La prevenzione dei conflitti armati

 

LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI ARMATI
L'ALTERNATIVA DEI CORPI CIVILI DI PACE

 

Vorrei ringraziare molto la presidenza del convegno per la cortese presentazione.

In particolare vorrei ringraziare l'amico Alberto, che mi ha informato dell'esistenza di

questa tavola rotonda. E' un evento che mi ricorda un convegno tenuto anni fa a

Firenze sulle opere di Sharp, organizzato appunto da Alberto e che toccava appunto

alcune delle questioni di cui oggi si discute.

In quel convegno, avevo precisato che per costruire il nuovo, che Sharp auspicava, era

prima di tutto necessario decostruire le situazioni esistenti che impedivano il

cambiamento. E perciò credo sia necessario, in primo luogo, analizzare il contesto in

cui ci troviamo e valutare in esso ciò che in questo contesto può ostacolare nuovi

progetti. Si tratta di individuare situazioni e tendenze che sono ravvisabili nell'ambito

militare e che possono costituire un grave ostacolo al progetto di cui si parla.

 

Vorrei, a proposito, accennare a qualcosa che non è molto noto anche perché tutto ciò

che riguarda l'ambito militare è purtroppo protetto da fitti veli per non renderne

possibile la conoscenza ai cittadini. L'arma più forte utilizzata in merito è quella del

segreto, spesso del tutto abusivo. In questo contesto sembra che la nostra Repubblica

sia, prima di tutto, una "Repubblica fondata sul segreto". Per quanto concerne l'ambito

militare vi è insomma una grande difficoltà per capire quello che sta succedendo. Un

sintomo rilevante che emerge nella situazione attuale, riguarda una proposta del

Ministero della Difesa, la proposta di istituzione della "Difesa Spa" cioè della

''Difesa società- per-azioni". Si tratta di un progetto che fornisce delle indicazioni sugli sviluppi

possibili del settore Difesa. Sviluppi che vanno in senso assolutamente contrario ad

ogni progetto che miri a potenziare una componente civile. La proposta ci fa capire il

tipo di ostacoli che si presentano alla creazione dell'alternativa dei corpi civili di pace.

Pochissimi in Italia conoscono questo disegno di legge che, comunque, rientra nel

contesto di quanto ha accennato Nanni Salio circa il "complesso militare industriale".

Lo sviluppo di tale complesso è infatti una delle questioni più critiche rispetto alle quali

ci troviamo di fronte, riguarda l'intreccio di componenti dell'ambito militare con

determinati ambiti industriali. Si tratta del problema che fu messo la prima volta in

evidenza dal Presidente degli Stati Uniti Eisenhower nel suo discorso di commiato (del

1961) dalla presidenza. Eisenhower segnalò i pericoli di questo processo che tendeva

a riunire in un unico blocco militari ed industria bellica. Il progetto della "Difesa Spa" va

proprio nel senso sopra accennato. Infatti lo si può considerare come un aspetto,

all'italiana, del complesso militare industriale. In sostanza, questa "Difesa-società-per azioni"

mira ad inglobare nel Ministero della Difesa tutte le attività logistiche e

infrastrutturali, attività che hanno un valore economico enorme. Pensate alle caserme,

ai munizionamenti, ai viveri, agli automezzi. Si tratta di un capitale grandissimo che

potrebbe andare a finire sotto l'esclusivo controllo di un ristretto ambito militare. Quindi

è un sintomo molto preoccupante di come stanno andando le cose ed è anche un

sintomo, mi riferisco a quello che è stato detto dal Prof. Papisca, dell'aspetto politico di

questa problematica, aspetto che spesso viene dimenticato. Perché se queste

disposizioni verranno accolte c'è da essere bene in allarme. Anche perché mentre

almeno fino a qualche anno fa in Parlamento, da parte della sinistra c'era una

posizione abbastanza critica nei riguardi delle possibilità di sviluppare dei progetti di

questo genere, attualmente tale posizione sembra scomparsa. La su accennata

precedente posizione della sinistra avrebbe favorito quei processi di cui ha parlato in

particolare Nanni Salio sulla democratizzazione dell'ambito militare e quindi sulla

possibilità di intravedere la crescita di componenti civili. Non dimentichiamo in merito

ciò che dobbiamo all'opera svolta dagli obiettori di coscienza e cogliamo l'occasione

per ringraziare quei "pionieri" come Matteo, alcuni dei quali stasera sono qui, e che

hanno molto lottato in passato per poter cambiare la situazione.

Assai rare sembrano le azioni critiche, rispetto a un ambito che pare intoccabile. In

proposito però sento il dovere di citarne una, che è emersa in seno alla Magistratura

(perché qualche volta c'è anche un giudice a Berlino!). Mi riferisco all'importante presa

di posizione di qualche mese fa da parte di un magistrato della Sardegna, il dottor

Domenico Fiordalisi, procuratore a Lanusei, che ha chiesto addirittura il sequestro

dell'area del poligono di Salto di Quirra, un poligono che si estende per oltre 120 kmq

in Sardegna. In questo poligono si sono verificati una serie di fatti, anche molto gravi,

tra cui nascite con malformazioni (di bambini e anche di animali).

Della questione la Stampa nazionale non si è minimamente interessata, a parte forse

un articolo apparso su l'Unità. Ma ne hanno parlato i giornali della Sardegna.

L'intervento del magistrato si verificò in seguito a una denuncia (pensate di chi) una

denuncia di un veterinario che avevano notato delle malformazioni nella nascita di

animali. Il dottor Fiordalisi ha compiuto un atto molto rilevante, mai in precedenza

compiuto in Italia, con cui intendeva verificare una situazione che era stata coperta da

completo silenzio, un silenzio concernente soprattutto, per usare un'espressione

dell'amico John Galtung di "violenza strutturale". Infatti coloro che abitano in queste

zone sono impotenti a reagire agli effetti negativi sulla salute provocati dalle

intensissime sperimentazioni di armi, data la pressione e i condizionamenti di ogni tipo

a cui sono soggetti. Questo problema della nocività delle armi si è molto accresciuto

negli ultimi anni perché specie nelle missioni all'estero {le cosiddette missioni di pace

che però sono in larga misura missioni di guerra), sono stati impiegati armamenti

all'uranio impoverito e un gran numero di militari, ma anche di civili, si sono ammalati di

gravissime malattie, specie di tumori. Non si sa, sempre a motivo della segretezza che

copre simili vicende, quanti siano i colpiti, ma nel 2007 venne inviata riservatamente

dalla Sanità Militare alla Commissione d'Inchiesta che è stata costituita in Senato, un

elenco di 2536 casi di malati colpiti, colpiti per un motivo fino ad allora "inedito" e cioè

per "fuoco amico". "Fuoco amico" perché le armi all'uranio erano state usate non da

nemici, ma da forze alleate. Da osservare che le persone colpite non sono solo i militari

ma sono pure i civili.

Peraltro anche le armi convenzionali comportano dei rischi per via dell'emanazione di

nanoparticelle. Le armi sono infatti costruite con metalli pesanti e quindi per loro natura

stessa implicano rischi di tipo chimico per la popolazione che risiede nei poligoni e per

coloro che vi sono chiamati ad operare, ma anche dei rischi di inquinamento

dell'ambiente naturale (e in specie nei riguardi delle falde acquifere). Nonostante che

queste attività nei poligoni si svolgano da almeno 50 anni, nessuno fino all'intervento

del Procuratore di Lanusei ha avuto il coraggio di intervenire. Silenziose, o quasi, le

forze politiche in ambito parlamentare.

Il secondo punto su cui desidero richiamare l'attenzione, riguarda qualcosa che accade

sotto i nostri occhi e cioè le vicende che si sono sviluppate in Libia. Anche queste

vicende servono a capire quali sono gli ostacoli da rimuovere a monte di qualsiasi

tentativo di cambiamento. Come tutti sapete l'Italia conquistò la Libia nel 1911 e vi

sviluppò un colonialismo molto duro. Nel 1930 il Maresciallo ltalo Balbo sperimentò le

prime armi ad iprite sulla pelle delle tribù libiche. l nostri piloti, che a bassissima quota

spruzzavano il liquido sulle tribù terrorizzate che fuggivano, ridevano e scherzavano,

come risulta da testimonianze riportate anche in alcuni libri scritti su questa tematica. In

Libia vi è stato anche il periodo della gestione del maresciallo Graziani, in cui avvenne

l'impiccagione di Ornar al Mukhtar, detto "il Leone del Deserto", che conduceva una

coraggiosa battaglia contro il colonialismo. Vi è stata una crudeltà enorme che è stata

anche rievocata in un film dal titolo appunto "Il leone del deserto", che però non è mai

stato messo in circolazione nelle sale italiane.

Ho voluto fare questa premessa perché ci siamo ritrovati coinvolti nella vicenda della

nostra ex colonia proprio poco dopo che l'Italia aveva finalmente espresso le sue scuse

formali alla Libia per i misfatti del colonialismo. Il colonnello Gheddafi era stato accolto

in Italia con tutti gli onori ed era stato addirittura invitato a tenere una conferenza

presso l'università di Roma.

Ma nello volgere di poche settimane la figura del colonnello si è rimodellata in quella di

un feroce dittatore. Anche se ciò contiene qualche elemento di verità, tuttavia non va

dimenticato che il dittatore aveva ricevuto ampi riconoscimenti internazionali. Ma per

decisioni prese dall'Onu e poi dalla Nato, anche l'Italia ha partecipato ai

bombardamenti della Libia. Un tipo di attività che purtroppo l'Italia aveva già esercitato

nella ex Jugoslavia. L'Italia dunque ha assunto in questa vicenda un atteggiamento

distante anni luce da quello che potrebbe essere considerato come un atteggiamento

basato sull'invio di corpi di pace (italiani e stranieri) in una zona dove si registra una

grave situazione di crisi.

In un primo tempo invero l'Italia aveva dichiarato di mettere a disposizione soltanto le

basi ma non di impiegare gli aerei e ancor meno effettuare bombardamenti nella ex

colonia. Ma poi l'atteggiamento è stato modificato e il governo si è anche vantato di

aver svolto numerose missioni armate. Ben poche le opposizioni non solo in

Parlamento ma anche (e non dobbiamo far finta di dimenticarlo) nella società civile.

Più sopra ho citato i pericoli causati specificamente dalle armi all'uranio ed in proposito

è bene tener presente che nella Libia sono stati lanciati oltre 200 missili da crociera

Tomahawk, ciascuno dei quali portava circa 300 kg di uranio impoverito negli

impennaggi. Le conseguenze dell'uso di queste armi si manifesteranno magari fra

cinque anni o più, con il verificarsi di casi di tumore. Ma, evidentemente, questo

aspetto di particolare gravità non è minimamente emerso nelle discussioni che si sono

sviluppate in Italia sulla vicenda.

Si è voluta la fine del dittatore, con un'attività bellica che si caratterizza quasi come una

"caccia all'uomo", sfruttando una enorme disparità di forze. La parola d'ordine messa in

campo, a sostegno dell'operazione, era incentrata sui "diritti umani" dei ribelli. Ma c'è il

fondato dubbio se fossero veramente in gioco "diritti umani" oppure, piuttosto, dei

malcelati "diritti petroliferi". l ribelli reclamano un diritto di difendersi e il diritto alla

libertà. Ma non so quanto questo genere di discorso possa svilupparsi semplicemente

in "bianco e nero". Credo che sia necessario tener conto di zone grigie. In questo

campo non si possono fare solo affermazioni nette. Di grande interesse a questo

riguardo è la teoria di Antonino Drago, una persona che è un punto di riferimento per il

movimento della pace ed è un intellettuale di notevole rilievo, laddove egli ci ha parlato

della teoria della "doppia negazione". Ricordiamo, in soldoni, ciò di cui si tratta. Si può

dire ad esempio che: questo foglio è bianco; e questa è un'affermazione molto netta.

Ma si può anche, in modo più sfumato, dire di questo foglio che: "non è vero che non

sia bianco". Dunque una posizione più flessibile che rimanda a una zona grigia di cui si

deve tener conto. Si tratta di una !ematica che ci fa riflettere sul fatto che non di rado

dobbiamo affrontare situazioni che non sono nettamente di "violenza", oppure di "non

violenza", ma situazioni nelle quali si rende necessario un tasso di relativismo e di

realismo. Si tratta di situazioni in cui si ha a che fare con dei "ma" e dei "se". Ma

comunque occorre operare tenendo presente un insegnamento di Gandhi, consistente

nel fatto che prima di tutto occorre porre in essere la "verità" . E questo impone di volta

in volta un serio esame di coscienza perché anche ciò che si intende per verità è

soggetto a interpretazione!

Ci si può chiedere se un intervento dei corpi di pace e non solo dei Caschi Blu,

sarebbe stato fattibile in Libia nella situazione data, tenendo anche presente che, nella

cosiddetta "primavera araba" forse non vi è tutto "oro colato". Se, come ho letto ieri sui

giornali, addirittura in Egitto c'è stato, in un certo modo un "colpo di stato militare", che

ora viene fatto passare invece come un grande atto di liberazione e di libertà, c'è di che

riflettere. Ma non dimentichiamo aspetti che spesso invece si dimenticano, come

l'esistenza in Egitto di disposizioni legislative per cui, ad esempio, solo le vergini

possono andare a votare! In sostanza (e ciò è di fondamentale rilievo), occorre far

sempre riferimento a un contesto, contesto che può mettere in evidenza tra l'altro

vincoli e ostacoli altrimenti non conoscibili. Degli importanti insegnamenti in questo

senso, nel senso cioè di un realismo pacifista (o di un pacifismo realista) che non si

distragga mai dal contesto, ci sono venuti anni orsono da Alex Langer. Del resto

anche le tesi di Galtung sono improntate ad un forte "realismo".

Alla luce di quanto sopra, possiamo allora chiederci in che modo potremmo intervenire

in una situazione cosi complessa, come quella che abbiamo di fronte e superi gli

ostacoli esistenti. C'è anche da chiederci se abbiamo delle sufficienti risorse per creare

soluzioni alternative. A questo proposito si pone un problema molto terra-terra del

reperimento di fondi per creare delle forze alternative. Cosa possiamo fare in merito?

Vedevo ieri sfrecciare le "frecce tricolori" alla parata del 2 giugno e pensavo: uno dei

grandissimi sprechi sui quali si deve reagire è proprio questo. Se vogliamo vedere delle

acrobazie aeree (e a molti in Italia piace vederle), queste possono essere eseguite da

parte di pattuglie aeree che però non sono affatto necessariamente appartenenti

all'Aeronautica Militare e quindi non incidono sul bilancio della Difesa. Queste

acrobazie possono essere infatti realizzate da parte di piloti civili che traggono gli utili

per la soprawivenza della loro attività dai fondi che ricavano attraverso la

partecipazione della gente agli show aerei, così accade in vari paesi. In Italia queste

pattuglie sono invece composte da piloti militari italiani e abbiamo addirittura un

aeroporto delle "frecce tricolori" a Rivolto, con molte centinaia di persone a

disposizione. Dunque una spesa rilevantissima che grava sul bilancio militare. Si tratta

dunque di una spesa che potrebbe essere sottratta a tale bilancio e messa a

disposizione per creare un'attività, come quella di cui si occupa questo convegno.

Dobbiamo avere il coraggio di presentare delle proposte in questo senso e tali

proposte dovrebbero essere rese evidenti in occasioni come quelle delle "marce per la

pace".

Dobbiamo anche porci dei problemi del tipo di quelli relativi alla necessità di possedere

una portaerei per un paese che ha già tante difficoltà economiche. Per adesso

abbiamo visto che l'unico uso di questa portaerei è stato quello di utilizzarla come una

"nave della Croce Rossa" per portare gli aiuti ad Haiti. Un modo enormemente costoso

di portare questi aiuti! Ma si tratta anche di alleggerire delle pesantissime strutture in

larga parte superate con vertici elefantiaci che richiamano il detto "ali chefs and no

indians".

Dobbiamo dunque formulare delle proposte concrete (anche di fattibilità!) e portarle

all'attenzione delle forze politiche per verificarne in qualche modo la possibilità di

attuazione, tenendo presente che non bastano le belle intenzioni! Bisogna anche

preoccuparsi dei mezzi per realizzare queste intenzioni. Non dobbiamo cullarci in

castelli di sabbia.

lo credo che occorra concentrare l'attenzione su ciò che costituisce le premesse per la

realizzazione di forze di pace che svolgano compiti concorrenti o alternativi. Ma a

questo fine è necessario prestare molta attenzione alla linea di sviluppo delle forze

armate, che si è manifestata negli anni in Italia, a partire dall'abolizione della leva e

quindi degli obiettori di coscienza. Una linea influenzata sempre più ad una visione

esclusivamente "volontaristica-professionistica" delle Forze Armate, una linea che ha

portato ad un sempre maggiore distacco dell'ambito militare dal tessuto sociale, una

linea che è comprovata da proposte come quella a cui ho fatto cenno, di privatizzazione

della Difesa. Ma sembra che tutto questo purtroppo sia passato sotto silenzio anche da

quella parte della sinistra politica che un tempo condannava il cosiddetto "esercito mercenario",

"l'esercito di professionisti", ma che ne è diventata una sostenitrice e che non ha detto "bau"

quando abbiamo inviato i nostri bombardieri nella ex Jugoslavia! Mentre il Ministero della Difesa

si è trasformato via via in un "Ministero dell'autodifesa".

Occorre non mettere la testa nella sabbia come fanno gli struzzi, facendo finta di non

vedere. Vicende come quelle della Finmeccanica e della rete di connessioni che si è

creata tra Stato ed industria con un evidente riflesso sul complesso militare industriale,

debbono farci riflettere. Ho citato il poligono di Salto di Quirra. Ebbene, in quel poligono

gioca un ruolo assolutamente preminente un'industria come la Vetrociset e un apparato come I'Enav.

A capo dell'organismo un ex capo di Stato Maggiore. Possiamo

ricordare ad esempio che nel poligono di Salto di Quirra con la copertura del segreto si

è svolta per anni un'attività di addestramento di aerei libici. Così come non si può far

finta dell'abuso (e dell'uso improprio) che ne è stato del segreto per nascondere attività

preoccupanti. Non possiamo !imitarci neppure a sottili disquisizioni in fatto di diritto

lasciando da parte aspetti scomodi della realtà.

Credo che un importante insegnamento sul modo di procedere ce l'abbia fornito Alex

Langer, di cui ricordo con grande emozione una campagna elettorale in cui lo affiancai

anni orsono. E di cui ricordo, con grande emozione, anche il "lascito" che egli mi affidò

di occuparmi delle atrocità coloniali che erano avvenute in Libia durante il colonialismo,

un'attività che ha rappresentato per me un impegno di molti anni. L'ottica in cui

procedeva Alex era, come accennato, era un'ottica assai realistica e che condivido. Ed

a proposito del lavoro svolto da Alex vorrei dire che ritengo che a questo dovremmo

ispirarci nella nostra attività, a partire da quanto da lui è stato avviato, in primo luogo in

campo europeo con il suo progetto del 1995. Si tratta di adoperarci per vedere se

qualche parlamentare europeo sia disposto a ridar vita a tale progetto. Per quanto

ritengo si possa fare in campo nazionale mi rifaccio, anche a questo riguardo, alla

proposta di Alex circa l'istituzione di un servizio civile volontario facendo richiamo

anche all'attività dell'”ufficio nazionale del servizio civile" che è stato istituito. Può

essere un punto di "partenza".

Anche a questo riguardo, per restare con i piedi per terra, occorre operare a livello

politico sia locale che regionale che nazionale, cercando di far approvare delle

proposte legislative a partire da quelle che sono state finora avanzate. Ad esempio

potrebbe essere utile dar vita a una consultazione degli Enti politici locali nel Triveneto

per farsi un'idea dell'accettabilità di queste proposte. Nel caso in cui l'attuazione si

rivelasse particolarmente difficile, forse si potrebbe retrocedere con un approccio più

compromissorio legato alla possibilità di costituire una componente italiana dei Caschi

Blu della Nato, pur essendo ben consci delle limitazioni che una simile proposta

comporta. Ma anche un simbolico passaggio dal "blu" dell'Onu all"'arcobaleno" dei

movimenti della pace potrebbe già costituire un segno di progresso. Se risultasse

possibile avere qualche consenso in alcune regioni come il Piemonte, I'Umbria, la

Puglia, l'Emilia Romagna, la Sardegna, che sembrano le più aperte (o quanto meno le

meno chiuse) a simili idee, potremmo già avere un appoggio per un successivo

sviluppo parlamentare. Ma certamente non dovremmo dimenticare, come ho cercato di

illustrare in questo intervento, che occorre anche agire nel senso di avviare un

mutamento di concezione generale sia in campo internazionale che in campo

nazionale; e prima di tutto nel senso di una critica sempre più forte ad uno sviluppo

della Nato da "alleanza difensiva" ad "alleanza aggressiva", come si è dimostrata

essere nelle vicende libiche. E in campo nazionale, da un atteggiamento della Difesa

sempre più dipendente dal "complesso militare industriale" e ancor più, come sta

avvenendo, dal complesso industriale militare politico.

 

Vicenza, 3 giugno 2011