Turchia, il terremoto colpisce le minoranze da sempre represse: Curdi e Aleviti

Appena sei mesi fa mi trovavo a visitare le zone interessate al terremoto di magnitudo 7.8 che nella notte tra 5 - 6 febbraio 2023 ha colpito l’area tra la Siria e la Turchia meridionale, con epicentro a Gaziantep. Le città più colpite sono Gaziantep, Kahramanmaras, Malatya, Osmaniye, Iskenderun, Antakya e Adana,  danni significativi anche  a Sanliurfa e Diyarbakir, tutte province in cui è stato proclamato lo stato di emergenza di tre mesi, abitate da minoranze di Curdi e Aleviti.

 

CURDI – DIYARBAKIR e GAZIANTEP.

Dalla Rivoluzione dei Giovani Turchi (luglio 1908), le minoranze etniche di Turchia - che già vivevano con l’Impero Ottomano condizioni di emarginazione e sottosviluppo - sono state oggetto  di repressione e assimilazione da parte della politica governativa più volte sfociata in bagni di sangue. La riforma linguistica del 1928 di M. Kemal Atatürk vietò la lingua curda; ai Curdi fu imposto un processo di de-nazionalizzazione con l’assunzione di nomi di ascendenza turca. Fin dalle scuole elementari programmi di rieducazione avvicinavano i giovani curdi agli ideali del Panturchismo.

Negli anni ‘70 la provincia di Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, è stata teatro di un sanguinoso conflitto tra l'esercito turco e i guerriglieri del Pkk “Partito dei lavoratori del Kurdistan” che reclamavano diritti civili e sociali. L'insurrezione armata fu lanciata nel 1984 da Adbullah Ocalan, fondatore del Pkk, e si stima che abbia prodotto più di 50mila vittime, 18mila soltanto tra i civili. Centinaia di villaggi che fornivano riparo ai guerriglieri sono stati assediati, bombardati e bruciati dall'esercito.

Il 16 novembre del 2013, in visita ufficiale a Diyarbakir, Erdogan promise di sradicare l’opposizione curda.

Ma nel 2015 Diyarbakir era di nuovo una città in guerra: la campagna antiterrorismo lanciata da Erdogan, che avrebbe dovuto distruggere le basi siriane dello Stato islamico, si rivolse contro i Curdi turchi e iracheni. Dopo una prima ondata di arresti (circa 200 tra attivisti e parlamentari), una sequenza di foto del cadavere nudo (con segni inequivocabili di tortura) della guerrigliera Kevser Elturk, trascinata per i piedi da un gruppo di soldati turchi, accese la miccia della rivolta. Di qui la guerra aperta. Tra i vicoli della città vecchia di Diyarbakir la polizia arrestava e malmenava civili ed attivisti, elicotteri Cobra delle forze speciali sorvolavano la città, cecchini sui tetti, giovani Curdi (organizzati nel gruppo Ydg-H, vicino al Pkk di Ocalan) scavavano trincee e innalzavano blocchi stradali per impedire l'ingresso delle forze speciali che tagliavano le linee di comunicazione e bombardavano con i mortai. Testimoni del “Partito democratico dei popoli” (HDP)  filocurdo raccontarono la distruzione di interi quartieri e di centinaia di civili uccisi, mentre nelle 15 province turche dichiarate "zone di sicurezza temporanea" una fiumana di centomila sfollati abbandonava le proprie case. All’epoca, almeno 12 assemblee cittadine affermarono la propria indipendenza e l’ autogoverno (i nostri media non hanno raccontato nulla).

Agosto 2016. A pochi giorni dalla visita in Turchia del vicepresidente americano, Joe Biden, un’esplosione uccideva 51 persone a Gaziantep, durante una festa di nozze all'aperto in un quartiere centrale della città. Gli sposi di Gaziantep erano  Curdi e militanti politici del partito HDP, secondo cui la politica divisiva di Ankara aveva trasformato  la città in un covo dell'Isis. Erdogan non aveva dubbi: dietro l'attentato vi era l'Isis e Fetullah Gulen, in esilio, considerato da Ankara l'ispiratore del tentato golpe del 15 luglio. Quindi nessuna differenza tra Fetullah Gulen, Pkk e Isis: classificati tutti terroristi.  L'attentato inoltre richiamava quello perpetrato a Suruc durante un evento della sinistra curda nel luglio del 2015 e quello avvenuto nel corso di una manifestazione ad Ankara in ottobre, entrambi dal governo addebitati ai Curdi.

 

ALEVITI – ANTAKYA. Dal punto di vista etnico, culturale e religioso, nella regione dell’Hatay convivono diverse minoranze. Prima dell’unificazione con la Turchia,  quando i francesi ebbero Mandato nell’area dopo la prima Guerra Mondiale, vi vivevano Arabi sunniti, Cristiani, Armeni, Greci, Siriani, Adighè (circassi), Ebrei e Curdi. Nella vecchia Antakya e nella moderna Iskenderun ci sono luoghi di culto delle varie fedi, con ortodossi, cattolici, protestanti, maroniti, caldei, israeliti, poiché ha sempre dominato un clima di apertura e tolleranza tra le comunità locali.

Caratteristica dell’Hatay è la cospicua presenza degli Aleviti cioè di una minoranza religiosa comprendente -in tutta la Turchia- almeno 15 milioni di individui. Molti Aleviti appartengono etnicamente al gruppo curdo-iranico ma non sono mai stati in guerra aperta con il governo turco, a causa della loro connotazione religiosa nell'ambito dell' Islam sciita duodecimano (accettano il credo riguardo ʿAlī, Quarto Califfo, e i Dodici Imam, ma non vogliono essere descritti come sciiti ortodossi, a causa di differenze di tradizioni e rituali rispetto allo sciismo prevalente in Iraq e Iran).

Nel 1935 le speranze degli Aleviti di aver riconosciuti i loro diritti di minoranza in uno Stato laico furono tradite da Atatürk che li definì “un ascesso che va distrutto”. Nonostante questo, gli Aleviti turchi mantengono ancora oggi un’incrollabile fiducia nel kemalismo, convinti che Atatürk intendesse porre fine alla loro discriminazione. Durante gli anni ‘60,  molti Aleviti si avvicinarono alla sinistra dissidente e oggi - politicamente  contrapposti sia al fondamentalismo sunnita che al salafismo - assicurano la continuazione del secolarismo turco kemalista cercando l’alleanza dei Sunniti moderati. In sostanza gli Aleviti, che si considerano depositari della vera tradizione religiosa turca e anatolica, condannano il nazionalismo sunnita come intollerante, reazionario, bigotto, fanatico e antidemocratico. Richiedono che lo Stato li riconosca come comunità islamica, con gli stessi diritti del Sunnismo. Invece il partito AKP del presidente Erdogan, considerandoli nemici dello Stato alla pari dei Curdi, fomenta il conflitto tra Sunniti e Aleviti che, da sempre repressi e arrestati, sono in realtà assai poco politicizzati e non paragonabili agli attivisti curdi.

 

TERREMOTO : condoni, responsabilità e prossime elezioni  

Dopo il sisma del 1999 che colpì la zona di Izmit facendo 17.000 vittime e 500.000 senzatetto, venne introdotta una “tassa sul terremoto” destinata a raccogliere denaro per la  prevenzione. Dei miliardi raccolti non si è mai conosciuta la destinazione vista l’opacità dell’informazione governativa.

Dopo la campagna antiterrorismo e la guerra urbana del 2015, a Diyarbakir  e Gaziantep interi quartieri nuovi e centri commerciali sono sorti laddove prima c’erano i quartieri storici distrutti dalla piazza pulita di Erdogan.  Ma vediamo che i quartieri ricostruiti dalle potenti lobby degli appalti edilizi, sono gli stessi crollati per il terremoto di febbraio scorso.

Tuttavia il disastro naturale avrebbe provocato meno vittime se non ci fosse stata l’incuria del costruire senza regole. A nulla sono serviti gli appelli delle associazioni non governative e del mondo accademico per allertare sul pericolo in arrivo e sul danno che avrebbero potuto fare terremoti nel sud est della Turchia. Cito le dichiarazioni rilasciate da tempo dal professore universitario e divulgatore scientifico Naci Gorur, (Articolo di Murat Cinar, L’allarme dei geologi non è stato ascoltato, 8 febbraio 2023).

Al contrario, il partito Giustizia e Sviluppo (AKP), ben legato al settore edilizio fin dall’ ascesa al potere di  Erdogan, ha continuato a concedere permessi governativi per la costruzione di alloggi. Dal 2002, l’AKP ha concesso anche una dozzina di amnistie generali nel settore delle costruzioni che hanno consentito ai titolari di ‘alloggi non conformi’ di regolarizzare la propria situazione, previo pagamento di canoni.

Il più grande condono è avvenuto poco prima delle elezioni presidenziali del 2018. Pare ne abbiano beneficiato più di 7 milioni di edifici, di cui 300.000 nelle dieci città più colpite dal sisma. Nel marzo 2019, poco prima delle elezioni locali, venne concessa un’altra amnistia a facilitare l’edilizia illegale, nonostante ingegneri e architetti  avessero lanciato l’allarme sui rischi per la sicurezza.

Ad amnistie e condoni si aggiunge  un sistema di controllo del tutto inadeguato che consente alle società di costruzioni di mettere a libro paga ‘ingegneri fantasma’ che non fanno verifiche. Il segretario generale dell’Unione delle Camere degli ingegneri e degli architetti di Adiyaman, Eye Ufuk Bayir, ha dichiarato  che “gli edifici non sono stati ispezionati, le valutazioni statistiche non sono state fatte e i test antisismici non sono MAI stati condotti[i] . Addirittura con un decreto presidenziale del 5 febbraio 2022, esattamente un anno prima del sisma, Erdogan aboliva lo status di “quartieri a rischio” per sei zone della città di Antakya, tutte irrimediabilmente rase al suolo dal terremoto.

In maggio 2023 incombono le elezioni generali e per ora il Consiglio elettorale supremo della Turchia non ha ricevuto alcuna richiesta di rinvio, anche se le elezioni generali nel paese potrebbero essere rinviate per un periodo da sei mesi a un anno, con il Consiglio elettorale supremo che dovrebbe prendere l'iniziativa su richiesta del partito al governo. Nello stesso tempo c’è la dichiarazione del presidente Erdogan che promette e prevede un anno per restaurare tutti gli edifici. Con quali criteri? Ci si chiede. Potrebbe essere che le elezioni slittino a giugno, ultima data possibile nel rispetto della Costituzione turca, considerato che per un rinvio oltre giugno, il governo avrebbe bisogno di una maggioranza di due terzi in parlamento, cioè che decine di deputati dell’opposizione votassero a favore di tale opzione.

 




[i] https://www.middleeasteye.net/news/turkey-earthquake-state-ignored-warnings-say-engineers-architects.