Un imponente monumento dedicato alla Seconda Guerra Mondiale è divenuto un simbolo nazionale della Novo Rossiya

Gli ucraini dell’est trasformano la località dove si è svolta una battaglia contro i tedeschi nella Seconda guerra mondiale e contro gli ucraini nel recente conflitto in un luogo di pellegrinaggio e in un  simbolo di una nuova realtà.

 

 

Piuttosto di frequente la verità sul conflitto ucraino viene fuori tra le righe di una copertura mediatica occidentale persistentemente ostile. Roland Oliphant, il corrispondente britannico che ha scritto questo articolo per il Daily Telegraph, non può certamente essere definito filo-russo. Al contrario fu lui che unitamente con il collega Shaun Walker del  Guardian ebbe i primi titoli dei giornali lo scorso agosto quando sostenne di aver avvistato un convoglio militare russo penetrare in maniera surrettizia nel territorio ucraino, affermazioni che nessuno dei due giornalisti poté successivamente corroborare, infliggendo in tal modo un serio colpo alla loro reputazione professionale. In quest’articolo comunque Oliphant è costretto ad ammettere qualcosa da noi sempre sostenuta ovverossia che la rivolta nel Donbass fruisce di un appoggio diffuso tra la popolazione locale e che, come conseguenza della violenta repressione orchestrata da Kiev, le comunità dell’est-Ucraina non intendono più far parte dell’Ucraina.

Dopo più di due mesi da quando gli ultimi colpi furono sparati in segno di rabbia sul nudo pendio di Saur Mogila, una raffica di mitra ruppe il silenzio.

Un gruppo di tre combattenti ribelli, rannicchiati in giacche felpate per difendersi dalla pioggia battente, attese che il saluto terminasse prima di far ritorno nella loro vettura.

I combattenti facevano questo per onorare la memoria dei compagni caduti durante una delle battaglie più sanguinose di un conflitto durato sei mesi tra il governo di Kiev ed i separatisti appoggiati dalla Russia.

Ma la storia di questo campo di battaglia significa che esso potrebbe divenire un luogo di pellegrinaggio ed un simbolo importante di una nuova identità nazionale che i capi ribelli si stanno sforzando di creare successivamente alla loro dichiarazione di sovranità ai primi del corrente mese.

Si tratta di un luogo che suscita un senso di suggestione. Perfino il nome – mogila in ucraino e russo significa “tomba” e la collina è sormontata da un ceppo di sepoltura preistorico, –  è evocatore di fantasmi.

Pezzi di contraerea distrutti, scatole di munizioni messe da parte, e resti di razzi diretti contro le loro postazioni giacciono tra le macerie di quel che un giorno fu un grande monumento consacrato alla memoria dei caduti.

L’imponente obelisco è riversato su un fianco, le imponenti statue del monumento risalente all’epoca sovietica sventrato dai proiettili e dai colpi di cannone, mentre recenti luoghi di sepoltura che recano gli emblemi delle unità combattenti separatiste sono stati scavati nei pendii della collina. Lungo il sentiero che porta alla sommità della collina, un autoblindo carbonizzato figura nel punto dove si è schiantato contro un albero.

“Questo era il nostro rifugio”, ha detto Max, un combattente ribelle, ritornato con due amici nel luogo della battaglia, indicando un affossamento nel terreno all’ombra dell’obelisco rovinato. “Sono rimasto seduto là dentro per un intero mese”.

Se le nazioni ricevono il loro battesimo nel sangue, le non-riconosciute repubbliche di “Novorossia”, sostenute dalla Russia, non mancano certo di campi di battaglia come valori fondanti.

Medaglie sono state già rilasciate per la difesa di Slavyansk, la prima città conquistata dai ribelli, ed anche la prima che hanno perso. Le sofferenze patite dalla città di Luhansk sono state comparate iperbolicamente a quelle patite da Leningrado durante il famoso assedio. E l’agglomerato di Ilovaisk è stato il luogo dove le forze ucraine hanno subito una cocente sconfitta – per mano quasi sicuramente dell’esercito russo – il che ha portato alla concessione di un cessate il fuoco che ha comportato la nascita di un’entità separata di fatto dallo stato di cui essa faceva parte.

Ma nessuno di questi luoghi può vantare la stessa presa sull’immaginazione e sul trasporto dei separatisti verso la nostalgia dell’epoca sovietica e della Seconda guerra mondiale quale si può riscontrare a Saur Mogila.

Un’altura strategica sovrastante una cresta orientata verso la frontiera russa a circa 45 miglia a sudest di Donetsk, Saur Mogila è stato un luogo di rimembranza dal momento che i sovietici vi aggiunsero un vasto complesso di monumenti in commemorazione delle truppe dell’Armata rossa che riuscirono a strappare la collina alle forze germaniche nel 1943.

Così quando i combattimenti scoppiarono qui lo scorso giugno, le due parti contendenti si avvalsero del simbolismo legato a questo luogo.

Per i separatisti simile evento dava vita alla loro immagine di combattenti impegnati in una guerra di liberazione contro i “fascisti”, ad imitazione dei loro nonni operanti in seno all’Armata rossa.

Per gli ucraini la battaglia per il monumento di guerra rappresentava per loro la difesa contro un’aggressione, non provocata, di una potenza straniera, ad immagine e somiglianza dei loro nonni in seno all’Armata rossa.

Ma le ostilità in questi luoghi rivestono un qualcosa molto più importante di un valore simbolico.

Il rifugio di Max, una buca nel fango profonda pochi metri puntellata con sacchi di sabbia e un tetto improvvisato, guarda in direzione dei versanti meridionali di un lato della collina strategica. In una giornata chiara, senza foschia, da quella posizione si può osservare il territorio russo.

E questa è la chiave di spiegazione dell’importanza di questa collina.

Il controllo della collina ha consentito ai separatisti di controllare da vicino sezioni della frontiera russa, facendo fallire i tentativi ucraini di sbarrare l’accesso alla frontiera e impedendo la fuga di centinaia di truppe ucraine accerchiate più ad est.

Tra giugno ed agosto le parti contendenti hanno gettato in uno scontro sanguinoso soldati, armamenti e pezzi di artiglieria al fine della conquista della sommità della collina che a quel punto rappresentava la finalità principale del conflitto.

“Siamo rimasti qui per un mese intero. Per 40 giorni non sono stato in grado di muovermi e come lo avrei desiderato!, se non altro per poter avere una doccia calda, un letto, patate calde. Non potevamo nemmeno mostrare le nostre teste sopra il parapetto a causa del continuo bombardamento”, ha riferito Max, che fu costretto, come da lui affermato, a trascorrere l’intero mese di luglio sulla collina.

“C’era un nostro battaglione distante da noi appena 4 chilometri ma non era in grado di perforare l’accerchiamento ucraino”, come riportato da Max, “il fuoco era continuo giorno e notte. Al calar delle tenebre il nemico utilizzava occhiali per uso notturno, allo scopo di orientare l’artiglieria contro di noi”.

Nella battaglia che seguì la collina è stata occupata e persa almeno due volte – le due parti mostravano foto trionfanti delle loro forze inneggianti in mezzo alle rovine, e a diverse riprese per tutta l’estate le due parti rivendicavano il controllo della collina. L’imponente obelisco del monumento di guerra fu alla fine distrutto dal fuoco dell’artiglieria ad agosto.

La battaglia può verosimilmente aver svolto un ruolo nell’abbattimento dell’aereo delle linee aeree malesi MH17 abbattuto lo scorso 17 luglio con la morte di 298 passeggeri.

Mentre gli ucraini martellavano la collina con incursioni aeree, i separatisti impiegavano armamento anti-aereo sempre più sofisticato, abbattendo in tal modo diversi velivoli ucraini nel corso del mese di luglio.

Una ricerca condotta dal Daily Telegraph ha fatto ritenere plausibile che il velivolo malese possa essere stato abbattuto in prossimità di Pervoimaiski, un villaggio controllato dai ribelli cinque miglia a nord della collina.

Alla fine e anche grazie ad un aiuto non trascurabile della Russia, secondo quanto riferito dall’Ucraina e dalla NATO, i ribelli riuscirono a prevalere. Dal momento della firma del cessate il fuoco lo scorso 5 settembre, questa zona è rimasta all’interno del territorio in mano ai ribelli.

Mentre feroci combattimenti sono tuttora in corso in punti di rilevanza strategica come l’aeroporto di Donetsk ed il porto marino di Mariupol, Saur Mogila è ora in gran parte abbandonata.

Alla fine di settembre le autorità ribelli organizzarono colà un funerale dei combattenti uccisi a Saur Mogila e altrove. In un atto carico di valore simbolico, fu annunciato che i caduti separatisti sarebbero stati sepolti accanto ad una fossa comune di soldati dell’Armata rossa scoperta da artificieri delle forze ribelli allorché controllavano l’area lasciata dagli ucraini dopo il loro definitivo ritiro.

Il sito sta acquistando un ruolo inedito come luogo di pellegrinaggio, e questo non solo per coloro che qui hanno combattuto.

Allorché Max rivisitava i vecchi luoghi, una famiglia si faceva largo tra i resti ponendo fiori in onore dei morti.

Nel frattempo una bandiera ribelle in cattivo stato - poco più di un pezzo di stoffa con i colori blu, rosso e nero della Repubblica popolare di Donetsk – sventola ora sopra i resti dell’obelisco quale affermazione di un trionfo sul campo di battaglia.

Dall’altra parte del dorsale nel lato, protetto dal vento,  del muro in rovina del perimetro utilizzato dai combattenti come una difesa delle loro trincee, croci in legno addobbate con fiori e le bandiere delle unità ribelli segnano le tombe dei separatisti morti in questo luogo. Nessun segno di riconoscimento è visibile sulle tombe degli ucraini caduti.

Il comandante dell’unità dove operava Max e diversi altri loro compagni sono sepolti ai piedi della collina, non lontano dalla fila dei carri armati della Seconda guerra mondiale schierati all’ingresso del complesso dei monumenti.

“ Tanti miei amici sono morti qui”, afferma Max, gettando uno sguardo sul cimitero. “E voi tutti in Europa sostenete Poroshenko perché è ricco. Pensate che sia giusto così? ”.

I suoi amici si sono scusati per lo sfogo ma resta il fatto che tali sentimenti sono condivisi dai più.

A prescindere dal fatto che la rivolta sia stata inizialmente alimentata dai russi, una cosa è sicura: dopo sei mesi di violenze molti da queste parti non intendono più ritornare a far parte dell’Ucraina.

In assenza di candidati alternativi e di piattaforme politiche rivali, di osservatori esterni e di partiti, compresi i comunisti locali, impediti dal prender parte alla consultazione, le elezioni svoltesi nell’area ribelle il 2 novembre sono state una farsa.

Ma ciò non ha impedito a larghe masse di popolo di recarsi al voto, in quello che si può definire più una forte dimostrazione del loro rifiuto del regime di Kiev che una vera e propria scelta di un leader politico.

Ufficialmente nemmeno Mosca riconosce le autoproclamate repubbliche ed i diplomatici ucraini ed occidentali continuano a sostenere di credere di poter giungere ad una soluzione della crisi basata sul trasferimento di poteri locali, tutto questo finalizzato alla preservazione dell’entità ucraina.

In realtà siamo in presenza di una secessione che beneficia dell’appoggio russo – la NATO ha fatto presente che le truppe russe hanno ancora una volta varcato la frontiera allo scopo di sostenere le forze ribelli – e la possibilità che l’Ucraina riconquisti le regioni perse sono nella migliore delle ipotesi esili.

Con le loro frontiere più o meno sicure i leader ribelli si sforzano ora di creare le istituzioni, tradizioni ed una memoria collettiva, elementi che fanno parte di un’entità nazionale.

“Diamo avvio ad un nuovo capitolo della Storia con questa formale assunzione di poteri“, ha affermato Andrei Purgin, un autorevole leader separatista mentre Alexander Zakharcenko prestava giuramento come “capo” della Repubblica popolare del Donetsk ai primi dello scorso mese. “Quel che accade oggi si ripeterà. Stiamo fondando le tradizioni della Repubblica”.

 

da Daily Telegraph

Traduzione di Angelo T. per CIVG.IT