Notiziario Patria Grande - Settembre 2020

Settembre 2020

 

SOMMARIO

 

REVISTA DE FRENTE (CILE) / LATINOAMERICA / NICARAGUA

Il Covid-19 diminuisce in Nicaragua, mentre i critici al riguardo si zittiscono

 

INVESTIGACTION.NET (BELGIO) / AMERICA LATINA / COLOMBIA E DIRITTI UMANI

Colombia: la normalizzazione dei massacri

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / MESSICO E DIRITTI UMANI

Il Messico rivela i dettagli sulla scomparsa dei 43 studenti di  Ayotzinapa

 

RT SPAGNOLA / AMERICA LATINA / BOLIVIA ALLE ELEZIONI

Corte boliviana respinge ricorso per escludere il partito di Evo Morales dalle elezioni

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / VENEZUELA

Il Tavolo di Dialogo in Venezuela giunto a un accordo

 

GRANMA (CUBA) / ANALISI / PRIVACY E DIRITTI

Il Big Data e la scienza della manipolazione delle masse

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / DIRITTI UMANI IN USA

La schiavitù moderna negli USA: lo sfruttamento sessuale delle donne

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / DIRITTI UMANI

Tagliare i tentacoli  transnazionali della tratta delle persone

 

 

GRANMA (CUBA) / CULTURA / RIVOLUZIONI COLORATE

Senza luce nè gloria: le rivoluzioni dei colori

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / NOBEL PER LA PACE AI MEDICI CUBANI

Lettera al Comitato Nobel Norvegese

 

GRANMA (CUBA) / INTERNI / POLITICHE SOCIALI

Di fronte ai tempi nuovi i CDR progrediscono, non rallentano

 


REVISTA DE FRENTE (CILE) / LATINOAMERICA / NICARAGUA

Il Covid-19 diminuisce in Nicaragua, mentre i critici al riguardo si zittiscono

 

 

Nessun Paese può ancora affermare di aver sconfitto il Covid-19, ma è evidente che alcuni hanno avuto miglior esito di altri. Il Nicaragua è uno di questi e potrebbe persino essere riconosciuto come leader mondiale.  

Con meno di 5.000 casi di Covid-19 da quando è iniziata la pandemia, secondo le cifre ufficiali, ha un numero di contagiati molto inferiore a Panama (105.000), Guatemala (85.000), Honduras (71.000), Costa Rica (63.000), El Salvador (27.000). 

Ovviamente, è assodato che i dati del Nicaragua, come quelli degli altri Paesi, sottovalutano l'incidenza reale del virus. Ma perfino il cosiddetto Osservatorio Cittadino "indipendente", strettamente legato ai gruppi politici d’opposizione nicaraguense, riporta all’incirca 10.000 casi soltanto, molto al di sotto dell'incidenza nei Paesi vicini. 

E i numeri dell'osservatorio, come chiarisce il loro sito web, non si basano su prove, bensì su fonti non verificabili, compreso il "sentito dire" (definito come "opinioni pubbliche spontanee"). 

Che cosa prova che l'epidemia in Nicaragua sia sotto controllo? Durante le ultime sei settimane, da inizio agosto, vi sono stati soltanto circa mille nuovi casi.  

Il livello settimanale di nuovi casi si è ridotto a 143 (metà settembre), da un massimo di 480 alla settimana a fine maggio. 

Ciò riflette la realtà sul campo: ora gli ospedali stanno affrontando un numero limitato di casi di Covid-19 e l'ospedale di Managua che si dedicava esclusivamente al trattamento del virus, l’Aleman Nicaraguense, ha aperto le porte ad altri pazienti.  

Per strada, mentre la gente adotta ancora precauzioni e la maggioranza usa le mascherine, è minima la sensazione che la pandemia sia la più grande preoccupazione per tutti, come lo fu quattro mesi fa. 

L'Organizzazione Panamericana della Salute (OPS) informa che il Nicaragua ha il tasso di mortalità per Covid-19 più basso delle Americhe.  

Inoltre, secondo Forbes, alla fine di agosto il Nicaragua aveva il maggior tasso di guarigione da Covid-19 della regione, con oltre il 90 % dei pazienti recuperati. Si tratta di cifre incoraggianti, benché si disporrà di dati davvero confrontabili soltanto quando si potranno esaminare i tassi nazionali di mortalità durante il periodo della pandemia dei differenti Paesi. 

Le politiche del governo nicaraguense si sono differenziate molto da quelle dei Paesi vicini. Il Nicaragua si era preparato presto: attrezzando 19 ospedali per gestire malattie respiratorie gravi, facendo formazione e aggiornamento per tutti i 36.000 membri del personale sanitario sul trattamento del virus, mantenendo stretti controlli sanitari alle frontiere con quarantene monitorate per i nuovi arrivati, realizzando visite casa per casa con brigate di salute volontarie ad offrire indicazioni utili (circa cinque milioni di visite in totale), rintracciando i contatti della maggior parte dei casi noti e stabilendo una linea telefonica di assistenza gratuita per fornire consulenza alle persone sintomatiche. 

Ciò che non fece fu imporre un confinamento forzato, sostenendo che avrebbe causato maggiori sofferenze, giacché i molti nicaraguensi che devono lavorare per mangiare tutti i giorni, non avrebbero potuto farlo.  

Il picco della pandemia coincise con la stagione della semina: come sarebbe sopravvissuto il 40% dei nicaraguensi delle zone rurali, senza le nuove colture? 

Al contrario, i Paesi limitrofi imposero blocchi rigidi, provocando manifestazioni e causando penurie estreme, combattendo le violazioni con multe severe o addirittura con repressioni violente (la polizia in Honduras sparò sui panettieri che non rispettavano la chiusura, uccidendone uno).  

Da allora, tutti questi Paesi si son visti obbligati a moderare le restrizioni, in parte per il danno considerevole causato ai mezzi di sussistenza della gente, anche quando il numero dei casi ha continuato ad aumentare. 

Quanto si è verificato in Nicaragua non è ciò che i mezzi d’informazione dell’opposizione e la stampa internazionale si aspettavano. All’inizio i media internazionali concessero maggiore credibilità ai dati esagerati dell'Osservatorio Cittadino piuttosto che a quelli del governo stesso.  

Ad esempio, quando il 26 maggio il Ministero della Sanità (MINSA) riferì 759 casi comprovati di COVID-19, l'osservatorio ne riportò oltre 2.600 ed altri 2.000 come "presunti", nessuno dei quali basato su prove. 

Le ONG di destra e i canali dei mezzi d’informazione realizzarono previsioni che avevano il chiaro proposito di spaventare la gente, e purtroppo una parte di nicaraguensi ci ha creduto.   

Ad esempio, un resoconto del noto canale informativo “100% Noticias” del 2 aprile, predisse che 23.000 nicaraguensi sarebbero morti a causa del virus ai primi di maggio (in realtà, agli inizi di maggio vi furono solo 6 morti).

La BBC pubblicò un report che includeva una previsione di una ONG locale chiamata FUNIDES, che per giugno ci sarebbero stati almeno 120.000 casi di contagiati dal virus e 650 morti. Nel report la BBC metteva in dubbio i dati forniti dal governo nicaraguense, riportando la previsione palesemente esagerata di FUNIDESsenza nemmeno metterla in discussione. 

FUNIDES non lavora nel settore sanitario e nel 2018 ha ricevuto oltre 120.000 dollari dalla National Endowment for Democracy , agenzia sostenuta dal governo degli Stati Uniti per promuovere la "democrazia" in Nicaragua, e 253.245 dollari dalla USAID. Queste ed altre dicerie e congetture sono state raccolte da “Juventud Presidente” nel video “Falsa matematica sul Covid-19 in Nicaragua”. 

Non c’è da stupirsi che gli organismi internazionali che hanno criticato costantemente il governo del Nicaragua utilizzassero la pandemia per reiterare i loro attacchi. 

Ad esempio, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani il 29 maggio ha concluso una lunga lettera esprimendo la “sua preoccupazione per l'accesso al diritto alla salute della popolazione nicaraguense”, fingendo di non sapere che il Nicaragua ha molti più ospedali pubblici gratuiti del vicino Honduras (che ha una popolazione superiore del 50%), che 19 di essi sono stati costruiti a partire dal 2007 quando i sandinisti sono tornati al potere, che il Nicaragua spende per la salute una quota del bilancio nazionale maggiore rispetto a praticamente qualunque altro Paese delle Americhe.  

Di recente la Banca Interamericana di Sviluppo ha collocato il Nicaragua al secondo posto in America Centrale e al quarto in tutta l'America Latina per investimenti nel campo della salute. 

Amnesty International, citando anch’essa i numeri dell'Osservatorio Cittadino, ha utilizzato la pandemia per rinnovare le sue critiche al governo di Daniel Ortega, questa volta (in agosto), puntando sulle condizioni carcerarie.  

Persiste nel sostenere che ci sono 80 prigionieri politici in Nicaragua, nonostante le diverse amnistie concesse dal governo, ed ignorando che i detenuti degli ultimi mesi (molti dei quali furono già amnistiati precedentemente nel 2019), hanno commesso reati gravi. 

Il più atroce di essi fu senza dubbio l'assassinio di due bambini a Mulukukú; l'accusato (ora arrestato ed incriminato), aveva partecipato all'attacco dell'opposizione contro il commissariato di polizia nel giugno del 2018, in cui morirono tre poliziotti. 

Mentre le condizioni carcerarie in Nicaragua hanno richiamato l'attenzione di Amnesty International, essa ha ignorato le condizioni molto peggiori nelle prigioni honduregne dove, in realtà, ci sono stati molti decessi per Covid, compresi quelli di prigionieri politici, come i giornalisti dissidenti. 

Vi sono alcuni segnali che il successo del Nicaragua, alfine, stia guadagnando qualche riconoscimento. Il sito web di sinistra, Toward Freedom, pubblicò un articolo pesantemente distorto sull’approccio del Nicaragua rispetto alla pandemia in giugno, cioè che il coronavirus avesse trovato in Nicaragua negazione e silenzio.  

Ma adesso apparentemente stanno avendo dei dubbi (nonostante abbiano respinto una risposta scritta congiuntamente dal defunto e grandeKevin Zeese, pubblicata invece da Popular Resistance).  

Il sito web New Humanitarian in settembre pubblicò un articolo altrettanto distorto, utilizzando principalmente fonti dell’opposizione. Ora ha accettato di riesaminare la questione. 

Il fatto più incoraggiante è che una lavoratrice della salute del Regno Unito, Rita Drobner, scienziata biomedica in un ospedale di Londra, abbia affermato che la corrispondenza su The Lancet, compresa la risposta dettagliata alle critiche dei medici degli Stati Uniti, sia stata importante nel Regno Unito per contrastare le critiche infondate al Nicaragua.  

La sua opinione è che The Lancet abbia sbagliato a pubblicare un articolo “tanto scientificamente superficiale e senza fondamento", ma che ora c'è stato un dibattito pubblico in un luogo importante, dove sono state considerate le motivazioni di un Paese povero a determinare certi provvedimentie dove la campagna di salute pubblica responsabile ne è uscita più forte e più chiara. 

Può essere solo una questione di tempo prima che la risposta efficace del Nicaragua alla pandemia sia riconosciuta dai media corporativi, specie perché contrasta molto con l'esperienza della maggioranza degli altri Paesi latinoamericani e, ovviamente, degli Stati Uniti e del Regno Unito. 

Nel frattempo, i sondaggi d’opinione dimostrano che la fiducia dei nicaraguensi nel loro servizio sanitario, senza dubbio deteriorata dalla campagna di propaganda dell'opposizione agli inizi dell’anno, è stata sostanzialmente recuperata.  

È anche evidente che il Nicaragua sta rilanciando la sua economia, dopo i gravi danni causati dal tentato colpo di stato del 2018 e, anche qui, nonostante gli infausti pronostici dell'opposizione di un disastro economico imminente. 

John Perry | Resistencia Popular    -   26 settembre 2020

 

Fonte:  http://revistadefrente.cl/covid-19-declina-en-nicaragua-mientras-criticos-caen-en-silencio/

 



 

INVESTIGACTION.NET (BELGIO) / AMERICA LATINA / DIRITTI UMANI

Colombia: la normalizzazione dei massacri

Tredici giovani assassinati a Bogotá dalla Polizia Nazionale Colombiana mentre protestavano per la morte di Javier Ordoñez sempre per mano della stessa polizia. Fino a questo punto del 2020 sono 56 i massacri in tutto il Paese. Questa è la Colombia del cosiddetto post-conflitto, a quattro anni dalla fine dei negoziati di pace dell'Avana.

 

Alexander Fonseca, 17 anni; Andrés Rodríguez, 23 anni; Julieth Ramírez, 18 anni; Freddy Mahecha, 20 anni; Germán Fuentes, 25 anni; Julián González, 27 anni; Cristian Meneses, 27 anni; Marcela Zúñiga, 36 anni; Angie Vaquero, 19 anni. Bisogna scriverli i loro nomi, perché la Colombia è stanca di essere rappresentata con il numero dei suoi morti. Loro e altri quattro giovani sono morti nelle notti del 9 e del 10 settembre durante le proteste e i disordini che hanno avuto luogo nelle strade della capitale della Colombia.

Migliaia di residenti di Bogotá, a poco più di un anno dallo sciopero nazionale colombiano del 2019, sono scesi in piazza quel pomeriggio con un enorme accumulo di emozioni gridando disperatamente per la morte dell’avvocato Javier Ordoñez avvenuta per mano della polizia durante un fermo in cui è stato vittima di violenze con scosse elettriche di cui esistono le registrazioni.

"Chi ci protegge in polizia?", "Polizia assassina" e "Giustizia per Javier, domani potrebbe toccare a noi", c’era scritto sugli striscioni innalzati davanti a una decina di diverse sedi del Comando di Azione Immediata (CAI) della polizia che alcune ore dopo sono stati dati alle fiamme. La notte ha trasformato la rabbia in fuoco e la Squadra Mobile Anti Sommossa ha represso selvaggiamente i tanti gruppi di persone armate vestite con abiti civili, altrimenti chiamati paramilitari.

Il saldo è costituito da tredici giovani senza vita, circa 300 manifestanti feriti, 66 da arma da fuoco, 93 agenti feriti, 178 arresti, una minorenne violentata in commissariato e decine di mezzi del trasporto pubblico o appartenenti alle forze dell'ordine bruciati. Fonti non ufficiali assicurano che le vittime tra i manifestanti sarebbero molte di più e che tra queste vi siano molti giovani, anche di 20 anni. La risposta sociale agli abusi, alla brutalità della polizia e alla violenza strutturale che in questo paese ha assunto la forma della protesta e della rivolta, ha risuonato nelle due notti successive alla morte di Ordoñez anche nelle città di Cali e Medellín. E’ già in atto la campagna di stigmatizzazione della protesta sociale ed è stato decretato il coprifuoco per i minori a Bogotà.

Claudia López, sindaco di una capitale di sette milioni e mezzo di abitanti, ha rifiutato di decretare il coprifuoco generale nella sua città, un provvedimento normalmente applicato in Colombia in situazioni di disordine. L'ex presidente Álvaro Uribe Vélez, attualmente detenuto, ha risposto attraverso le reti social qualcosa che sembra ordinare una contromisura: “Sarebbe meglio il coprifuoco da parte del Governo Nazionale, Forze armate in strada con veicoli e carri armati, deportazione dei vandali stranieri e cattura degli autori intellettuali”. Così ha scritto in un tweet del 10 settembre il leader del Centro Democratico, partito che detiene il potere attraverso la presidenza di Ivan Duque che, dopo tutto questo terremoto, si è limitato a “un appello alla calma”.

Uribe, ora noto come prigioniero numero 1087985 anche a gran parte del suo paese che aveva bisogno di questo momento da anni, è agli arresti domiciliari nella sua fattoria di 1.500 ettari chiamata El Ubérrimo, ad Antioquia. E mentre in Colombia chi era presidente durante l'ascesa del paramilitarismo, della parapolitica e dei falsi positivi continua a dare ordini dai suoi arresti domiciliari, le indagini a suo carico per reati di corruzione e frode procedurale in un caso che lo lega direttamente al paramilitarismo sono passate di mano dalla Corte Suprema di Giustizia alla Procura, dove ora sono condotte da un procuratore vicino al Centro Democratico.

 

Un partecipante alle mobilitazioni del 9 settiembre a Bogotá

 

Durante la giornata in cui si commemoravano i 47 anni del colpo di stato contro Salvador Allende in Cile, in Colombia ha fatto tendenza in tutte le reti sociali il #YaDioLaOrden in risposta alla domanda che risuona a livello nazionale e internazionale: chi ha dato l'ordine? Chi ha dato l'ordine di sparare ai giovani di Bogotà? Chi ha dato l'ordine di uccidere i cinque minorenni afro-colombiani di Llanoverde assassinati in un burrone il 12 agosto? Chi ha dato l'ordine all'esercito di assassinare un membro della comunità e un portavoce del popolo nasa a Corinto, Cauca, il 13 agosto? Chi ha ordinato che otto studenti ricomparissero morti a Samaniego, Nariño, il 15 agosto? Chi ha dato l'ordine di uccidere sei contadini a Tambo, nel Cauca, il 21 agosto? Chi ha dato l'ordine di assassinare tre giovani a nord di Santander il 26 agosto?

Nel solo mese di agosto, per tante famiglie un mese fatidico, in Colombia sono state uccise 47 persone in quelli che il presidente definisce "omicidi collettivi". Quello già noto come il Massacro di Bogotá è il numero 56 del 2020, in cui 218 persone sono state uccise con atti di violenza che l'Istituto per lo Sviluppo e gli Studi sulla Pace (INDEPAZ) classifica come crimini contro l’umanità. E sempre in questo mese di agosto che è quello che vide il Paese di García Márquez ritornare ai tempi sanguinari del terrore, è stato raggiunto il numero di 1.000 leader sociali assassinati dalla firma dell'accordo di pace tra le FARC e il governo di Juan Manuel Santos, nel novembre 2016. Un accordo a cui l'attuale governo si oppose e di cui le comunità rurali, principali beneficiarie delle riforme scritte nelle sue 310 pagine, continuano a chiedere l'attuazione.

La nipote del portavoce Abelardo Liz, assassinato dall'Esercito

a Corinto, Cauca, nella terra di suo zio

 

Dalla firma della “pace” e dall'inizio del “post-conflitto”, le numerose regioni da cui si è ritirata la guerriglia – nelle quali vigeva generalmente il ruolo dello Stato – sono state occupate da dissidenti depoliticizzati della stessa organizzazione o dei gruppi paramilitari che ora esercitano il controllo territoriale ed economico soprattutto del narcotraffico, ma anche di attività come l'estrazione mineraria, di idrocarburi o come le monocolture estensive che lasciano le popolazioni e centinaia di comunità in balia delle grandi multinazionali e dei loro apparati di sicurezza privata.

La maggior parte dei massacri sono stati perpetrati proprio in queste regioni. Abelardo Liz, ad esempio, un popolare portavoce degli indigeni nasa, è stato assassinato insieme a José Ernesto Rivera il 13 agosto a Corinto, Cauca, un comune storicamente dominato dal Sesto Fronte delle FARC, noto per le tonnellate di marijuana che esporta in tutto il mondo e che, dopo tre anni di relativa calma, due anni fa è tornato alla “normalità” degli scontri armati tra dissidenti ed esercito e alle auto-bombe nel centro del paese. Un proiettile dell'esercito ha attraversato l'addome di Liz durante il suo lavoro di giornalista durante un'operazione congiunta tra forza pubblica e sicurezza privata della multinazionale INCAUCA SA che pretendeva di sfrattare le comunità indigene nasa dalle fattorie infestate dalle monocolture di canna da zucchero di questa società.

“I massacri e gli omicidi dei difensori sono stati ‘normalizzati’ nelle comunità colombiane. Sono 500 anni di colonizzazioni, genocidi, 200 anni di sottomissione della repubblica creola, di guerra bipartisan, la guerra dei 1000 giorni, la guerra contro la guerriglia... Un bambino considera normale che ogni giorno si trovino uno o due morti nel fiume o in strada”, spiega Abisail Secue, studiosa della storia del popolo nasa di Corinto: “Chi ha governato il Paese in questi 200 anni sono poche famiglie e quando si vuole restare al potere usano strategie per seminare terrore. Così hanno alimentato la guerra. I massacri ci sono sempre stati e finché il modello di istruzione e formazione non cambierà difficilmente riusciremo a cambiare questa cultura della morte”.

Ivan Duque, preoccupato negli ultimi mesi per la situazione pandemica dovuta al Covid che in Colombia ha già provocato la morte di oltre 22mila persone e impegnato a difendere il suo mentore politico Álvaro Uribe con chiari atteggiamenti incostituzionali, attribuisce i massacri “al traffico di droga e al terrorismo”. In assenza di misure politiche, varie associazioni di avvocati e difensori dei diritti umani, tra cui il popolare collettivo di avvocati José Alvear Restrepo a cui ha aderito il senatore Iván Cepeda, hanno presentato una denuncia con la quale si richiede l'immediata sospensione del ministro della Difesa Carlos Holmes Trujillo e del comandante della polizia di Bogotá Oscar Gómez, tra le altre alte cariche politiche e militari.

“Abbiamo visto lo stesso modus operandi, abbiamo visto agenti di polizia attuare gli stessi comportamenti contemporaneamente in diverse parti della città come l'uso di armi da fuoco e il coordinamento con i civili (…), nonostante il sindaco Claudia López abbia ordinato il contrario. Penso che tutti i cittadini si siano posti la stessa domanda: chi ha dato l'ordine? La risposta deve esserci data dalle autorità molto rapidamente, poiché la polizia è un organo gerarchico con una linea di comando chiara”. Così Franklin Castañeda del Comitato per la Solidarietà con i Prigionieri Politici ha chiesto spiegazioni in una conferenza stampa. Una domanda che si applica anche alle stragi avvenute in tutto il Paese, a pochi giorni l'una dall'altra, per le azioni dei gruppi armati fuori legge.

A livello internazionale ci sono state decine di manifestazioni di solidarietà e denuncia dell'allarmante situazione di violazione dei diritti umani in Colombia. A Barcellona, ​​ad esempio, con lo slogan “Ci stanno massacrando”, un centinaio di esiliati e migranti colombiani hanno manifestato davanti al consolato colombiano. "Siamo qui per ricordare al governo che gli interessi privati ​​non sono mai al di sopra della vita del popolo colombiano", si legge in una dichiarazione congiunta. "Che pericolo essere giovani, donne, afro, contadini, LGTB, sindacalisti, insegnanti, leader sociali, migranti, squali, giungla, foreste e fiumi in Colombia", portava scritto uno striscione. Uno dopo l'altro, chi ha dovuto fuggire dal suo Paese a causa della violenza e della precarietà, si è buttato sulla strada simulando il genocidio colombiano e gridando "Chi ha dato l'ordine?".

Già, chi ha dato l'ordine?

Berta Camprubí, 21 settembre 2020, elsaltodiario.com

Fotografie: Berta Camprubí

(Traduzione di Luigi Mezzacappa)

 

https://www.investigaction.net/es/colombia-o-la-normalizacion-de-las-masacres/

 

 



GRANMA (CUBA) / ESTERI / MESSICO E DIRITTI UMANI

Il Messico rivela i dettagli sulla scomparsa dei 43 studenti di  Ayotzinapa

Sei anni dopo l’esecrabile crimine, la commissione di investigazione guidata dal vice segretario dei Diritti Umani della Segreteria di Governo Alejandro Encinas, ha informato sulle novità emerse in una riunione tenutasi nel cortile del palazzo presidenziale con la partecipazione del mandatario Andrés Manuel López Obrador e dei genitori dei giovani.

Il Governo del Messico ha rivelato dettagli della scomparsa dei 43 giovani di Ayotzinapa, in Iguala, stato di Guerrero, che coinvolgono poliziotti, militari e funzionari dell’esecutivo dell’ex presidente Enrique Peña Nieto.

Encinas  ha spiegato che con la scoperta del corpo di Cristian Rodríguez, uno degli scomparsi, si è rotta la “verità storica” creata dal segretario della sicurezza Tomás Zernón - scappato in Israele per sfuggire alla giustizia – per coprire militari e mafiosi del cartello dei Guerreros Unidos, autori materiali del fatto. Poi ha confermato l’inizio dei processi penali contro costoro e ha ribadito che i colpevoli saranno puniti.

Il procuratore Alejandro Gertz Manero ha detto che tutti sono stati identificati, alcuni sono reclusi e gli altri saranno arrestati e processati, così pagheranno per i loro delitti. Ha rivelato inoltre che il comportamento dell’ex capo della Sicurezza, nel  caso di Ayotzinapa, non è stato gratuito, ma c’erano di mezzo milioni di dollari finanziati da chi ha consegnato il paese al capitale privato.

Omar Gómez Trejo, capo dell’unità d’investigazione, ha concordato con il procuratore sottolineando che Tomás Zenón non ha agito solo come la sua subalterna Blanca Alicia Bernal Castilla, accusata di tortura, falsificazione di documenti, occultamento e altri gravi delitti per i quali è stata arrestata.

L’investigazione è molto complessa e ha richiesto l’intervento di tutte le segreterie, da quella di Governo a quella della Difesa, e anche varie istituzioni ed esperti di numerosi paesi che partecipano alla ricerca dei giovani, oltre alle perizie forensi.

Gómez Trejo ha rivelato che sono più di 80 le persone detenute e molte di più le indagate. I portavoce hanno denunciato che nonostante tutte le prove, c’è stato un penoso comportamento dei giudici, come quello di Tamaulipas che ha liberato immeditamente 77 detenuti sostenendo che erano stati torturati.

Ammesso e non concesso che fosse la verità, il giudice non ha minimamente considerato l’assenza di prove né la giurisprudenza che obbliga alla ricerca della materialità del delitto castigando i presunti torturatori, senza liberare gli accusati come ha fatto, evidentemente perché corrotto.

Il presidente López Obrador si è impegnato con i genitori degli studenti e con il popolo messicano di mantenere e accelerare l’indagine per scoprire i colpevoli, giudicarli e soprattutto conoscere la verità su tutto ciò che è avvenuto e scoprire dove sono i giovani.

Prensa Latina e GM per Granma Internacional, 27 settembre 2020

 

 


 

 

RT SPAGNOLA / AMERICA LATINA / BOLIVIA

La Corte boliviana respinge ricorso che voleva escludere il partito di Evo Morales dalla competizione elettorale

L'avvocato del partito MAS, Wilfredo Chávez, ha definito la causa "un'azione distraente".

Lunedì, un tribunale boliviano ha respinto un appello il cui obiettivo era impedire la partecipazione del partito Movimiento Al Socialismo (MAS), guidato da Evo Morales, alle elezioni generali del 18 ottobre.

Il tribunale ha respinto la richiesta della senatrice del Partito Democratico Unitario (UD), Carmen Eva Gonzáles, che ha chiesto di obbligare il Tribunale Supremo Elettorale (TSE) ad annullare lo status giuridico del MAS, dopo aver accusato il candidato alla presidenza Luis Arce di aver espresso commenti su indagini fuori dai programmi stabiliti.

"È stato stabilito che non vi è alcuna giustificazione per ritirare lo status giuridico del MAS e che non vi era alcun motivo per presentare la richiesta di un'azione di conformità. Questa è stata un'azione di distrazione e ho invitato i compagni del MAS a continuare la campagna elettorale "ha detto l'avvocato del partito di Morales, Wilfredo Chávez, uscendo dall'udienza.

Il provvedimento è stato accolto da centinaia di militanti del MAS rimasti in veglia alle porte della Corte dipartimentale di giustizia. "Questa è la vittoria di una battaglia legale e siamo ancora in corsa per le elezioni del 18 ottobre", ha aggiunto Chávez.

Da parte sua, Morales ha accolto la sentenza della corte precisando che il suo partito "punterà sempre sulla via della pace e del diritto alle elezioni democratiche", anche se la destra si ostina a volerne la squalifica.

Gonzáles ha messo in dubbio la decisione e ha assicurato che promuoverà nuove azioni per impedire la partecipazione del MAS, un partito che ha accusato di aver "violato la legge e la costituzione politica" del paese.

Secondo l'ultimo sondaggio del Centro Strategico Latinoamericano per la Geopolitica CELAG, il candidato al MAS guida le preferenze elettorali con il 44,4% dei voti, seguito da Carlos Mesa, con il 34,0% dei voti.

Tuttavia, gli autori del sondaggio - condotto tra il 19 e il 29 settembre, attraverso 1.700 interviste telefoniche - sottolineano che, tre settimane prima delle elezioni, 4 boliviani su 10 hanno dichiarato di stare ancora valutando il proprio voto.

RT spagnola, 5 ottobre 2020

(Traduzione di Luigi Mezzacappa)

 


Membri del MAS partecipano a un meeting del candidato

presidenziale Luis Arce. 9 setttembre 2020. David Mercado/Reuters

 

https://actualidad.rt.com/actualidad/368922-corte-bolivia-mas-personeria-juridica?fbclid=IwAR1fKLaKSWhN2xGvOIsdOSffbJpwDGF63R9NL_dWCxjJ_cU_V3S7RzPr8I4

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / VENEZUELA

Il Tavolo di Dialogo in Venezuela giunto a un accordo

Nonostante l’aumento delle pressioni degli Stati Uniti, il Tavolo del Dialogo Nazionale del Venezuela ha trovato in forma unanime l’accordo per celebrare le elezioni parlamentari il prossimo 6 dicembre, ha informato Prensa Latina.

Mercoledì 16 settembre, le delegazioni dell’opposizione e del Governo, garanti di questo accordo di conciliazione stabilito nel settembre dell’anno scorso, si sono riunite per tracciare le strategie di lavoro sulle elezioni con le quali si spera di rinnovare l’Assemblea Nazionale nel 2020 così come stabilisce la Costituzione.

Al termine dell’incontro il capo delle forze  rivoluzionarie, Jorge Rodríguez, ha assicurato alla stampa che i sei accordi firmati un anno fa avevano aperto un grande cammino per la pace e la stabilità del paese. Quindi ha riconosciuto che il Tavolo del Dialogo Nazionale ha apportato una nuova impostazione che ha propiziato una maggior partecipazione alle elezioni.

«Siamo avversari ma tutti concordiamo sulla pace e la democrazia del Venezuela».

«Queste saranno le elezioni più democratiche e competitive in Venezuela. Ci sono 107 partiti politici e più di 14.000 candidati iscritti», ha informato Rodríguez.

Mentre le forze politiche contendenti riescono a conciliare le strategie per la buona marcia del processo elettorale in Venezuela, la Casa Bianca aumenta le pressioni in un disperato tentativo di destabilizzare il paese e promuovere la ribellione interna.

L’abbattimento di un aereo nordamericano e la cattura dell’agente della CIA Heath Mattew, hanno preoccupato per le possibili concatenazioni di questi fatti nei tentativi d’aggressioni promossi da

Washington e dalla Colombia. Tutto questo accompagnato dalla visita del segretario di Stato, Mike Pompeo, in Guyana, con l’obiettivo di ottenere un altro alleato strategico nella regione.

Analisti, diplomatici e alti comandi militari venezuelani, di fronte a questi segnali sono d’accordo  nel vedere un’accelerazione della macchina cospirativa contro questa nazione.

Il presidente Nicolás Maduro, di fronte a questi fatti, ha assicurato che l’alto funzionario statunitense ha fallito nel suo tentativo di promuovere una guerra e boicottare le elezioni parlamentari nel paese.

Dalla Caserma della Montagna, a Caracas, Maduro ha definito “guerrafondaio il giro di Pompeo in Guyana, Suriname, Brasile e Colombia e ha chiamato i cittadini all’allerta di fronte ai nemici del paese che, ha sostenuto, si trovano in una fase acuta di disperazione, offrendo denaro per destabilizzare la nazione. Quindi ha sottolineato che gli Stati Uniti e un settore di quella che ha chiamato “la destra malata”, stanno attivando ordini e chiavi per disturbare la pace del Venezuela nei mesi che precederanno le elezioni.

Prensa Latina e GM per Granma Internacional, 19 settembre 2020

 

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ANALISI / PRIVACY E DIRITTI

Il Big Data e la scienza della manipolazione delle masse

Al mondo esistono più telefoni cellulari che esseri umani. Mentre continua a crescere l’uso di questi dispositivi, il flusso dell’informazione crescerà in maniera esponenziale .

All’inizio del secolo scorso, Edward L. Bernays, pubblicista, giornalista e inventore della teoria delle relazioni pubbliche, considerato il padre della propaganda moderna e dell’ingegneria del consenso negli USA, affermava in uno dei suoi scritti: «La manipolazione cosciente e intelligente degli abiti e delle opinioni delle masse è un elemento importante della società democratica.

Coloro che manipolano questo meccanismo occulto della società, costituiscono il governo invisibile che detiene il vero potere che regge il destino del nostro paese».

Nato in Austria e nipote di Sigmund Freud, applicò molte delle teorie e delle scoperte dello zio nella «scienza della manipolazione delle masse». Trasformata in “arte” dai membri del «governo invisibile», è uno degli strumenti più importanti nella costruzione simbolica del capitalismo statunitense. Oggi, con i passi avanti delle tecnologie delle comunicazioni, l’informazione e Internet, questo sapere ha raggiunto un valore e un’importanza difficili da calcolare.

Gli analisti possono costruire modelli capaci di prevedere i contributi occulti come le preferenze politiche, gli orientamenti sessuali, la fiducia nelle persone, la solidità delle relazioni, tutto grazie all’informazione che gli stessi clienti apportano alle reti.

Le nostre caselle di posta elettronica, i tweet, le presentazioni in linea , i post in Facebook, alimentano il volume di dati che si genera ogni giorno in Internet. Si registrano, immagazzinano e processano dati sul comportamento umano, sulle applicazioni che utilizziamo che lasciano “impronte”, centinaia di migliaia d’impronte che vengono utilizzate dalle imprese del “Big Data”.

Il Big Data offre dati socio demografici che si possono usare per una campagna elettorale o in politica per il lavoro sovversivo contro determinati avversari. Permette di organizzare le forze per mobilitare il voto e soprattutto convincere gli indecisi. Ad esempio, durante la campagna di Mauricio Macri,  alla presidenza dell’Argentina, il suo staff della campagna elettorale aveva incrociato i dati socio economici a grande scala sui quali aveva applicato la teoria di micro segmentazione del voto per inviare messaggi che riflettessero in forma particolare e specifica le preoccupazioni di ogni quartiere, di ogni famiglia, di ogni persona.

Barack Obama, Francois Hollande, Donald Trump e Jair Bolsonaro hanno utilizzato i Big Data. I golpisti in Bolivia, gli strateghi della sovversione politica contro Venezuela e Cuba, utilizzano i Big Data per le loro campagne di destabilizzazione.

Conosciamo lo scandalo della Cambridge Analytica, l’impresa che ha lavorato alla campagna “Leave” della ­Brexit, nella campagna di Donald Trump e di vari governanti europei. Cambridge Analytica fu denunciata per  il furto di dati dei clienti di Facebook, ma non è la sola che usa questa pratica. Ad esempio, ci sono imprese che elaborano informazioni di più di 500 milioni di cittadini del mondo e si dedicano a vendere dati aggregati.

Contro l’Isola agisce la Forza d’Impegno in Internet per Cuba, conosciuta anche come Gruppo Operativo Internet,per la sovversione in Cuba, un programma creato dal Governo degli Stati Uniti per sovvertire l’ordine interno seguendo le direttive presentate dal presidente Donald Trump nel suo memorandum presidenziale del 16 giugno del 2017.

Borse di studio e viaggi per giovani giornalisti con propositi seducenti, strategie avanzate di manipolazione delle reti sociali e stipendi generosi a ciber mercenari, oltre a ll’aggressione costante di coloro che difendono la Rivoluzione, sono la tattica finanziata da Washington e da paesi terzi.

Ogni piano d’azione segreta elaborato dal governo di turno degli Stati Uniti contro l’Isola mai sottomessa in 60 anni, è accompagnato da una ben pagata attività mediatica che ora include tra i suoi strumenti anche il Big Data.

Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 10 settembre 2020


 

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / DIRITTI UMANI IN USA

La schiavitù moderna negli USA: lo sfruttamento sessuale delle donne

Contrariamene a quello che molti credono, la maggioranza delle vittime del traffico sessuale degli Stati Uniti non sono straneire portate a forza nel paese. Di fatto, otto su dieci sono cittadine statunitensi

Il direttore del Centro per l’Investigazione delle Politiche dell’Università delle Nazioni Unite, James Cockayne, in un’intervista per Telesur ha sostenuto che la schiavitù moderna si riferisce alle condizioni di lavoro disumane alle quali milioni di persone sono esposte: lavori imposti, servitù sessuale, tratta delle persone, matrimonio forzato e lavoro infantile. Implica rubare ll lavoro di milioni di persone per far sì che altri ottengano guadagni, privare le vittime del diritto di partecipare pienamente alla vita politica ed economica della società.

La relazione del Dipartimento di Stato degli USA precisa che la «tratta delle persone», la «tratta di esseri umani» e la «schiavitù moderna» sono termini generali per riferirsi «all’azione di reclutare, albergare, trasportare, somministrare e trattenere persone per obbligarle a realizzare lavori forzosi o azioni di commercio sessuale con l’uso della forza, la frode o la coazione».

Più di 400.000 persone negli Stati Uniti vivono in condizioni di schiavitù moderna, si legge in uno studio pubblicato da Walk Free Foundation (WFF).

È un fenomeno che non sembra avere limiti di crescita in questo paese, dove la tratta delle persone con il proposito di servitù o sfruttamento sessuale è diventato un affare molto redditizio.

«Molte persone sono schiavizzate attraverso le droghe e marcate con tatuaggi, come merci che appartengono al loro sfruttatore. E uno dei grandi problemi è che vengono confuse con lavoratrici sessuali per propria volontà», ha riportato ancora la BBC.

L’Agenzia di Notizie Inter Press Service (IPS) raccoglie vari casi recenti di alto profilo della tratta delle persone e del commercio sessuale negli Stati Uniti. Uno è quello del mega milionario Jeffrey Edward Epstein, che si è suicidato misteriosamente mentre era sotto custodia della polizia. Epstein doveva rispondere all’accusa del Tribunale Federale di aver diretto un’operazione di traffico e tratta sessuale di bambine e adolescenti.

Un altro incidente ha coinvolto 16 membri del  Corpo dei Marines degli Stati Uniti, arrestati il 25 luglio con l’accusa di traffico di persone, traffico di droghe e trasporto d’immigranti messicani senza documenti.

In pieno apogeo della pandemia della COVID-19, l’unità di lotta contro lo sfruttamento infantile e il traffico di persone dell’FBI sta investigando vari casi nei quali gli sfruttatori «promozionano» le loro vittime per attirare la clientela. La televisione ABC News, ha informato che a Nuova York i trafficanti affermano nei loro annunci le donne, molte minorenni, che vengono sfruttate sessualmente sono «virus-free» o «disposte a usare guanti  e mascherine».

Questo fenomeno si ripete a Jacksonville, in Florida, dove le attività di tratta e pagamento del sesso continuano in piena epidemia e le donne sfruttate non hanno altra opzione che sottomettersi per poter pagare il loro cibo e il loro alloggio, ha riportato la televisione News4Jax.

A  San Diego, il traffico sessuale genera guadagni illeciti per un volume di 810 milioni di dollari l’anno ed è la seconda attività delinquenziale più redditizia dopo il traffico di droga.

Le bambine e le donne sono molto vulnerabili e rappresentano il 99% delle vittime nell’industria del sesso commerciale e il 58% negli altri settori.

Il Governo degli Stati Uniti dovrebbe utilizzare il denaro dei contribuenti che sperpera nell’aggressione di altri Paesi per dare soluzioni ai problemi gravi che affliggono la sua stessa nazione e smettere di inventare pagliuzze negli occhi degli altri per sollevarsi dalla trave che lo acceca e il fango che lo corrompe da dentro.

Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 10 settembre 2020


 


 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / DIRITTI UMANI

Tagliare i tentacoli  transnazionali della tratta delle persone

“Tolleranza zero”. E’ l’impegno di Cuba a fronte di un delitto che muove milioni di dollari nel mondo e costituisce una violazione grave dei diritti umani.

«Cerca i soldi, perchè altrimenti mi ammazzano», supplicava José* sua madre al telefono da un edificio in Messico dove lo tenevano in ostaggio con altri sei cubani. Raggiungere gli Stati Uniti dopo la partenza illegale da Cuba era la minore delle sue preoccupazioni. La questione era restare in vita e uscire da un incubo di botte, minacce e lavoro forzato.

La madre ha venduto casa per racimolare il denaro che chiedevano e lo ha comunicato ai rapitori. Un’altra cubana complice nell’Isola è stata incaricata di ricevere il denaro e farlo giungere a uno dei membri della rete criminale, e per questa operazione ha ricevuto 100 dollari. Il marito di questa donna, chiamiamolo Adrián, da vittima era diventato criminale. Con un gruppo di persone era partito con uno yacht verso il territorio messicano. Si supponeva che coloro che lo trasportavano lo avrebbero alloggiato sino al passaggio della frontiera statunitense, ma lì lo fermarono.

Adrián disse che non aveva denaro, ma si offrì d’ingannare altri cubani e cosi entrò a far parte della rete vigilando, violentando e spaventando i sequestrati come José. Tra i suoi compiti c’erano le chiamate alle famiglie per chiedere denaro in cambio della vita, e inviare immagini inquietanti per fare pressione.

Lui e sua moglie, con due messicani membri dell’organizzazione, sono tra gli imputati della Causa 91 del 2018 del Tribunale Provinciale Popolare di Artemisa, e sono stati condannati da quattro anni e otto mesi a 25 anni di carcere per aver commesso il delitto di tratta di persone per schiavitù.

Questo è uno dei casi descritti nella relazione di Cuba sulla Prevenzione e il Contrasto alla Tratta di Persone e la Protezione alle Vittime 2019 che include 15 cause: 12 per schiavitù sessuale, 2 per mendicità forzata e una per schiavitù. Sono state identificate 25 vittime: 10 donne, 8 bambine, 1 bambino, 6 uomini.

La denuncia di questo fatto deplorevole e inammissibile, è conseguenza della politica di tolleranza zero propugnata con sistematico rigore dallo Stato cubano contro il flagello.

Cuba ha ratificato il Protocollo di Palermo per prevenire, reprimire e sanzionare la tratta di persone, specialmente donne e bambini, e dispone di uno strumento per coordinare le azioni statali e della società civile: il Piano d’Azione Nazionale per la prevenzione e il contrasto alla tratta delle persone e la protezione delle vittime (2017-2020).

Secondo le Nazioni Unite, la tratta è, insieme con il traffico di armi e quello della droga, fra i delitti più lucrativi. Tutte le nazioni ne sono danneggiate come punti d’origine, transito o destinazione delle vittime.

Anche se nel nostro paese non operano reti criminali, il fatto che cittadini cubani siano stati vittime di stranieri con complici nazionali, con l’offerta di facilità migratorie e di lavoro, rivela un’insufficiente percezione del rischio. Per questo il lavoro di Cuba non è concentrato solo all’interno delle frontiere: per evitare che proliferino modalità della tratta nel territorio è orientato anche sulla collaborazione internazionale che permetta di proteggere le vittime cubane e di altre nazioni.

Il Dirigente della Direzione di  Cooperazione Giurídica Internazionale e Relazioni Internazionali, della Procura Generale della Repubblica (FGR), Eugenio Raúl Martínez González, ha indicato in un articolo  recente alcuni casi degli ultimi anni che rivelano i pericoli dietro presunte offerte di lavoro e l’importanza che gli Stati lavorino uniti per processare i colpevoli.

Nel 2016, l’Unità Provinciale d’Investigazione Criminale e Operazioni di Camagüey sviluppò un’indagine contro tre accusati «dediti a contattare giovani donne nei municipi di Céspedes e Florida, alle quali promettevano lavoro in Ecuador, anticipando le spese di viaggio e dei passaporti», e calcolando per queste spese un debito di 2500-3000 dollari. Arrivate in Ecuador, le obbligavano a prostituirsi per pagare il debito, ma gli interessi aumentavano con il passare del tempo e per obbligarle a obbedire le minacciavano o requisivano il passaporto. Gli accusati sono stati condannati a 25 – 15 e 10 anni di carcere.

Martínez González ha affermato l’anno dopo la collaborazione con un processo penale del Ministero Pubblico dello Stato Plurinazionale della Bolivia: «Nel  Night Club denominato Katanas, ubicato nella città di La Paz, si esercitava la prostituzione e per tali fini i criminali viaggiavano in differenti paesi tra i quali Cuba, con l’obiettivo di portare donne a lavorare nel locale notturno obbligandole la notte a prostituirsi, oltre a maltrattarle e minacciarle con la deportazione se rifiutavano di farlo. Le autorità boliviane sollecitarono informazioni sul flusso migratorio degli implicati e per conoscere possibili denunce formulate di fronte alle autorità cubane».

In chiara opposizione alla manipolazione politica del tema da parte degli Stati Uniti che mantengono Cuba per il secondo anno consecutivo al livello tre – la peggiore definizione – della loro lista di nazioni che, a loro dire, non fanno abbastanza per lottare contro la tratta umana (con l’assurdo argomento che le missioni mediche sono un esempio di lavoro forzato), il paese amplia la collaborazione internazionale per frenare la Tratta.

Una prova sono, tra l’altro, gli 11 trattati d’estradizione e i 25 accordi d’assistenza giuridica (16 dei quali comprendono l’estradizione); la firma da parte della FGR con organismi omologhi di altri paesi di 20 strumenti; lo scambio di informazioni con servizi stranieri come l’Interpol.

Il Ministero degi Interni di Cuba, da parte sua, concentra le azioni sulla tratta delle persone con fini di sfruttamento sessuale di carattere transnazionale, la detenzione nei processi di trasferimento verso l’estero, di potenziali vittime e l’interruzione della captazione. Proteggere le donne è una priorità.

I numeri dimostrano a livello mondiale che rappresentano il 49% di tutte le vittime della tratta e la forma più comune dello sfruttamento è quella sessuale (59%), conseguenza diretta anche del machismo.

Dal luglio de 2018 nell’Isola sono state contestate 38 operazioni di trasferimento di giovani verso le principali destinazioni identificate (Turchia e Cina) e in minor misura Italia, Germania Vietnam, Portogallo, Isole Caimán, Giamaica, Cipro e Mali), nelle quali erano implicati 191 presunti artisti.

Sono stati contrastati nove castings e altre azioni di captazione, nelle quali sono state identificate 134 presunte vittime, 24 organizzatori cubani e 16 stranieri, a Cuba e all’estero.

Protezione sociale e sicurezza cittadina, uguaglianza e programmi di opportunità per tutte le persone; politiche e programmi per dare potere alle donne, accesso gratuito ai servizi di salute e d’educazione, accesso universale alla cultura, lo sport e la ricreazione, e gli strumenti giuridici  vigenti, tra i quali la  Costituzione della Repubblica, sono forze dell’Isola cubana di fronte alla tratta, riconosciute dagli organismi internazionali competenti. Questo tessuto permette non solo un contrasto efficace, ma anche la prevenzione e l’attenzione alle vittime e alle persone più vulnerabili.

Senza dubbio questo non è, nonostante i bassi numeri, un fenomeno minore o solo d’interesse delle autorità di polizia. La tratta si frena con un impegno congiunto della società e con la capacità per identificarla e giudicarla.

L’utilizzo di contratti artistici irregolari realizzati attraverso internet o utilizzando intermediari è una delle “tecniche” più ricorrenti. I contratti sono scritti in genere in lingua straniera e senza validità legale a Cuba o all’estero e si usano per ottenere il visto nelle ambasciate dei paesi di destinazione.

La partenza viene finanziata da  impresari e intermediari cubani dall’estero. S’identificano organizzazioni e club notturni con precedenti di vincolo con la prostituzione e lo sfruttamento nel lavoro nei paesi di destinazione e le presentazione di viaggi con presunti fini turistici verso paesi con visto libero e l’utilizzo di altri come punto di transito per continuare il viaggio verso la destinazione reale.

Yeilén Delgado Calvo e GM per Granma Internacional, 17 settembre 2020

 

* I nomi non sono reali: l’identità delle vittime e dei criminali è protetta nei documenti ufficiali.

 

 


 

 


 

 

GRANMA (CUBA) / CULTURA / RIVOLUZIONI COLORATE

Senza luce nè gloria: le rivoluzioni dei colori

Da quando sono iniziate, Cuba è sempre stata nel mirino delle rivoluzioni colorate. Le istruzioni del Manuale di Gene Sharp parlano di democrazia, ma sono tattiche che hanno per obiettivo la ritorsione della teoria dei diritti umani contro l’Isola, non certo per realizzarli. Agiscono nel nome dei diritti e poi li tradiscono. A Cuba e in Venezuela attuano le loro tecniche per organizzare chi esprime contrarietà alle difficoltà imposte ai sistemi politici anti capitalisti, attaccando quei modelli costruiti proprio per contrastare gli effetti di quell’aggressione.

Nei paesi dell’Est europeo, nelle repubbliche sovietiche prima e in molti altri paesi dopo, il loro obiettivo è stato consegnarli all’area di influenza della NATO ponendoli nell’orbita dell’imperialismo. I loro simboli e colori, il pugno nero su fondo bianco, non hanno mai sventolato nei paesi alleati degli Stati Uniti, nè in quelle situazioni di permanente violazione dei diritti umani, come la Colombia o l’Honduras, per fare un esempio.

Nel  febbraio del 2005, nella città di Bratislava, George W. Bush brindò alla “libertà” con tutti i suoi organizzatori europei. Lì disse, esultante e istrionico, che quell’ardore libertario avrebbe raggiunto i più oscuri angoli del mondo. Verso quegli angoli, non molto più tardi avrebbero viaggiato bombe e missili per distruggere e dominare in nome di quella «libertà» e democrazia.

In quel consesso, come mostra il documentario francese «Gli Stati Uniti alla conquista dell‘Est», uno di quei burattini della finanza di Soros, della CIA e della NED, comunicava a un altro con più esperienza che gli avevano chiesto se si potevano replicare quei risultati a Cuba.

Da allora ci provano. Nell’Isola gli organizzatori, dietro gli scenari, cercano di approfittare delle delle difficoltà materiali e delle insoddisfazioni per provocarci e realizzare il vecchio obiettivo di innescare manifestazioni «spontanee» applicando le loro tecniche.

Organizzano anche corsi ben finanziati per i «leader» del nostro futuro, e fanno pubblicità a pensieri avversi agli aspetti centrali della democrazia socialista, agli organi dello Stato o del Partito.

Un argomento del Manuale di Gene Sharp suggerisce la diffusione di contenuti per un pubblico più ampio possibile per influenzare soprattutto gruppi ben identificati e localizzati mediante l’uso di simboli, testi brevi, generalizzanti, con narrativa aneddotica, micro notizie, gialli, mezze verità, che agiscano in maniera subliminale e invadano la razionalità, modellino la soggettività e impediscano l’analisi.

Si comprende bene, così, perchè questa «democrazia» è favorisce e finanzia mezzi di comunicazione privati e giornalisti «indipendenti» in quei paesi dove è più difficile penetrare, come nel nostro paese, come in Venezuela dove hanno approfittato della sopravvivenza di questi mezzi privati, o come è stato fatto a fronte dei passi avanti democratici in paesi come la Bolivia, il Brasile prima di Bolsonaro o l’Ecuador di Correa. Come recitano le istruzioni e confessano con cinismo gli stessi loro esecutori, a loro non interesse l’ideologia di nessuno, ma solo aggregare diverse attitudini in un solo movimento effimero e momentaneo per colpire «senza violenza», cosí come continuare a intercettare tutto ciò che “obietti” qualcosa per creare qualche proto scenario di una manifestazione pubblica partendo magari da qualche campagna sui social sostenute da algoritmi che le potenziano e le rendono virali. Primavere che diventeranno l’inverno dei popoli.

La malsana ipocrisia delle loro intenzioni consiste nell’approfittare delle difficoltà che essi stesso provocano, per poi sottoporre il paese al dominio dell’aggressore. Come parte del piano, alcune organizzazioni straniere - ma soprattutto la sua finanziatrice Fondazione Open Society di George Soros - sotto il mantello di eventi e pubblicazioni, fanno a volte in modo di attrarre una qualsiasi produzione intellettuale di contenuto critico rispetto alla realtà cubana, così da coprire di rispettabilità e prestigio le loro vere intenzioni.

La provocazione politica camuffata da performance artistica che si tentò anni fa in Piazza della Rivoluzione; le oscenità amplificate nelle reti contro la nostra bandiera, le offese ai busti di Martí, sembrano uscite dal baule del sarto del manuale di Gene Sharp.

Dietro a queste c’è la trappola dei colori, senza luce né gloria, del più brutale totalitarismo camuffato da rivoluzione.

Carlos Luque e GM per Granma Internacional, 25 settembre 2020

 


 

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / NOBEL PER LA PACE AI MEDICI CUBANI

Lettera al Comitato Nobel Norvegese

In rappresentanza di decine di Comitati Nazionali per la Pace di un centinaio di paesi, membri del nostro Consiglio Mondiale per la Pace, ci uniamo a innumerevoli altre organizzazioni, parlamenti e persone amanti della pace, sostenendo la nomina del contingente Henry Reeve per il Premio Nobel della Pace.

Stimati membri del Comitato Norvegese del Premio Nobel,

Stimata Sra. Berit Reiss-Andersen, Presidente,

Ci rivolgiamo a voi in un tempo di grande sfida per l’umanità e di grande bisogno di solidarietà. La pandemia Covid 19 è un altro esempio di quanto sia essenziale la solidarietà internazionale nella promozione di una pace giusta e per alleviare la sofferenza delle persone in situazione di emergenza.

E’ in questo senso che vediamo come sincero esempio di solidarietà internazionale il lavoro che il contingente medico cubano “Henry Reeve” conduce da molto tempo, prima dell’annuncio della propagazione del coronavirus.

Questo fatto ci porta a suggerire di riconoscere quanto coraggioso ed esemplare sia stato lo sforzo del gruppo, concedendogli il Premio Nobel della Pace.

I diversi gruppi medici cubani che salvano vite sono attualmente presenti in 24 paesi dell’America Latina e dei Caraibi, 27 paesi africani, 2 paesi del Medio Oriente e 7 in Asia.

Offrono assistenza medica umanitaria alle persone da circa 60 anni con una duratura tradizione cubana d’assistenza umanista ad altri popoli che si realizza anche affrontando le estreme sfide economiche dell’Isola, in sofferenza per le durissime sanzioni che, in contrasto con la disponibilità dei cubani, durano da sei decenni e impongono loro serie privazioni.

Ma anche in queste condizioni, i cubani hanno superato le barriere per mostrare al mondo la miglior forma per costruire ponti di pace in maniera che altri popoli possano avere l’opportunità di vincere le proprie sfide e non perdere vite prima di realizzarlo.

Le brigate cubane hanno lavorato in paesi come il Perù dopo il terribile terremoto del 1970 che uccise 80000 persone e obbligò a evacuare migliaia di famiglie (va considerato che Cuba e Perù non avevano relazioni diplomatiche, ma nonostante ciò l’Isola mandò gli aiuti); in Haiti durante la crisi di colera e in vari paesi africani, combattendo l’Ebola, e in America Latina e Caraibi, con un’ampia varietà di programmi che hanno aiutato e aiutano migliaia di persone.

Le “brigate Henry Reeve”, come il contingente per le emergenze è noto, svolge un immenso impegno che solo uno sforzo umanista  poteva realizzare. Questo enorme impegno è presente nel suo nome: Contingente Internazionale di Medici Specializzati in Situazioni di Disastri e Gravi Epidemie. Fu creato nel 2005 e nominato così in onore di un giovane attivista statunitense che decise di unirsi all’esercito di liberazione di Cuba in solidarietà con la lotta dei cubani per la loro indipendenza.

Sono 7950 i professionisti di 28 brigate inviate in 22 paesi, che hanno lavorato per  superare gli effetti di 16 inondazioni, otto uragani, otto terremoti e quattro epidemie. Nella  lotta contro la COVID 19, i sempre valorosi medici cubani sono accorsi immediatamente in vari paesi, compresa l’Italia, che nel marzo del 2020 era tra quelli più fortemente colpiti dall’epidemia.

Le brigate sono state richieste dai Governi di paesi come Venezuela, Nicaragua, Italia, Suriname, Giamaica, Granada, Andorra, Saint Kitts y Nevis, Haiti, Dominica, Belice, San Vicente y las Granadinas, Santa Lucía e Antigua y Barbuda.

Sono 14 le brigate che lavorano con più di 500 medici specializzati e altri professionisti della salute, uomini e donne coraggiosi, che apportano molti aiuti necessari a popoli di diversi paesi e in tutti i continenti, salvando un enorme numero di vite e mostrando l’empatia e la solidarietà umana per le quali sono ricordati in ogni luogo dove hanno lavorato.

Questo lavoro è chiave nella costruzione di pace nel mezzo di conflitti violenti e strutturali e per creare condizioni in cui le persone possano risolvere le loro necessità di base in situazioni di disastro e di estrema povertà.

Per questo impegno, basato su forti principi di pace e solidarietà trasformati in azioni concrete e provate, le brigate sono più che qualificate per ricevere il Premio Nobel della Pace.

Sinceramente,

Socorro Gomes,

Presidente del Consiglio Mondiale per la Pace ed ex Deputata Federale della

Camera dei Rappresentanti del Brasile.

Thanassis Pafilis, Segretario Generale del Coniglio  Mondiale per la Pace,

 

GM per Granma Internacional, 25 settembre 2020

 



GRANMA (CUBA) / INTERNI / POLITICHE SOCIALI

Di fronte ai tempi nuovi i CDR progrediscono, non rallentano

Una Rivoluzione che non riesce ad appoggiarsi al suo popolo è detinata a fallire. Organizzare la gente, farla protagonista delle trasformazioni della società, potersi affidare al suo sostegno quando le sfide bussano alla porta costantemente, è un compito che un leader non può trascurare. Fidel lo sapeva. Sapeva che i cubani uniti sono più forti.

Granma  ha conversato con  Julia Durruty Molina, membro della Segreteria Nazionale della maggiore organizzazione di massa del paese, sul lavoro dei CDR (Comité por la Defensa de la Revolución) di ieri e di oggi.

D. La vigilanza rivoluzionaria è stata la missione della fondazione dei CDR, ma quanto è cambiato nel tempo questo ruolo?

R. «In ogni tappa si è mantenuta un’effervescenza rivoluzionaria nel popolo, ma ognuno di questi cicli è stato differente. È molto difficile paragonarli uno all’altro, soprattutto dopo il periodo speciale, perchè hanno proliferato fenomeni che prima non esistevano e che hanno lacerato determinate virtù e valori che prima erano presenti. È per  questo che quando parliamo di vigilanza rivoluzionaria, non è solo un riferimento alla guardia dei CDR che è cambiata negli anni, così come la società. Un punto prioritario ora è il confronto con la mancanza di disciplina sociale, con gli atteggiamenti inadeguati di vari cittadini che irritano molto il pubblico».

Durruty Molina spiega che il lavoro dei CDR è essenziale anche per la salvaguardia delle coste cubane. Per 50 anni è stato prezioso il lavoro dei 304 distaccamenti popolari “Mirando al mar”, che svolgevano un ruolo fondamentale scoprendo pacchi di droga, tentativi di partenze e penetrazioni illegali nell’Isola e la depredazione della flora e della fauna.

D. Nelle circostanze attuali generate dall’emergenza sanitaria a Cuba, qual’è stata l’utilità dei CDR?

R. «L’esempio più concreto è l’atteggiamento senza scrupoli di persone nelle code, gli accaparratori i rivenditori. Ci confrontiamo con questo fenomeno con il lavoro dei 671 distaccamenti che appoggiano le forze della PNR (Policia Nacional Revolucionaria) e con la partecipazione ai gruppi creati nei centri commerciali».

Poi ha aggiunto che si pone molta enfasi nel lavoro preventivo, tanto nella comunità come all’interno di ogni famiglia, per consolidare la condanna cosciente di questi malcostumi, reati e illegalità.

D. In questi 60 anni quali altre missioni hanno assunto i CDR, come ente attivo nella società che costruiamo?

R. «L’originalità della struttura e composizione dell’organizzazione è che ha permesso di assumere altri impegni oltre alla vigilanza rivoluzionaria. Per esempio, l’apporto al processo dell’istituzionalizzazione del paese, la partecipazione al processo di consultazione e approvazione della Costituzione, il contributo alla realizzazione dei censimenti della popolazione e della casa, cosi come l’importante impegno delle donazioni volontarie di sangue. Sono state formate 857 brigate di solidarietà CDR-FMC, per appoggiare la costruzione di case per madri sole con più figli, il lavoro per il risparmio dell’ energia ed è stata ripresa la partecipazione al movimento dell’agricoltura urbana, suburbana e familiare. In tutte queste azioni si ottiene la partecipazione di 23.400 giovani nei Distaccamenti Giovanili che non sono impegnati nelle attività prioritarie per il paese. L’inserimento delle nuove generazioni nel lavoro dei Comitati sta rafforzando la loro partecipazione ai compiti dell’organizzazione attraverso la realizzazione di attività adatte ai loro gusti, come gli scamabi tra distaccamenti giovanili nelle comunità, per conoscere i loro problemi e le necessità e proiettare il lavoro».

D. Anche se molte tra queste attività sono visibili, i criteri sulla funzionalità dei CDR oggi vanno dalla critica negativa ai suggerimenti per migliorali. Siamo di fronte a una mancanza di funzionalità dei loro ruoli storici o a una nuova forma di vitalità?

R. «Con il trascorrere del tempo niente resta uguale e la nostra società assume impegni distinti. Anche se il lavoro sociale e la portata dei CDR nella comunità sono stati ampiamente dimostrati, si prenda come esempio più recente il lavoro contro la COVID 19 e l’assistenza nelle case delle persone più vulnerabili, esistono alcuni potenziali che dobbiamo ancora  sfruttare. Per questo lavoriamo alla moltiplicazione dei progetti comunitari, con l’obiettivo di promuovere la condanna delle condotte negative, l’incoraggiamento dell’educazione formale e una maniera solidale di convivere. Con l’arrivo di ogni anniversario dei CDR, nuovi impegni si sommano a quelli storici, considerando sempre l’unità come l’essenza di un’organizzazione che da 60 anni difende la Rivoluzione a partire dal quartiere, adattandosi alle necessità di Cuba per mantenersi in ogni angolo della Patria con la Guardia in Alto».

Gladys Leidys Ramos López e GM per Granma Internacional, 27 settembre 2020