Burkina Faso: Mariam Sankara, moglie di Thomas Sankara: “ Blaise Compaoré deve rispondere dei suoi crimini di sangue”

 

Provo un’immensa gioia in questa giornata storica. La mia gioia è quella della famiglia Sankara: la mia gioia è quella di voi tutti, quella dei tanti amici che seguono con interesse le vicende del Burkina. E’ davvero una gioia aver vinto, insieme al valoroso popolo burkinabè: le donne, i giovani, le organizzazioni della società civile, i partiti di opposizione, come anche una gran parte dell’esercito repubblicano rispettoso del popolo. La gioia di veder scacciato dal potere colui che credeva che il Burkina gli appartenesse in eterno. Cari compatrioti, cari compagni e cari amici, Blaise Compaoré non avrebbe mai immaginato la mobilitazione di cui siete stati capaci il 30 ottobre 2014. Con questa insurrezione popolare avete riportato una vittoria senza precedenti. Riferendosi alla rivoluzione del 4 agosto, i giovani burkinabè hanno riabilitato il Presidente Thomas Sankara. Sono fiera di voi e della vostra combattività; mi felicito con voi.

Ci tengo a ringraziare tutte quelle e tutti quelli che hanno contribuito, da vicino o da lontano, ad evitare il caos politico nel quale Compaoré ed i suoi amici volevano gettare il Burkina. Compaoré ed i suoi sbirri hanno ancora causato lutti al popolo. Partecipo al dolore delle famiglie in lacrime e invio loro le mie sincere condoglianze. Auguro una pronta guarigione ai numerosi feriti. Inoltre esorto queste famiglie a rivolgersi alla giustizia nazionale ed internazionale perché Blaise Compaoré risponda dei suoi crimini. L’immagine di mediatore nella sub regione di cui si fregiava non può in alcun caso discolparlo. E pensare che nel 2012 ha persino accarezzato l’idea di ricevere il premio Nobel per la pace, dimenticandosi di tutti i crimini che ha ordito dal 1987. Questo signore che veniva richiesto come mediatore nei conflitti, era in realtà colui che li scatenava. Paesi come l’Angola, la Liberia, la Sierra Leone, la Guinea, il Mali e la Costa d’Avorio, dove ha trovato rifugio, hanno subito le sue manovre destabilizzatrici. No, lui non deve trascorrere giorni tranquilli a Yamoussoukro. Deve rispondere delle sue azioni e dei suoi crimini di sangue. Noi dobbiamo continuare la mobilitazione fino alla vittoria finale, che vedrà l’organizzazione di elezioni libere, giuste e trasparenti. In attesa di ciò, mi associo all’idea che la gestione della transizione debba essere garantita dai civili, perché sia rispettato il carattere democratico della nostra lotta. Questa vittoria non è salutata solo dal popolo burkinabè, visti i numerosi messaggi e testimonianze che sto ricevendo da tutto il mondo. Sta a noi mostrarci degni di questa vittoria, a noi provare che Blaise Compaoré non è indispensabile. Perché niente sia più come prima, spetta alle forze del cambiamento il compito di restare unite e vigili, di costruire un’alternativa politica, economica, sociale e culturale per il maggior benessere dei burkinabè.

Viva la democrazia e viva il Burkina!           Patria o morte, vinceremo!                                                                                         

 

Montpellier,  novembre 2014 - Mariam SANKARA - da Le Pays

 


 

Da Ben Alì a Compaoré: le elites francesi contro i popoli.

Mentre il regime di Blaise Compaoré crolla sotto la pressione di centinaia di migliaia di burkinabè, la classe politica francese ancora non prende chiaramente le distanze dal sostegno che fornisce da 27 anni all’autocrate. La Francia sembra persino cercare di opporsi ad un precipitoso allontanamento di Compaoré, rivendicato dal popolo del Burkina Faso. Non si troverà questa volta una Michèle Alliot-Marie che proponga al regime di Compaoré il “savoir-faire delle nostre forze di sicurezza”, come aveva fatto nel gennaio 2011 a proposito della Tunisia di Ben Alì: la cooperazione militare e di polizia con il Burkina è già in atto da molto tempo (1). I manifestanti uccisi a Ouagadougou sono stati massacrati da milizie che hanno già potuto beneficiare dell’addestramento e dell’equipaggiamento francese. E’ alla luce di questo appoggio storico che bisogna leggere gli appelli della diplomazia francese “a tutte le parti di dare prova di moderazione”. Molte sono le voci francesi che fanno appello alla calma verso i manifestanti, posti sullo stesso piano dei poliziotti e dei militari, e denunciano indistintamente “le violenze”, mettendo così in parallelo l’esplosione popolare e la repressione di un regime dittatoriale (2). Soprattutto, si sentono ancora voci in difesa di Compaoré e dei risultati di cui dovrebbe andare fiero. Un tal Claude Bartolone, che nelle ultime ore del regime di Ben Alì tentava di ricordare i progressi che il dittatore avrebbe portato alla Tunisia, o il socialista François Loncle che, al microfono di parecchi programmi, cerca ancora di vendere l’immagine di un Compaoré tessitore di pace e mediatore nelle crisi regionali (3). Questo deputato, presidente del gruppo d’amicizia parlamentare Francia-Burkina Faso, ripete su RFI o BFMTV che premere per l’uscita di scena di Compaoré corrisponderebbe alle ingerenze della Françafrique (stretta collaborazione tra Francia ed Africa,n.d.t.), e al tempo stesso dice di difendere fermamente l’idea che il presidente burkinabè deve mantenere il potere fino alla scadenza del suo mandato, contro l’opinione larghissima ed esplicita del popolo di questo paese.  Seguendo le sue orme, Laurent Fabius dichiarava:“Noi non dobbiamo fare o disfare un governo. Ciò che noi francesi auspichiamo è che i nostri connazionali siano tutelati e che si vada verso la pacificazione”. Ma ciò che si augura il popolo burkinabè, al grido di “Compaoré vattene!”, è chiaramente l’uscita di scena di un dittatore da sempre sostenuto dalla Francia. In termini più inquietanti, il capo della diplomazia francese ha detto di aver “chiesto al nostro ambasciatore nel paese di porsi come facilitatore di questa soluzione di pacificazione.”

Così, parecchie testimonianze danno conto di incontri con i diversi protagonisti (esercito, opposizione) in cui l’ambasciatore francese avrebbe premuto per l’accettazione del piano di transizione proposto da Blaise Compaoré. Queste pressioni da parte della diplomazia francese si pongono chiaramente all’opposto delle rivendicazioni di dimissioni immediate di Compaoré espresse dai manifestanti. L’associazione Survie contesta fortemente il diritto dell’ambasciata francese ad interferire nelle decisioni degli oppositori e del popolo burkinabè, e chiede all’esecutivo francese di ritirare i suoi cooperanti militari in servizio nell’esercito burkinabè.

(1)    Oltre alla decina di cooperanti militari francesi distaccati all’interno delle forze nazionali, i quadri della gendarmeria burkinabè per esempio sono abituali frequentatori di programmi di formazione della Scuola di Ufficiali della Gendarmeria Nazionale francese.

(2)    Invece di condannare le manifestazioni, la classe politica francese, che aveva unanimemente reso omaggio a Nelson Mandela lo scorso dicembre, dovrebbe rammentare le sue affermazioni: “E’  sempre l’oppressore, non l’oppresso, che decide la forma di lotta. Se l’oppressore fa uso della violenza, l’oppresso non avrà altra scelta che rispondere con la violenza”.

(3)    Dimenticando il suo appoggio ai belligeranti in conflitti sanguinosi in Liberia, Sierra Leone, Angola, Costa d’Avorio e Mali.

 

31 ottobre 2014 - da Survie - Traduzioni di Cristiana C. per civg.it