Palestina: disinformazione e falsità

 

Report: nel mese scorso, escalation delle violazioni contro giornalisti  palestinesi | Infopal Facebook limita visibilità a pagina di InfoPal | Infopal

 

Siamo intossicati da propaganda e fake news. Non ricordo una simile battente campagna di disinformazione e mistificazione in eventi precedenti e i miei ricordi spaziano fino alla guerra in Vietnam. Talvolta sono state raggiunte punte altissime di falsità come ad esempio l’ormai famosa provetta di Colin Powell a giustificazione della seconda guerra del Golfo. Ma erano episodi sporadici. Quella che è in corso dal 7 ottobre ad opera di Israele (col sostegno indiscusso della generalità dei mass media senza il quale non avrebbe tutta l’efficacia che ha) è invece una massiccia, continua e ben orchestrata opera di propaganda mediatica tesa a creare, prima, e a conservare, poi, consenso attorno al massacro di migliaia di persone inermi. Israele da sempre attribuisce un’enorme importanza alla propaganda e non a caso ha avuto uno specifico ministero che si è occupato dell’Hasbara (propaganda).

Sciolto il ministero nel 1975 ( ma rimasto come dipartimento presso il ministero degli esteri), la Hasbara è rimasta una parte fondamentale della politica governativa.

Sul tema ha scritto un documentatissimo libro Amedeo Rossi. Anche in Italia nel ventennio, come ben sappiamo, c’era il ministero della stampa e della propaganda ma l’Italia non si spacciava come democrazia.

Esempi di propaganda

Iniziamo con l’esaminare come la propaganda ha diffuso l’informazione sull’azione della resistenza palestinese del 7 ottobre. Dopo l’iniziale versione che parlava di circa 1000, poi 1200, poi 1300, infine 1400 civili israeliani trucidati anche con modalità orrende, progressivamente si è fatto strada un continuo ridimensionamento delle conseguenze dell’attacco, ma solo grazie ai social che

riportavano quanto pubblicato da Haaretz mentre i media mainstream seguitano ancora ad accreditare le menzogne iniziali. Ad oggi (fonte Haaretz diffusa da Robert Inlakesh e Sharmine Narwani il 24/10) si parla di metà delle vittime inizialmenteindicate e di questa metà più di metà sarebbero soldati e poliziotti uccisi negliscontri a fuoco. Sta emergendo che molte sono le vittime per “fuoco amico”. Moltedelle vittime del “rave party” sarebbero state uccise dal fuoco incrociato deipalestinesi e dei soldati israeliani intervenuti. Sulla famosa decapitazione dei 40bambini è intervenuta la smentita dell’esercito israeliano e poi quella dellagiornalista fonte della notizia che successivamente si è anche addirittura scusata.Intanto però l’orrore nei lettori era stato suscitato e tanto bastava per giustificare la  rabbiosa reazione di Israele.Non solo ma le varie versioni, benchè smentite, hanno continuato a circolare suimedia. Il Corriere della sera, ad esempio, dopo aver dato la notizia delladecapitazione dei bambini in prima pagina l’11 ottobre titolando “ I bambini,

l’orrore….Neonati decapitati, 40 uccisi nel kibbutz” si è ben guardato dal dedicare anche un semplice trafiletto alla smentita ufficiale.

Da subito e tuttora si parla solo di Hamas come responsabile dell’attacco del 7/10 e delle successive azioni armate. La circostanza non è vera perché le azioni della resistenza palestinese sono condotte anche dalle ali militari degli altri partiti come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina ( FPLP) e il Fronte democratico perla liberazione della Palestina ( FDLP) nonché da semplici gazawi non affiliati. Sono state immediate, nella stessa giornata del 7 ottobre, le dichiarazioni delle Brigate martire Abu Ali Mustafa del FPLP e delle Forze del martire Omar Al Qasim del FDLP.

Si sono espresse anche l’Unione dei comitati d’azione delle donne palestinesi, il Partito comunista palestinese, il Movimento di resistenza popolare e la Fossa dei leoni. Insomma sono numerose le espressioni della resistenza palestinese, anche

quelle laiche, che sono o presenti nelle azioni o a loro favore. Attribuire la responsabilità alla sola ala militare del partito Hamas (Brigate Al- Qassam) fa comodo perché è un partito di matrice islamica, perché così lo si può paragonare all’Isis come puntualmente è stato fatto, fingendo di dimenticare che Hamas ha combattuto l’Isis, ed infine perchè ci si può inventare anche il rituale

scontro di civiltà contrapponendo il civile Occidente al barbaro Oriente arabo e islamico.

Per rendersi conto del livello raggiunto dalle falsità cito a titolo esemplificativo alcuni articoli del Corriere della Sera. Già ho detto dell’assenza di pubblicazione della smentita relativa ai bambini decapitati. Il direttore Fontana il 16 ottobre ha l’ardire di scrivere che “Hamas ha trasformato Gaza in una prigione a cielo aperto“ quasi che a presidiare gli ingressi a Gaza da mare e da terra siano i militanti di Hamas e non i soldati israeliani.

Nello stesso giorno Lepri scrive che “la società palestinese è in grado di esprimere una leadership migliore“ fingendo di dimenticare che nel 2006 Israele ha arrestato buona parte dei deputati eletti il giorno prima in libere elezioni (come tali riconosciute unanimemente da tutti gli osservatori internazionali intervenuti) e fingendo di dimenticare che Marwan Barghouti, da tutti ritenuto la figura politica in grado di rappresentare tutti i palestinesi, è stato sbattuto in galera e seppellito sotto

cinque ergastoli a seguito di un processo farsa nel 2002. Io sono stato osservatore alle elezioni e ho potuto assistere a una udienza del processo contro Barghouti, sono quindi testimone di quanto ho appena detto.

Un alto livello di infamia è stato raggiunto dalla vignetta di Giannelli che riproduce la famosa immagine del bimbo ebreo con le braccia alzate sotto la minaccia del fucile del nazista e sostituisce il nazista con un palestinese.

Aldo Grasso il 15 ottobre irride alla figura del “postillatore“ intendendo con questo termine colui che dice : “sì, ma…….” non fermandosi all’effetto ma cercando di risalire alla causa o comunque cercando di meglio capire, contestualizzare, storicizzare un evento.

Sono numerose e struggenti le interviste ai familiari delle vittime israeliane o degli ostaggi ignorando completamente le vittime palestinesi dei bombardamenti a tappeto.

Quando, poi, il 14/10, si pubblica un inserto tutto dedicato al tema, due pagine intere sono dedicate alle fotografie di vittime israeliane per lo più giovani e sorridenti per promuovere empatia.

Lessico

La propaganda necessita anche di un lessico adeguato. Così è costante il termine “guerra” del tutto inadeguato per rappresentare uno scontro tra uno dei più forti eserciti del mondo e un insieme di milizie scarsamente armate ed attrezzate (si pensi alle immagini della barriera abbattuta da un bulldozer o a quelle dei palestinesi che invadono qualche km di terra israeliana con moto scassate). Anche i famosi razzi lanciati da Gaza hanno creato più tensione e nervosismo che vittime, essendo stati in gran parte fermati dal sistema di difesa israeliano Iron Dome mentre, al contrario, le bombe e i missili lanciati da terra e da mare da Israele hanno distrutto case, scuole, ospedali e provocato migliaia di vittime di cui gran parte bambini.

Quella in corso non è una guerra ma una rivolta popolare contro una occupazione da insediamento finalizzata cioè all’espulsione della popolazione nativa dal suo territorio. Mai come in questi giorni è evidente il perseguimento di questo scopo da parte di Israele nel momento in cui ordina l’evacuazione di 2.300.000 gazawi confidando in un loro insediamento in una tendopoli nel deserto del Negev o in Egitto. Sono già pronti progetti per lo sfruttamento della Striscia, si parla anche di

strutture turistiche, ma ci sono anche i vecchi coloni costretti a lasciare Gaza nel 2005 che progettano di farvi ritorno. Va da sé che sarebbe risolto anche il problema non secondario della titolarità dello sfruttamento dell’immenso giacimento di gas antistante la costa di Gaza. E’ stato

chiamato Leviathan ed è uno dei più grandi giacimenti di gas al mondo . Nel 2021 Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, ha detto che “Leviathan in piena produzione di idrocarburo sconvolgerebbe gli equilibri commerciali in Medio Oriente” ( non a caso Israele sin dal 1999 ha bloccato un accordo tra Arafat e la British Petroleum che avrebbe garantito introiti notevoli alla Palestina).

Insomma, gli interessi in gioco per il futuro di Israele sono di immane portata e giustificano la carneficina in atto e il probabile rischio di inimicarsi parte dell’opinione pubblica, come le oceaniche manifestazioni popolari di solidarietà al popolo palestinese nel mondo dimostrano.

Scontro di civiltà

Posso anche convenire sul termine “scontro di civiltà” purché si intenda con questo termine non, come si vorrebbe, lo scontro tra il civile Occidente e il barbaro Oriente ma lo scontro tra il diritto umanitario e internazionale da una parte, quella palestinese, e le innumerevoli violazioni del diritto umanitario e internazionale dall’altra, quella israeliana. Intendo sostenere che anche il diritto, e non solo la ragione storica e quella politica, sta dalla parte palestinese anche quando questa è costretta ad esercitare la violenza. Il crimine dell’occupazione è un crimine permanente da 75 anni ad oggi; ogni azione palestinese è quindi una reazione a una situazione stabile e quotidiana di illegalità.

Ostaggi

Prima di affrontare il discorso della legittimità della resistenza palestinese vorrei, però, soffermarmi ancora su due esempi lessicali per meglio chiarire quanto poi andrò a dire. Mi riferisco alle parole “ostaggi” e “civili”. È indubbio che siano ostaggi gli oltre 200 israeliani catturati il 7 ottobre . Ma mi chiedo: non sono anche ostaggi i 5/6000 prigionieri palestinesi ristretti nelle carceri israeliane? Negli ultimi 20 giorni ne sono stati arrestati altri 1000. A maggior ragione i 1200 prigionieri in detenzione amministrativa cioè senza un capo d’accusa, senza la possibilità di difesa e senza un

termine che ponga fine alla detenzione, essendo noto che la detenzione amministrativa è rinnovata ogni sei mesi e vi sono palestinesi detenuti da anni in queste condizioni. Quale differenza c’è tra gli ostaggi israeliani e i prigionieri palestinesi? I primi come i secondi sono stati prelevati con la forza dalle loro abitazioni da gente armata mentre pranzavano, guardavano la televisione o dormivano. In un caso avevano la divisa, nell’altro no ma la differenza è significativa? Quelli con la divisa erano le forze armate di uno Stato, gli altri erano membri di un movimento di liberazione che lottano contro una potenza occupante.

Civili

Più delicato è il discorso dei civili ma sono confortato in quello che andrò a dire dalle autorevoli parole usate da importanti esponenti politici israeliani.

Il presidente Herzog ha detto, testuale, che “non esistono civili a Gaza”. La  motivazione dell’affermazione è degna di nota. Herzog è intervistato da Norman Finkelstein ( autore, tra l’altro, del libro “L’industria dell’Olocausto” sullosfruttamento dell’Olocausto per fini politici). Herzog rimprovera ai palestinesi diGaza di “non essere insorti e di non avere combattuto contro quel regime malvagioche ha preso il potere con un colpo di stato”. Osserva giustamente Finkelstein che,seguendo questa logica, tutti i civili israeliani che non si sono ribellati contro il lorogoverno ( peraltro eletto democraticamente) o addirittura hanno sostenuto tutti icrimini di Israele ( secondo Finkelstein oltre il 90% degli israeliani ebrei) dovrebberoessere considerati “un’intera nazione che è responsabile”. Secondo la logica diHerzog le vittime israeliane del 7/10 sarebbero stati bersagli legittimi. La “logica”diventa ancora più aberrante se si pensa alle migliaia di bambini uccisi: anche lororesponsabili di non essere insorti contro Hamas?

Il ministro Gallant ha detto che “i palestinesi sono animali umani” ed infine un ex ambasciatore in una trasmissione televisiva, in preda anche a un convulsa agitazione motoria, ha affermato: “Per noi c’è un solo scopo: distruggere Gaza“ ribadendolo più volte, anche quando gli è stato fatto notare che era preferibile dire Hamas e non Gaza. Se questo è stato a loro consentito spero che mi sia consentito dire che nutro qualche dubbio sul fatto che esistano civili israeliani.

Mi spiego, consapevole della apparente enormità dell’affermazione. I civili di Gaza sono per l’80% profughi del 1948 o del 1967. Sono lì non per loro scelta ma perché sono stati cacciati dalle loro case. Alcuni abitavano ad Askelon o a Sderot, a pochi km dal confine nord di Gaza. Chi possiamo considerare civile in Israele? Non i militari, non i poliziotti, non i coloni. Sono tutti armati, i coloni più degli altri e in questi giorni sono responsabili più del solito della pulizia etnica nella West Bank

perché stanno uccidendo e espellendo palestinesi dalle loro case sotto l’occhio benevolo dei militari quando non esplicitamente da questi supportati. Restano gli altri, cioè coloro che hanno liberamente lasciato le loro case negli USA, in Russia, in Europa per contribuire consapevolmente a un progetto di colonizzazione. Occupano case non loro e costruiscono su terreni non loro. E questo fin dal 1948: vi erano allora 600.000 ebrei a fronte di 1.250.000 palestinesi. Gli ebrei possedevano il 5,6%  delle terre. L’Onu gliene assegnò il 56%. Ne presero con la forza fino a 78%. E poi ne presero ancora.

Sia ben chiaro: non sto giustificando o legittimando la loro uccisione ma sto denunciando la profonda ipocrisia di parlare di civili solo per le vittime dell’azione del 7 ottobre glissando sul fatto che sotto le bombe israeliane dall’8 ottobre in poi stanno morendo donne, vecchi, bambini, malati ricoverati negli ospedali bombardati. Moriranno i neonati nelle incubatrici rimaste senza energia; moriranno i malati in dialisi; moriranno le partorienti in condizioni disastrose o i loro neonati.

Moriranno per infezioni le persone operate sui pavimenti degli ospedali, senza anestesia, alla luce dei cellulari. Tutti questi io considero civili.

Sentite invece cosa dice l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone in una intervista sul Corriere della Sera del 21 ottobre. Cavo Dragone non è un Vannacci, è Capo di Stato maggiore della difesa e guiderà il Comitato militare Nato, è persona importante, èmilitare esperto. Dice: “La ricerca dei colpevoli è doverosa, giusta, è un diritto diIsraele. Però bisogna fare attenzione ai civili evitando al massimo i danni collaterali.Altrimenti si cade nel tranello di Hamas che vuole criminalizzare Israele. Per oracomunque stanno colpendo obbiettivi terroristici“. Sono andato a controllare il

bollettino dei morti ammazzati mentre l’ammiraglio parlava. Si era già a quota 4500 di cui circa 1500 bambini oltre a 1600 dispersi perché seppelliti sotto le macerie e quindi sicuramente morti. Ma per Dragone si stavano colpendo obbiettivi terroristici.

Genocidio

Un’ultima puntualizzazione lessicale sul termine “genocidio”. Fino ad oggi ho sempre osteggiato il termine genocidio riferito al massacro di palestinesi. Sappiamo che giuridicamente per genocidio si intende la distruzione di un popolo o di una etnia. Il sionismo prevede non l’annientamento del popolo palestinese ma la sua espulsione dal territorio. La violenza non è il fine ma il mezzo: creare terrore per costringere a fuggire. Così è avvenuto nella Nakba: si distruggeva un villaggio e se ne ammazzavano gli abitanti per indurre gli abitanti dei villaggilimitrofi a fuggire. Spesso è stato usato un termine edulcorato: “progetto genocidiario” o anche quello coniato da Ilan Pappe: “genocidio incrementale” per intendere un genocidio in progressione (con un po’ di cinismo si potrebbe dire

work in progress”). Oggi ritengo invece che si possa e si debba parlare di genocidio in corso. In questi 75 anni sono state adottate miriadi di tattiche per espellere la popolazione nativa: la

frammentazione della società palestinese; l’espulsione di intellettuali, esponenti sindacali e politici; l’incarcerazione degli attivisti politici; la discriminazione rispetto alla popolazione ebraica- culminata nella legge del luglio 2018, la Basic law sullo Stato nazione, che attribuisce il diritto all’autodeterminazione solo ed esclusivamente ai cittadini di religione ebraica e definisce la colonizzazione ( cioè un crimine ) un valore da incrementare -; la riduzione in povertà attraverso

l’abbattimento delle case, il diniego di concessioni edilizie, l’esproprio dei terreni; l’attacco al diritto allo studio e così via. Qualcuno ha coniato il termine “ ongoing Nakba” per intendere questo processo di espropriazione e di espulsione. Il 15 ottobre 800 esperti di diritto internazionale e diritti umani hanno sottoscritto un documento che mette in guardia rispetto al rischio genocidio.

Legittimità della resistenza armata.

Tutto ciò premesso possiamo affrontare la dibattuta questione se cioè sia legittima la resistenza all’occupazione anche nella forma violenta. A monte dobbiamo capire se il sionismo sia o meno un movimento colonialista, peraltro nella versione più insidiosa e devastante del colonialismo da insediamento cioè finalizzato non solo, come nella storia del colonialismo europeo, all’esproprio

delle ricchezze di altri territori ma anche all’espulsione della popolazione residente.

La risposta è sicuramente affermativa. Una definizione estremamente sintetica è quella del Bund, il partito socialista ebraico: “Il sionismo è un movimento reazionario capitalista e colonialista al servizio dell’imperialismo“. Parlando di Bund è il caso di ricordare un suo illustre esponente, Marek Edelmann, vicecomandante della resistenza ebraica nel ghetto di Varsavia che indirizzò una lettera a Marwan Barghouti nel corso del suo processo e la lettera era significativamente rivolta “a tutti i combattenti della resistenza palestinese”.

Una più articolata definizione del sionismo è offerta da Hisham Bustani, scrittore giordano che, in un recente articolo del 4 marzo 2023 su Middle East Eye, ha scritto che la questione non è come suol dirsi “complicata ma scandalosamente semplice: il sionismo è un movimento nazionalista che si è sviluppato in Europa, si è fondato su un mito religioso e, nel contesto della colonizzazione britannica e francese del mondo arabo dopo la prima guerra mondiale, ha iniziato a ripulire etnicamente un’intera regione, distruggendo la popolazione, la storia delle memorie locali e stabilendo attraverso il terrorismo e la guerra una colonia sopra le macerie”. La definizione mi

sembra particolarmente appropriata ed attuale visto che usa il termine terrorismo riferendosi allo Stato di Israele e parla di colonia sopra le macerie, esattamente  quanto si sta realizzando a Gaza.

Se questo è il sionismo vediamo se l’opposizione può esprimersi legittimamente anche attraverso gli strumenti della violenza.

Secondo il Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, adottato nel 1977, relative alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, la popolazione di un paese occupato da una potenza straniera ha il pieno diritto di lottare per la propria liberazione. Nel protocollo si afferma che le sue norme sono applicabili “nei conflitti armati nei quali i popoli lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti

nell’esercizio del diritto dei popoli di disporre di se stessi consacrato nella Carta delle Nazioni Unite”. Sembra la fotografia della situazione palestinese. Lo stessoProtocollo precisa che anche la rappresaglia contro persone o beni è vietata. Quellache è in corso a Gaza è una rappresaglia rispetto all’azione della resistenza,rappresaglia che, peraltro, ha già superato il parametro nazista di uno a dieci.

Vi è anche una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu a sostegno, è la numero 3034 del 18 dicembre 1972. Questa risoluzione è stata adottata su iniziativa dei Paesi del cosiddetto terzo mondo e ha sancito la legittimità dei movimenti di liberazione nazionale. Il comitato speciale per il terrorismo internazionale, costituito con la medesima risoluzione, ebbe ad affermare che il terrorismo individuale è effetto di quello statale, costituendo una risposta violenta della popolazione civile alla politica statale di oppressione. La memoria va agli attentatori suicidi della seconda Intifada. A proposito di terrorismo è il caso di ricordare che non esiste una definizione univoca di questo termine e non è un caso. La definizione più accreditata secondo cui è “un’azione violenta contro civili per condizionare le scelte politiche” ben si adatta, infatti, anche agli Stati e non solo alle organizzazioni non statuali. In particolare si adatta ad Israele.

Dello stesso periodo storico sono le parole di Arafat all’Onu nel suo famoso discorso del 13 novembre 1974: “ La differenza tra il rivoluzionario e il terrorista risiede nella ragione della lotta. Colui che lotta per una causa giusta, colui che lotta per ottenere la liberazione del suo paese, colui che lotta contro l’invasione, lo sfruttamento come pure contro la colonizzazione non può mai essere definito un terrorista“.

Nel 1982 troviamo un’altra risoluzione dell’ONU, a seguito dell’ennesima strage di donne, vecchi e bambini palestinesi a Sabra e Chatila. Esecutori i falangisti libanesi, mandanti e coadiuvanti gli israeliani. Questa risoluzione ribadisce la legittimità della lotta contro il colonialismo e per l’autodeterminazione.

Avvicinandoci al nostro tempo troviamo le autorevoli parole di Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu sulla violazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati in una intervista ad Altreconomia dell’11 novembre 2022: “…Con gli accordi di Oslo i palestinesi hanno rinunciato alla resistenza armata che è proprio dei movimenti nazionali di liberazione nella prospettiva di avere uno Stato proprio. Ma se i diritti fondamentali restano irrealizzati, se vengono violati costantemente, con impunità, se la comunità internazionale, che dovrebbe garantirne il rispetto, non lo fa, è chiaro che la tendenza del popolo soggiogato sarà sempre quella di riprendersi in mano le proprie sorti e ribellarsi. Una volta rinunciato alla resistenza armata, i palestinesi hanno provato altre forme di resistenza tutte non violente: proteste, boicottaggio, appelli alla solidarietà internazionale, richiesta dell’applicazione delle norme internazionali vigenti, ma niente è stato efficace. Questo non significa che io giustifichi la violenza, anzi, auspico soluzioni pacifiche, cioè l’applicazione del diritto

internazionale. Ma il diritto internazionale ha vera forza finché c’è la disponibilità degli Stati a farlo applicare.“.

A proposito di forme di resistenza pacifiche vorrei ricordare in particolare la Grande marcia del ritorno del 2018/ 2019 quando a Gaza ogni venerdì per quasi due anni migliaia di persone si sono radunate vicine alla barriera di confine in una dimostrazione simbolica a rivendicare l’applicazione di quella risoluzione 194 del 1948 che sancisce il diritto al ritorno dei palestinesi. I manifestanti erano tutti disarmati e c’erano donne, vecchi, bambini. Dall’altra parte della barriera i cecchini

israeliani hanno sparato per uccidere e per invalidare persone inermi, colpendo soprattutto i giovani nella cinica consapevolezza che uno o più invalidi in una famiglia pesano economicamente e socialmente più dei morti ammazzati. Centinaia gli uccisi, migliaia i feriti.

L’attuale rivolta del popolo palestinese è stata prevista da Ilan Pappe che, in una conferenza a Friburgo il 4 giugno 2005, ha detto: “Quando una politica dimostra di non riuscire a portare assolutamente nessun cambiamento nella realtà vissuta dalle persone, allora si ha come risultato la frustrazione. Si prepara la terza Intifada! Scoppierà nel momento in cui ci saranno abbastanza persone coscienti che gli attuali negoziati hanno fallito e che non hanno nulla da offrire alle popolazioni…Se il “progetto di pace” continua ad essere sostenuto dagli europei, dagli americani, dai russi e dall’Onu, vorrà dire che Israele avrà il via libera per proseguire la sua politica di pulizia etnica. Bisogna anche sapere che gli israeliani si stanno già preparando ad  affrontare la prossima insurrezione palestinese; questa volta essi non esiteranno più ad utilizzare i peggiori mezzi di repressione in confronto alle armi utilizzate nel corso  della prima e della seconda Intifada. Inoltre in questo momento non stiamo parlando semplicemente di pulizia etnica bensì del reale pericolo di una politica di genocidio…Un movimento contro l’occupazione all’interno di Israele non ha alcuna possibilità di successo, nessuna. Esiste un solo modo di bloccare lo scenario che vi ho appena descritto: tramite le pressioni, le sanzioni, l’embargo, equiparando lo Stato di Israele a Sudafrica durante il regime di apharteid…Non esiste altro mezzo.”.

Parole quelle di Pappe particolarmente profetiche: parla di terza Intifada, di reazione genocidiaria e di necessità di un intervento esterno su Israele perché ponga fine alla sua politica criminale non avendo al proprio interno gli anticorpi necessari al cambio di rotta. Anni e anni di istruzione scolastica mirata a inculcare il disprezzo e l’odio verso i palestinesi e gli arabi in genere ( si leggano i testi di Nurit Peled), il servizio obbligatorio per maschi e femmine di 2 e 3 anni mirato anche a mettere in pratica nei checkpoints quell’odio e quel disprezzo imparato a scuola, tutto questo ha prodotto una società violenta e razzista che ha indotto lo storico israeliano Zev Sternhell a dire: “In Israele cresce non solo un fascismo locale ma anche un razzismo vicino al nazismo ai suoi esordi.“. E questo è stato detto ben prima della formazionedell’attuale governo che vede ministri dichiaratamente fascisti e razzisti come Ben Gvir, Smotrich e Gallant.

Conclusioni?

Si sta vivendo un momento storico in cui si decide la sorte del popolo palestinese e di Israele. Nel dopoguerra fiorirono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Dichiarazione europea dei diritti dell’uomo, le Convenzioni di Ginevra, la Carta dell’Onu. Tutto questo oggi è “cartastraccia” e l’impunità di Israele ne é concausa importante. Perfino una risoluzione del Consiglio di sicurezza, la 2334 del 2016 che condanna la colonizzazione e ne chiede l’immediata cessazione e che sarebbe stato possibile fare rispettare coercitivamente, è rimasta senza esito, con buona pace delle risoluzioni dell’Onu che, inottemperate da Saddam Hussein, provocarono la prima guerra del Golfo. Non a caso quella è stata definita l’ultima guerra legale.

Stiamo assistendo in questi giorni al penoso spettacolo dell’Onu che non riesce a imporre una tregua umanitaria e neppure un corridoio umanitario. Si parla molto da tempo di riforma dell’Onu, di abolizione del diritto di veto, di necessità di dare maggiori poteri all’Assemblea generale. Principi fondamentali come il diritto all’autodeterminazione dei popoli e l’intangibilità dei confini dovranno essere rivisitati per evitare disparità di trattamento in casi analoghi. Vediamo, infatti, che in Kosovo è stato privilegiato il principio dell’autodeterminazione del popoli, in Ucraina, invece, il principio dell’intangibilità dei confini. In Palestina non è rispettato né l’uno né l’altro. Anche gli strumenti teoricamente preposti a far rispettare le norme di diritto internazionale dovranno essere potenziati e riequilibrati. Si pensi alla Corte penale internazionale inattiva da quasi 15 anni sulla questione palestinese e capace, invece, di emettere un mandato di arresto nei confronti di Putin nel giro di pochi mesi, peraltro per un crimine, il trasferimento di popolazione sul suolo russo,

regolarmente posto in essere da Israele con i detenuti palestinesi trasferiti nelle carceri israeliane.

L’ONU, ormai, è diventato poco più che un palcoscenico in cui esibire la stella gialla di David come ha fatto l’ambasciatore israeliano all’ONU Gilad Erdan insieme alla sua delegazione, dimenticando che ora le parti sono invertite e chi è stato vittima è diventato carnefice. Perfino lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la memoria della Shoah, lo ha criticato ricordandogli la diversità di situazione. Eppure il richiamo al passato e alla Shoah è evocato quasi a giustificare il crimine

attuale. La regista Shammah ha fatto proprie le ciniche parole di Golda Meir:

Potremo perdonarvi per avere ucciso i nostri figli ma non potremo perdonarvi per averci costretto ad uccidere i vostri”, facendo così ipocritamente ricadere suipalestinesi perfino la responsabilità dei propri morti. Anche il già ricordato exambasciatore che predica in TV la distruzione di Gaza richiama la Shoah.Ma i crediti non vanno in prescrizione? E poi, semmai, possono essere vantati neiconfronti dei debitori, in primis tedeschi ed italiani. Che c’entrano i palestinesi? Ha

ragione Golda Meir quando dice: “ Dopo la Shoah tutto ci sarà permesso”? ma proprio tutto? Anche il massacro in corso? Di certo sta provocando una ondata di antisemitismo reale che, insieme ad altri fattori, potrebbe diventare un detonatore per la terza guerra mondiale.

Troppe ingiustizie, troppe discriminazioni, troppe sofferenze. E la rivolta esplode così come predetto quasi 20 anni fa da Ilan Pappe, storico costretto a lasciare il suo Paese per avere raccontato la verità sulla storia di Israele. E sarà la storia a dire quale sviluppo potrà avere la tragedia in corso e quale soluzione potrà essere adottata. Ora in tanti tornano a riempirsi la bocca con le parole “due popoli due Stati“ senza avere la minima idea di come riuscire ad indurre 700.000 coloni sparsi nella West Bank a tornare nelle loro abitazioni in Israele o nel mondo. Qualche voce accenna allo Stato unico binazionale senza avere la minima  idea di come riuscire a indurre Israele a revocare la Basic law del 2018 e le oltre 60 leggi discriminatorie nei confronti dei palestinesi con cittadinanza israeliana. E soprattutto senza sapere se tutto l’odio che è sparso in questi giorni potrà essere cancellato e, se sì, in quanto tempo. In quante generazioni.

La tragedia della Palestina dimostra ancora una volta che la storia non può essere scritta a tavolino dai vari Hertzl, Balfour, Rothscild ma, come le terze generazioni di palestinesi gridano nei cortei di solidarietà, sono i popoli in rivolta che scrivono la storia. Questo, almeno, è l’auspicio e l’obiettivo da perseguire, cercando di condizionare i governi e le istituzioni tolleranti o, peggio, collaborazionisti di Israele e del suo progetto criminale.

4 novembre 2023 Ugo Giannangeli

 

 

Rielaborazione dei due interventi dell’avvocato Ugo Giannangeli nell’iniziativa del

centro sociale Kinesis del 20/10/2023 e in quella del Comitato Varesino per la

Palestina del 27/10/2023.