La lobby del gas. E dell’idrogeno.

02/02/2021

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Che cosa succede quando le più grandi corporations del petrolio e del gas iniziano a parlare di energie pulite e rinnovabili?

Ce lo siamo chiesto quando abbiamo iniziato la nostra ricerca su oltre duecento documenti relativi a decine di incontri tra gli alti funzionari della Commissione europea e alcune tra le più grandi corporations del petrolio e del gas e le loro organizzazioni di settore. Il tema degli incontri? L’idrogeno e il Green Deal europeo.

“La montatura dell’idrogeno”, la pubblicazione di cui oggi lanciamo la versione completamente tradotta in italiano, parla proprio di questo, e dell’enorme influenza che organizzazioni come IOGC, Gas Naturally, Gas Infrastructure Europe, ZEP hanno avuto sulle politiche europee definite negli ultimi due anni, a partire dal Green Deal Europeo. Politiche per l’industria, l’integrazione energetica e la rete di trasporto energetico europea (TEN-E), le rinnovabili, fino alla stessa strategia per l’idrogeno pubblicata a luglio 2020, in un mondo profondamente cambiato dalla pandemia ancora in corso. Non è un caso che le stesse discussioni sul Next Generation EU, e i piani di ripresa europei e nazionali per fare fronte alla pandemia da Covid-19 siano state profondamente influenzate dalle stesse organizzazioni e corporations verso la strada del rilancio dell’economia in chiave “verde” attraverso l’idrogeno, incluso quello prodotto da fonti fossili.

Il rapporto ci guida attraverso alcuni estratti di documenti e scambi di email che hanno preceduto o dato seguito a 163 incontri – tra dicembre 2019 e settembre 2020 – tra aziende e gruppi di interesse e i commissari europei Timmermans, Simson, Breton e i loro rispettivi gabinetti e direttori generali, per discutere di energia. Quello che si evince è un’intensa e concertata campagna di lobbying da parte dell’industria del gas orientata a spingere l’UE ad abbracciare l’idrogeno come la fonte energetica “pulita” del futuro, assicurando il sostegno politico, finanziario e normativo per un’economia basata proprio sull’idrogeno, sia che derivi da combustibili fossili, sia che venga prodotto da fonti rinnovabili. Una scommessa che ha ottenuto il beneplacito della Commissione europea, ancora una volta al centro di un non trascurabile conflitto di interessi: ad esempio per avere creato l’ennesimo gruppo di esperti in supporto ai lavori della Commissione, in cui il settore industriale la fa da padrone, ovvero la European Clean Hydrogen Alliance.

Tra le aziende che più si sono spese per dare gambe a questa campagna a favore dell’idrogeno (fossile) troviamo l’italiana Snam, grande corporation del settore del gas. Snam controlla una rete tentacolare di gasdotti e terminali di gas naturale liquido (LNG) in tutta Europa, direttamente o tramite sussidiarie. L’azienda, guidata da Marco Alverà (che è anche presidente di Gas Naturally, una delle più influenti partnership commerciali nel settore del gas), sostiene con decisione che il futuro dell’idrogeno dipenda dalle infrastrutture del gas fossile – e non parliamo solo di infrastrutture già esistenti.

La Snam da un lato continua a investire nell’espansione del suo core business – ovvero trasporto, dispacciamento, distribuzione, rigassificazione e stoccaggio del gas – con un investimento di 6,7 miliardi di euro entro il 2024, mentre dall’altro si presenta come votata alla sostenibilità, come se le due cose non fossero in profondo contrasto tra loro. Proprio oggi è in corso un’assemblea straordinaria degli azionisti di Snam in cui vengono discusse alcune modifiche allo statuto dell’azienda che permetteranno di ampliarne l’area di azione allargandola anche alla “costruzione e gestione di tecnologie e infrastrutture relative a fonti di energia rinnovabile (inclusi biometano e bio-GNL), idrogeno, mobilità sostenibile e risorse naturali” e alla “produzione, vendita e fornitura di servizi riguardanti fonti energetiche rinnovabili e idrogeno”.

Attorno all’idrogeno, in particolare quello prodotto da gas fossile – che ad oggi costituisce circa il 90% dell’idrogeno commercializzato – ruota l’intera strategia del settore del gas per “salvare” la rete di infrastrutture di distribuzione che altrimenti avrebbero rischiato a breve di diventare stranded asset, ossia degli attivi non più recuperabili. Ora invece, con l’inclusione dell’idrogeno (incluso quello fossile) all’interno del Green Deal europeo e la possibilità di finanziare il retrofitting dei gasdotti e delle altre infrastrutture anche attraverso le risorse messe a disposizione dalla Commissione europea – incluse quelle del Recovery Plan e NextGeneration EU – la rete delle infrastrutture del gas può diventare la “spina dorsale dell’idrogeno” voluta dalla coalizione Gas for Climate, di cui fa parte la stessa Snam.

Insomma tutto è bene quel che finisce bene? Dipende. Se l’economia dell’idrogeno fa tornare i conti delle corporation del gas, non è detto che li faccia tornare anche per il bilancio climatico globale. Guardando solamente all’Italia, i piani di nuove centrali a gas, l’espansione della rete e delle estrazioni di gas fossile – incluso nei mari italiani, nel bacino dell’Est Mediterraneo, in Mozambico o nell’Artico – i nuovi terminal LNG rappresentano una minaccia per l’ambiente e per il clima: il gas naturale è infatti 86 volte più climalterante della CO2 in un arco di 20 anni, e la maggior parte delle sue emissioni non vengono nemmeno misurate. Continuare a espandere gli investimenti nel gas, o addirittura proporre di produrre idrogeno dal gas naturale è una scelta scellerata che va contro l’interesse collettivo e la sostenibilità del Pianeta, che contribuisce a mettere a rischio la vita di milioni di persone già colpite in maniera devastante dagli effetti dei cambiamenti climatici, e che distrae noi tutti dalla possibilità di scegliere ora di abbandonare il modello estrattivista incentrato sui combustibili fossili per un modello diverso, non solo più sostenibile ma anche più democratico e equo.