Notiziario Patria Grande - Dicembre 2020

NOTIZIARIO

NOTIZIARIO

 Dicembre 2020

 

 

 

 

SOMMARIO

 

TELESUR (VENEZUELA) / INTERNI / ELEZIONI  E RAPPORTI CON USA E CANADA

Il Venezuela vince mentre Justin Trudeau continua a sbagliare

 

RT ESPANOL / ARGENTINA / A UN ANNO DALLE ELEZIONI

I risultati del peronismo e le battute d'arresto a un anno dal ritorno al potere

 

RT EN ESPANOL / MESSICO / LA ESTREMA DESTRA CONTRO OBRADOR

L'estrema destra in Messico: il fronte contro López Obrador che occupa agenda e spazi pubblici

 

GRANMA (CUBA) / ECONOMIA / INVESTIMENTI STRANIERI

Più di 500 progetti d’investimenti stranieri in Cuba

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / STATI UNITI

La Norimberga dell’impero sarà la storia

 

 


 


TELESUR (VENEZUELA) / INTERNI / ELEZIONI  E RAPPORTI CON USA E CANADA

Il Venezuela vince mentre Justin Trudeau continua a sbagliare

Arnold August*, 12 diciembre 2020

 

"Gli elettori venezuelani voltano le spalle al chavismo dopo 17 anni".

Questi erano i titoli dei grandi media internazionali di cinque anni fa, quando il chavismo perse le elezioni parlamentari. Nel corso dei cinque anni che seguirono, gli Stati Uniti e i loro alleati, compresa l'Unione Europea e il gruppo di Lima guidato da Canada e Colombia, intrapresero una feroce guerra ibrida. A partire dal 2019 si servirono di Juan Guaidó, l’uomo di paglia imposto e poi presidente eletto all'Assemblea Nazionale. Il suo scopo era rovesciare il governo di Maduro e trasformare a tutti i costi il Venezuela in satellite degli Stati Uniti e dell'Occidente, come tante volte si è era visto in passato.
Tuttavia, cinque anni dopo, secondo una dichiarazione del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) dell'8 dicembre: "L'alleanza formata dal Grande Polo Patriottico [Chavista] ha finora 4 milioni 276mila 926 voti per il 69,43%; l'alleanza composta da Acción Democrática, Copei, Cambiemos, El Cambio e Avanzada Progresista ha 1 milione 95mila 170 voti per il 17,72%; Venezuela Unida, Primero Venezuela e Voluntad Popular Activistas hanno 259mila 450 voti per il 4,15%; il Partito Comunista del Venezuela (PCV) totalizza 168mila 743 voti per il 2,7%. Il tutto rappresenta il 30,5 per cento degli elettori registrati nelle liste elettorali per questo processo elettorale.
Partecipazione: il 30,5 percento degli elettori si è iscritto nelle liste per questa tornata elettorale. Dei 277 seggi, “secondo i dati del National Electoral Council (CNE), il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV-Chavista) ha ottenuto 257 deputati tra nominali e di lista, mentre l'opposizione Azione Democratica (AD) ne ha ottenuti 11, Avanzada Progresista 3, El Cambio 3, Primo Venezuela 2 deputati, così come il partito Social Christian-Copei e il Partito Comunista del Venezuela uno ciascuno”.
Le forze estremiste associate all’asse Trump-Guaidó non sono riuscite a vincere come cinque anni fa perché hanno completamente boicottato le elezioni dell'Assemblea nazionale. Per ovvie ragioni: sanno che il loro sostegno alle sanzioni statunitensi e all'intervento militare li ha completamente completamente screditati. Il piano di gioco guidato dagli Stati Uniti per interrompere le elezioni è stato controproducente e il fatto che le elezioni si siano svolte regolarmente ha rafforzato il chavismo.

Il tasso di partecipazione del 6 dicembre è stato del 30,5% e, a prima vista, potrebbe sembrare una sconfitta, o addirittura un rifiuto del PSUV, ma lo sforzo concertato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati per ottenere un significativo tasso di astensione di almeno l'80% non ha avuto il risultato sperato. Il franco-argentino Marco Teruggi, uno dei giornalisti più rispettati e coerenti che scrive sul Venezuela, ha fornito una valutazione equilibrata:

“L'astensione non è stata dell'80%, né quella che si è verificata è il prodotto di una chiamata di Guaidó e Pompeo, ma è piuttosto il risultato di una serie di variabili come, ad esempio, la situazione di prolungata difficoltà economica causata da un blocco economico che, nel corso del 2020, ha assunto dimensioni ancora maggiori all'interno della pressione dispiegata dagli Usa. La variabile economica, con il suo conseguente impatto su malcontento e stanchezza, non è l'unica spiegazione della percentuale di partecipazione. Un'altra ragione può essere trovata nel complesso conflitto politico che ha generato logorio sulla popolazione, quando un settore non si sente più rappresentato da nessuna delle opzioni politiche esistenti”.
Anche l'analista politico argentino Atilio Boron offre un punto di vista equilibrato, confermando e ampliando molti dei punti sollevati da Marco Teruggi. Prima di tutto, valuta che “i piani della destra sovversiva e dell'imperialismo sono stati sconfitti. Tra i fattori che hanno avuto un effetto negativo sull’affluenza alle urne ci sono senza dubbio gli effetti della pandemia, che scoraggia a uscire di casa, salire sui mezzi pubblici, fare la fila per votare, trovarsi in prossimità di estranei e così via. Tali deterrenti non possono essere sottovalutati. Questo, ovviamente, non elimina la necessità di rivedere i dispositivi di mobilitazione popolare che sono sempre stati così importanti nel chavismo e che danno l'impressione di aver bisogno di una revisione urgente”.
Secondo Leonardo Flores del Gruppo Internazionale Contro la Guerra Code Pink, “la migrazione è un altro fattore che ha ridotto artificialmente la partecipazione. Solo i cittadini che attualmente risiedono nel Paese possono votare alle elezioni legislative, ma la maggior parte di coloro che se ne sono andati negli ultimi anni continuano a comparire nelle liste elettorali come se vivessero in Venezuela”.
Inoltre, i rapporti del 6 dicembre dal sito web The Grey Zone indicano che Guaidó stava “portando avanti una campagna di paura del COVID-19 attraverso invio sistematico di messaggi ai venezuelani affinché rimanessero a casa”. Tuttavia, più di sei milioni e 251 mila venezuelani si sono recati alle urne, indipendentemente da chi hanno votato, diventando così gli eroi di questo capitolo della storia del Venezuela.
Il 10 dicembre il presidente Maduro ha detto sui risultati delle elezioni parlamentari: "Ci sono tante cose da imparare, da rivedere, da studiare, da approfondire".

 

Una riconfigurazione della politica venezuelana
L'elezione ha portato anche una riconfigurazione della politica venezuelana. Gli Stati Uniti si sono sparati sui piedi. Non ci sono più forze filoamericane o pro-Guaidó nell'Assemblea nazionale. Uno degli osservatori elettorali statunitensi in Venezuela, Margaret Flowers of People'sDispatch, riferisce: “Abbiamo appena incontrato i candidati dell'Alleanza Democratica, i partiti di opposizione in Venezuela che hanno negoziato con il governo Maduro e che quest'anno stanno partecipando alle elezioni dell'Assemblea Nazionale nonostante le pressioni degli Stati Uniti per boicottarli. Credono nella pace, nella democrazia e credono che i venezuelani possano risolvere i loro problemi usando le istituzioni legali. Uno dei messaggi principali che vogliono che trasmettiamo al popolo statunitense è che l'opposizione di estrema destra di Juan Guaidó, finanziata dagli Stati Uniti, manca di sostegno in Venezuela; che è essenzialmente sostenuta dai venezuelani ricchi che hanno lasciato il paese e che sono loro a rappresentare l'opposizione nel paese. Vogliono che facciamo loro sapere che vogliono una normale diplomazia con il governo degli Stati Uniti, la fine della guerra economica e il rispetto della loro sovranità. Dopo le elezioni nazionali l'attuale Assemblea Nazionale non esisterà più. I membri dell'opposizione temono che, nonostante ciò, Washington e i suoi lacchè in Europa occidentale e in America Latina continueranno a sostenere il fantoccio statunitense Juan Guaidó a scapito del popolo venezuelano”.

Questo fu confermato subito dopo le elezioni quando, il 10 dicembre, il deputato eletto all'Assemblea Nazionale (AN) e Segretario Generale Nazionale del Partido Social Cristiano Copei, Juan Carlos Alvarado, assicurò che pur non avendo ottenuto la maggioranza dei seggi alle elezioni parlamentari del 6D è disposto a lavorare a partire dal prossimo 5 gennaio con i funzionari eletti.
Un altro rapporto di Caracas dello statunitense Rick Sterling illustra il terreno comune forgiato tra Chavistas e opposizione eletta:

 

Nell'incontro con i leader dell'opposizione venezuelana il 5 dicembre si sono sottolineati due enormi problemi: SANZIONI e INTERFERENZE POLITICHE. C'è unità su questi punti contro gli USA e le loro marionette. pic.twitter.com/Wk31DPk4Vn
- rick sterling (@ ricksterling99) 7 dicembre 2020

 

Trump e Trudeau sbagliano mentre Arreaza resta calmo
Come hanno reagito Stati Uniti e Canada a tutto questo? Più di ogni altra cosa, mostrano agitazione. Il 6 dicembre, durante le elezioni, il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, ha twittato:

 

“La frode elettorale del Venezuela è compiuta. I risultati annunciati dal regime illegittimo di Maduro non rifletteranno la volontà del popolo venezuelano. Quello che sta accadendo oggi è una frode e una farsa, non un'elezione”.


Poche ore dopo, il ministro degli Esteri canadese Champagne ha twittato:


“Il Canada non riconosce i risultati del processo elettorale del 6 dicembre in Venezuela perché non ha soddisfatto le condizioni minime per un esercizio libero ed equo della democrazia. Elezioni libere ed eque possono avvenire solo se i diritti democratici sono pienamente rispettati. Continuiamo a chiedere una transizione democratica pacifica ed elezioni presidenziali libere ed eque. Il Canada sarà sempre al fianco del popolo venezuelano nella lotta per ripristinare la democrazia. pic.twitter.com/zhAZLm7gC0

- François-Philippe Champagne (FPC) Venezuela (@FP_Champagne) December 7, 2020”.

 

Il governo Trudeau, sempre dello stesso sentimento e opinione degli Stati Uniti, non ha potuto evitare l'ingegnosità del ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza:

 

“La sindrome del ridicolo dell’era Trump è contagiosa. Adesso risulta che anche il Canada crede di essere il tribunale elettorale del Venezuela. Disprezzano il Diritto Internazionale. Non appoggiano le elezioni e vogliono ripristinare la democrazia. A noi non ci governa una regina né il capitale”.

 

Non c'è dubbio che Arreaza sia diventato una figura politica molto popolare in Canada, in particolare dalla conferenza dello scorso agosto, eppure il governo Trudeau fatica a restare a galla. Un precedente articolo, preludio alle elezioni parlamentari del 6 dicembre, suggeriva che "mentre la posizione di Guaidó in Venezuela è ai minimi storici, anche l'autoproclamato leader ad interim ha visto evaporare gran parte del suo sostegno internazionale".


La coalizione Trump-Trudeau-Gruppo di Lima si sta sciogliendo?
Vediamo. Il governo Trudeau è finalmente tornato in sé dopo le elezioni del 6 dicembre e la riconfigurazione del panorama politico venezuelano? Il gruppo di Lima e Guaidó sono stati rimossi? Così sembra. Come Pompeo, anche il ministro degli Esteri di Trudeau non ha menzionato il gruppo di Lima o Guaidó, che è già uno scoop molto rivelatore.
Eppure l'amministrazione Trudeau sta cercando disperatamente di resuscitare la sua fallimentare politica di cambio di regime. La politica aggressiva dell’asse Trump-Trudeau ha ripetutamente fallito e invece di unire le forze anti-Chavez, ha creato una divisione. Guaidó è più isolato che mai ed è praticamente solo, senza contare che non è più membro eletto di nessun organo governativo. Con il semplice fatto di essersi presentato alle urne, l'elettorato ha ratificato un'Assemblea Nazionale che per la prima volta si oppone al 100% alla coalizione Guaidó-Trump-Trudeau propensa alle interferenze e alle sanzioni.

Ma il 7 dicembre, il Segretario di Stato uscente, Mike Pompeo, ha seguito la stessa linea: "Il governo degli Stati Uniti continuerà a riconoscere il presidente ad interim Guaidó e l’Assemblea Nazionale legittima". Inoltre, il 7 dicembre, ricordando improvvisamente ciò che aveva dimenticato di menzionare, il governo canadese ha rilasciato una dichiarazione simile a quella di Pompeo, solo ache adesso a nome del gruppo di Lima, con il quale respinge i risultati del 6 dicembre.

Tuttavia, il governo Trudeau non sembra essere imbarazzato dal fatto che tra i paesi del gruppo Lima, presumibilmente incaricati di portare la democrazia in Venezuela, c'è lo stesso Perù che sta attraversando un'altra crisi politica ed è senza un presidente, il Guatemala dove i manifestanti hanno dato fuoco al Congresso, il Cile che ha applicato una violenta repressione contro chi chiedeva la rimozione del presidente Piñera dell'era Pinochet, e la Colombia che compie regolarmente massacri e omicidi di attivisti sociali.

Nella fretta di organizzarsi, Trudeau e il suo Gruppo di Lima, a differenza di Pompeo, non hanno menzionato Guaidó né l'Assemblea Nazionale rimasta indietro. È stata una svista? O riflette una divisione dei ranghi della coalizione guidata dagli Stati Uniti, Trudeau e Duque? La già disprezzata amministrazione Trump si è spinta troppo oltre nel fare la ridicola affermazione che l'Assemblea Nazionale con Guaidó come "presidente" esiste ancora?

Grande divisione all'interno dell'opposizione: "È finita, sciolta, chiusa". Apparentemente è così, visto che nell'opposizione sono comparse altre crepe.

In un'intervista alla BBC del 6 dicembre, Henrique Capriles, ex esponente dell'opposizione due volte candidato alla presidenza contro Chávez e Maduro, ha affermato che l'opposizione deve continuare sulla rotta elettorale invece della rotta violenta, niente di personale contro Guaidó, ma quella è finita, sciolta, chiusa". Tuttavia, Capriles è d'accordo con le sanzioni, il che lo pone in contrasto con i candidati dell'opposizione neoeletti che sono contro le sanzioni. Secondo un dispaccio della Reuters, “l'ufficio stampa di Henrique Capriles e il Dipartimento di Stato non hanno risposto immediatamente alle richieste di un commento. L'ufficio stampa di Guaidó ha rifiutato di commentare".
Il 9 dicembre si tirano in ballo altri due oppositori: “Ramos Allup e Julio Borges si dissociano da Guaidó perché l'autoproclamato non ha voluto dividere i soldi che ha rubato”.
Il 9 dicembre, l'Organizzazione degli Stati Americani (OEA) con sede a Washington DC e controllata dagli Stati Uniti, ha tenuto una riunione virtuale. La bozza di risoluzione è stata presentata dal Brasile e ha avuto il sostegno di Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Stati Uniti, Guatemala, Paraguay, Perù, Uruguay e altre nazioni fino ad giungere a 21 voti favorevoli (tre in più del necessario per essere approvati). I rappresentanti di Argentina, Messico e Bolivia hanno votato contro.

Inoltre, in quella dichiarazione della OEA, sebbene l’organizzazione abbia giurato per Guaidó e abbia agito come suo portavoce virtuale qualche tempo fa, questa volta non ha menzionato Guaidó. Invece, nella sua dichiarazione l'OEA dichiara: "Fare una convocazione urgente in modo che sia garantita la protezione e l'incolumità fisica dei membri democraticamente eletti dell'Assemblea nazionale e consentito il ritorno in sicurezza di quei membri dell'opposizione in esilio".
Tuttavia, anche questo non pone in modo arrogante l'OAS sui deputati neoeletti dell'Assemblea Nazionale, che include anche la maggior parte dei partiti di opposizione. Se qualcuno avesse voluto fare un racconto sulla divisione e le pugnalate alle spalle tra i rappresentanti dell'opposizione, non ci sarebbe stato bisogno di inventare nulla.
Nel frattempo, il ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza mantiene la calma, ma è determinato nello spirito della Rivoluzione Bolivariana. Arreaza ha risposto all'OEA in un tweet:

 

Canciller @jaarreaza: «¡La OEA è alla fine!

Almagro sarà il suo becchino.

Il Venezuela non crede nella OEA, e ancora meno dopo ciò che la OEA ha fatto in Bolivia, con le condizioni che ha posto per il colpo di Stato.

¡La OEA è niente!».#VamosVenezuela pic.twitter.com/uQ7VHG4V0q

- Instituto Simón Bolívar (@ISB_VE) December 3, 2020

 

Allo stesso modo, quando l'ambasciata del Regno Unito in Venezuela rilasciò una dichiarazione in cui respingeva i risultati delle elezioni, Arreaza scrisse un tweet: “Eallora? Fatti gli affari tuoi.
È tempo che il Canada abbia una politica estera indipendente"

L'ovvia sottomissione, l’esitazione e l’incoerenza del governo Trudeau non sono passate inosservate ad alcuni membri del Parlamento canadese come Niki Ashton del New Democratic Party, riferendosi alla posizione del Canada che rifiuta di riconoscere i risultati delle elezioni del 6 Dicembre:

 

Questo tweet è imbarazzante.
È ora che il Canada abbia una politica estera indipendente. È tempo per noi di dire no all'imperialismo in America Latina e altrove. È ora di rispettare la volontà delle persone. https://t.co/Kj3MBobeuc
- Niki Ashton (@nikiashton) 7 dicembre 2020

 

Circolano altri esempi di colloqui sui social media di parlamentari e attivisti sociali, i quali rappresentano una parte significativa dell'opinione pubblica canadese. Tuttavia, resta il problema di quando e come questa opposizione a Trudeau possa essere attuata in Parlamento e quindi influenzare l'opinione pubblica.
La riconfigurazione dell'Assemblea Nazionale del Venezuela fa parte della più grande ridefinizione geopolitica dell'America Latina. La vittoria del 6 dicembre arriva dopo che il golpe fascista appoggiato dagli Stati Uniti in Bolivia è stato sostituito da un governo ispirato dal “fuorilegge” Evo Morales. Nel 2021 sono previste le elezioni in Ecuador, dove il movimento che sostiene Rafael Correa cerca la vittoria. In Venezuela, le elezioni locali e regionali sono previste per il 2021. In Brasile, Cile e Colombia, quanto tempo possono resistere i governi di destra?

Su tutte queste questioni, è chiaro che il governo Trudeau è dalla parte sbagliata della storia. Il suo comportamento scandaloso nei confronti del Venezuela è solo una parte della sua fallimentare politica imperialista che, fedele alleato degli Stati Uniti, cerca chiaramente l'egemonia nordamericana sull'America Latina e sui Caraibi. Il governo Trudeau non ha imparato nulla dall'umiliante sconfitta nella sua candidatura per un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il governo Trudeau conta sulla crisi del COVID-19 per attutire tutte le discussioni interne sulla sua politica estera. I media corporativi canadesi seguono l'esempio, ripetendo disperatamente le bugie sul Venezuela e su qualsiasi altro stato del mondo che si trova nel mirino della politica estera degli Stati Uniti, piuttosto che del Canada. La necessità di una politica estera canadese indipendente non è mai stata così grande.

Questo è un adattamento dell'articolo originale pubblicato su The Canada Files.

* Arnold August, giornalista e conferenziere canadese, è autore dei libri Democracy in Cuba e 1997–98 Elections (1999), Cuba y sus vecinos: Democracia en movimiento (2014) e Relaciones Cuba-EE.UU: ¿Que ha cambiado? (2018). E’ collaboratore di teleSUR.

 

Traduzione a cura del Gruppo di Lavoro Patria Grande del CIVG

 

https://www.telesurtv.net/bloggers/Venezuela-gana-mientras-que-Justin-Trudeau-sigue-errando-20201212-0002.html

 

 


 


RT ESPANOL / ARGENTINA / A UN ANNO DALLE ELEZIONI

I risultati del peronismo e le battute d'arresto a un anno dal ritorno al potere

Cecilia González*, 9 dicembre 2020

 

Quel 10 dicembre del 2019 sembrava difficile che la situazione argentina potesse peggiorare, ma tre mesi dopo è arrivata la pandemia che, come nel resto del mondo, ha peggiorato le condizioni di vita. Il quadro è diventato ancora più cupo.

I risultati sono oggettivi. Gli ultimi dati ufficiali rilasciati lo scorso settembre dall'Istituto Nazionale Statale di Statistica e Censimento (Indec) hanno rivelato che durante il primo semestre del 2020, cioè il primo semestre del governo Fernández, la povertà è cresciuta del 35,5%, lasciata da Macri al 40,9%.

Entro la fine dell'anno, il dato dovrebbe crescere ancora, come ha anticipato la scorsa settimana l'Università Cattolica Argentina (UCA) che, sulla base di una sua propria analisi, stima che la povertà investa il 44,5% della popolazione.

Nei primi mesi della pandemia, Fernández si è distinto come uno dei leader latinoamericani che ha meglio gestito la crisi sanitaria. A differenza di altri presidenti, non ha mai minimizzato il coronavirus, ha decretato una rigorosa quarantena, chiuso i confini e negoziato e ottenuto il sostegno dell'opposizione. In un paese devastato da tanti anni dalla polarizzazione, le immagini di un presidente sostenuto da politici non del suo partito hanno sorpreso positivamente.

Ovviamente, la sua popolarità è aumentata, ma la luna di miele è durata poco. Nel corso dei mesi, la pandemia ha generato una stanchezza sociale provocata in gran parte dalla stampa dell'opposizione. Fin dall'inizio, non c'è stato nulla che andasse bene agli antiperonisti. Le marce anti-quarantena, a tutti gli effetti contro il governo, sono state ripetutamente presentate come il mito di una libertà che in realtà non è mai stata messa in discussione.
Da allora, qualsiasi mobilitazione contro il peronismo ottiene la solita sovraesposizione mediatica. Basta criticare e anche insultare il presidente o il governo in generale per diventare una star mediatica per far credere che la maggioranza della popolazione pensi che il governo sia un disastro.

 

Debiti
Una delle prove principali del logoramento di Fernández è stata la ricomparsa in pubblico di Macri che ha radicalizzato il suo ruolo di opposizione. Sfoggiando la classica amnesia e il cinismo di cui solitamente soffre la classe politica, come se non avesse mai governato e non dovesse rendere conto del fallimento della sua amministrazione, l'ex presidente ha dato il via al defenestramento del suo successore allertando sugli inesistenti rischi che starebbe correndo la democrazia e ipotizzando che, se fosse stato rieletto, avrebbe gestito meglio la crisi dovuta al covid.

Con la pandemia in testa e contro le previsioni più pessimistiche che nel caso dell'opposizione erano più un desiderio che una volontà, il governo è riuscito a ristrutturare il debito estero con creditori privati ​​per un importo di 66 miliardi di dollari. La tesa rinegoziazione, segnata da colpi di scena e previsioni di default, nella quale arrivò a intervenire a favore dell'Argentina perfino il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, è terminata in agosto. È stato un sollievo. Il successo della conduzione della trattativa ha consolidato la già positiva fama di cui godeva il ministro dell'Economia Martín Guzmán.

A quel punto, il governo cercò di destreggiarsi per continuare sul percorso dei benefici sociali di emergenza progettati per mitigare, per quanto possibile, l'impatto sociale della crisi sanitaria. Per mantenere le sue promesse di giustizia sociale, il presidente ha sorpreso all'inizio di settembre stabilendo per decreto che una quota senza precedenti di almeno l'1% delle posizioni nella pubblica amministrazione fosse occupata da travestiti, transessuali o transgender.

Sempre per decreto, a novembre ha legalizzato l'auto-coltivazione di marijuana per scopi medicinali, una richiesta di vecchia data dei settori progressisti che cercano di modificare le stupide politiche sulle droghe e smettere di criminalizzare i consumatori.
Ma la grande scommessa è stata la legalizzazione dell'aborto, in piena discussione al Congresso, che era una delle principali promesse della campagna di Fernández. Salvo i cambi di posizione dell'ultimo minuto, l'iniziativa ha i voti necessari per essere approvata. La sfida principale sarà il Senato. Se il disegno di legge sarà approvato, Fernández passerà alla storia come il presidente che ha promosso l’affermazione di un diritto tanto osteggiato. Non è cosa da poco per un anno di governo e per giunta nel bel mezzo di una pandemia.

Imbarazzante
Fernández è un caso unico di presidente scelto dal suo vicepresidente, candidato in virtù del fatto che Cristina Fernández de Kirchner ha rinunciato perché era l'unico modo per il peronismo di tornare al potere. Il gioco ha funzionato, anche se aleggiavano dubbi su chi avrebbe esercitato il potere. Al di là delle speculazioni, nelle ultime settimane quello che entrambi hanno dimostrato è un allontanamento sociale, e non proprio a causa della pandemia visto che di solito non parlano neanche al telefono, e politico visto che le contraddizioni tra i due sono sempre più evidenti.

Un esempio è stata la modifica promossa da Cristina alla formula del pensionamento che il presidente aveva inviato al Congresso. Oppure la lettera in cui lei, il politico argentino più potente, criticava pubblicamente parte del governo.
Fino a che punto possa arrivare questa tensione tra i due leader è ancora un mistero, ma ciò su cui non si hanno dubbi è che nel governo c'è un dissidio che si è svelato, come non era ancora successo dal suo inizio, in occasione della veglia di Diego Armando Maradona, segnata da disorganizzazione e violenza.
Il governo nazionale ha cercato di addossare la responsabilità della repressione al governo locale di Buenos Aires, ma si è dimenticato di assumersi la responsabilità per l'operazione fallita che ha permesso ai teppisti di entrare con la forza nella Casa Rosada. Chi ha potuto pensato che fosse una buona idea che il presidente cercasse di calmare la folla da dietro le sbarre e con un megafono? Perché si è esposto e lo hanno esposto a questo rischio? Chi è responsabile di un'immagine così penosa?

Deplorevole come il ruolo di first lady alla vecchia maniera che sta svolgendo Fabiola Yáñez, la compagna del presidente, che ha posato con i bambini poveri come una star benefattrice, in una veste che sarebbe stata meglio ai funzionari del gabinetto del presidente.
O come la campagna di autopromozione condotta dal ministro della Sicurezza della provincia di Buenos Aires, Sergio Berni, che di tanto in tanto pubblica video in cui ripete discorsi conservatori e pesanti che poco o niente hanno a che fare con il Peronismo della campagna, più simili al macrismo, e in cui recita una specie di Rambo che critica e si copre di ridicolo allo stesso tempo.
Bisognerà vedere se queste mancanze saranno risolte nei tre anni di governo che restano a Fernández, o se nella sempre imprevedibile Argentina ne emergeranno altre.

 

* Cecilia González

Periodista mexicana en Argentina, escribo libros y crónicas, produzco documentales, doy talleres de periodismo

 

Traduzione a cura del Gruppo di Lavoro Patria Grande del CIVG

 

https://actualidad.rt.com/opinion/cecilia-gonzalez/376339-logros-traspies-peronistas-ano-alberto-fernandez

 


 

 

RT EN ESPANOL / MESSICO / LA ESTREMA DESTRA CONTRO OBRADOR

L'estrema destra in Messico: il fronte contro López Obrador che occupa agenda e spazi pubblici

Javier Buenrostro*, 11 dicembre 2020

 


Circa 400 tende da campeggio realizzano il presidio del movimento FRENA

nel quartiere Zócalo di Città del Messico. Foto: Dulce Olvera, SinEmbargo.

 

Il 1° dicembre scorso, il governo di Andrés Manuel López Obrador e della Quarta Trasformazione hanno compiuto due anni. Sono state fatte molte analisi al riguardo, a favore e contro, come sempre accade, ma in particolare vorrei evidenziare due cose: la prima è il livello di gradimento del 71%, corrispondente a circa 100 milioni di persone, che dimostrerebbe che il governo sta portando benessere alla maggioranza dei messicani; e la seconda è un'opposizione senza bussola, senza proposte e senza fantasia che si sta sempre più radicalizzando e sta cedendo spazio politico all'estrema destra.

Dopo la sconfitta del fascismo nella Seconda Guerra Mondiale, molti dei seguaci si nascosero a fronte della devastazione causata dai leader, ma con la caduta della cortina di ferro e il fallimento e la miseria offerti dai governi neoliberisti, i simpatizzanti a poco hanno perso la vergogna e il decoro e sempre più spesso sono tornati alla luce per partecipare più attivamente alla scena politica.

Negli ultimi cinque anni, l'estrema destra ha cominciato ad occupare spazi pubblici e, in diversi casi, anche posizioni di potere rilevanti. Il trionfo di Donald Trump ha fatto sì che tutti si volgessero ad analizzare l'estrema destra degli Stati Uniti, anche se con diagnosi approssimative. Si è parlato di Trump e di "Trumpismo" come fosse qualcosa emersa solo nel 2016, mentre le origini possono essere fatte risalire al XIX secolo, con la Guerra Civile e la scissione di due modelli di Paese, non solo economicamente, ma anche nel processo di sviluppo e civilizzazione. Già nel 2012 Morris Berman, nel suo libro "The Roots of American Failure", anticipava questo fenomeno sociale negli Stati Uniti e ne enfatizzava il contesto storico.

Un anno dopo Trump, in Germania c’è stata un'importante avanzata elettorale dell'estrema destra che ha ottenuto il 13% dei voti e oltre 90 seggi in Parlamento. Subito dopo, è arrivato Bolsonaro con un discorso classista, omofobo e sessista che ha trionfato in Brasile nel 2018. Il 10 novembre 2019, con soli cinque anni di storia alle spalle, il partito spagnolo Vox, guidato da Santiago Abascal, è diventata la terza forza del Congresso dei Deputati, con 52 seggi, mentre quello stesso giorno in Bolivia è stato compiuto un colpo di Stato da parte dell'estrema destra. A questo si deve aggiungere la leadership che esercitano nei paesi dell'Europa orientale, come Ungheria e Polonia.

In Messico, gruppi ideologici simili a quelli menzionati stanno emergendo a causa dell'impossibilità dell'opposizione moderata di formulare proposte o critiche sostanziali durante i due anni del governo di López Obrador. La loro disorganizzazione e le loro evidenti incapacità hanno permesso a gruppi più radicali di cercare di imporre i loro programmi negli spazi pubblici, pur essendo settori minoritari e per nulla rappresentativi.

Questa non è una novità. Negli anni '30, l'estrema destra messicana flirtò con il fascismo e persino personaggi come José Vasconcelos, un politico ed educatore che promuoveva l’integrazione, espresse apertamente le sue simpatie per Hitler nelle pagine della rivista Timón. Durante la Guerra Fredda e fino all'inizio degli anni Ottanta, organizzazioni clandestine di estrema destra come Los Tecos, El Yunque o El Muro hanno agito con violenza, sponsorizzate da uomini d'affari cattolici. Molti dei suoi membri hanno ricoperto posizioni chiave nei governi di Vicente Fox e Felipe Calderón (2000-2012) e in alcune roccaforti statali dell'estrema destra come Guanajuato e Jalisco.

Oggi questa estrema destra dai tratti autoritari e violenti è rappresentata principalmente dal Fronte Nazionale Anti-AMLO (FRENAA), il cui leader più visibile è un uomo d'affari di Nuevo León che ha collaborato al governo di Vicente Fox. FRENAA ha raggiunto la notorietà nazionale nelle scorse settimane, da quando si è piazzato per quasi due mesi nello Zócalo di Città del Messico.

Questa improvvisa popolarità ha messo a nudo anche le sue pratiche: l’irresponsabilità di assembramenti in tempi di covid-19; un sit-in che fatto passare per performance artistica perché in 400 tende da campeggio non c'erano nemmeno 70 persone, così le tende sono volate in cielo come aquiloni perché non erano presidiati; paga da 10 a 25 dollari ai senzatetto e ai migranti centroamericani per dormire nel tende e far figurare che ci fosse qualcuno a protestare.

FRENAA rivendica i diritti messicani di quasi un secolo fa sostenendo i valori religiosi, e si oppone al "comunismo" e alla "dittatura" del presidente López Obrador. La sua narrazione comprende la xenofobia e la teorie del complotto globale che viola i valori cristiani e la proprietà privata. Lo storico Luis Herrán Ávila ha giustamente chiamato questi diritti trumpismo creolo, notando le somiglianze con quanto sta accadendo negli Stati Uniti.

Questa destra reazionaria e religiosa è ideologicamente simile a quella che ha perpetrato il colpo di stato in Bolivia, a cui si sono aggiunti alcuni gruppi imprenditoriali arricchiti sotto la protezione del potere politico. Più che uomini d'affari, sono beneficiari del regime di corruzione che esistevano nel priismo (dottrina ideologica seguita dai seguaci del Partido Revolucionario Institucional de México, ndt) dei regimi della Guerra Fredda e successivamente con il neoliberismo. Il volto più in vista di questo diritto imprenditoriale è Claudio X. González Guajardo, figlio di Claudio X. González Laporte, uno degli uomini più ricchi del Messico e consigliere di Carlos Salinas de Gortari, padre del neoliberismo messicano.

Questo gruppo imprenditoriale ha come maschera principale un'organizzazione che, secondo quanto riportato dai giornali, gestisce con totale opacità gli enormi contributi finanziari che riceve dall'élite imprenditoriale i cui amministratori sono legati ai governi di Vicente Fox e Felipe Calderón.

Sia FRENAA che l'organizzazione di Claudio X. González stanno cercando a tutti i costi di creare un'enorme coalizione che consentirà loro di affrontare le elezioni di medio termine che si terranno nel 2021. L'estrema destra si mescola alla destra imprenditoriale, il priismo più antico e alcuni intellettuali "liberali" ora sconosciuti al fisco. Tutti si stanno unendo per andare contro il movimento nazional-popolare di López Obrador, che ha il 70% dell'approvazione nazionale.
Questa coalizione sembra essere la "fine delle ideologie", come disse lo scrittore Juan Villoro, ma non è così. In realtà, è il legame tra l'ideologia di estrema destra messicana con il pragmatismo della corruzione e la collusione tra potere politico e potere economico che il Messico ha sperimentato nel vecchio regime con i governi del PRI e del PAN. È davvero pericoloso.

Resta da vedere quanti seggi al Congresso l'estrema destra messicana potrà ottenere alle elezioni del 2021 poiché, sebbene faccia molto rumore sui social e sulle colonne dei giornali, non gode di una vera base di appoggio popolare. Ma l'incapacità delle élite di destra e di quelle moderate di fare proposte reali, e non solo invettive, sta alimentando le narrazioni radicali di questa opposizione.

Il Messico ha bisogno di una destra e di un'opposizione in linea con i tempi moderni. Non ha niente di buono il fatto che personaggi retrogradi e reazionari, figurine d’epoca, si approprino con violenza dello spazio pubblico. L'opposizione moderata deve fermare il suo cammino e fare una riflessione profonda e critica o sarà la principale responsabile dell'avanzata dell'estrema destra messicana.

 

* Javier Buenrostro

Storico dell'Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) e della McGill University, Canada. Dottorato in Scienze Politiche presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS), Francia.

 

Traduzione a cura del Gruppo di Lavoro Patria Grande del CIVG

 

https://actualidad.rt.com/opinion/javier-buenrostro/376599-ultraderecha-mexico-frente-protesta-amlo-agenda

 

 



 

GRANMA (CUBA) / ECONOMIA / INVESTIMENTI STRANIERI

Più di 500 progetti d’investimenti stranieri in Cuba

 

 

 


Terminale dei Contenitori di Mariel. Nel 2020 la Zona Speciale di Sviluppo Mariel

ha attirato investimenti stranieri diretti per un ammontare superiore

a 730 milioni di dollari. Photo: Ricardo López Hevia

 

«La Cartella delle Opportunità degli Affari conta su 503 progetti d’investimento straniero, 43 in più rispetto alla precedente revisione, e prevede un ammontare di investimenti stimato intorno ai 12 milioni di dollari», ha detto Rodrigo Malmierca Díaz, Ministro del Commercio e dell’Investimento estero, in occasione dell’inaugurazione del I Forum delle Imprese 2020 che si è concluso il 9 dicembre.

«In questa occasione - ha aggiunto - sono stati inclusi 112 nuovi progetti e 72 sono stati già approvati o in fase di avanzata negoziazione». Poi ha affermato che queste iniziative sono distribuite in tutto il territorio nazionale e che il turismo è il settore che presenta il maggior numero di opportunità con 131 progetti.

La Cartella identifica chiaramente la Zona Speciale di sviluppo Mariel come asse strategico di trasformazione produttiva e di opportunità internazionale con 44 proposte. Già nel 2002 il Mariel aveva attratto investimenti stranieri diretti per un ammontare superiore a 730 milioni di dollari.

Malmierca Díaz ha spiegato che «si progettano affari di portata minore e investimenti con marcata impronta all'esportazione, che appoggino lo sviluppo locale e, sempre che sia possibile, si aggiungono progetti tecnologici che appoggino l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili».

Il Ministro ha sottolineato che è stata eliminato l’obbligo di partecipazione cubana maggioritaria in settori come il turismo, la biotecnologia e il commercio all’ingrosso. Questa esigenza resta solo per l’estrazione delle risorse naturali e le prestazioni dei servizi pubblici.

Maby Martínez Rodríguez, Yaditza del Sol González e GM per Granma Internacional, 9 dicembre 2020

 

 


GRANMA (CUBA) / ESTERI / STATI UNITI

La Norimberga dell’impero sarà la storia

L’isolamento contro la COVID-19 offerto dagli Stati Uniti alle persone senza tetto è un esempio di come usano i diritti umani: solo per difendere gli interessi politici. Foto: EFE

 

Alla fine della Seconda Guerra  Mondiale, i diritti umani diventarono un argomento privilegiato nel discorso egemonico del capitalismo mondiale. Gli Stati Uniti si posero come giudici supremi dei diritti umani. Le bandiere e le rivendicazioni, che da sempre appartenevano al movimento socialista internazionale, gli furono usurpate e usate come armi contro di esso.

Il filosofo francese Michel Foucault avvertiva che esisteva il rischio di «reintrodurre una dottrina dominante usando come pretesto una teoria o politica dei diritti umani».

La doppia morale degli USA quando si tratta di giudicare questi diritti ne evidenzia la loro gestione privata a difesa degli interessi di una classe globale sempre più minoritaria.

Nei fatti, il Paese che più di tutti viola i diritti umani è diventato il giudice assoluto di tutto ciò che è contrario si suoi interessi. Le bombe atomiche lanciate sulle città giapponesi  di Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945, i milioni di civili vietnamiti assassinati con il napalm e l’agente arancio, la martirizzata Faluya in Iraq, assediata e bruciata con il fosforo bianco, non colmano lo spazio di orrori senza fine che l’impero ha seminato nella memoria dell’umanità.

 

I virus usati come armi per uccidere

Dal 1956, i militari statunitensi sono vettori di esperimenti di trasmissione di malattie attraverso le zanzare. Fort Detrick, il centro delle investigazioni biologiche e di sviluppo delle armi chimiche statunitense, ha allevato per anni un ampio serraglio di artropodi come vettori utilizzabili nella guerra biologica, tra cui le colonie di zanzare infettate con dengue, febbre gialla e malaria.

E' noto che lo scienziato USA Charles Henry Calisher, quello che nel 1975 a Cuba condusse ricerche sull’immunità della popolazione ai diversi ceppi del virus dengue, aveva avuto legami con gli scienziati di Fort Detrick. I risultati delle ricerche di Calisher a Cuba furono utilizzati dalla CIA per introdurre la malattia nell’Isola prima nel 1977 con il virus 1, e poi nel 1981 con il virus 2, quando si riportarono più di 344 mila malati, con più di 10 mila casi gravi e molto gravi e 158 morti, soprattutto bambini.

L’esperienza dell’esercito USA nella guerra biologica è lunga e ricca di casi deplorevoli come la manipolazione del “vibrione Cholerae”. Il colera è stato usato come arma in diversi scenari nei Caraibi e nel continente africano, che hanno sofferto le peggiori conseguenze.

Nel 2001 è stato decifrato completamente il codice genetico della peste bubbonica e la varicella. Oggi, mediante metodi d’ingegneria genetica, si può modificare il genoma dei micro organismi che provocano queste malattie, utilizzato per fabbricare armi biologiche.

Esperimenti con esseri umani

Recentemente si è saputo che decine di migliaia di persone negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno partecipato senza saperlo a test di armi chimiche, batteriologiche e droghe. Più di 20 mila cittadini sono stati vittime di test con gas senapato, fosgeno, gas sarín e altri agenti come antrax,  yersinia pestis, mezcalina e acido lisergico nel  comprensorio laboratorio ultra-segreto di Porton Down.

I ricercatori di Porton Down hanno realizzato 750 prove a cielo aperto tra il 1946 e il 1976, molte delle quali in Nigeria, Bahamas o Malesia. Cinque di questi test sono stati realizzati nel mare usando antrax o batteri della peste bubbonica.

Tra il  1946 e il 1948, in un programma patrocinato ed eseguito dal governo degli Stati Uniti in  Guatemala, vari medici statunitensi infettarono, mediante inoculazione diretta e senza consenso, molti cittadini guatemaltechi - tra cui reclusi, pazienti psichiatrici, prostitute e bambini – con malattie veneree come la sifilide e la gonorrea.

Tra il 1957 e il 1964, il dottor Donald E. Cameron, assunto dalla CIA per realizzare esperimenti di controllo mentale, sottopose i suoi pazienti a una terapia che superò di 30-40 volte le norme stabilite. Cameron induceva i suoi pazienti a stati di coma per mesi, e riproduceva registrazioni con dichiarazioni semplici o rumori ripetuti. Le vittime dimenticarono l'uso della parola o soffrirono gravi amnesie.

Per investigare i possibili effetti, le Forze Armate degli Stati Uniti e la CIA realizzarono una serie di prove di attacchi chimici e biologici contro varie città statunitensi negli anni ‘50 del secolo scorso. Tra gli "studi" c’era la dispersione del virus della pertosse nella baia di Tampa, che portò a un’epidemia che causò 12 morti.

Nel quadro di un programma segreto per studiare l’effetto degli elementi radioattivi durante l’esecuzione della prima fase del programma nucleare statunitense, il governo fece iniettare a cavie umane sostanze altamente tossiche come il plutonio e l’uranio.

Sono migliaia i casi di oltraggio al principale diritto umano della vita commessi dalla "filosofia" del capitalismo, contraria a qualsiasi rispetto della salute, del benessere e della stessa vita.

I governi di un paese come gli Stati Uniti, capaci di commettere tali orrori, che guardano con indifferenza o fatalismo la morte di più di 300 mila dei loro cittadini per la COVID-19, non hanno la minima autorità morale per giudicare né per erigersi a paladini della difesa dei diritti umani.

 

Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 9 dicembre 2020