Import-Export di…propaganda

 

…per capire quello che succede è necessario non solo leggere gli articoli, ma analizzare i dati disponibili. Il lettore medio invece si ferma al titolo. E chi si ferma al titolo resta convinto che gli USA siano diventati esportatori di petrolio.

Di cosa parla il Sole 24 Ore il 25 giugno scorso in un articolo intitolato: Storica decisione del Dipartimento del commercio: gli Stati Uniti diventano esportatori di petrolio? Di un fatto che non ha nulla di straordinario a parte il titolo. Gli USA sono tornati a permettere ad alcune aziende petrolifere USA di esportare il petrolio dopo un periodo di 40 anni di proibizione. Questo significa che gli USA sono diventati esportatori netti di petrolio? No! Gli USA consumano intorno ai 20 milioni di barili di petrolio al giorno e ne producono poco più della metà. Sempre sul sito del quotidiano di Confindustria, in un articolo di Sissi Bellomo,  il 27 giugno scorso veniva riportato il quantitativo di petrolio esportato nel mese di aprile: 150mila barili esportati in Svizzera. In tutto il mese di aprile le esportazioni USA ammontavano a circa 8 milioni di barili, e siccome 30 dì conta novembre con april, giugno e settembre, ciò corrisponde a 270mila barili a giorno il 2,5% della produzione domestica e l’1,4% dei consumi.  Quantità modeste. La novità è solo che per la prima volta dagli anni ’70, il governo USA ha autorizzato l’esportazione di petrolio al di fuori dell’area economica del Nord. Ma anche questa non è una novità assoluta. Secondo i dati della BP il quadro delle esportazioni USA di prodotti petroliferi nel 2013 era il seguente (i dati sono in migliaia di barili al giorno).

 

 

Per un totale di 3,271 milioni di barili al giorno. La novità è dunque nel fatto che in Svizzera gli USA hanno esportato direttamente greggio e non prodotti raffinati. Una possibile ragione che ha spinto il governo USA a permettere questa esportazione è il fatto che la nuova produzione di petrolio è quasi interamente data da petrolio leggero (grado API intorno a 40 e superiore) per il quale l’insieme delle raffinerie USA non sono attrezzate.
Purtroppo per capire quello che succede è necessario non solo leggere gli articoli, ma analizzare i dati disponibili. Il lettore medio invece si ferma al titolo. E chi si ferma al titolo resta convinto che gli USA siano diventati esportatori di petrolio. Questa è invece una delle tante iperboli energetiche, soprattutto legate alle fonti fossili, che stanno cercando di modificare per via mediatico pubblicitaria quel senso comune dell’imminenza di una inevitabile transizione energetica che superi le fonti fossili, che si era diffusa nelle società a partire dagli anni ’70. Noi restiamo convinti che la transizione sia inevitabile e che non ci sarà mai alcuna Saudi America che inonderà di petrolio il mondo per una nuova stagione di consumi stile anni ’50-’60. Come abbiamo già documentato recentemente la nuova produzione USA è, quasi certamente, un effimero fuoco di paglia che non porterà che un lieve prolungamento dell’era fossile e ingenti danni ambientali ed economici. La narrativa corrente fa uso di forti armi di propaganda e mezzi potentissimi. Un esempio è la recente uscita del segretario della NATO Rasmussen secondo cui i gruppi che si oppongono all’estensione in Europa delle tecniche di fracking sarebbero finanziati dalla Russia.
Qualcuno ha detto che per convincere gli scettici non bastano i fatti. Noi abbiamo solo quelli. E siamo convinti che, alla fine, saranno i fatti a prevalere sulla narrativa. Se qualcuno è capace di trasformare i fatti che noi riportiamo in una narrativa efficace in grado di contrastare quella corrente il nostro scopo sarà raggiunto.
Allora teniamoci ai fatti. Nella figura sottostante è riportata la produzione USA di liquidi combustibili secondo le statistiche dell’EIA  (Energy Information Agency) l’agenzia statistica del Dipartimento dell’Energia del governo USA che raccoglie ed elabora i dati globali e nazionali sulla produzione ed i consumi energetici. Come si vede la produzione totale di greggio (crude oil) negli Stati Uniti, ammonta a poco meno di 12 milioni di barili al giorno. Le proiezioni dell’EIA indicano anche un rallentamento nella crescita della produzione per il prossimo anno.

 

Si vedano ora i consumi. Nella tabella sottostante sono riportati i consumi di liquidi combustibili per i trasporti in USA dal 2011 al 2015. Come si vede i consumi sono piuttosto stabili appena al di sotto dei 19 milioni di barili al giorno in totale, divisi nelle categorie indicate.

A scopo di confronto fra dati provenienti da diverse fonti riportiamo anche i dati di consumo e produzione secondo la BP Statistical Review 2014. Nella figura sottostante è riportato l’andamento storico della produzione e dei consumi USA di petrolio.

La discrepanza fra i dati dell’EIA e quelli della BP dipendono dalle diverse  definizioni di liquidi combustibili e da diversi criteri nel riportare i dati. In ogni caso il trend è chiaro e semplicemente riassunto in una frase: gli Stati Uniti consumano 8-9 milioni di barili a giorno di petrolio in più di quanto ne producono. Per diventare esportatori netti di petrolio, dovrebbero aggiungere a quello attuale un livello di produzione pari alla somma di quello di Iran, Iraq e Kuwait. Un livello che, siamo pronti a scommettere, non sarà mai raggiunto.

In pratica essere esportatori di qualche merce o materia prima è una cosa diversa che essere esportatori netti. La Germania esporta in Francia vini e formaggi, e l’Italia importa olio e vino. I giornali non danno notizie false, le danno distorte, e in questa distorsione il ruolo dei titoli è primario.

Da ASPO Italia, luglio 2014