La dichiarazione di Fondazione dell’Associazione delle Vittime di guerra della NATO in Libia

 

 

Noi siamo i cittadini di Libia e siamo stati afflitti dai dolori causati dalla feroce guerra nel nostro Paese di cui siamo stati testimoni dal 2011. Questa guerra causò dolori incalcolabili, è difficile misurarne le dimensioni, le ripercussioni e gli impatti sul presente e sul futuro. Ha causato danni alle anime e ai corpi, gravato i cuori e portato tristezza e miseria. Ha obbligato il popolo a essere testimone di massacri; ha tormentato i cuori e tempestato il paese con mortali missili. Ha distrutto il paese, portato morte e ha reclamato vite ovunque nel territorio del paese. Ha diviso famiglie, i cui membri sono morti, dispersi o emigrati. È una guerra che è esplosa in un mondo che è governato dalla legge della giungla dove il debole è schiacciato e la sua voce non è ascoltata o non gli è permesso nemmeno di parlare.

Nonostante le leggi sui diritti umani e la giustizia internazionale, chi soffre per le ingiustizie perde la speranza nell’efficacia di queste leggi, perché sono solo promesse mai mantenute.

È incessante il tentativo di costruire uno stato di diritto e mantenere la sovranità di un paese che noi vogliamo che sia libero dal disordine, dalle perdite, dalla violazione dei diritti umani, un paese i cui cittadini e i suoi ospiti possano avere la vita salva, un paese dove coloro che sono afflitti dal conflitto non debbano sentirsi schiacciati dalla macchina della guerra senza trovare un supporto o un aiuto.

Noi ci siamo impegnati, essendo parte delle vittime della guerra in Libia, per mettere fine a sedizioni e rancori che conducono all’odio, a seminare una cultura che permetta alle regole della legge di risorgere e trasformare gli slogan sui diritti umani in meccanismi applicabili a ognuno, senza discriminazioni, biasimi o dichiarazioni di professioni politiche o sottomissioni ai voleri di chiunque.

Noi crediamo nella responsabilità di potenziare le leggi umanitarie internazionali e le leggi internazionali sui diritti umani, e siamo consapevoli dell’importanza del ruolo delle organizzazioni di società civile nello stabilire il valore del lavoro collettivo sui dritti umani in generale, e dei diritti in tempo di guerra, in particolare, e crediamo nella necessità della realizzazione di un approccio olistico che metta a fuoco l’obbiettivo sulle vittime del conflitto armato in Libia, e le sconvolgenti condizioni che i cittadini e i residenti devono sopportare e, in vista delle forze multiple che hanno inflitto ferite al paese, e dello stallo politico che distrugge i diritti delle vittime e delle loro famiglie e aiuta i perpetuatori di crimini a evitare le punizioni, e per prevenire una coesione nazionale che allontani l’imminente trattativa che mette in pericolo l’unità del paese e infligga ferite ai suoi cittadini

 

Noi dichiariamo

 

Formeremo l’Associazione delle vittime della NATO e della guerra in Libia, una Associazione Non Governativa che difenda i diritti umani, in generale, e i diritti umani dei cittadini libici, in particolare, e supporti i diritti delle famiglie che subiscono danni dalla guerra di Libia dal 2011, attraverso le rivelazioni delle comunità internazionali e regionali sugli avvenimenti successi in Libia, con lo scopo di riconoscere i diritti di quelle vittime, per risarcire e supportare la loro lotta senza quartiere e perseguire i criminali di guerra ovunque loro siano.

Non permetteremo a chiunque compia crimini di guerra o contro l’umanità di sfuggire alle punizioni, siano essi persone fisiche o no, per stabilire diritti e giustizia per tutti, in accordo con i patti internazionali e le convenzioni, che sono basati su patti e dichiarazioni internazionali, norme e patti legali, leggi giuste, valori, principi e tradizioni delle nazioni e dei popoli civilizzati.

Le attività delle associazioni dovranno essere complementari alle attività e ai ruoli delle reti dei diritti umani di tutto il mondo, che cercano di migliorare i diritti umani e di evitare ai cittadini umiliazioni, oppressioni e persecuzioni.

Con questa dichiarazione noi ci appelliamo alla coscienza individuale, alle organizzazioni e ai Paesi, specialmente alle Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate, la Corte Internazionale di Giustizia, la Corte Europea dei Diritti Umani, la Corte Africana di Giustizia, la Lega Araba, L’Unione Africana, per concertare una più efficace strategia di opposizione e punizione dei paesi e degli individui simpatizzanti del terrorismo attraverso i principi di giustizia delle leggi internazionali.

Ognuno che abbia coscienza potrà sicuramente vedere cosa successe in Libia, così come i crimini di guerra contro l’umanità perpetrati dai paesi che furono coinvolti direttamente nello spargimento di sangue dei libici o indirettamente istigarono e supportarono in molti modi quelle azioni di terroristi o di gruppi fondamentalisti che commisero crimini di guerra e contro l’umanità sotto lo sguardo dell’intera comunità mondiale, che chiuse un occhio nei confronti dei paesi partecipanti alla guerra o che li supportarono pubblicamente o dietro le quinte.

Questo loro appoggio ha aggravato la tragedia del nostro popolo e determinato la perdita di molte più vittime, oltre a rapimenti, deportazioni forzate, azioni immorali contro i valori umani e violato leggi internazionali, soprattutto contravvenendo a leggi umanitarie e leggi internazionali anti terrorismo.

Noi siamo guidati dalla nostra speranza, dall’ambizione e dalle aspirazioni mentre stiamo aspettando con ottimismo il risveglio degli arabi e della coscienza internazionale, che possa trasformarsi in rabbia contro gli assassini, contro chi ha rovinato e disperso il popolo, per perseguirli, in accordo con la convenzione dell’Aia 1907, e la Convenzione di Versailles, in particolare l’articolo 277, che stabilisce la responsabilità criminale individuale e il n. 7 dello Statuto della Corte di Norimberga del 1945, l’art. 6 dello Statuto della Corte di Tokyo, le quattro Convenzioni di Ginevra, in particolare l’articolo 47 della prima convenzione di Ginevra, e al primo protocollo aggiuntivo allegato alle Convenzioni di Ginevra del 1977, in special modo gli articoli 43, 50; l’art. 7 dello Statuto della Corte Criminale di Yugoslavia e l’art 6 dello Statuto della Corte Criminale Internazionale di Rwanda e il riconoscimento da parte delle vittime dei loro diritti civili.

 

Stiamo lavorando sui seguenti punti:

 

Primo: contribuiamo a costruire una società che sia libera dall’oppressione, la soppressione e la persecuzione

Secondo: perseguiamo coloro che commisero crimini di guerra e contro l’umanità sui cittadini di Libia o i residenti in Libia secondo la Convenzione dell’Aia del 1907 e le Quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, e i loro protocolli allegati del 1977, e gli Statuti della Corte Criminale Internazionale, in aggiunta alla Carta delle Nazioni Unite e degli accordi sui Diritti Umani e le Carte delle organizzazioni di rilevanza regionale.

Terzo: contribuiamo ad aiutare coloro che sono afflitti dalla guerra di Libia o le sue vittime perché ottengano i loro diritti civili

Quarto: seminiamo la cultura dei diritti umani e delle leggi umanitarie internazionali

Quinto: creiamo e cerchiamo di stabilire alleanze locali regionali e internazionali per rafforzare i diritti delle vittime da risarcire.

Sesto: realizziamo un database delle vittime della NATO e dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità commessi contro i libici

Settimo: stabiliamo un centro legale, formato da professionisti, specializzato nella difesa dei diritti delle vittime della NATO e della guerra in Libia per far loro ottenere risarcimenti.

 

Possa Allah farci avere successo e aiuto.

 

Il Comitato Costituente delle Associazioni delle Vittime di guerra della NATO in Libia

 

 

Traduzione di Cristina G. per SOS Libia/CIVG

 


 

SOS LIBIA-CIVG

 

Con questo primo atto informativo inauguriamo un percorso di gemellaggio e solidarietà concreta con l’ANVWL e con il suo presidente Khaled el Hamidi, coraggiosa figura di libico, con una tragica storia (che documenteremo), causata dall’aggressione straniera al popolo libico.

Con la proposta di un lavoro specifico denominato “SOS LIBIA”, confermiamo la nostra prassi e gli intenti non accademici e non dottrinari del nostro impegno come CIVG; in coerenza con gli scopi e gli obiettivi concreti del nostro Centro, proseguiamo su questo faticoso e difficile impegno, che sarà indirizzato come sempre, con un lavoro di informazione e di solidarietà concreta, in particolare rivolto ai bambini e alle vittime civili.

Coscienti delle difficoltà e dei limiti, ma anche della coerenza e concretezza della nostra progettualità, fondata sulla base di sensibilità, di intenti, di valori etici e sociali comuni, al di là di differenze di vedute soggettive, anche di scelte di fedi o di laicità.

Trovando un impegno concreto, oltrechè di riflessione e di crescita di conoscenza, in scelte di campo legate alla verità, alla giustizia, alla pace, alla solidarietà; ed alla eguaglianza di ogni uomo e donna, allo stare semplicemente dalla parte dei popoli, degli uomini, delle loro resistenze e dei loro diritti, contro invasori, aggressori, occupatori, spesso occultati dietro ai mantelli della democrazia e di presunte libertà non richieste, senza interferire con le loro scelte politiche.

Al nostro tavolo si possono sedere uomini e donne con percorsi e storie diverse, con fedi diverse o laici, uomini e donne che sentono ancora la necessità di difendere la propria coscienza e sensibilità, che sentono l’esigenza di cercare di fare qualcosa di concreto, senza la supponenza, in questi tempi complicati, di insegnare niente a nessuno. Il nostro obiettivo principale resta quello di proporre unire sui contenuti e di smascherare false informazioni, ingiustizie, vessazioni, guerre e violenze, nel nostro paese come nel mondo.

Fedeli a questa scelta, andiamo avanti e ci rivolgiamo a chi vuole collaborare, contribuire e percorrere insieme a noi un pezzo di cammino

 

SOS LIBIA/CIVG – Marzo 2018

 


 

L’associazione Vittime della Nato in Libia lotta contro l’impunità dei potenti

 di Marinella Correggia    27 gennaio 2018

Dalla guerra in Iraq nel 1991 a oggi, nessun tribunale internazionale ha mai processato e giudicato i vincitori delle guerre di aggressione condotte dall’Occidente e dagli alleati del Golfo.  E dire che la guerra di aggressione è bandita in modo assoluto dalla carta delle nazioni unite ed è considerata il «crimine internazionale supremo» sin dall’epoca del tribunale di Norimberga (che però giudicò solo i vinti).

Alcune volte gli Stati presi di mira hanno provato a reagire ricorrendo a istanze internazionali (si pensi alla Jugoslavia durante i bombardamenti Nato del 1999); altre volte erano i cittadini danneggiati a provare le strade dei tribunali internazionali, sul lato penale e civile. Il primo non ha mai sortito effetti; per il secondo, alle vittime civili – «effetti collaterali» – afghane, irachene, pakistane sono stati elargiti risibili risarcimenti a cura dei responsabili, si vedano gli Usa con gli abitanti dei villaggi sterminati dai droni. Troppo poco, decisamente.

Si sta muovendo con coraggio contro l’impunità  Khaled el Hamedi, cittadino libico,  fondatore dell’associazione Vittime della Nato. Un bombardamento dell’operazione Unified Protector sterminò la sua famiglia il 20 giugno 2011 a Sorman. Dalle macerie furono estratti i corpi maciullati della moglie Safae Ahmed Azawi, incinta, dei suoi due figli piccoli Khaled e Alkhweldi, della nipote Salam, della zia Najia, del cugino Mohamed; uccisi anche i bambini dei suoi vicini di casa e due lavoratori. Abbiamo rivolto alcune domande al legale di Khaled, Jan Fermon, che sta preparando una conferenza stampa a Bruxelles, il 29 gennaio.

 

 

Avvocato Fermon, il 23 novembre 2017 la Corte d’appello di Bruxelles (Belgio, sede del Patto atlantico) ha risposto negativamente al ricorso del suo assistito Khaled el Hamidi; l’immunità della Nato è stata confermata…

E’ stata persa l’occasione di un passo avanti storico nell’applicazione della legislazione internazionale sui diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Una grande ingiustizia verso tante vittime. Khaled el Hamidi (che ora vive in esilio, ndr) è intenzionato ad andare avanti finché l’impunità non avrà fine. Il fatto che la sede della Nato sia qui, ha aperto la strada alla possibilità di un processo civile.

Come mai la Nato gode dell’immunità, e dunque dell’impunità?

La Nato è un organismo interstatale e multilaterale; con il trattato di Ottawa del 1951, i paesi fondatori decisero per l’immunità dalla giurisdizione cioè l’impossibilità di processare (cosa diversa dall’immunità di esecuzione cioè l’impossibilità di applicare la punizione). E’ grave, trattandosi di un’organizzazione che può dunque impunemente decidere della vita e della morte delle persone in giro per il mondo. Non è certo un incentivo, per la Nato e per altri, a rispettare il diritto internazionale…Può sfociare nell’impunità per crimini di guerra.

Paradossale. Non ci sono limiti a questa immunità?

Sì, ci sarebbero, e questa è la base della nostra azione legale. Infatti l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti umani e altri strumenti internazionali prevedono che ogni cittadino abbia il diritto di accedere a un tribunale. E, per la Convenzione di Vienna, gli Stati devono rispettare i trattati che hanno firmato. Il diritto di accesso, tuttavia, non è assoluto e può subire limitazioni, appunto di fronte all’immunità delle organizzazioni internazionali, che hanno fini da perseguire. Ma c’è una giurisprudenza, anche da parte della Corte di cassazione belga, secondo la quale la limitazione nell’accesso ai giudici non è accettabile quando l’organizzazione internazionale che dovrebbe essere messa in stato di accusa non ha una sorta di tribunale interno accessibile da parte dei cittadini che hanno subito danni dal suo operato. La Nato è priva di questo meccanismo rispetto alle sue azioni in Libia.

E dunque?

Intanto: la Nato ha rifiutato di comparire in giudizio (loro sostengono di limitarsi a coordinare le azioni belliche degli Stati membri, lo Stato belga l’ha rappresentata (dopotutto se si tratta di risarcire danni, spetterà poi agli Stati membri). Un primo scoglio era che Khaled non potesse invocare l’articolo 6 e dunque il diritto di accesso a un giudice perché non è cittadino europeo e il danno era avvenuto fuori dall’Europa. Ma in due sentenze, la Corte europea dei diritti umani aveva stabilito che si potesse invocare l’articolo 6 perché il paese dove la causa era cominciata lo permetteva. Nel nostro caso, però, la Corte d’appello ha deciso così: «Avete il diritto di accedere alla Corte, ma la limitazione al vostro diritto, dovuta all’immunità della Nato, rimane accettabile, proporzionata, visti gli obiettivi che l’organizzazione internazionale deve realizzare.» La Corte d’appello si è riferita a una Corte olandese che aveva sancito l’immunità per i caschi blu olandesi dell’Onu, nella vicenda di Srebrenica.

Ma l’Onu e la Nato, lei dice, non possono essere messe sullo stesso piano.

La prima è un’organizzazione che almeno in linea di principio non è di parte e riconosce la sovranità e l’eguaglianza di tutte le nazioni; ha per obiettivo l’applicazione del proprio Statuto, che è la base del diritto pubblico internazionale contemporaneo. Inoltre l’Onu dovrebbe avere il monopolio dell’uso della forza, oltretutto solo con il fine di ristabilire la pace. La Nato è praticamente illegale rispetto alla Carta dell’Onu che parla di organizzazioni regionali ma non di patti militari; è un club militare di un gruppo limitato di paesi e ha come obiettivo l’uso della forza.

Non potevate impugnare l’illegalità della guerra della Nato, che andò ben oltre il mandato della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1973, operando un regime change e violando addirittura il mandato relativo alla protezione dei civili?

Dal punto di vista politico, è verissimo. La 1973 fu strumentalizzata. Però, questo genere di argomento renderebbe ancora più difficile le cose per un giudice belga. Ho preferito non usare l’argomento della legalità dei quella guerra perché nel caso della famiglia el Hamedi non ce n’era bisogno: prendere di mira un’abitazione civile è un crimine di guerra. La Commissione d’inchiesta dell’Onu sulla Libia al tempo si disse insoddisfatta delle spiegazioni della Nato circa l’episodio…a volte hanno tirato in ballo un errore da parte degli informatori sul campo, altre volte hanno affermato che la casa era una centrale di comando, tutto evidentemente falso.

Quali le vostre prossime mosse? Provare in altri paesi?

Dobbiamo valutare se continuare in Belgio; la Corte di cassazione non può cambiare la decisione nel merito. Altri paesi? Si potrebbe solo conoscendo la nazionalità dell’aereo che ha colpito quel giorno. Il paese è corresponsabile delle azioni. Ma è impossibile saperlo, vista l’omertà in casa Nato.  Pensiamo anche alla Corte europea per i diritti umani.

E il Tribunale penale internazionale (Tpi) visto che si tratta di un crimine di guerra?

Quanto al Tpi, la risoluzione 1970 sulla Libia in effetti lo tirava in ballo …dal punto di vista letterale gli venivano affidati tutti i crimini compiuti in Libia; ma è molto chiaro che ci si riferiva solo a Gheddafi e alla sua ristretta cerchia. Inoltre per le vittime, far ricorso a quel tribunale, significa avere pochissimi diritti; il procuratore spesso non avvia nemmeno l’inchiesta; lo sanno tutti. Ci sono pressioni fortissime.

Ha assistito altre vittime delle guerre occidentali?

Ci ho provato nel 2003 durante l’occupazione dell’Iraq. Il Belgio aveva la giurisdizione universale (cioè estesa ad atti compiuti fuori dei propri confini) rispetto ai crimini di guerra. Difendevo un gruppo di cittadini iracheni contro il generale Tommy Franks e altri militari. Beh, furono impressionanti le minacce. Il Segretario Usa alla difesa Donald Rumsfeld chiese al Belgio di non accettare la mia denuncia; il paese fu minacciato di boicottaggio, di ritiro degli uffici della Nato (100mila posti di lavoro); e siccome il ministro degli esteri si era rivelato un po’ indipendente, fu imposto di estrometterlo dal governo successivo. Del resto, come non ricordare il cosiddetto «Hague Invasion Act» del 2002? Una legge che autorizza l’uso della forza per liberare i cittadini statunitensi o di un paese alleato che fossero detenuti dal Tribunale penale, con sede all’Aia. Ecco, dopo il 2003 è stata minacciata una sorta di «Brussels Invasion Act».

Khaled el Hamedi, che ora vive rifugiato all’estero, ha creato l’associazioneVittime della guerra della Nato in Libia. Quali gli obiettivi?

Vuole aprire una possibilità per gli altri; unire le forze. Intanto per stabilire la verità. Sarà anche utili aiutarli a raccogliere elementi di prova sull’operato della Nato. E la pressione giudiziaria, è anche quella che viene dalle vittime…

Ma l’impunità delle potenze egemoni, è proprio invincibile?

La lotta contro l’impunità, anche in un mondo multipolare, è prima di tutto una lotta di popolo. E’ più politica che giuridica, anche se poi va tradotta in principi giuridici che superino, appunto, l’impunità. E’ un po’ lo stesso nella giustizia nazionale, che non è neutra rispetto al censo, come sappiamo. Comunque sono i popoli a doversi battere per imporre una giustizia imparziale e seria.

da sibialiria