In che direzione sta andando il Tribunale dell’Aja?
- Dettagli
- Scritto da Sense Agency
(La Corte per il processo Gotovina)
L’Aja 11/07/2013
“Presunzione di infallibilità”,questa è la definizione che descrive i giudici in assenza di un’ulteriore istanza di appello alle loro sentenze, ma che non li dovrebbe proteggere dall’opinione pubblica preoccupata e critica nei loro confronti, che protesta contro il “nuovo corso” che stanno intraprendendo negli ultimi mesi presso il Tribunale dell’Aja e ad Arusha negli ultimi mesi.
Ha fatto scalpore la lettera del giudice Harhoff, che però fa passare in secondo piano lo sconcerto e le proteste contro la piega che sta assumendo il Tribunale dell’Aja, che sono state sollevate prima del 13 luglio 2013, data della pubblicazione della lettera, e che han avuto molta eco sui media danesi e poi nel resto del mondo.
Nelle battute di apertura della lettera che ha mandato a 56 fra amici e colleghi il 6 giugno, Harhoff fa riferimento a due recenti articoli, che “mettono a fuoco eventi che han causato molta preoccupazione sia per me che per i miei colleghi del tribunale”. Tenendo presente le date, possiamo presumere che si riferisse all’articolo intitolato “Cosa accade al tribunale dell’Aja” di Eric Gordy, pubblicato sul New York Times il 2 giugno e un post intitolato “Due sentenze sconcertanti all’Aja”, firmato da T.J. e pubblicato il 1° giugno sul sito dell’Economist.
Se avesse aspettato un altro giorno a mandare la lettera, avrebbe potuto citare un’altra fonte, cioè quella scritta dall’ex assistente al Segretario di Stato USA John Shattuck, un provato e fedele amico del Tribunale, che prese parte alla sua creazione. Nel suo articolo “Crimini di guerra insabbiati”, pubblicato il 7 giugno sul Boston Globe, Shattuck afferma che “se la maggioranza dei giudici dell’ ICTY fosse stata al processo di Norimberga, pochi, anzi pochissimi, capi nazisti sarebbero stati incriminati”.
Contrariamente a chi dice che il problema è stato ingigantito dal giudice “talpa”, piuttosto che dal presunto cambiamento di corso che lo stesso poneva all’attenzione, non è stato il giudice Harnoff a introdurre al pubblico dibattito i recenti sviluppi del tribunale. Negli ultimi mesi, centinaia, se non migliaia di articoli e analisi sono stati pubblicati sulla direzione intrapresa dal Tribunale. Sono stati più severi della lettera di Harnoff. Sono state firmate petizioni, richieste inchieste, chieste dimissioni senza che ciò abbia portato a dei risultati. Nemmeno uno dei pezzi grossi del Tribunale ha prestato attenzione a tutto ciò. “Sarà dimenticato”, hanno detto. Tuttavia non lo è.
Il dibattito su quanto accaduto fu lanciato lo scorso novembre, dopo la prima controversa sentenza che assolse i generali croati Gotovina e Markac grazie ad una maggioranza risicata di voti (3 contro 2). Le prime “salve” del dibattito furono sparate dai giudici Pocar e Angius, che non han tenuto toni moderati nell’esprimere la loro opinione contraria. Hanno definito la ricerca della maggioranza (giudici Meron, Robinson, Guney) come “semplicemente grottesca” e “in contraddizione con ogni senso di giustizia”, hanno poi affermato con schiettezza che la maggioranza è stata guidata da motivi differenti da quelli che concernono la tutela della legalità.
Il dibattito è proseguito ininterrotto, per divenire sempre più acceso dopo l’assoluzione del generale dell’esercito jugoslavo Perisic, fino ad infiammarsi dopo l’assoluzione dei capi dei servizi segreti serbi Stanisic e Simatovic. Si sono visti simili sviluppi al Tribunale del Rwanda che ha in comune le camere d’appello, e che è stato oggetto di polemiche e proteste sul nuovo corso assunto dopo le recenti sentenze.
Sta agli esperti di diritto internazionale, che si stanno occupando del caso dallo scorso novembre, analizzare e capire se il Tribunale sta veramente prendendo un nuovo indirizzo, chi ne trarrà beneficio e che impatto vi sarà per la giurisprudenza. In questa sede vogliamo solamente porre in rilievo alcuni casi lampanti, circa il volta faccia della giurisprudenza del tribunale dell’Aja e di Arusha. I fatti indicano che vi sono cose che non vanno.
Nel giro di un ristretto lasso di tempo pari a tre mesi e mezzo, dalla metà di novembre 2012 alla fine di febbraio del 2013, la camera di appello del Tribunale dell’Aja e di Arusha, guidato dal giudice Meron, ha cassato a colpi di maggioranza tre sentenze di condanna di cinque alti ufficiali militari e civili che erano stati condotti in giudizio per gravi violazioni dei diritto internazionale umanitario della Ex Jugoslavia e in Rwanda.
I tre processi sono durati complessivamente nove anni, con 900 sedute di tribunale. La corte ha dato udienza a 453 testimoni e ha esaminato migliaia di prove. La sentenza che ha stabilito che le responsabilità riportate dall’accusa erano state provate al di la di ogni ragionevole dubbio, così come indicato nelle motivazioni della sentenza lunghe 2608 pagine: 1377 pagine per Gotovina e Markac, 595 pagine per Mugenizi e Muginareza e 636 pagine per Perisic. I cinque accusati sono stati condannati a 24 anni (Gotovina), 18 anni (Markac), 30 anni (Mugenizi), 30 anni (Muginareza) e 27 anni (Perisic): totale 129 anni.
Successivamente, nel procedimento di appello, fu trovato che tutto ciò fu sbagliato e gli accusati sono stati prosciolti da tutte le accuse. Le sentenze di appello hanno rispettivamente 56, 55 e 49 pagine, e sono tra le sentenze più corte della storia. Alcuni giudici le hanno beffardamente commentate come “sentenze da rotocalco”.
Può esser vero che, come per le altre cose della vita, “non è la lunghezza ciò che conta”. Però a tutto c’è un limite. Per esempio, la sentenza d’appello del caso contro Florence Hartmann è lunga quanto quella di Gotovina e Markac. Nel caso di lei il procedimento di appello durò 22 mesi, tre mesi in più del caso contro i generali croati. Forse la camera d’appello ci mise più tempo data la natura peculiare del caso, dove la camera d’appello giocava tre ruoli: quella della presunta parte lesa, di procuratore e di giudicante. Forse è questo il motivo per cui ebbero bisogno di più tempo per scrivere e motivare la sentenza rispetto al caso dei due generali croati accusati di crimini di guerra contro civili Serbi durante l’operazione Storm nell’estate del 1995. Vogliamo semplicemente ricordare che il crimine della Hartmann fu quello di pubblicare il fatto che la Corte d’Appello di un tribunale che è sotto l’egida delle Nazioni Unite classificava come riservati una serie di documenti prodotti dal Consiglio Supremo di Difesa della Repubblica di Jugoslavia, rendendo per quest’ultimi impossibile l’utilizzo dinanzi ad un’altra corte delle Nazioni Unite, la Corte Internazionale di Giustizia, nel caso portato avanti dalla Bosnia Erzegovina contro la Serbia.
Torniamo ora alle sentenze cassate dai tribunali dell’Aja e di Arusha. Una domanda sorge spontanea: com’è possibile per nove giudici di tre collegi (per la precisione otto, perché un giudice voleva assolvere Perisic già in primo grado), com’è possibile per otto giudici di rango internazionale, commettere un così grave errore e condannare cinque innocenti per un totale di 129 anni? Come è possibile dopo che han speso ben 900 giorni di udienze ascoltando centinaia di testimoni e studiando migliaia di prove? Com’è possibile dopo che han speso milioni di dollari di tasse di contribuenti di tutto il mondo? Solo per la camera d’appello si può sommariamente concludere che gli sforzi e le conclusioni dei giudici di primo grado non valgono nemmeno la carta su cui sono stati scritti?
E’ possibile che i giudici di primo grado dei tribunali dell’Aja e di Arusha, siano così privi di integrità e professionalità, così da poter scartare così alla leggera le lo ricostruzioni e le loro conclusioni? Chi ha dato loro l’incarico di giudici di livello internazionale, se davvero sono così inetti? Chi ha stabilito che loro avessero i requisiti previsti all’Articolo 13 dello Statuto, che stipula che “i giudici devono essere persone di alto valore morale, imparziali e integerrimi e devono avere i requisiti previsti nei loro paesi per poter esercitare il ruolo di giudice”? Chi di loro può ricoprire alti ruoli nella magistratura del proprio paese se poi le sue sentenze vengono fatte a pezzi in appello? Chi assegnerà loro nuovi casi, nuovi processi a giudici di così bassa reputazione? E per quale motivo? Per vederli umiliati un’altra volta in appello?
E’ possibile che vi sia una così alta differenza in termini di qualità, professionalità, integrità e temperamento tra i giudici di primo grado e di appello? Dopo tutto, fatta eccezione per una sentenza di condanna che fu revisionata dopo la sentenza d’appello, le sentenze della camera d’appello non vengono né revisionate né cassate. Se questo è dovuto all’infallibilità dei giudici d’appello o alla mancanza di un’istanza superiore, questo è ancora da chiarire. In assenza di ulteriore grado, i loro rilievi e le loro conclusioni sono protetti dalla “presunzione di infallibilità”.
Tuttavia, la “presunzione di infallibilità”, non deve essere per loro uno scudo che li metta al riparo da critiche e proteste contro “il nuovo indirizzo” che hanno progettato per il Tribunale dell’Aja e di Arusha.
Fonte: Sense Agency
Traduzione di Pacifico S. per Forum Belgrado Italia
THE HAGUE | 11.07.2013.
WHERE IS THE TRIBUNAL HEADING FOR?
Appellate judges at the Gotovina trial
“Presumption of infallibility”, enjoyed by the appellate judges in the absence of a higher instance for the review of their judgments, should not shield them against public expressions of concern, criticism and protests against the ‘new course’ that they have plotted for the Tribunals in The Hague and in Arusha over the past few months
In a major upheaval following Judge Harhoff’s letter one tends to overlook the fact that public expressions of concern, criticism and protests against the Tribunal’s‘new course’ had been voiced long before 13 June 2013, when the letter was published, first in the Danish media and then worldwide.
In the opening lines of the letter that he sent to 56 of his friends and colleagues on 6 June, Harhoff refers to two recent articles, which ‘focus on events that cause deep concern both for me and for my colleagues here in the corridors of the the Tribunal'. Bearing in mind the dates, we can assume that he means the article entitled ‘What Happened to the Hague Tribunal’, an op-ed piece by Eric Gordy, published in the New York Times on 2 June and the blog post, ‘Two Puzzling Judgments in The Hague’, signed by T.J. and published on 1 June on the Economist’s website.
Had he waited for just one more day to send his letter, Judge Harhoff could have included another reference, the one to the piece written by former US Assistant Secretary of the State John Shattuck, a tried and tested friend of the Tribunal, who had taken part in its establishment. In his article ‘War Crimes Whitewash’, published on 7 June in the Boston Globe, Shattuck says that ‘if the ICTY majority had been sitting at Nuremberg, few, if any, Nazi leaders would have been convicted’.
Contrary to the claims made by those who believe that the problem lies with the first whistleblower judge rather than the change of the course he points to,it was not Judge Harhoff who launched the public debate about the recent developments at the Tribunal. Over the past few months, hundreds, if not thousands of critical articles and analyses on the Tribunal’s new course have been published. They were much harsher than Harhoff’s letter. Petitions have been signed, investigations called for, resignations demanded… yet to no avail. None of the top brass at the Tribunal has paid any attention to all that. ‘It will blow over’, they were saying. However, it has not.
The debate on what happens with the Tribunal was launched last November, after the first controversial judgment that acquitted Croatian generals Gotovina and Markač by a tight majority of votes (3:2). The initial salvoes in the debate were fired by judges Pocar and Agius, who did not mince their words in their dissenting opinions. They labeled the findings of the majority (judges Meron, Robinson and Güney) ‘simply grotesque’ and ‘contradict[ing] any sense of justice’, bluntly suggesting that the majority could have been guided by motives other than legal.
The debate has continued unabated, only to get more agitated after the acquittal of the former Chief of the VJ General Staff, Perišić, and to reach its boiling point with the acquittal of the former heads of the Serbian Secret Service, Stanišić and Simatović. There have been similar developments at the Rwanda Tribunal that shares both the Appeals Chamber as well as the concern and protests over the new course assumed following recent judgments.
It is up to the international law experts, who have been dealing with the issue since last November, to provide critical analysis in order to see whether the Tribunal indeed took a new course, who will benefit from it and what will be the impact of this new course on the Tribunal’s legal legacy. Here, we will merely highlight some glaring, easy to see facts, about the ‘volte-face’ in the jurisprudence of the Tribunals in The Hague and in Arusha. These facts indicate that there is something wrong with this picture.
In a short span of only three and a half months from mid-November 2012 to late February 2013, the Appeals Chambers of the Tribunals in The Hague and Arusha, led by Judge Meron, quashed by a majority vote three judgments convicting five high military and civilian officials who had been on trial for serious violations of international humanitarian law in the former Yugoslavia and Rwanda.
The three trials lasted for a combined total of nine years, or 900 trial days. The trial chambers heard a total of 453 witnesses and admitted into evidence thousands of exhibits. The trial judgments that found that the guilt of the accused had been proven beyond reasonable doubt, extended to a total of 2608 pages: 1377 pages for Gotovina and Markač, 595 pages for Mugenizi and Muginareza and 636 for pages Perišić. The five accused were convicted and sentenced to 24 years (Gotovina), 18 years (Markač), 30 years (Mugenizi), 30 years (Muginareza) and 27 years (Perišić): a total of 129 years.
And then, in the appellate proceedings, it was found that all this was erroneous and the accused were acquitted of all charges. The appellate judgments have 56, 55, and 49 pages respectively, and are among the thinnest judgments in the history of both tribunals (not only in volume). Some judges sneeringly describe them as ‘magazine judgments’.
It might well be true, just as for some other things in life, that it is not the ‘size that matters’ for appelate judgements. However, there should be a limit. For instance, the appellate judgment in the case against Florence Hartmann is as long as the Gotovina and Markač appellate judgment. In her case, the appellate proceedings took 22 months, three months longer than in the case against the Croatian generals. Perhaps the Appeals Chamber took more time to deal with it because of the peculiar nature of the case, where the Appeals Chamber played the triple role: that of an alleged injured party, the prosecutor and the trier. Perhaps that is why they needed more time to deliberate and produced a longer statement of reasons than in the case of the two generals charged with the war crimes against Serb civilians during and after Operation Storm in the summer of 1995. Let us justremind here that Hartmann’s ‘crime’ was to publish the fact that the Appeals Chamber of a UN court granted confidentiality to a set of documents produced by the Supreme Defense Council of the Federal Republic of Yugoslavia, thus making it impossible for them to be used before another UN court, the ICJ, in the case brought by Bosnia and Herzegovina against Serbia.
Let us go back to the quashed judgments of the Tribunals in The Hague and in Arusha. They beg the question: how is it possible for nine judges in three trial chambers (or, in fact eight, since one of the judges wanted to acquit Perišić at trial), so, how is it possible for eight professional international judges, to make such a grave mistake and put away five innocent generals and ministers for a total of 129 years? How is all of that possible after they had spent a total of 900 trial days hearing hundreds of witnesses and studying thousands of exhibits? How is it possible after they had spent untold millions of dollars of taxpayers’ money from all over the world? Only for the majority in the Appeals Chamber to summarily conclude that the efforts and the conclusions of the trial judges were worthless, not worth the paper they were printed on?
Is it possible that the members of the trial chambers of the two Tribunals, in The Hague and in Arusha, are so lacking in professionalism and integrity, that their findings and conclusions can be set aside so lightly? Who has appointed them as international judges, if they are really so inept? Were they appointed after they had pulled some strings ? Who looked at them and made a decision that they met the criteria set in Article 13 of the Statute, stipulating that ‘[t]he judges shall be persons of high moral character, impartiality and integrity who possess the qualifications required in their respective countries for appointment to the highest judicial offices’? What highest judicial office could be held by the judges whose judgments were so drastically torn to pieces on appeal? Who kept assigning new cases and new trials to the same judges who brought their profession into disrepute? Why? So that they could be humiliated on appeal again?
Is it possible that there is such a world of difference in terms of quality, professionalism, integrity and judicial temperament between the judges in the trial and appeals chambers? After all, with the exception of a single prison sentence that was revised following the appellate judgment, the appellate judgments still stand, unrevised and unquashed. Whether this is due to the infallibility of the appellate judges or to the lack of a higher instance for the review of their findings and conclusions… is an open question. In the absence of this higher instance, their findings and conclusions are protected by the “presumption of infallibility”.
However, the “presumtion of infallibility” should not shield them from public expressions of concern, criticism and protests against the ‘new course’ that they have plotted for the Tribunals in The Hague and Arusha.
Da Sense Agency