Gladio, un’operazione per mantenere la Sardegna

28 settembre 2015

 

 

Attuare “tutti gli sforzi per mantenere l’isola della Sardegna”. Con questo presupposto gli Stati Uniti hanno appoggiato l’Operazione Gladio, una rete clandestina avviata nel 1956 d’intesa con il Ministero della Difesa italiano per contrastare l’avanzata sovietica. La base dell’operazione, situata vicino ad Alghero, a Torre Poglina-Capo Marrargiu, rientra addirittura nei piani di guerra USA. Lo si capisce da un documento oggi reso pubblico con delle annotazioni da Antonino Arconte, un ex “gladiatore”, sul suo sito g-71.blogspot.it

I fogli, datati 1959, recano la classificazione apposta a penna “segretissimo”.  Si può leggere che Gladio fa parte del progetto Stay Behind, basato su un accordo fra il servizio di informazioni italiano e quello statunitense in ambito NATO. Gli obiettivi sono due. Primo: dare appoggio alla resistenza per le popolazioni che “dovessero malauguratamente conoscere l’occupazione o il sovvertimento”. Secondo: assicurare “prestigio ed ulteriore capacità di governo all’autorità legittima dello stato”. 

Con questo ordine si chiarisce che Torre Poglina era adoperata per uso NATO. Prima i militari dell’esercito italiano, entrato da poco nella rete internazionale, si erano preparati in Gran Bretagna a condizione che l’Italia acquistasse armi dagli inglesi. Meglio giocare in casa: uno stabile per i briefing a Poglina, una zona per l’addestramento dei “guastatori” vicino a Capo Marrargiu. Senza contare le stazioni radio presenti anche in altri punti della zona. 

Il generale Ettore Musco, a capo dei servizi segreti della difesa, acquistò i terreni sotto copertura nel 1954. Qualche anno prima, nell’aprile del ‘46, il fratello, il colonnello Ugo Corrado Musco, aveva fondato l’Associazione Italiana per la Libertà (Ail). Era un’organizzazione paramilitare anticomunista, basata sui principi della “Carta Atlantica”, il documento firmato nel 1941 fra Stati Uniti e Gran Bretagna. Il proposito dei due Paesi alleati era quello di dare forma all’idea roosveltiana delle quattro libertà: libertà di parola, libertà di culto, libertà dal bisogno, libertà dalla paura. 

Coincidenza è che nello stesso mese anche un politico sardo, Bastià Pirisi, nato a Villanova Monteleone, in un discorso del 23 aprile richiami per il proprio progetto politico la stessa dichiarazione: “Primo essenziale nostro bisogno [è]quello di ottenere nelle forme rigorosamente legali e democratiche – secondo gli aurei principi della “Carta Atlantica” – un nostro governo autonomo, integrale, consociato con quello italiano”. Pirisi, che si distacca da altre formazioni indipendentiste, avrebbe fatto riferimento alla Carta sin dal 1944, in chiave comunque antifascista.

La conoscenza dell’atto diplomatico doveva essere molto diffusa nel secondo dopoguerra e rappresentava un’importante faro per un Paese che usciva dalla dittatura e da una guerra intestina. Logico che molti si riferissero ad esso, soprattutto a ridosso di un referendum che doveva sancire, il 2 giugno, una nuova forma di governo ed eleggere un’assemblea costituente.  

La “Lega sarda” di Bastià Pirisi finì in poco tempo nel dimenticatoio. L’Ail di Musco invece rimase operativa e si preparava nel ‘47 addirittura ad un colpo di stato (poi mai avvenuto) contando sull’appoggio di diversi generali. Per attuarlo chiese aiuto e finanziamenti anche all’ambasciata statunitense, dove venne depositato l’elenco degli appartenenti all’organizzazione.

In questo clima elettrico la Cia e i servizi segreti italiani concordarono fra il 1951 e il 1952 il piano “Demagnetize”, per ridurre l’influenza delle idee comuniste in Paesi ancora in bilico come Italia e Francia, attraverso una “guerra psicologica”. Pochi anni prima c’era stata la firma del Patto Atlantico. Con tutto quello che comportò sul piano politico e militare: uno stato maggiore proprio della NATO, lo SHAPE, e in seguito la condivisione dell’operazione Gladio. 

Molto di tutto questo venne reso pubblico all’inizio degli anni ’90. Alla rivelazione dell’esistenza dell’organizzazione Gladio, Andreotti dichiarò che - secondo informazioni dei servizi di sicurezza - la struttura segreta sarebbe cessata già nel 1972. Ma Arconte nei suoi libri racconta di aver lavorato in missioni all’estero molti anni dopo. E il generale Paolo Inzerilli (seppur dichiarando a “Famiglia Cristiana” che il suo servizio non uscì mai dai confini) comandò Gladio dal 1974 al 1986.

Ancora c’è molto da sapere. Rimangono da capire ad esempio le ragioni per cui si decise di collocare proprio in Sardegna il centro guastatori. Probabilmente l’isola era distante dalla “soglia di Gorizia”, confinante con la Jugoslavia, e si preferiva un luogo poco battuto e difficile da raggiungere. Probabile anche che la “portaerei inaffondabile al centro del Mediterraneo” (come la definì Mussolini) fosse considerata strategica. Eppure c’è da notare anche la singolare attenzione che i servizi segreti hanno sempre riservato ai movimenti politici dell’isola. 

Un indipendentista come Antonio Simon Mossa, intellettuale eclettico di origini algheresi, architetto e giornalista, viene accusato (fine anni ’50-inizio anni ’60) di violazione di segreto di stato perché aveva parlato di un incontro fra il presidente della regione Sardegna Efisio Corrias, il presidente tunisino Habib Bourghiba e l’algerino Ferhat Abbas. Un alto ufficiale dei servizi gli fa visita durante la notte; uno dei suoi collaboratori, il più giovane, viene trasferito; un altro viene minacciato di licenziamento. 

Poi, nel 1965 un convegno a Bosa, il primo sull’uso della lingua sarda, viene monitorato dai servizi segreti della difesa. 

Qualche anno fa, in un articolo non firmato della rivista italiana di intelligence, l’interesse è di nuovo rivolto alla Sardegna, considerata come un “laboratorio politico” (“Gnosis”, n° 2/2005). 

Particolari riguardi verso una regione che si è sentita spesso distante da ciò che succede a Roma.

 

Da The Depleted Island