, ma il nuovo piano di infiltrazione e destabilizzazione è stato smantellato ancora prima di quello precedente, il che indica sia l’aumento del livello di preparazione dei servizi di intelligence e di sicurezza venezuelani, sia il declino tattico-operativo dell’atlantismo, almeno per quanto riguarda le operazioni speciali di questo tipo.
Ora le forze di sicurezza venezuelane hanno sequestrato 400 fucili e pistole provenienti dagli Stati Uniti, oltre a tre americani, un ceco e due spagnoli, e altri 6 stranieri che sarebbero coinvolti sia nel traffico di armi che nella preparazione del piano, il quale prevedeva sia l’assemblaggio di armi che il reclutamento di ulteriori mercenari per un’operazione che potenzialmente mirava all’assassinio del presidente Nicolás Maduro, del vicepresidente Delcy Rodríguez e di altri funzionari statali.
Il ministro degli Interni Diosdado Cabello ha esposto i dettagli del nuovo piano di infiltrazione e destabilizzazione contro il Venezuela.
Il leader sarebbe l'americano Wilber Joseph Castañeda, un Navy SEAL con esperienza militare in Afghanistan e Iraq, il quale ha recentemente soggiornato in Colombia, mentre gli spagnoli José María Basoa e Andrés Martínez sarebbero legati al Centro Nazionale di Intelligence Spagnolo. Gli altri due statunitensi sarebbero Estrella David e Aaron Barron Logan, uno dei quali sarebbe un hacker. A sua volta, il ceco avrebbe fatto parte di un gruppo mercenario in Europa, di cui facevano parte anche dei francesi, e nei suoi effetti personali sono stati rinvenuti segni di legami con personaggi legati alla sfera politica venezuelana. Naturalmente, ci sono stati anche altri arresti di venezuelani coinvolti nel piano che avrebbero collegamenti anche con bande narcocriminali come Tren del Llano e Tren de Aragua, che hanno partecipato attivamente ai recenti disordini post-elettorali.
Di fatto Wilber Castañeda, che è entrato più recentemente nel Paese nel mese di luglio, ha mantenuto contatti con esponenti dell'opposizione e della criminalità organizzata, prova di cui sono le chat sul suo cellulare che indicano la sua partecipazione con un ruolo di coordinamento nelle rivolte che seguirono le elezioni presidenziali. In questo piano, che secondo Cabello sarebbe diretto dalla CIA, il ruolo della Spagna sarebbe quello di fornire più mercenari. Ovviamente, sia il governo statunitense che quello spagnolo negano qualsiasi coinvolgimento in un piano di destabilizzazione del Venezuela.
Ma la presenza di Erik Prince, il famigerato fondatore dell'agenzia mercenaria Blackwater, smentisce l'"ignoranza" dei fatti da parte del governo statunitense. Prince, che è legato a un settore dell’economia contemporanea che potremmo chiamare “imprenditoria militare”, ha pubblicato una settimana fa un misterioso video sui social media in cui sostiene che “qualcosa di grosso” accadrà in Venezuela il 16 settembre.
La pubblicazione in questione è associata ad una pagina chiamata “Ya casi Venezuela”, che fa appello alla violenza per il cambio di regime nel paese sudamericano. Il tipo di attività di “imprenditoria militare”, cioè il mercenarismo, è impossibile senza il supporto materiale, finanziario, logistico e tecnico di settori legati allo Stato di origine. Inoltre, la stessa famiglia Prince è stata strettamente legata al governo di Donald Trump: sua sorella, Betsy DeVos, era segretaria all’Istruzione. Da parte di Erik Prince sembra un tentativo di rilanciarsi, creando marketing politico magari per rientrarci, nella politica. Ma il momento non permette: esiste sicuramente un legame tra questa operazione che doveva essere realizzata in Venezuela e questo progetto “Ya casi Venezuela” del fondatore di Blackwater.
Erik Prince ha legami con un settore dell'economia contemporanea che può essere chiamato "imprenditorialità militare".
In questo senso, un’operazione di disinformazione e manipolazione psicologica attraverso i social network accompagnerebbe l’azione sovversiva dei mercenari, con l’obiettivo di promuovere un cambio di regime e, di conseguenza, favorire politicamente Prince.
Questi eventi potrebbero rappresentare un “modello” per il modo in cui gli Stati Uniti intendono trattare con i paesi iberoamericani che non riescono a cooptare attraverso i mezzi diplomatici ed economici.
Raphael Machado, Telesur, 21 settembre 2024
Articolo originale: La Conspiración Terrorista contra Venezuela
https://www.telesurtv.net/opinion/la-conspiracion-terrorista-contra-venezuela/Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido.
Traduzione a cura di Luigi M., Patria Grande/CIVG
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / VENEZUELA
Il vasto universo delle contraddizioni di Edmundo González
Dopo aver denunciato di aver firmato sotto pressione e sotto la forza della minaccia un documento in cui riconosceva la sentenza del TSJ convalidando la vittoria del suo avversario, il presidente rieletto Nicolás Maduro, la storia del controllo dei danni che circonda l'azione di Edmundo González presenta gravi incongruenze e contraddizioni. Qualcosa che non fa altro che aumentare i dubbi sulla credibilità dello stesso ex candidato e del settore dell’opposizione che lo sostiene.
L'argomento della minaccia: debole come un castello di carte
L'argomento della coercizione subita crolla non solo per i documenti mostrati (audio e fotografie) dal presidente dell'Assemblea Nazionale (AN), Jorge Rodríguez, dove è evidente che le conversazioni si sono svolte in un clima rispettoso e rilassato. In altre parole, il documento non era il prodotto di un’imposizione, ma di un consenso. González lo ha espresso esplicitamente durante la sua intervista all'agenzia Reuters: "Il testo andava e veniva, noi facevamo alcune osservazioni, loro tornavano con altre".
Anche la sua partecipazione alla marcia indetta dall'opposizione martedì 30 luglio, due giorni dopo le elezioni, così come il cambio di ambasciata (dai Paesi Bassi alla Spagna) dimostrano che non c'era alcun tipo di ostacolo ai suoi movimenti: aveva libera circolazione e lui ne ha usufruito. Avendo l'opportunità di denunciare le molestie o le minacce subite, e tenendo conto che era sotto la protezione delle rappresentanze diplomatiche, nei suoi oltre 70 post sui social network dalla fine di luglio a metà settembre, non ha rilasciato nessun tipo di dichiarazione che evidenziasse una tale situazione. Non ha mai parlato di pressioni o intimidazioni, ma al contrario, si è osservato l’uso proselitario dei suoi account, contravvenendo le convenzioni stabilite per l’asilo.
Spagna: destinazione privilegiata fin dall’inizio
La dichiarazione di Caspar Veldkamp, cancelliere olandese, ha rivelato che l'intenzione di González di lasciare il Paese era determinata: "Ha detto che voleva comunque andarsene e continuare la sua lotta dalla Spagna", spiegava la dichiarazione del capo della politica estera del Regno. Il suo spostamento da una sede diplomatica all'altra è avvenuto senza che nessuno lo impedisse, senza pressioni da parte delle delegazioni e del governo venezuelano.
L'ex candidato afferma nella sua intervista alla Reuters di aver lasciato il Venezuela perché altrimenti "venivano a prenderlo", ma se fosse stata vera questa versione, perché nonostante gli fosse stato raccomandato di non lasciare la delegazione olandese, alla fine si è trasferito nell'ambasciata del Regno di Spagna?
Ha detto Veldkamp: "Ho parlato con lui della situazione in Venezuela, dell'importanza del lavoro dell'opposizione e della transizione verso la democrazia, e ho rinnovato la nostra disponibilità ad ospitarlo", ma alla fine González ha insistito per andarsene.
Allo stesso modo, l’ex candidato difende la sua decisione come l’unico modo per continuare la sua lotta “in libertà” e ottenere il riconoscimento del suo trionfo a livello internazionale. Ciò nonostante, ha firmato senza pressioni, come è stato dimostrato, un documento in cui afferma esplicitamente: “Sono sempre stato e sarò disposto a riconoscere e a rispettare le decisioni adottate dagli organi giudiziari nel quadro della Costituzione, compresa la citata sentenza della Camera elettorale alla quale, pur non condividendola, mi attengo perché è una decisione della più alta corte della repubblica. Successivamente aggiungerà: “Dò a conoscere il mio impegno a limitare la mia attività pubblica al di fuori del Venezuela. Non intendo in nessun caso esercitare alcuna rappresentanza formale o informale dei poteri pubblici dello Stato venezuelano. Sarò assolutamente rispettoso delle istituzioni e degli interessi del Venezuela e farò sempre appello alla pace, al dialogo e all'unità nazionale".
L’azione alle spalle di Maria Corina Machado
Edmundo González assicura che María Corina Machado non sapeva dei progetti che aveva e di averlo scoperto solo poche ore prima della sua partenza: "Lei non lo sapeva, gliel'ho detto io praticamente il giorno della mia decisione di andarmene all'ambasciata di Spagna".
La rivelazione non è di poco conto, dato che durante la campagna elettorale l'immagine che hanno cercato di trasmettere era quella di un duo consolidato e coeso di fronte alle elezioni e alla presunta transizione su cui hanno scommesso fin dall'inizio.
Questo è un fatto importante: María Corina Machado rappresenta un settore che nega ogni possibilità di dialogo e negoziazione con il governo del presidente Nicolás Maduro. Le conversazioni, le trattative e gli accordi raggiunti in particolare con la vicepresidente Delcy Rodríguez e il presidente di AN, Jorge Rodríguez, costituiscono un aperto tradimento della Machado e una capitolazione ai piani che lei aveva con González riguardo alla sua strategia di cambio di regime, anche se lei oggi cerca di spiegarlo.
Il cambiamento improvviso del discorso conciliante di González all'arrivo in Spagna, in quella prima comunicazione resa pubblica e il video pubblicato nove giorni dopo, rivelano anche che c'è stata una modifica improvvisa rispetto alla posizione inizialmente espressa nella lettera da lui firmata. Ora non riconosce i poteri costituiti dello Stato venezuelano e usurpa la carica di presidente eletto che non gli è stata concessa dal CNE.
Potrebbe essere che i settori dell’opposizione, che lucrano sull’instabilità politica in Venezuela e che hanno promosso, appoggiato e tratto profitto dal falso governo di Juan Guiadó, siano interessati a rilanciare quel progetto fallito ora aggiornato con González, e per questo gli stanno facendo pressioni affinché modifichi la sua postura?
Una storia che non è ancora finita
La storia della capitolazione di González è tutt'altro che finita, dal momento che il presidente del Parlamento venezuelano, Jorge Rodríguez, ha assicurato che nelle registrazioni c'è un secondo documento e molti altri dettagli che potrebbero compromettere ulteriormente la già martoriata credibilità dell'opposizione in generale, ma dell'ex ambasciatore in particolare.
Il passo falso rappresentato dal suo racconto sulla presunta coercizione e minaccia a cui è stato sottoposto incide negativamente anche sul governo di Pedro Sánchez, che deve ora fare i conti con il fatto che l’asilo concesso è diventato una questione di politica interna e che potrebbe permeare, come è già successo, a livello di Unione Europea.
Nella votazione avvenuta al Parlamento Europeo è stato evidente l’effetto polarizzante generato dalla strategia di riconoscimento o meno di Edmundo González come presunto presidente eletto del Venezuela, non perché qualcuno riconosca l’istituzionalità democratica dello Stato venezuelano, ma a causa della possibilità di ripetere l'errore che rappresentava il riconoscimento del falso incarico provvisorio di Guaidó.
La presenza di Edmundo González a Madrid servirà agli interessi di quei settori rappresentati da Leopoldo López, Julio Borges e Antonio Ledezma, che continuano a scommettere sul cambio di regime, traendone profitto.
Alla fine, queste contraddizioni e incoerenze rivelano un dispositivo di controllo dei danni progettato per eludere il fatto che González abbia riconosciuto la vittoria di Nicolás Maduro, negoziato e raggiunto un accordo con il governo venezuelano, legittimandone le istituzioni e ignorando María Corina Machado, agendo alle sue spalle.
Un dispositivo che ha nei suoi calcoli anche l'attesa della disputa elettorale di novembre negli Usa, dove a seconda del risultato finale l'equazione attorno ad Edmundo potrebbe cambiare.
Redazione di Resumen Latinoamericano, 22 settembre 2024
Articolo originale: Venezuela. El amplio universo de contradicciones de Edmundo González
Traduzione a cura di Luigi M., Patria Grande/CIVG
GRANMA (CUBA) / ESTERI / VENEZUELA
Cuba denuncia la violenza, la destabilizzazione e il tentativo di golpe contro il Venezuela
Dichiarazione del Ministero delle Relazioni Estere
Il popolo venezuelano ha deciso di mantenere il suo appoggio alla strada intrapresa dal Comandante Hugo Chávez Frías. Foto Correo del Orinoco
Domenica 28 luglio 2024. Il popolo venezuelano ha espresso la volontà che Nicolás Maduro Moros continui ad essere Presidente e ha deciso a favore della difesa della pace, dell’indipendenza e della libera determinazione della Patria a fronte delle vessazioni imperialiste, dell’ingerenza esterna, della manipolazione mediatica, politica e della volontà opportunistica delle oligarchie e dei loro rappresentanti.
Il popolo venezuelano ha deciso di mantenere il suo appoggio alla strada intrapresa dal Comandante Hugo Chávez Frías. Il popolo bolivariano e chavista ha sbaragliato la violenza di gruppi paramilitari sostenuti dall’estero che hanno portato lutti nelle famiglie venezuelane, tentativi di omicidio del Presidente, incursioni armate da parte di mercenari e l’imposizione di un presunto presidente senza autorità, ne legittimità alcuna. Ha resistito alle misure coercitive unilaterali e al sabotaggio economico tra le altre azioni indirizzate a sovvertire l’ordine interno costituito.
Denunciamo che, con il pretesto di respingere i risultati ufficiali del processo elettorale, in concertazione con attori internazionali di settori dell’opposizione interna e senza riconoscere i poteri dello Stato venezuelano, si provochi irresponsabilmente il ritorno all’uso della violenza e la destabilizzazione per propiziare un golpe contro i poteri dello Stato che faccia cadere il governo legittimo della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
Questo è stato il proposito con cui si è riunito il Consiglio Permanente dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), un’organizzazione che manca della minima autorità morale o legale per dirimere temi che riguardano solo i venezuelani.
Il curriculum della OSA al servizio dell’imperialismo statunitense con l’intromissione nei temi interni degli Stati Sovrani nella nostra regione, l’appoggio e la promozione dei colpi di Stato, le dittature militari, la repressione e le torture esercitate dai governi appoggiati pienamente dagli Stati Uniti è lungo e violento. La doppia faccia e il pregiudizio del deprecabile Segretario Generale attivamente coinvolto nei fatti di violenza in Venezuela nel 2019 e nell’appoggio di un presidente auto-proclamato senza l’elezione del popolo e nella promozione del colpo di Stato in Bolivia nello stesso anno, per citare solo gli avvenimenti più recenti, sarebbero sufficienti per squalificare la manovra auspicata oggi a Washington.
Senza rispetto per l’ordinamento interno della Repubblica Bolivariana del Venezuela né di altre nazioni, gli Stati Uniti e alcuni membri dell’OSA cercano d’imporre nel loro Consiglio Permanente una risoluzione che incita le autorità elettorali venezuelane a ricontare i voti espressi domenica 28 luglio sotto la supervizione di osservatori internazionali, una richiesta che non viene mai avanzata ai paesi allineati.
Grazie alla degna opposizione di un gruppo di paesi, l’approvazione del documento ingerente è stata respinta. Un conflitto di questa levatura in Venezuela, provocato da chi voleva demolire l’autorevolezza del Proclama dell’America Latina e dei Caraibi come Zona di Pace, avrebbe conseguenze imprevedibili molto negative per tutta la regione.
Il 14 luglio del 2017 Raúl Castro Ruz avvertì: “Coloro che pretendono di far cadere per vie non costituzionali, violente e golpiste la Rivoluzione Bolivariana e Chavista, assumeranno una seria responsabilità di fronte alla Storia”.
Rinnoviamo il fermo appoggio solidale di Cuba con il Governo bolivariano guidato da Nicolás Maduro Moros e dall’Unione Civico-Militare dell’eroico popolo venezuelano.
Laura Mercedes Giraldez e GM per Granma Internacional, 2 agosto 2024
TELESUR (VENEZUELA) / OPINIONE / LA GUERRA IBRIDA
Dalla Guerra Fredda culturale alla Guerra Multidimensionale
Per ottenere la vittoria necessaria e globale, è opportuno che i popoli in resistenza si approprino dei mezzi di produzione, comprese le piattaforme dei contenuti digitali.
Una guerra si può vincere o perdere
ma una lotta di liberazione popolare
si può solo vincere.
Omar Torrijos
Le cosiddette guerre cognitive, ibride, psicologiche o mentali non sono una novità. Secondo l’antico trattato orientale attribuito a Sun Tzu, “L’arte della guerra è sottomettere il nemico senza combattere”. Vale a dire che i conflitti e gli scontri non corpo a corpo esistono fin dalle prime epoche delle civiltà.
Nella modernità, le guerre che fanno a meno dei lanci di missili, delle esplosioni di napalm o degli nuvole di fosforo bianco recentemente utilizzati dal sionismo contro la Palestina occupata, mirano principalmente all’implosione dei cervelli. La mente è il campo di battaglia.
Rispetto a questo, lo scenario di aggressione a cui è stato sottoposto il Venezuela durante e dopo le elezioni presidenziali del 28 luglio 2024 è considerato senza precedenti. Le scemenze e le fake news, i discorsi di odio e gli attacchi mediatici attraverso le reti sociali delle multinazionali è stato e continua a essere atroce.
Certamente, questi attacchi rimangono continui e praticamente allo stesso livello di intensità, ma solo leggermente controllati dal “divieto” che il governo bolivariano è riuscito a gestire nello spettro radiofonico e digitale, neutralizzando parte delle bufale e della manipolazione da parte della comunicazione egemonica.
Cyberterrorismo e aggressioni cognitive
L’aggressione cognitiva è stata accompagnata da un attacco cyberterroristico in cui l’hacking di siti web e di account di rete appartenenti allo Stato venezuelano sono stati manomessi al punto da configurare un colpo di Stato morbido architettato da Washington e con la complicità dei sostenitori dell’opposizione fascista.
Tuttavia, la guerra cognitiva e la guerra cibernetica, chiamate anche guerre di quinta generazione, non sono iniziate quest’anno e nemmeno nell’ultimo decennio. La stessa creazione di piattaforme multinazionali digitali, che comprendono Facebook, X, Instagram, Whatsapp, Netflix, AppleTV, Disney Plus, sono già di per sé la genesi di questo nucleo.
Il suo antecedente più prossimo, quello dell’apparato pubblicitario capitalista mascherato da intrattenimento gestito da Hollywood e dalle accademie dominanti come Harvard o dagli empori industriali della oggettificazione comunicativa, dove i talk show e le storie transmediali sono quotidiani.
Ci riferiamo alla prima grande operazione di controllo e cooptazione sociopolitica documentata nel libro The CIA and the Cultural Cold War di Frances Stonor Saunders. La macchina dell'intelligence della Casa Bianca si vanta di aver sconfitto l'Unione Sovietica senza aver sparato un solo proiettile.
Ed è così, perché nella formazione di un’opinione pubblica globale in cui gli intellettuali progressisti e cosiddetti non autoritari dovrebbero concentrarsi sull’opposizione al complesso militare-industriale, ai grandi consorzi transnazionali e alle macchine da guerra suprematiste della NATO, capita che...beh, no, il nemico è il Cremlino...
Imposture mediatiche egemoniche
Tutto questo ha portato a un intero piano di propaganda antisocialista, anticomunista, filo-imperialista e pro-capitalista che vediamo riflesso nelle grandi produzioni audiovisive in cui i racconti globalisti vengono imposti all’intero conglomerato dei media tradizionali e alle loro repliche dei famigerati social media elettronici.
Tornando al caso del Venezuela, prima della recente offensiva yankee pre e post-elettorale, la rivoluzione bolivariana era in grado di sconfiggere tutti i metodi, manuali e automatici delle “rivoluzioni colorate”. E anche questo nuovo modo di annientamento di quanto non si sottomette al comando del Pentagono è stato superato. Ma il trionfo non è totale. Possiamo piuttosto dire che è parziale e che siamo ancora nel pieno della battaglia. Per ottenere la vittoria necessaria e integrale è opportuno che i popoli in resistenza si approprino dei mezzi di produzione, comprese le piattaforme dei contenuti digitali. L’emancipazione di Nuestra America dipende dalla volontà politica e collettiva.
Ricardo Romero Romero, 22 settembre 2024
Articolo originale: De la guerra fría cultural a la guerra multidimensional
https://www.telesurtv.net/opinion/de-la-guerra-fria-cultural-a-la-guerra-multidimensional/
Traduzione a cura di Luigi M., Patria Grande/CIVG
https://www.resumenlatinoamericano.org/2024/09/22/guatemala-asesinan-a-ocho-personas-en-peten/
GRANMA (CUBA) / ESTERI / IL SOGNO AMERICANO
Dov’è il sogno americano dei bambini di Skid Row?
Skid Row, altra faccia di Los Angeles: migliaia di esseri umani sopravvivono senza acqua potabile e igiene alcuna. Foto: Los Angeles Times
Migliaia di persone, tante bambine e bambini, vivono nelle tende canadesi o in rifugi di cartone in mezzo ai sacchi della spazzatura in uno dei territori più poveri e a rischio del mondo.
Si tratta di Skid Row, il quartiere di Los Ángeles dove vive la più alta concentrazione di senza casa della metropoli statunitense: localizzato a est del downtown, occupa una superficie di due chilometri quadrati in cui circa 12000 esseri umani sopravvivono senza acqua potabile né igiene alcuna.
In questa zona la gente deambula senza meta tra la sporcizia e una puzza diffusa, facendo solo attenzione a non pestare siringhe usate o escrementi umani.
Il sito AreaVibes.com sostiene che è il quartiere più pericoloso di tutta la citta, con un’alta incidenza di crimini e violenza, dove si raggruppano migliaia di mendicanti e di emarginati le cui condizioni di vita, denunciate dalle Nazioni Unite, sono umilianti.
Ad aggravare la situazione, un centinaio di famiglie con più di 200 bambini che appartengono all’ultima ondata di emigranti, si sono aggiunte nell’ultimo anno ai vecchi abitanti.
Senza dubbio, Skid Row non è un’eccezione: circa 650 mila persone vivono in condizioni di indigenza negli Stati Uniti - 20 ogni 10 mila abitanti - secondo l’inchiesta annuale Point-in-Time Count; di queste, 75500 nella contea di Los Ángeles.
I bambini di Skid Road dormono sui marciapiedi, anche con il freddo dell’inverno, con la fame e la paura. Molti sono figli d’emigranti che hanno viaggiato alla ricerca di un miraggio svanito rapidamente tra le tende di tela. Il quartiere è a pochi chilometri dal glamour e dall’opulenza dei quartieri di Beverly Hills e Bel-Air, cioè della città delle stelle del cinema, dei grattacieli che toccano le nuvole, dove circolano le auto decapottabili piu lussuose, la meravigliosa città del Passeggio dei Famosi, la grande città dove confluiscono a migliaia in cerca del trionfo e della fama di Hollywood, la metropoli del mito romantico della cameriera che diventa un sex symbol dalla sera alla mattina, dei super eroi della celluloide, la mecca del sogno americano.
Skid Row è l’altra faccia, quella che non si mostra. Lì non ci sono luci né miraggi.
Tutti quelli che arrivano qui dovrebbero essere avvertiti: «Lasciate ogni speranza o voi che entrate!», come dice il terzo canto dell’Inferno nella Divina Commedia di Dante.
Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 30 giugno 2024
GRANMA (CUBA) / ESTERI / IL NUOVO CAPO DELLA NATO
Il prossimo uomo NATO
L’olandese Mark Rutte è noto anche come “the Trump whisperer” (quello che sussurra a Trump), nomignolo allarmante per chi conosce le intenzioni poco rassicuranti del repubblicano
Mark Rutte, 57 anni, assumerà le funzioni di segretario generale della Organizzazione del Trattato dell’Atlantico Nord (NATO), organismo militare i cui interventi hanno lasciato un triste saldo di vite umane nella vecchia Yugoslavia, in Afganistán, in Pakistan, Iraq e Libia.
Il politico olandese, sostituto di Jens Stoltenberg, assumerà la guida di questa discutibile organizzazione fondata nel 1949 per proteggere i paesi dell’Europa Occidentale dalla minaccia dell’Unione Sovietica, generando però l’acuirsi della Guerra Fredda e diventando la principale minaccia agli equilibri tra le due potenze.
Ma chi è Rutte? Potremmo dire che è il minore di sette fratelli e che, originalmente, aveva una vocazione molto lontana dalla politica di concertista di pianoforte, ma ai milioni di persone che temono per i propri confino al solo sentir pronunciare la parola NATO, importeranno poco questi dettagli sull’uomo che potrebbe cambiare i loro destini da un giorno all’altro.
Negli anni ‘80 è stato presidente della gioventù del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VDD la sigla in olandese), il partito che guida dal 2006 e che costituisce una formazione liberale conservatrice “intermittente” come quelle formazioni opportunistiche che nei parlamenti servono solo per formare le maggioranze. Nel 1997 concentrò la sua carriera professionale nel settore privato, e questo lo portò ad essere il direttore del personale della Van den Bergh Nederland, sussidiaria della multinazionale alimentare Unilever, nella quale aveva ottenuto il suo primo lavoro dopo la laurea in Storia conseguita all’Università di Leiden. Nel 2002 assunse l’incarico di Segretario di Stato ai Temi Sociali nel primo governo di Jan Peter Balkenende, ex primo ministro dei Paesi Bassi, e con questo mandato ottenne più tardi l’incarico di Ministro dell’Educazione.
E’ conosciuto come «Teflon Mark», per la sua capacità di mantenersi al potere nonostante le dimissioni di tre dei suoi governi, ed anche «The Trump Whisperer», quello che sussurra all’orecchio di Trump, nomignolo allarmante per coloro che conoscono le intenzioni poco affidabili del repubblicano.
Elizabeth Naranjo e GM per Granma Internacional, 5 luglio 2024
GRANMA (CUBA) / ESTERI/ CONNIVENZE POLITICHE NELLE ELEZIONI STATUNITENSI
Il doppio filo delle armi e della politica
Le elezioni negli Stati Uniti sono quasi sulla dirittura d’arrivo e la macchina concepita per preservare il potere dell’1% dei cittadini di questo paese (i più ricchi e potenti) è perfettamente oliata con miliardi di dollari, e mostra il suo vero funzionamento. Tra menzogne, manipolazioni, spacconate e sparatorie, si è incamminata la procedura che alla fine non deciderà il voto del popolo, ma la volontà e l’interesse dei potenti di sempre. Nel pieno della campagna e alla ricerca dell’appoggio degli elettori e soprattutto del denaro dei finanziatori, i candidati alla presidenza celebrano meeting con le loro basi, fanno tour, si incontrano e si scontrano nei dibattiti televisivi.
Trump ha minacciato Cuba nel Doral
Il magnate ex presidente ha avuto un recente meeting di campagna nel suo Club del Golf a Doral, vicino a Miami, in Florida, al quale ha partecipato un numeroso gruppo di suoi seguaci. Con la sua abituale maleducazione e le molto ben studiate frasi colloquiali, lo showman della politica statunitense ha fatto un’arringa nella quale ha descritto il Partito Democratico come “diviso, nel caos e vicino al definitivo collasso”. Ha avuto il coraggio di affermare che i suoi rivali democratici non possono decidere “quale dei loro candidati è più o meno adatto per diventare presidente tra il ‘dormiglione’ Joe Biden e la ‘Laffin Kamala’”, una cosa che si può sentire solo in una campagna presidenziale yankee. In presenza di vari legislatori repubblicani della Florida, compreso il senatore Marco Rubio, il politico non ha perso l’opportunità di ingraziarsi i più acerrimi nemici del popolo cubano nella sua ricerca di voti. A molti può apparire inverosimile ascoltare una persona che aspira a riavere la più alta carica politica del suo paese, imbastire un tale cumulo di falsità, manipolazioni e minacce, ma se si rivede i suoi trascorsi, i record che hanno segnato il suo governo, si comprenderà che è il suo modo di far politica e di comportarsi.
Rispetto a Cuba, Donald Trump ha affermato: “Io non permetterò che vi silenzino, non permetterò che sottomarini nucleari e le navi da guerra russe ci circondino a 90 miglia”.
Ma la chicca del suo discorso anticubano è arrivato quando, usando una mistica da quattro soldi ha detto che “disgraziatamente c’è una forza villana, una forza negra che si sta calando in questo paese dove è stato tolto dio dalla vita pubblica”. Non ha risparmiato nemmeno il Venezuela e il Nicaragua, come del resto è solito fare nei suoi sproloqui.
Quando intervengono le armi
Senza dubbio, in mezzo a tutto questo, una notizia ha attirato l’attenzione: l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato oggetto di un tentativo di assassinio con armi da fuoco mentre teneva un meeting elettorale nella città di Butler, in Pensilvania. L’ attentatore, identificato dalle autorità in Thomas Matthew Crooks, 20 anni, registrato al voto come repubblicano, è stato ucciso dagli agenti del servizio segreto. Secondo l’FBI, l’aggressore ha sparato otto proiettili contro l’ex presidente con un fucile tipo AR-15 da 270 metri di distanza rispetto a dove parlava Trump.
Il fucile AR-15 utilizzato nell’attentato, è uno dei più diffusi negli Stati Uniti. Milioni di cittadini possiedono un’arma simile. Descritto come “conveniente, personalizzabile, leggero e letale” dai venditori di armi, i media di comunicazione hanno battezzato il fucile come “l’arma preferita dagli assassini di massa”. Per citare solo alcuni esempi, i fucili ar-15 sono stati utiizzati nelle sparatorie di Sandy Hook, Parkland, Las Vegas, Sutherland Springs, del club notturno Pulse, Uvalde, la Covenant School di Nashville e quella della Old National Bank di Louisville.
Creare il Frankenstein della violenza armata può essere redditizio per le grandi imprese che fabbricano questi strumenti di morte, ma il mostro finisce sempre per rigirarsi contro i suoi creatori.
“Come vittime di attentati e terrorismo per 65 anni, Cuba ratifica la sua posizione storica di condanna di ogni forma di violenza”, ha scritto nella rete sociale il Presidente della Repubblica cubano Miguel Díaz-Canel Bermúdez: “L’affare delle armi e l’ascesa della violenza politica negli Stati Uniti propiziano incidenti come quello avvenuto pochi giorni fa in questo paese”, ha concluso.
Ammazzare un presidente, niente di nuovo sotto il sole dell’America del Nord
L’aggressione contro il candidato repubblicano segna un nuovo episodio nella sanguinosa storia degli attentati contro i politici statunitensi. Questa storia cominciò nel 1865, quando Abraham Lincoln divenne il primo presidente assassinato. James A. Garfield, nel 1881, fu il secondo presidente “giustiziato”, mentre nel 1901 entrò nella lista anche William McKinley.
Uno degli avvenimenti più conosciuti di questa saga di crimini avvenne il 22 novembre del 1963, quando il 35º presidente, John F. Kennedy, fu ucciso a Dallas, in Texas. Gli seguì il fratello minore, Robert Kennedy, assassinato il 6 giugno mentre faceva la campagna per le elezioni presidenziali del 1968. Ronald Reagan, il quarantesimo presidente, fu al punto di morire per mano di un pistolero nel marzo del 1981, a Washington.
Ogni presidente di questo paese ha subito qualche volta un tentativo d’assassinio, ma se a questi sommassimo quelli che sono stati organizzati dalla Casa Bianca contro i leader “molesti” in altre regioni del mondo, la lista diventerebbe un’enciclopedia.
Deprechiamo l’azione violenta contro il candidato repubblicano, ma come dice un proverbio popolare, “chi semina vento raccoglie tempesta”.
Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 19 luglio 2024
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA SU ISRAELE
Petro agli Stati Uniti: è antisemita uccidere bambini lanciando bombe a Gaza
Il presidente della Colombia Gustavo Petro all'insediamento delle sessioni ordinarie del Congresso a Bogotà, 21 settembre 2024. Foto: EFE
Il presidente della Colombia ha risposto all'ambasciatrice degli Stati Uniti che l’ha accusato di antisemitismo per aver paragonato gli attacchi israeliani a Gaza al nazismo di Hitler.
Deborah Lipstadt, inviata speciale degli Stati Uniti per il Monitoraggio e la Lotta all'Antisemitismo, ha posto la questione sui social network discutendo questo sabato sul discorso e sulla posizione del presidente Gustavo Petro contro il genocidio che il regime israeliano perpetra contro i palestinesi a Gaza da quasi un anno.
“Non sono antisemita, non confondetevi e mi si rispetti. Non sono antiebraico, credo nella libertà di culto (...) e se fossi nato in quell’epoca avrei dato la vita nella resistenza armata contro i nazisti", ha risposto Petro su X, spiegando che “è antisemita uccidere i bambini lanciando bombe su Gaza, e non opporsi: la cosa più antisemita oggi è ripetere l'Olocausto di Hitler sull'umanità e soprattutto sul popolo palestinese". Il presidente colombiano ha affermato inoltre che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo governo "trasgressori della giustizia internazionale, non sono il semitismo, sono il nazismo".
Cosa ha causato la risposta di Petro? Lipstadt ha scritto sui social media che “la continua retorica del presidente Gustavo Petro normalizza l’antisemitismo” e che le sue sono “narrazioni dannose”.
Secondo la diplomatica statunitense, “paragonare qualsiasi azione attuale, in particolare da parte di Israele, allo sterminio sistematico dei campi di sterminio nazisti è profondamente offensivo. Bisogna separare la legittima preoccupazione per i diritti umani a Gaza dai riferimenti storici errati e antisemiti”.
Petro, convinto difensore della causa palestinese e molto critico nei confronti di Israele, ha attaccato la politica di Netanyahu condividendo un video che mostra i soldati israeliani che lanciano corpi da un tetto. Dall’inizio della criminale campagna militare dell’esercito israeliano a Gaza, nell’ottobre dello scorso anno, il governo della Colombia ha ripetutamente chiesto il cessate il fuoco immediato e che Netanyahu fosse portato davanti alla giustizia internazionale per crimini di guerra nell’enclave palestinese assediata. Su questa linea, il presidente colombiano ha annunciato il 1° maggio scorso la rottura delle relazioni diplomatiche con l’entità sionista a causa del genocidio in corso contro la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza.
Resumen Latinoamericano, 21 de septiembre de 2024.
Articolo originale: Petro a EEUU: Es antisemita matar niños arrojando bombas en Gaza
Traduzione di Luigi M., Patria Grande/CIVG
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI /ARGENTINA
Milei cade in tutti i sondaggi e perde elettori
Come mostra un sondaggio condotto da Página12, l'immagine del Presidente si offusca e il gradimento del governo di La Libertad Avanza diminuisce
Dieci su dieci. Tutti e dieci i sondaggisti consultati da Página 12 segnalano che Javier Milei e il suo governo stanno subendo un forte e drammatico calo di consensi e opinioni positive. La maggioranza afferma che i contrari al libertarismo sono circa il 60% e quelli a favore sono prossimi al 40%. In altre parole, Milei sembra avere perso 20 punti in dieci mesi. Il sostegno di prima, giovani, umili, lavoratori precari e provenienti soprattutto dall'interno del paese, si sta perdendo. Rimangono quelli delle classi medio alte e alte, ex elettori di Juntos por el cambio. Al crollo hanno contribuito l’offensiva contro i pensionati e il bilancio universitario.
L'inerzia è finita
"La fine dell'inerzia più lunga che si ricordi è stata confermata", afferma Raúl Timerman del Grupo de Opinión. Un mese fa, presso l'ufficio di Shila Vilker, Milei aveva il 50,1% di opinioni positive e 49,8 negative. Questo mese è crollato: 54,2 negativi, 44,2 positivi. Il crollo si spiega con la bocciatura della politica presidenziale, alla quale si aggiunge una questione molto importante, quella dei pensionati. C'è molta sensibilità al riguardo. Non per quanto riguarda la repressione, perché gli elettori di Milei apprezzano l’ordine. Ciò che gli fa perdere consensi è che il deficit fiscale viene mantenuto a scapito della sofferenza dei pensionati o della riduzione del bilancio universitario.
Calo notevole
Eduardo Fidanza, di Poliarquía, valuta che “l’immagine del presidente e del Governo hanno subito un notevole calo nell’ultimo mese, insieme alle valutazioni sulla situazione sociale ed economica del paese”. Inoltre, aggiunge che "il calo si replica nei diversi segmenti sociodemografici, con un calo significativo nel segmento dei minori di 30 anni, che era la fascia di età chiave per vincere le elezioni presidenziali".
Più di un punto in meno al mese
Per Roberto Bacman, responsabile del Centro Studi sull'opinione pubblica, “l'immagine di Milei ha un trend discendente iniziato a febbraio. Da allora è sceso di un punto, un punto e mezzo al mese. E nell’ultimo lavoro oscillava tra il 43% e il 44%”. Il sondaggista fa riferimento anche alle variazioni dello zoccolo duro di Milei: “L'anno scorso si evidenziavano gli argentini più giovani, tra i 16 e i 30 anni, in tutto il paese, soprattutto uomini con lavori precari o disoccupati, molti dei quali non riuscivano nemmeno a fruire dei piani sociali. Il sensibile crollo ha colpito l’intera società, ma ha gettato scompiglio nei settori più bassi e anche in quelli medi, che hanno cominciato a prendere coscienza che Milei non è quello che avevano immaginato. Prometteva loro che le loro vite sarebbero cambiate e lui perdeva giovani, perdeva poveri e allo stesso tempo i periferici, gli adepti del macrismo, diventavano il suo zoccolo duro più fervente. “Milei raccoglie ciò che Macri perde”.
La caduta delle ultime settimane
Federico Aurelio, direttore di ARESCO, afferma che “l'immagine personale di Milei, dopo otto mesi di stabilità con un saldo favorevole, ha avuto nelle ultime settimane un calo che ha portato ad una valutazione equilibrata. Continua ad avere un sostegno migliore tra gli uomini, i giovani, i livelli socioeconomici medi e alti e nell’interno del paese. La nostra analisi ha indicato che se l’economia non si riprendesse prima della fine dell’anno, potrebbe smettere di sostenerlo più del 20%. Pertanto, questo calo era prevedibile, così come lo è la probabilità che continui se le persone non vedono un miglioramento della situazione economica”.
Aurelio sostiene che l’appoggio a Milei ha uno zoccolo duro di poco più del 35 per cento della società, che continuerà ad appoggiarlo anche se la situazione economica non migliorerà. “Oltre ai dubbi sulla situazione economica, si è aggiunta la discussione sulla mobilità dei pensionati, da sempre un tema molto delicato. Nel dicembre del 2017, Mauricio Macri perse otto punti del suo sostegno nelle discussioni sulla riforma delle pensioni allora in corso. Oggi la società sostiene soprattutto la mobilità dei pensionamenti proposta dal Congresso”, precisa.
Tutto ha cominciato a cambiare ad aprile
“Nel mese di marzo si poteva parlare dei consensi in più Invece che di disapprovazione nei confronti della gestione Milei”, ricorda Hugo Haime, della Hugo Haime y asociados. “Aveva il 45% di approvazione, il 39% di disapprovazione e il 15% senza risposta. Ad aprile il bilancio ha cominciato a crollare: 45 positivi, 52 negativi. È rimasto su questi numeri fino a giugno, ma a luglio è nuovamente sceso: 44 consensi e 53 disapprovazioni. Nel mese di agosto abbiamo il 42% di approvazione e il 56% di disapprovazione”, spiega.
Il consulente ha fatto anche un'analisi geografica del sostegno al Presidente: “Storicamente ha sempre fatto molto male nell'area metropolitana e bene nell'interno. Questo ha smesso di succedere. Anche l’interno ha un saldo negativo. Tranne che nel caso dei giovani dai 16 ai 29 anni, non vedo nessuna fascia di età in cui abbia un saldo positivo. Milei ha un saldo positivo solo tra chi ha redditi alti. Tra i poveri ha 38 consensi e 69 disapprovazioni. Ciò che abbiamo qui è una forte messa in discussione della capacità di guida del presidente, solo il 30% la apprezza”.
Pensionamenti e università
Per Facundo Nejamkis, direttore di Opina Argentina, l'immagine del presidente ha subito un notevole calo negli ultimi 45 giorni. “Dall’originario 56% del ballottaggio, è rimasto in un range compreso tra il 40 e il 45%. Sorprendentemente, il cambiamento avviene tra gli elettori del primo turno e, più prevedibilmente, tra le donne e gli abitanti dell’area metropolitana. Gli uomini continuano ad essere il suo principale sostegno e il confronto con il CFK sembra consolidare il sostegno degli elettori di Patricia Bullrich", ha spiegato. Inoltre, Nejamkis ritiene che le ragioni principali di questo declino risiedano nella recessione e nel basso livello di consenso sulla questione delle pensioni e del finanziamento delle università. “Lo approvano nella lotta all’inflazione e all’insicurezza”, aggiunge.
Umore sociale in un momento decisivo
“Da un paio di mesi ormai si è rivitalizzato il sentimento di incertezza riguardo al presente e all’immediato futuro. Ci parlano di paura, tristezza, angoscia”, afferma Analía Del Franco, proprietaria di Del Franco Consultores. “In questo momento i settori che mantengono la speranza sono quelli giovani, di basso livello, maschili. Lì c’è il supporto per Milei. Anche se si riconoscono conquiste economiche come la riduzione dell’inflazione (che non viene percepita con grande impatto nella vita di tutti i giorni), questa sensazione di benessere è già stata consumata e sorgono nuove esigenze come la necessità di migliorare i salari, recuperare posti di lavoro e migliorare le attività”, racconta. Secondo l'analisi di Del Franco, il gruppo che cresce di più è quello dei “né-né”, né molto favorevole, né molto contrario. È un segmento in cui prevale la sfiducia e “l’equilibrio può pendere da una parte o dall’altra a seconda dell’umore sociale”.
Quarto mese di caduta
Per Santiago Giorgetta, membro di Proyección, siamo di fronte al quarto mese di calo e tutti gli indicatori, come l'immagine e soprattutto la gestione sono a -50 punti. “La perdita è causata dagli adeguamenti della politica, presso i segmenti che se la stanno passando molto male. Ci sono ex elettori di Milei che ci dicono 'siamo noi che stiamo facendo gli sforzi, e chi ha di più invece non li fanno'. Il centro della scena sono le tariffe che colpiscono molto duramente, per questo ci sono famiglie che scelgono di pagare i servizi e di rinunciare ai pasti”, spiega.
Giorgetta spiega invece che c'è il 30 per cento che crede che il Paese sia sulla strada giusta. “Il suo nocciolo duro è lì. Resta comunque forte e consolidato nei settori medi, medio-alti e alti, elettori di Juntos por el Cambio, un profilo diverso rispetto a quello che lo accompagnava a ottobre. Sono fondamentalmente antiperonisti”, dice.
L’opinione pubblica è polarizzata
"L'immagine di Milei rimane stabile da febbraio, con livelli negativi e positivi praticamente speculari", afferma Marina Acosta, direttrice della comunicazione di Analogías. La consulente spiega che c'è un'opinione pubblica polarizzata e che i livelli positivi di Milei si mantengono nel segmento della classe media giovane, dove si trova il punto di forza del presidente. “Quello che osserviamo è un progressivo deterioramento delle valutazioni sull’economia presente e futura che, prolungato nel tempo, offuscherà l’immagine del presidente. Milei si proponeva, tra l'altro, di risolvere l'angosciante problema dell'inflazione e questo gli ha permesso di proiettare un'immagine di autorità in materia. Però insiste sulla comunicazione elettorale quando non è più candidato, ma presidente”, analizza.
Acosta ritiene che ora la gente chieda a Milei di risolvere i problemi, mantenere le promesse elettorali e mostrare i risultati della sua gestione. “Non potendo farlo a causa delle conseguenze del brutale programma di aggiustamento, cerca di colpire i cittadini con un dispositivo di comunicazione che è solo una messa in scena”, commenta.
Un calo prevedibile
Artemio López, di Equis, ritiene che l'evoluzione dell'immagine di Milei sia quella prevedibile, sta perdendo sostenitori del suo elettorato originario. “Attenzione che oggi ha ancora quasi 45 punti, non è un dato di poco conto. Ma l’erosione è evidente. Non è mai partito dall'immagine iniziale dei presidenti dell'83 che erano sopra il 70%. Milei ha iniziato a 60 anni e oggi, in termini relativi, sta perdendo discretamente popolarità, così come il suo punto di partenza era discreto”, descrive.
Inoltre, López ritiene che l'erosione sia causata dall'elettorato originario di Milei, che sono i segmenti medi e vulnerabili, anche quelli inferiori. “Sotto c’era Unión por la Patria e sopra Juntos por el Cambio: Milei si è messo in una fascia media vulnerabile a livello nazionale. Oggi risentono molto del rigore dell’aggiustamento sui redditi fissi, sulle pensioni, sulle pensioni, a cui si aggiunge la crescente disoccupazione che è già intorno alla doppia cifra per il terzo trimestre del 2024”.
Il parere unanime dei consulenti dovrebbe mettere fine ai messaggi della Casa Rosada che sottolineano la presunta popolarità di Milei e l'idea che sia uno dei due leader politici più riconosciuti. In Argentina, almeno, sembra che la situazione sia in discesa.
Raúl Kollmann, 21 settembre 2024
Articolo originale: Argentina. Milei cae en todas las encuestas y pierde votantes en distintos sectores (Fonte: Página 12)
Traduzione a cura di Luigi M., Patria Grande/CIVG