L'ISIS nel Kosovo e nei balcani liberati e democratizzati dalla NATO

7 giugno 2015

Forum Belgrado Italia

 

 

Queste scritte inneggianti agli islamisti dell’Isis e ai terroristi indipendentisti albanesi dell'AKSH, con il messaggio “Il Califfato sta arrivando”, erano apparse lo scorso anno sui muri di cinta del monastero ortodosso di Decani, nel Kosovo.  Le scritte sono visibili anche a 300 metri dall’ingresso del monastero, il più importante della chiesa ortodossa serba, che è sotto protezione dell’Unesco, e tuttora protetto da check point, filo spinato e automezzi militari delle forze internazionali.

Il video dell'Isis diffuso il 4 giugno, relativo alle strategie del Califfato verso la regione balcanica, non fa altro che ufficializzare ciò che analisti militari, studiosi, osservatori e giornalisti ( quelli ovviamente, che possiedono onestà intellettuale e indipendenza dai media occidentali), da anni segnalano, documentano e denunciano, cioè che dalla distruzione della Jugoslavia in poi in quelle regioni, si è insediata una realtà legata all'estremismo fondamentalista ed integralista, che ormai è parte ben radicata di quegli Stati e che ha un influenza su decine di migliaia di persone. E' curioso che solo ora media, giornalisti e politici gridino "al lupo", spaventati dalla possibilità di avere vicino a noi i terribili militanti dello Stato islamico; in questi anni questi signori si occupavano di cucina, di teatro, di poesia o di flora marina? Dietro questo processo di radicamento integralista vi sono i governi di Stati nostri alleati, quali la Turchia e l’Arabia Saudita, membri della NATO o baluardi delle politiche criminali e devastatrici nel Medio Oriente che sovvenzionano la ricostruzione di scuole e moschee, per potere successivamente diffondere la propria linea ideologica attraverso tali istituzioni. Ad esempio si stima che solo i fondi sauditi filtrati nei Balcani attraverso organizzazioni caritatevoli dedite al proselitismo superino i 500 milioni di dollari. Eppure questi stessi soggetti integralisti in Iraq, in Cecenia, in Bosnia, in Serbia, nel Kosovo, in Libia, in Siria sono stati esaltati come combattenti per la libertà, sono stati finanziati, armati, sostenuti dai governi occidentali e dai media ufficiali; sono stati i protagonisti della "liberazione" di quei paesi da "regimi e despoti" che non li tolleravano e li combattevano…ma non erano "democratici".  Ieri eroi oggi terroristi criminali! Campioni di "salto della quaglia", i nostri.

 

Nella foto: il primo ministro del Kosovo H. Thaci, comandante dell'UCK e denunciato come criminale di guerra

Dalle loro poltrone mediatiche mettono in guardia circa il pericolo pericolo che sui barconi dei disperati che attraversano il Mediterraneo, possa esserci qualche terrorista del califfato; ed ora tremano alla visione di questo video che li mette davanti ad una realtà concreta: quella della possibilità materiale che nel pacioso occidente non ci sia solo qualche pazzo terrorista, ma ci possa essere addirittura una strategia di destabilizzazione sanguinaria e pianificata da parte dell’Isis e del Califfo che lo guida. Ma questi luminari del giornalismo, della politica, dell'informazione di massa non sono a conoscenza del Battaglione Dudaev in Ucraina, formato da 550 jihadisti tagliagole, reduci dell'Iraq, della Libia, della Siria, che stanno combattendo per la "democrazia e la libertà" in Ucraina contro le milizie popolari antinazifasciste del Donbass, ai quali cui è stato fornito un passaporto ucraino per "patriottismo", con cui possono tranquillamente e legalmente prendere un aereo o un treno e arrivare a Roma, Berlino, Parigi, Londra, ecc. Altro che barconi… Ma c'è un altro aspetto che questa realtà deve far venire alla luce: ed è la responsabilitù di politici, giornalisti, pensatori di destra e di sinistra (poco cambia alla luce degli ultimi avvenimenti accaduti, tranne ovviamente le solite eccezioni singole). Tutti coloro che in questi ultimi venti anni, chi in malafede, chi in buonafede, chi per condivisione politica delle strategie aggressive e imperialistiche, chi per logiche ideologiche ingessate e meccanicistiche, ma di fatto virtuali e staccate dalle realtà dei popoli; tutti costoro sono stati di fatto complici di questa situazione prodottasi oggi. Quando si denunciava che Bin Laden aveva il passaporto della "nuova Bosnia", quando si spazzavano via l'Afghanistan l'Iraq, Haiti, Grenada, il Burkina Faso di Sankara, la Jugoslavia, la Serbia, il Kosovo multietnico, la Libia, oggi la Siria e l'Ucraina del Donbass (che però non sono cadute); tutti questi signori profumatamente pagati, professionisti e illuminati politicamente, cosa dicevano, scrivevano, quali analisi proponevano?

A nessuno di questi signori viene in mente che la diffusione del jihadismo nell’area balcanica rappresenta il prodotto di una progettualità occidentale di destabilizzazione, che ha creato instabilità oltre ad un immiserimento generale e un frazionamento etnico-religioso generatore di odii tra i popoli, tutto in nome di una cieca logica di interessi immediati. I casi sono tre: o sono semplicemente degli stipendiati che raccontano ciò che viene detto loro, o sono degli incapaci, innocenti a causa di limiti di competenze professionali e intellettive, oppure sono in malafede.

Tutto parte dalla diffusione da partedell'Isis di un video dove si annuncia di voler "vendicare l'umiliazione subita dai musulmani in Kosovo, Albania e Macedonia"; così proclama nel video in lingua albanese Abu Muqatil Al Kosovi, un miliziano islamico kosovaro che si dichiara rappresentante dello Stato Islamico nella regione. Il lungo video diffuso dal Al Hayat media center, il mezzo mediatico ufficiale dell'organizzazione, annuncia futuri attacchi nella regione balcanica, che saranno affidati a miliziani di origine albanese. "Arriveremo con gli esplosivi", dichiara fra le altre cose Abu Muqatil al Kosovi, originario del Kosovo. Abu Muqatil, preannuncia "giornate nere" per tutti quelli che "in Kosovo, in Albania, in Macedonia ed in tutti i Balcani hanno disprezzato i musulmani". Poi aggiunge: "dovrete aver paura di camminare per le strade, di stare nei vostri uffici, di dormire nelle vostre case. Con il permesso di Allah, vi strangoleremo".

 

 

Già dalla fine del 2013 il War Long Journal, citando la rivista specializzata SITE, aveva stimato che oltre centocinquanta jihadisti kosovari stavano combattendo nelle fila dell’opposizione armata siriana, oggi alcune fonti ufficiose parlano di quasi 2000 combattenti provenienti dai vari stati balcanici. Fra questi c’è anche Abu Abdulah el-Kosovi, che nel video dell’ISIS parla nella sua lingua madre albanese dell’importanza di estendere la guerra nei Balcani e in Europa. Si tratta di un fatto importante poiché evidenzia l’obiettivo da parte del Califfato di rivolgersi direttamente alle popolazioni di etnia albanese, ultimamente sempre più coinvolte nel conflitto siriano. Il fenomeno è in continua crescita sin dal 2011, anno in cui secondo le fonti dei Servizi di sicurezza serbi è cominciato l’afflusso di combattenti dai Balcani. A sostegno di questa tesi vi sono i dati riportati nell’articolo “Albanian Islamists Join Syrian Civil War” di Mohammad al-Arnaout (consultabile sul sito al-monitor.com). Secondo l’autore, infatti, i volontari non provengono dal solo Kosovo, ma più in generale da tutti quei paesi balcanici in cui è presente popolazione albanese di fede islamica, ossia Montenegro, Macedonia, Serbia (valle di Preševo) e, chiaramente, Albania, oltre a quelli provenienti massicciamente alla Bosnia. Questa campagna di reclutamento, come riportato dall'autorevole pubblicazione Analisi Difesa, ha negli ultimi tempi preoccupato anche le autorità locali, soprattutto dopo che alcuni giornali, come Shekulli (il Secolo) di Tirana e Koha Ditore (Daily Time) di Priština hanno pubblicato dei pezzi allarmanti sul flusso di combattenti verso la Siria. L’articolo più deciso è stato quello della testata kosovara, che ha puntato il dito contro la politica troppo “distratta” del Premier Thaci, nonchè contro le due moschee del paese, una nella capitale e una a Mitrovica, indicate come veri centri di reclutamento del terrorismo. In Kosovo un altro fattore inquietante è rappresentato dal partito LISBA (il cui nome inglese è “Islamic Movement to Unite”) accusato da alcuni osservatori locali di essere direttamente coinvolto in queste attività. Questa realtà politica è guidata da Arsim Krasniqi e Fuad Ramini (nella foto sotto)che The Weekly Standard ritiene essere il vero leader carismatico, sfruttando due elementi che facilitano l’affermazione dell’integralismo islamico: la grandissima influenza che gli USA hanno sul paese e gli aiuti sauditi in favore della diffusione del wahabismo.

 

 

Il 12 novembre 2013 sei uomini furono arrestati in Kosovo con l’accusa di essere i responsabili del reclutamento di combattenti. Tuttavia i problemi del Kosovo non finiscono qui. Secondo varie agenzie di stampa già l’anno scorso il territorio del Kosovo è stato utilizzato come centro di addestramento da vari gruppi armati siriani, rivoltisi all’UCK per migliorare le proprie preparazioni al combattimento.   L'accusa più pesante e dettagliata fu quella di V. Čurkin, Ambasciatore Russo presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che già nel maggio 2012 denunciò che “le autorità del Kosovo hanno dei rapporti con rappresentanti dell’opposizione siriana per addestrare insorti siriani sul proprio territorio".

Nell’agosto 2014 ci sono stati oltre 40 arresti di militanti e seguaci della rete del Califfato in Kosovo, mentre altri 17 erano sfuggite alla retata.

 

Nella foto sotto l'Imam della moschea El-Kudus a Gnjilane, Zekerija Cazim, uno dei principali istigatori e reclutatori della jihad in Kosovo, mentre viene portato in carcere.

 

 

Nel settembre 2014 a Pristina, durante una seconda retata diretta dalle forze internazionali contro la rete locale dell'Isis, tra i 15 fermati (di cui 9 sono iman di moschee locali), è stato fermato anche Shefqet Krasniqi (foto sotto), capo religioso della Grande Moschea di Pristina, che reclutava e indirizzava verso le zone di guerra in Siria e Iraq; si valuta che solo attraverso lui siano partiti da Pristina oltre 200 volontari, di cui 20 sono morti in combattimento.

 

 

Fermato anche Fuad Raqimi, il maggior leader politico islamico estremista del Kosovo Tra i nomi dei più noti jihadisti kosovari compare anche quello di Lavdrim Muhaxheri, comandante della Brigata Balcanica, battaglione che combatte al fianco dello Stato Islamico in Iraq e composto quasi interamente da miliziani di origine balcanica, apparso in un video in cui brucia il suo passaporto kosovaro e decapita un bambino accusato di spionaggio, come gesto di iniziazione (foto sotto). Lavdrim Muhaxheri è stato poi ucciso nella città Kobane, come riportato dal giornalista del "Times", H. Jaber.

 

 

Nella foto di destra che ritrae Muhaxheri la persona alla sinistra del riquadro (cerchiata col rosso) è Muhammad Zekirj, un terrorista dalla Macedonia di Ohrid, che insieme ad un altro terrorista di nazionalità albanese macedone, Benjamin Imeri da Gërçec, erano stati scambiati tra l'Isis e la Turchia, alla quale erano stati restituiti i 49 cittadini turchi rapiti, in cambio dei due terroristi. I due erano stati arrestati per l'omicidio di tre agenti di polizia turchi nel sud dell'Anatolia. Crimine che avevano commesso, secondo le autorità turche, insieme con un cittadino del Kosovo, Stand Ramadaniz.

 

 

Ecco uno dei "liberatori" del Kosovo alleati della NATO e dell'occidente, poi al lavoro in Siria e Iraq, con in mano la testa di un ragazzino siriano

 

 

Bujar Abdia, un albanese che da molti mesi combatteva nelle file dello Stato Islamico, si è fatto esplodere in un attacco suicida nella provincia di Salahuddin, nel nord dell'Iraq, uccidendo 36 soldati curdi. I Wahhabiti di Glogovac in Kosovo hanno minacciato di decapitare il deputato dell'Alleanza per il Futuro del Kosovo e membro dell'Assemblea del Kosovo Palu Lekaj. Oltre a Palu Lekaj, Abdia capo della comunità di Glogovac ha minacciato altri politici del Kosovo definendoli "infedeli".

In Siria invece è stato ucciso un altro albanese combattente nelle file dell'Isis: si tratta di Ekrem Hasan da Kline, fratello di Abu Hassani, che a sua volta sta combattendo in Siria.

 

 

Il giornale "The Economist" ha redatto un elenco dei paesi europei che hanno inviato jihadisti nelle zone di combattimento. In percentula, il Kosovo è in cima alla lista dei 22 paesi, seconda la Bosnia e quarta l'Albania. Una trentina di loro sono stati uccisi nei combattimenti.

Dalla sola area di Raska in Kosovo sono andati a combattere in Siria tra le fila dello Stato Islamico circa 40 wahhabiti; la comunità islamista radicale di Raska è formata da circa 120 persone che organizzano scuole wahhabite nei locali di case private.

 

Nell’immagine: un jihadista kosovaro dell'Isis

 

Ma la situazione è gravissima anche in Bosnia-Erzegovina dove esiste una presenza massiccia dell'integralismo e dello jihadismo, in particolare wahabita e salafita, che sono sul posto già dal conflitto degli anni ’90, quando migliaia di mujahidin accorsero nel paese per combattere le forze serbe. Sono pubbliche le denunce del reclutamento per la Siria e di uffici preposti ad esso nella repubblica bosniaca; i dati ufficiali suggeriscono la presenza di bosniaci musulmani nella guerra contro Damasco. Alcuni giornali serbi, tra cui il Vecernje Novosti, hanno rivelato che sono quasi 600 i volontari attivi in Siria provenienti da Sarajevo e altri centri. Quanti rammentano che l’attentatore di Francoforte del 2011, che uccise due soldati americani e ne ferì altri, era il kosovaro albanese Arid Uka, ed era stato addestrato nell’enclave salafita bosniaca di Zenica? Sempre nel 2011 Mevlid Jasarevic, albanese nativo di Novi Pazar in Serbia, noto per i contatti con le cellule jihadiste di Gornja Maoca, era uno degli attentatori contro l’ambasciata USA a Sarajevo; insieme a lui c'era il ventitreenne Emrah Fojnica, morto poi in un attentato suicida in Iraq nel 2014.

Come riporta Veronica Castellano in Osservatorio Terrorismo alcune delle zone che attualmente ospitano comunità di orientamento salafita in Bosnia sono i villaggi di Bihac (al confine settentrionale con la Croazia), Teslic, Zepce, Zenicae (nella zona centrale del Paese), Gornja Maoca e la città nord-orientale di Tuzla. Tali comunità rifiutano di collaborare e riconoscersi nella principale organizzazione islamica bosniaca, la Islamiska Zaidenica, e vivono secondo una interpretazione ultra-conservatrice e draconiana della Sharia, senza telefoni o televisori, mandando i bambini in scuole coraniche (piuttosto che scuole pubbliche) e seguendo i sermoni di imam estremisti come Nusret Imamovic, Jusuf Abu Muhammad al-Maqdisi, o Bilal Bosnic, quest’ultimo uno dei leader del movimento salafita bosniaco che recentemente ha predicato anche nel nord Italia. Tra i più noti epicentri del reclutamento jihadista bosniaci vi sono la Moschea Bianca e quella del Re Fahd, entrambe a Sarajevo  

 

Nelle immagini: componenti della Brigata Balcanica dell'Isis