LE VERE RAGIONI DELLA GUERRA IN LIBIA

LE VERE RAGIONI DELLA GUERRA IN LIBIA

di Jean-Paul Pougala*

 

IL PRIMO SATELLITE AFRICANO RASCOM 1

E’ la Libia di Gheddafi che offre a tutta l’Africa la sua prima vera rivoluzione dei tempi moderni: assicurare la copertura universale del continente per la telefonia, la televisione, la radiodiffusione e per molteplici altre applicazioni, come la telemedicina e l’insegnamento a distanza. Per la prima volta diventa disponibile una connessione a basso costo su tutto il continente, fino alle più sperdute zone rurali, grazie al sistema di ponti radio WMAX.

La storia inizia nel 1992, quando 45 paesi africani creano la società RASCOM per disporre di un satellite africano che faccia abbassare i costi delle comunicazioni nel continente. Telefonare da e verso l’Africa presentava all’epoca le tariffe più care al mondo, perché esisteva un’imposta di 500 milioni di dollari che ogni anno l’Europa incassava sulle conversazioni telefoniche, anche all’interno di uno stesso paese africano, per il passaggio delle comunicazioni sui satelliti europei come Intelsat. Un satellite africano veniva a costare 400 milioni di dollari da sborsare una volta sola, eliminando così il versamento annuale di 500 milioni per avere in affitto i satelliti europei. Quale banchiere non finanzierebbe tale progetto? Ma l’equazione più difficile da risolvere era: come può lo schiavo affrancarsi dallo sfruttamento del suo padrone sollecitando proprio l’aiuto di quest’ultimo per ottenere la sua liberazione? Per 14 anni la Banca Mondiale, il FMI, gli USA, l’UE avevano fatto intravedere la possibilità del finanziamento creando aspettative nei paesi africani.

 

Nel 2006, Gheddafi mette fine a queste inutili richieste caritatevoli ai presunti benefattori occidentali che praticano prestiti a tassi da usurai: la guida libica mette così sul tavolo 300 milioni di dollari, la Banca Africana per lo Sviluppo mette 50 milioni e la Banca dell’Africa Occidentale per lo Sviluppo 27 milioni. E così, il 26 dicembre 2007, l’Africa ha iniziato a gestire il suo primo satellite per le comunicazioni della sua storia. Su questa scia si sono poste la Cina e la Russia che hanno ceduto la loro tecnologia permettendo quindi il lancio di nuovi satelliti (Sudafrica, Nigeria, Angola, Algeria), e la messa in orbita nel luglio del 2010 di un secondo satellite africano. Per il 2020 è prevista la costruzione del primo satellite frutto al 100% della tecnologia africana, costruito sul suolo africano, esattamente in Algeria. Si prevede che questo satellite sarà in grado di fare concorrenza ai migliori satelliti del mondo con costi dieci volte inferiori. Una vera sfida!

Ecco come un semplice gesto simbolico di 300 piccoli milioni ha cambiato la vita di tutto un continente. La Libia di Gheddafi ha fatto perdere all’Occidente non solo 500 milioni di dollari all’anno, ma i miliardi di dollari di debiti e di interessi che questo debito permetteva di generare all’infinito e in modo esponenziale, contribuendo anche a mantenere in vita il meccanismo occulto di spoliazione dell’Africa.

IL FONDO MONETARIO AFRICANO, LA BANCA CENTRALE AFRICANA, LA BANCA AFRICANA DI INVESTIMENTI

I 30 miliardi di dollari sequestrati da Obama appartengono alla Banca Centrale Libica ed erano previsti quale contributo finanziario libico alla costruzione della Federazione Africana attraverso tre progetti guida:

a) la Banca Africana di Investimenti a Sirte in Libia;

b) la creazione nel 2011 del Fondo Monetario Africano (FMA) con un capitale di 42 miliardi di dollari, con sede a Yaoundé in Camerun;

c) la Banca Centrale Africana, con sede a Abuja in Nigeria, la cui prima emissione della moneta africana decreterà la fine del Franco CFA, la moneta con cui Parigi mantiene il controllo su alcuni paesi africani da oltre 50 anni.

E’ quindi comprensibile, una volta di più, la rabbia di Parigi contro Gheddafi. Il FMA dovrebbe sostituire in toto le attività sul territorio africano del FMI, che con soli 25 miliardi dollari di capitale ha messo in ginocchio tutto il continente con privatizzazioni discutibili, come l’obbligo per i paesi africani di passare da forme di monopolio pubblico a monopoli privati. Persino gli stessi paesi occidentali hanno bussato alla porta per essere ammessi come membri del FMA. Però, il 16-17 dicembre 2010 a Yaoundé, all’unanimità gli africani hanno respinto questa bramosia, stabilendo che solo i paesi africani potevano essere membri di questo FMA.

E’ dunque evidente che, dopo la Libia, la coalizione occidentale scatenerà la sua prossima guerra contro l’Algeria, paese che oltre a detenere enormi riserve energetiche possiede una riserva monetaria di 150 miliardi di euro. Ciò che muove la bramosia di tutti i paesi che stanno bombardando la Libia e che li accomuna, è che sono tutti dal punto di vista finanziario in fallimento. Gli USA da soli hanno un debito di 14 mila miliardi di dollari; la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia hanno ciascuna quasi 2 mila miliardi di debito pubblico, quando i 46 paesi dell’Africa nera hanno in totale un debito pubblico inferiore a 400 miliardi di dollari. Creare conflitti con falsi pretesti in Africa, nella speranza di trovare l’ossigeno per continuare nella loro apnea economica, ma che invece peggiorerà la loro situazione, porterà gli occidentali a sprofondare nel loro declino che è partito nel 1884 dopo la famosa Conferenza di Berlino. Perché, come aveva predetto l’economista americano Adam Smith nel 1865 a sostegno di Abraham Lincoln per l’abolizione della schiavitù: “L’economia di tutti i paesi che praticano oggi la schiavitù dei neri sta innescando una discesa agli inferi, che sarà terribile il giorno che inizierà il risveglio delle altre nazioni”.

UNIONI REGIONALI COME FRENO ALLA CREAZIONE DEGLI STATI UNITI D’AFRICA

Per destabilizzare e distruggere l’unità africana, che va pericolosamente (per l’Occidente) verso la costruzione degli Stati Uniti d’Africa con Gheddafi capofila, l’UE ha tentato sin dall’inizio senza riuscirci di giocare la carta della creazione dell’Unione per il Mediterraneo (UPM). Era assolutamente necessario separare nettamente il nord Africa dal resto del continente, portando avanti le medesime tesi razziste proprie del XVIII-XIX secolo, secondo le quali le popolazioni africane di origine araba sarebbero più evolute, più civilizzate di quelle del resto dell’Africa. Questa creazione dell’UPM è fallita perché Gheddafi ha rifiutato di entrarvi. Egli aveva compreso subito il gioco, a partire dal momento in cui si parlava dell’UPM associandovi solo alcuni paesi africani senza includervi l’UA, ma invitando tutti i 27 paesi dell’UE.

L’UPM senza il motore principale della Federazione Africana è fallita ancor prima di iniziare, un nato-morto con Sarkozy come presidente e Mubarak come vice-presidente. E’ ciò che Alain Juppé tenta di rilanciare scommettendo naturalmente sulla caduta di Gheddafi. Ciò che i dirigenti africani non comprendono è che, fino a che sarà l’UE a finanziare l’UA, si sarà sempre al punto di partenza, perché in queste condizioni non si realizzerà mai una effettiva indipendenza. In questa stessa direzione, l’UE ha incoraggiato e finanziato in Africa raggruppamenti regionali. E’ evidente che la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO) che ha un’ambasciata a Bruxelles e che riceve la parte essenziale dei suoi finanziamenti dall’UE, è un importante ostacolo contro la Federazione Africana. Questo è ciò che Lincoln aveva combattuto con la Guerra di Secessione negli USA, perché dal momento in cui un gruppo di paesi si raggruppano in un’organizzazione politica regionale, questo non può che rendere fragile l’organizzazione centrale. Questo è ciò che l’Europa voleva, e quello che gli africani non hanno ben compreso creando uno dopo l’altro il Mercato Comune dell’Africa Orientale e meridionale (COMESA), la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (UDEAC), la Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale (SADC) e il “Grande Maghreb” non ha mai funzionato ancora una volta grazie a Gheddafi che lo aveva ben capito.

GHEDDAFI, L’AFRICANO CHE HA PERMESSO DI LAVARE L’UMILIAZIONE DELL’APARTHEID

Gheddafi è nel cuore di pressoché tutti gli africani come un uomo molto generoso e umanitario per il suo sostegno disinteressato alla battaglia contro il regime razzista del Sudafrica. Se Gheddafi fosse stato un uomo egoista nulla l’avrebbe obbligato ad attirare su di sé i fulmini degli occidentali per il suo sostegno finanziario e militare all’African National Congress (ANC) nella lotta contro l’apartheid.

Per questo motivo, il 23 ottobre 1997, appena liberato dopo 27 anni di prigionia, Nelson Mandela decide di rompere l’embargo dell’ONU contro la Libia. A causa di questo embargo anche aereo, per cinque lunghi anni nessun aereo aveva potuto atterrare direttamente in Libia; per arrivarci occorreva prendere un aereo per la Tunisia, arrivare a Djerba, viaggiare in macchina per cinque ore verso Ben Gardane, attraversare la frontiera e dopo tre ore di strada nel deserto si arrivava a Tripoli. Oppure bisognava passare per Malta e compiere la traversata di notte su naviglio poco affidabile sino alla costa libica.

Un calvario per tutto un popolo solo per punire un unico uomo. Mandela decise di spezzare questa ingiustizia e rispondendo all’ex presidente USA Bill Clinton, che aveva giudicato questa visita “illegale”, insorse affermando: “Nessuno Stato può arrogarsi il ruolo di gendarme del mondo, e nessuno Stato può dire agli altri ciò che devono fare”. Ed aggiunse: “Coloro che ieri erano amici dei nostri nemici hanno oggi la sfrontatezza di propormi di non visitare il mio fratello Gheddafi, ci consigliano di essere ingrati e di dimenticare i nostri amici di ieri”. Effettivamente, per l’Occidente, i razzisti del Sudafrica erano dei loro fratelli che bisognava proteggere. Era per questo motivo che tutti i membri dell’ANC, compreso Mandela, erano considerati dei pericolosi terroristi. Bisognerà attendere il 2 luglio 2008 perché il Congresso USA voti una legge per depennare il nome di Nelson Mandela e dei suoi compagni dell’ANC da questa lista nera dei pericolosi terroristi, non perché avessero compreso la sciocchezza di una tale lista, ma un gesto in occasione dei 90 anni di Mandela. Se oggi gli occidentali sono pentiti del loro sostegno concesso ai nemici di Mandela, e sono veramente sinceri quando dedicano il suo nome a strade e piazze, come mai continuano a fare la guerra a Gheddafi, colui che ha permesso la vittoria di Mandela e del suo popolo?

COLORO CHE VOGLIONO ESPORTARE LA DEMOCRAZIA SONO LORO STESSI DEI DEMOCRATICI?

E se la Libia di Gheddafi fosse più democratica degli USA, della Francia, della Gran Bretagna e di tutti coloro che fanno la guerra per esportare la democrazia in Libia? Il 19 marzo 2003 il presidente George W. Bush sgancia bombe sulla testa degli iracheni con il pretesto di esportare la democrazia. Il 19 marzo 2011, otto anni più tardi, giorno dopo giorno è il presidente francese Sarkozy che sgancia le sue bombe sulla testa dei libici con il medesimo pretesto di offrire loro la democrazia. Mister Obama, premio Nobel per la Pace 2009 e presidente USA, a giustificazione del fatto che sta procedendo allo sganciamento di missili Cruise dai suoi sottomarini sulla testa dei libici, ha affermato che questo avviene per cacciare dal potere il dittatore Gheddafi ed instaurare la democrazia.

La domanda che ogni essere umano dotato di medie capacità intellettuali di valutazione e giudizio non può non porsi è: questi paesi come la Francia, la Gran Bretagna, gli USA, l’Italia, la Norvegia, la Danimarca, la Polonia, la cui legittimità per andare a bombardare i libici si basa solo sul fatto di essersi autoproclamati “paesi democratici”, sono essi stessi realmente democratici? Se sì, sono più democratici della Libia di Gheddafi? La risposta senza equivoci è NO per la semplice e buona ragione che la democrazia non esiste!

Non sono io che affermo questo, ma colui la cui città natale, Ginevra, ospita importanti organi dell’ONU. Si tratta beninteso di Jean-Jaques Rousseau, nato a Ginevra nel 1712, che afferma nel IV capitolo del III libro del suo celeberrimo “Contratto Sociale”: “Non è mai esistita una genuina democrazia, e non esisterà mai”. Secondo Rousseau, perché uno Stato sia effettivamente democratico occorrono quattro condizioni, per cui la Libia di Gheddafi è tanto lontana dalla democrazia quanto lo sono gli USA, la Francia e tutte le altre nazioni che pretendono di esportare in Libia la democrazia:

1) Dimensioni dello Stato: più uno Stato è grande, meno può essere democratico. Per Rousseau, lo Stato deve essere di dimensioni molto piccole affinché il popolo possa facilmente riunirsi in assemblea, e che ogni cittadino possa facilmente conoscere tutti gli altri. Dunque, prima di fare votare la gente, è necessario assicurarsi che ciascuno conosca tutti gli altri; senza questo, votare per votare è un atto destituito di qualsiasi fondamento democratico, è un simulacro di democrazia per eleggere un dittatore. La struttura dell’organizzazione statale libica si fonda su base tribale che per definizione raggruppa il popolo in piccole entità. Il sentimento democratico è più presente in una tribù, in un villaggio che in una grande nazione, perchè il fatto che tutti si conoscano e che la vita si conduca attorno a medesimi punti comuni apporta una sorta di autoregolazione, di autocensura, anche per valutare momento per momento la reazione o la controreazione degli altri membri a favore o contro le opinioni che si possono avere. Da questo punto di vista, è la Libia che risponde al meglio alle esigenze di Rousseau; questo invece non si può dire per gli USA, per la Francia o la Gran Bretagna, società fortemente urbanizzate, dove la maggior parte dei vicini non si dicono nemmeno buongiorno o addirittura non si conoscono anche se vivono fianco a fianco da vent’anni.

In questi paesi si è passati direttamente alla tappa successiva, “il voto”, che è stato malignamente santificato in modo da far dimenticare che questo voto è inutile, a partire dal momento che ci si esprime sull’avvenire di una nazione senza conoscerne i suoi membri. Si è arrivati persino alla sciocchezza del voto dei cittadini residenti all’estero. Conoscersi e parlarsi è la condizione essenziale della comunicazione per il dibattito democratico che precede qualsiasi elezione.

2) Occorre la semplicità dei costumi e dei comportamenti per evitare di passare la maggior parte del tempo a parlare di giustizia, di tribunali impegnati a trovare le soluzioni alla moltitudine di conflitti di interessi diversi che una società troppo complessa fa nascere naturalmente. Gli occidentali si definiscono come paesi civilizzati, dunque dai costumi complessi, e la Libia come un paese cosiddetto primitivo, vale a dire di costumi semplici. Da questo punto di vista, ancora una volta, è la Libia che risponderebbe meglio ai criteri democratici di Rousseau, rispetto a tutti quelli che pretendono di impartirgli lezioni di democrazia. In una società complessa, i molto numerosi conflitti vengono risolti secondo la legge del più forte, poiché colui che è ricco evita la prigione in quanto può permettersi i migliori avvocati, ma soprattutto perché l’apparato repressivo dello Stato viene orientato contro chi ruba una banana in un supermercato, piuttosto che contro un delinquente finanziario che causa il crollo di una banca. In una città come New York dove il 75% della popolazione è bianca, l’80% dei posti per quadri dirigenti è occupato da bianchi, mentre invece in prigione troviamo una popolazione carceraria solo al 20% bianca.

3) L’uguaglianza nella società e nella gestione del potere. E’ sufficiente guardare la classifica Forbes 2010 per vedere quali sono i redditi delle persone più ricche di ciascun paese fra quelli che sganciano le bombe sulla testa dei libici e vedere la differenza con il salario più basso in ciascun paese e fare la stessa cosa per la Libia, per comprendere che, in materia di redistribuzione della ricchezza del paese, spetta alla Libia esportare il suo buon governo presso coloro che la combattono, e non il contrario. Anche sotto questa angolazione, secondo Rousseau, la Libia sarebbe più democratica di coloro che pomposamente vogliono esportare in essa la pretesa democrazia. Negli USA, il 5% della popolazione possiede il 60% della ricchezza nazionale. Questo è il Paese più squilibrato, più diseguale nel mondo.

4) Niente lussi! Per Rousseau, perché ci sia democrazia in un Paese, non bisogna che ci siano lussi in quanto, secondo lui, il lusso rende necessaria la ricchezza e quest’ultima diventa la virtù, l’obiettivo da raggiungere a qualsiasi prezzo, e non la felicità del popolo: “il lusso corrompe indifferentemente il ricco e il povero, l’uno per l’avidità di possedere, l’altro per l’invidia; vende la patria alle mollezze, alla vanità; sottrae allo Stato i suoi cittadini per asservirli gli uni agli altri, e tutti al giudizio”. C’è più lusso in Francia o in Libia? Questo rapporto di asservimento dei lavoratori che sono spinti perfino al suicidio, anche se dipendenti da imprese pubbliche o semi-pubbliche, per ragioni di profitto e dunque di possesso del lusso da parte di chi li sfrutta, è più stridente in Libia o in Occidente?

Nel 1956, il sociologo statunitense C. Wright Mills ha descritto la democrazia negli USA come “la democrazia delle élite”. Secondo Mills, gli USA non sono una democrazia perché, in definitiva, è il denaro che parla nelle elezioni, e non il popolo. Il risultato di ciascuna elezione è l’espressione della voce del denaro e non la voce del popolo. Dopo Bush padre e Bush figlio, per le primarie del Partito Repubblicano del 2012 si parla già di Bush junior. Per di più, se il potere politico si basa sulla burocrazia, Max Weber fa notare che negli USA ci sono 43 milioni di funzionari e militari che comandano effettivamente il Paese, ma costoro non sono stati votati da nessuno e non rispondono direttamente al popolo delle loro attività. Dunque, viene votata una sola persona (un ricco!), ma il vero potere è sostanzialmente gestito dalla sola casta dei ricchi, che puramente e semplicemente è il risultato di nomine, non di votazioni, come per gli ambasciatori, i generali d’armata, ecc.

Quante persone nei paesi autoproclamatisi “democratici” sanno che in Perù la costituzione proibisce un secondo mandato consecutivo al presidente della repubblica uscente? Quante persone sanno che in Guatemala, non solamente il presidente uscente non può più presentarsi come candidato a questa carica, ma anche nessun membro della sua famiglia, a qualsiasi grado di parentela appartenga, non può più concorrere a questa elezione? Quanti sanno che il Rwanda è il primo paese al mondo in fatto di integrazione politica delle donne con il 49% di parlamentari donne? Quanti sanno che nella classifica 2007 della CIA World Factbook fra i dieci paesi meglio governati al mondo, quattro sono africani? Con la palma d’oro alla Guinea Equatoriale il cui debito pubblico rappresenta solo l’1,14% del suo PIL.

Rousseau sostiene che la guerra civile, le rivolte, le ribellioni sono gli ingredienti di una democrazia nascente. Perché la democrazia non è un fine, ma un processo permanente per riaffermare i diritti naturali degli uomini, dato che in tutti i paesi del mondo (senza eccezioni) un pugno di uomini e di donne, confiscando il potere al popolo, l’orienta a tutto vantaggio dei propri affari. Si trovano qua e là forme di casta che usurpano la parola “democrazia”, che dovrebbe essere l’ideale cui tendere, e non un’etichetta da accaparrarsi o un ritornello di cui vantarsi, poiché si è in grado di gridare più forte degli altri. Se un paese è tranquillo, come la Francia o gli USA, vale a dire non si verificano rivolte, per Rousseau questo fatto ci permette molto semplicemente di affermare che il sistema dittatoriale è sufficientemente repressivo per impedire qualsiasi tentativo di ribellione. Se i libici si rivoltano, non è una cattiva cosa. Pretendere che i popoli accettino stoicamente il sistema che li opprime in tutti i paesi del mondo senza reagire è cosa molto cattiva. A Rousseau la conclusione: “Malo periculosam libertatem quam quietum servitium - traduzione: se ci fosse un popolo di dei, il loro governo sarebbe democratico. Un governo così perfetto non si addice agli umani”. Affermare che si ammazzano i libici per il loro bene, è un inganno.

QUALI LEZIONI PER L’AFRICA

Dopo 500 anni di relazioni fra dominatori e dominati, è dimostrato che con l’Occidente non abbiamo i medesimi criteri per definire il buono e il cattivo. Noi abbiamo interessi profondamente divergenti. Come non deplorare il sì di tre paesi africani sub-sahariani, la Nigeria, il Sudafrica e il Gabon in favore della risoluzione ONU 1973, che inaugura la nuova forma di colonizzazione battezzata “protezione dei popoli”, che convalida la teoria razzista che gli europei veicolano dal XVIII secolo secondo la quale l’Africa del nord non ha nulla da spartire con l’Africa sub-sahariana, e quindi l’Africa del nord sarebbe più evoluta, più istruita e più civilizzata del resto del continente. Tutto avviene come se la Tunisia, l’Egitto, la Libia, l’Algeria non facciano parte dell’Africa. La stessa ONU sembra ignorare la legittimità dell’UA sugli Stati membri. L’obiettivo è quello di isolare i paesi dell’Africa sub-sahariana al fine di indebolirli e meglio tenerli sotto controllo. In effetti, nel capitale del nuovo FMA, l’Algeria contribuisce con 16 miliardi di dollari e la Libia con 10 miliardi di dollari, per un 62% del capitale totale che si aggira sui 42 miliardi di dollari. Il primo paese dell’Africa sub-sahariana e il più popolato, la Nigeria, seguito subito dopo dal Sudafrica, sono molto dietro con tre miliardi di dollari ciascuno.

E’ molto inquietante constatare che per la prima volta nella storia dell’ONU è stata dichiarata guerra ad un popolo senza avere innanzitutto minimamente esplorato una soluzione pacifica per dare una soluzione al problema.

L’Africa occupa ancora un suo posto in tale organizzazione? La Nigeria e il Sudafrica sono disponibili a votare sì a tutto ciò che l’Occidente domanda, perché credono ingenuamente alle promesse di tutti coloro che gli promettono di dargli un posto di membro permanente nel Consiglio di Sicurezza con diritto di veto. Entrambi dimenticano che la Francia non ha alcun potere di attribuire loro una minima collocazione. Se la Francia avesse questo potere, molto tempo fa Mitterrand l’avrebbe fatto per la Germania di Helmut Kohl. La riforma dell’ONU non è all’ordine del giorno. La sola maniera per farsi valere consiste nell’adottare il metodo cinese: tutti i 50 paesi africani devono abbandonare l’ONU. E se un giorno decidessero di tornarvi, lo dovrebbero fare solo dopo aver ottenuto ciò che domandano da lungo tempo, un posto per la Federazione Africana, altrimenti niente.

Questo metodo della non-violenza è la sola arma di giustizia a di cui dispongono i paesi poveri e i deboli, quali noi siamo. Noi dobbiamo molto semplicemente abbandonare l’ONU in quanto questa organizzazione, per la sua configurazione e per la sua gerarchia, è al servizio dei più forti.

Dobbiamo abbandonare l’ONU per rimarcare la nostra disapprovazione di questa concezione del mondo basata unicamente sull’oppressione del più debole. I potenti saranno liberi di continuare a farlo, ma almeno non con la nostra firma, non ricordando che siamo d’accordo quando sanno benissimo di non averci mai interpellato. E perfino quando abbiamo espresso il nostro punto di vista, come nell’incontro di sabato 19 marzo 2011 a Nouakchott (Mauritania) con la dichiarazione di contrarietà all’azione militare, tutto ciò è passato molto semplicemente sotto silenzio per andare a compiere il misfatto di bombardare il popolo africano.

Ciò che capita oggi è uno scenario già visto in passato con la Cina. Oggi si riconosce il governo di Ouattara (Costa d’Avorio) e si riconosce il governo degli insorti in Libia. E’ ciò che è successo alla fine della seconda guerra mondiale con la Cina. La cosiddetta comunità internazionale aveva scelto Taiwan come unico rappresentante del popolo cinese al posto della Cina di Mao. Bisognerà attendere 26 anni, cioè il 25 ottobre 1971 con la risoluzione 2758 che tutti gli africani dovrebbero leggere, per metter fine a questa umana sciocchezza. La Cina viene ammessa, ma rinunciando a pretendere ed ottenere un seggio come membro permanente con diritto di veto, altrimenti salta l’ammissione. Soddisfatta questa esigenza ed entrata in vigore la risoluzione di ammissione, bisognerà attendere ancora un anno, il 29 settembre 1972. Il ministro degli Esteri cinese invia una lettera al segretario generale dell’ONU, non per dichiarare il suo sì grazie, ma per comunicare alcune puntualizzazioni a salvaguardia della dignità e della rispettabilità della sua nazione.

Cosa spera di ottenere l’Africa dall’ONU senza porre in atto un’azione forte per farsi rispettare? In Costa d’Avorio si è visto un funzionario dell’ONU considerarsi al di sopra di un’istituzione costituzionale di questo paese. Noi siamo entrati nell’ONU accettando di essere dei servi; e credere che noi saremo invitati a mangiare a tavola per mangiare con gli altri nei piatti che noi abbiamo lavato è semplicemente ingenuo o peggio, stupido. Quando l’UA riconosce la vittoria di Ouattara senza nemmeno tenere conto delle conclusioni contrarie dei suoi stessi osservatori inviati sul campo, giusto per far piacere ai nostri vecchi padroni, come possiamo essere rispettati? Quando il presidente sudafricano Zuma dichiara che Ouattara non ha vinto le elezioni e cambia posizione di 180 gradi dopo una visita a Parigi, ci si può domandare cosa valgono questi dirigenti che rappresentano e parlano nel nome di un miliardo di africani.

La forza e la vera libertà per l’Africa scaturiranno dalla capacità di mettere in atto delle riflessioni e assumerne le conseguenze. La dignità e la rispettabilità hanno un prezzo. Siamo disposti a pagarlo? Altrimenti, il nostro posto resta nella cucina, nella toilette per garantire il comfort degli altri.

Ginevra, 28 marzo 2011

*Scrittore originario del Camerun, direttore dell’Institut d’Etudes Géostratégiques e professore di sociologia all’Université de la Diplomatie di Ginevra


A cura di Cesare Allara