In morte da PFAS

La pericolosa presenza di sostanze perfluoroalchiliche nell’ambiente e sulla salute. INCHIESTA a cura di Michela Sericano, pubblicata sul numero di aprile del mensile Lavoro e Salute.

 

Vi sono crescenti preoccupazioni per la salute umana derivanti dalla presenza nell’ambiente, nell’acqua e negli alimenti, di sostanze per-fluoro-alchiliche (PFAS), che sono state ampiamente utilizzate anche in Italia dagli anni ’50, nell’industria e nel commercio.

L’ingestione, in particolare attraverso l’acqua potabile, è la via di esposizione umana predominante: dopo anni di utilizzo, i PFAS sono stati infatti trovati sia nelle acque superficiali sia in quelle sotterranee, causando esposizione, oltre che attraverso l’ingestione, anche per inalazione durante la doccia e per assorbimento cutaneo.

Gli effetti sulla salute umana vanno dalle disfunzioni del sistema immunitario, al cancro, ai disturbi endocrini e della fertilità, alle anomalie nello sviluppo dei bambini, sia a livello prenatale sia neuro comportamentale.

E’ doveroso sottolineare che le sostanze perfluroalchiliche (PFAS) non esistono in natura, della loro esistenza possiamo ringraziare prima 3M, che ne iniziò la produzione nel 1947, e poi DuPont, Miteni, Solvay, ecc,

Le loro proprietà sono conosciute fino dal 1999 negli Stati Uniti, così come le loro vie di propagazione; su di loro sono stati scritti molti libri, nel 2019 è stato realizzato il film “Dark Waters”, la storia drammatizza il caso di Robert Bilott contro la società di produzione chimica DuPont. Sono state oggetto di tesi di laurea nelle nostre Università (si veda http://insu briaspace.cineca.it/handle/10277/584?mode=full ), sono note da tempo alle Nazioni Unite, ai nostri Ministeri (http://www.reach.gov.it/sites/default/files/allegati/ProgettoPFAS_Finale_ottobre2013.pdf), fino ai nostri Enti locali, ma non sono note ai cittadini.

Noi, invece, crediamo che sulle sostanze perfluoroalchiliche i cittadini debbano poter conoscere tutto: dove si trovano, in quali aree hanno la massima concentrazione, chi e quando le ha immesse nell’ambiente, e in quali quantità, come si propagano, per quanto tempo persistono, quali danni provocano, quante ne abbiamo in corpo e infine chi e come ha il dovere di eliminare i PFAS dall’ambiente e dal nostro corpo.

Ad esempio, nel territorio di Alessandria le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono state largamente utilizzate in campo industriale nel Polo Chimico di Spinetta Marengo, dal quale si sono propagate nell’ambiente e nelle falde acquifere anche defluendo attraverso la Bormida e il Tanaro fino ad arrivare al Po. Sono arrivate persino ai prodotti alimentari e al corpo delle persone: sono presenti nel sangue dei lavoratori del Polo Chimico e presumibilmente dei cittadini.

Nel Veneto si è sollevata una grande preoccupazione per gli effetti degli PFAS sulla salute a causa dell’inquinamento presente in quelle zone. Nel 2015 la Regione Veneto ha commissionato un monitoraggio biologico sulla popolazione dell’area maggiormente esposta a PFAS. Nel 2016, l’Istituto Superiore di Sanità ha comunicato gli esiti di tale monitoraggio, conseguenti alle analisi sierologiche sulla popolazione. E’ emersa chiara la necessità di predisporre un piano di attività per la presa in carico delle persone esposte alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) mediante la collaborazione tra tutti i soggetti istituzionali competenti coinvolti (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, OMS, Centri di ricerca). Con DGR n. 2133 del 23 dicembre 2016 la Regione Veneto ha approvato il “Piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta alle sostanze perfluoroalchiliche”.

Non così è avvenuto per la zona di Alessandria, per la quale le conseguenze sulla salute della popolazione sono drammaticamente testimoniate anche dallo studio epidemiologico condotto da ASL e ARPA Alessandria sui residenti di Spinetta Marengo. A dicembre 2019 è stata pubblicata la seconda parte di questo studio epidemiologico di morbosità su dati dal 1996 al 2013.

https://www.arpa.piemonte.it/arpa-comunica/file-notizie/2019/relazione-studio-coorte-spinetta-marengo-18.pdf

In generale dall’analisi condotta sulla popolazione residente per almeno 5 anni nella frazione emergono eccessi significativi di rischio tra i residenti nella frazione Fraschetta (nei confronti del resto della provincia di Alessandria) per malattie infettive, diabete mellito e cirrosi epatica.

Lo studio ha affermato il Direttore di Arpa Alessandria, Alberto Maffiotti, “è un punto di partenza” ma i dati sono “oggettivi” perché arrivano dagli archivi del Sistema Sanitario Nazionale. “L’eccesso” di ricoveri e di mortalità, ha aggiunto, è “segnalato da anni”.

Arpa e Asl hanno evidenziato che vi è una differenza all’interno dello stesso sobborgo di Spinetta Marengo, con una maggiore incidenza in prossimità del Polo Chimico dove si trova Solvay.

Il Polo chimico di Spinetta Marengo è un sito che oramai da tempo è sottoposto a continuo inquinamento ambientale. Infatti dagli inizi degli anni cinquanta numerose lavorazioni industriali si sono avvicendate ed hanno portato ad un progressivo degrado dei terreni e della falda sottostante il Polo Chimico (solventi clorurati, cromo, ma anche DDT e fenoli). Per quanto riguarda i solventi clorurati ed il cromo esavalente, l’inquinamento delle falde sotterranee ha interessato una porzione estesa del territorio circostante lo stabilimento Solvay Solexis, per un raggio di circa tre chilometri attorno al polo chimico e con un cono di influenza maggiore fino per lo meno al fiume Bormida. Inoltre, come affermato nello studio condotto dall’ IRSA-CNR tra il 2011 e il 2013, il Polo Industriale di Spinetta Marengo con lo stabilimento di fluoropolimeri della Solvay Solexis, che scarica nel Bormida poco a monte della confluenza con il Fiume Tanaro, uno dei principali affluenti del Po, è stato individuato come una delle aree critiche industriali nel Nord Italia, confermandosi la sorgente principale di PFOA per l’intero bacino del Po, con un carico annuo di circa una tonnellata, il quale ha pesantemente contaminato la falda superficiale intorno al sito industriale. Tuttora, la stessa area è sottoposta a continui monitoraggi da parte di Enti di Controllo, come Arpa Piemonte ed IRSA, che confermano il persistere di una contaminazione ambientale da composti perfluorurati.

Più recentemente ARPA ha rilevato la “mancata identificazione delle sorgenti di contaminazione nello stabilimento”, nonché la mancata “risoluzione delle perdite in falda dei PFAS in stabilimento”.

In particolare.

PFOA e cC6O4

Le più recenti indagini condotte da Arpa indicano che all’interno del Polo Chimico le maggiori concentrazioni di PFOA e cC6O4 sono rilevate nel livello A (fino a 20 metri di profondità nel sottosuolo) nelle aree Plastomeri ed Elastomeri, aree dove vengono utilizzate le sostanze in questione, che al momento risultano essere quelle più significative in relazione ai tensioattivi fluorurati (dell’ordine anche delle centinaia di microgrammi/litro).

Queste due sostanze sono tuttavia rilevate in maniera ubiquitaria in tutto lo stabilimento, a concentrazioni inferiori, ma comunque dell’ordine delle decine di microgrammi/litro; ad esempio, concentrazioni elevate sono riscontrate anche nella zona centrale.

Per quanto riguarda l’esterno del sito produttivo, le sostanze perfluoroalchiliche hanno un impatto significativo anche sulla porzione esterna della falda superficiale (livello A); sono ritrovate oltre la barriera idraulica di contenimento, in maggiore concentrazione, nei piezometri esterni secondo il flusso di falda (direzione Nord Ovest), per i quali si segnala la concentrazione più elevata di PFOA nel piezometro Valle1 pari a 12.6 µg/l a gennaio 2020 e quella di cC6O4 in PzES7 pari a 7,3 µg/l a dicembre 2019.

I tensioattivi fluorurati sono stati ritrovati, con una distribuzione a raggiera, anche nei piezometri ubicati oltre il confine orientale dello stabilimento in occasione della campagna di monitoraggio svolta a gennaio 2020 in aree abitate a est e nord est dello stabilimento. Infatti, sono stati riscontrati PFAS nelle acque di vari piezometri e in un pozzo privato in via Sant’Audina.

ADV

Considerazioni analoghe possono essere espresse al riguardo di un altro PFAS, la molecola ADV7800 altra sostanza brevettata e utilizzata da Solvay fin dagli anni ’90.

Peccato che ancora nel 2020 Arpa lamentasse di non poter ricercare ed analizzare la molecola per mancanza di standard certificato e di doversi affidare ai dati forniti da Solvay. Rilevando in conclusione come Solvay sia responsabile della mancata identificazione delle sorgenti di contaminazione nello stabilimento nonché della mancata risoluzione delle perdite in falda dei PFAS.

Non si tratta solo di sostanze pericolose (PFAS) scaricate nel canale ufficiale di scarico degli effluenti liquidi recapitati poi nel fiume Bormida, ma di immissione di sostanze contaminanti nel sottosuolo e nella falda sottostante lo stabilimento Solvay, poi propagantesi all’esterno, mentre il D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, all’art. 104 (Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) stabilisce che “E’ vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo”.

A ottobre 2020 si è interessata alla questione anche la “Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati”. La Commissione si occupa di “ILLECITI”, pertanto Legambiente ha segnalato i seguenti comportamenti di Solvay che per noi sono “illeciti”, cioè vietati dalle leggi vigenti.

Gli impianti chimici di Solvay in Spinetta Marengo (Alessandria) lasciano percolare nel sottosuolo e nella falda acquifera composti perfluoroalchilici (PFAS) pericolosi per la salute e per l’ambiente.

Oltre a scaricare nel canale di scarico che confluisce nel fiume Bormida i propri reflui, tra i quali vari PFAS, per i quali si attende la fissazione di limiti previsti nel testo del Collegato Ambientale in fase di approvazione, gli impianti della società Solvay Specialty Polymers S.p.A lasciano percolare da anni nel sottosuolo dello stabilimento varie sostanze chimiche prodotte dagli stessi impianti, le quali si diffondono a monte e a valle inquinando i terreni e le relative falde, dentro e fuori il sito industriale.

In particolare si segnala la produzione e l’utilizzo nel suddetto stabilimento dei composti perfluoroalchilici (PFAS) con i nomi commerciali cC6O4 e ADV.

Arpa Alessandria rileva la presenza, in quantità preoccupanti, delle suddette sostanze PFAS nelle falde sottostanti gli impianti, anche all’esterno dei confini del sito industriale, come mostra ad esempio la seguente mappa.

Mappa realizzata da ARPA della concentrazione del PFAS cC6O4

 

nel sottosuolo, dentro e fuori alla Solvay di Spinetta Marengo (AL)

E la contaminazione, per quanto riguarda il C6O4, è in continua crescita!

I cittadini della zona e Legambiente chiedono da tempo che la produzione e l’utilizzo di queste pericolose sostanze vengano sospese fino a quando la società non sarà in grado di dimostrare la capacità di evitare qualsiasi percolamento nel sottosuolo e nelle falde sottostanti.

Legambiente e cittadini della zona, per le suddette ragioni, hanno presentato un esposto nel quale chiedono che il Procuratore della Repubblica, previa acquisizione dell’AIA vigente, mai pubblicata, nonché dei documenti relativi alla procedura di modifica sostanziale dell’AIA, in corso, al momento di presentazione dell’esposto, presso la Direzione Ambiente della Provincia di Alessandria, non pubblicati, voglia verificare, la sussistenza delle ipotesi di reato previste dall’art. 452 quater c.p. (disastro ambientale), dall’art. 434 c.p. (disastro innominato), e/o di eventuali altri reati, anche derivanti dall’occultamento della contaminazione nonchédella mancata interruzione della produzione per l’adeguamento degli impianti obsolescenti al fine di arrestare la fuoriuscita nel sottosuolo e nella falda delle varie sostanze perfluoroalchiliche pericolose.

A questi esposti ha fatto seguito un intervento dei NOE effettuato presso gli impianti Solvay lo scorso 11 febbraio, sui cui sviluppi per ora nulla è trapelato.

Infine il 26 febbraio 2021 si è conclusa la procedura di modifica sostanziale dell’AIA con la pubblicazione dell’autorizzazione, rilasciata dalla Provincia di Alessandria a Solvay, per l’aumento della produzione e dell’uso del cC6O4 nello stabilimento di Spinetta Marengo.

Le parole contenute nell’atto autorizzativo suonano come una resa della collettività alessandrina nei confronti dei vari tipi di inquinamento che Solvay ha determinato negli anni scorsi dentro e fuori l’impianto di Spinetta Marengo, che riguardano le nuove sostanze perfuoroalchiliche ma anche prodotti chimici classici come il cloroformio che tutt’oggi viene rilevato nel terreno e persino nelle cantine delle abitazioni all’esterno dello stabilimento.

Eppure Solvay è una delle principali industrie chimiche del mondo, e di certo questi inquinamenti non derivano dalla sua inesperienza tecnica, ma dalla scarsa importanza che l’azienda sceglie di dare ai temi della salute e dell’ambiente rispetto a quelli del profitto.

E simmetricamente la Provincia mostra bene lo storico atteggiamento di sudditanza alla grande azienda multinazionale quando anziché fissare rigidi confini alle sostanze utilizzabili, arriva a chiedere a Solvay, quasi in cambio della concessione dell’autorizzazione per il cC6O4, di poter conoscere quali altri composti PFAS pericolosi vengano utilizzati nell’impianto: prescrizione numero 31, pagina 11 dell’allegato tecnico “La ditta dovrà fornire a Provincia, Arpa, Asl e Comune l’elenco di tutti i PFAS che sono stati prodotti e/o usati in passato e che vengono attualmente prodotti e/o utilizzati presso il sito di Spinetta Marengo”.

E cosa dire del PFAS denominato “ADV7800”, il cui utilizzo non ci risulta essere mai stato autorizzato dalla Provincia, e che ora nella autorizzazione viene “condonato” a patto che il suo utilizzo venga “monitorato” e si riduca gradualmente fino a cessare nel 2025: prescrizione numero 5 a pagina 5 dell’allegato tecnico “L’incremento di utilizzo del cC6O4 deve essere corrispondente e pari alla riduzione di produzione e utilizzo di ADV (omissis). Entro fine 2022 l’uso dell’ADV dovrà essere ridotto del 90% rispetto a quanto dichiarato nel 2019, ed entro il 2023 la riduzione dovrà essere pari al 99%. La ditta si deve impegnare entro il 2025 alla totale dismissione dell’ADV (omissis)”.

Ma intanto l’ADV7800 è già da anni presente nel sottosuolo e nelle falde, dentro e fuori l’impianto, come Legambiente e alcuni cittadini hanno denunciato alla Procura della Repubblica di Alessandria nell’esposto dello scorso mese di settembre, basandosi sulle rilevazioni della stessa Solvay.

E ancora che dire della presenza di ben trentotto “omissis” nel testo dell’autorizzazione, fatti scegliere alla stessa Solvay come precisato a pagina 8 della determinazione, al punto 10 “la presente Determinazione Dirigenziale contiene informazioni che l’istante ha ritenuto riservate e, pertanto ai sensi dell’art. 29 quater – comma 14, la presente determina non può essere resa pubblica nella sua forma integrale”.

In proposito non si comprende come una collettività che deve sopportare per intero l’inquinamento prodotto dagli impianti Solvay debba essere privata delle informazioni fondamentali sulle attività che influenzano il proprio ambiente di vita, né si comprende come una prestigiosa azienda di fama internazionale come Solvay debba ricorrere a questi sotterfugi per non rivelare appieno gli aspetti ambientali delle proprie attività industriali, con uno stile che parrebbe ricordare un certo colonialismo terminato quasi un secolo fa: eppure siamo nel 21° secolo, e in Italia, non nel 19° secolo e in una colonia belga!

E anche per la specifica sostanza cC6O4 di cui la Provincia autorizza una produzione di ben 60 tonnellate all’anno, dato che “sono state pianificate dalla Ditta azioni di miglioramento della gestione dei reparti e interventi finalizzati a evitare il verificarsi di perdite di prodotto” (pagina 5 del provvedimento), ci chiediamo come sia possibile ancora avere fiducia in una azienda che queste “perdite di prodotto” (cC6O4 nel sottosuolo) ha colpevolmente tollerato per anni, anche se ne era certamente a conoscenza.

Ora non rimane che studiare attentamente il testo di questa che in prima battuta ci sembra una “autorizzazione-condono”, e verificare come procedere alla sua impugnazione legale.

Michela Sericano

 

 

Legambiente Ovadese Valli Orba e Stura

Pubblicata sul numero di aprile del mensile Lavoro e Salute

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