Verso un nuovo Medioevo? Governance e privatizzazione del potere

 

Il paradigma neo-liberale, analizzato nel secondo appuntamento di questo ciclo di seminari, ha trovato in ambito politico e giuridico un’applicazione particolarmente significativa attraverso la teoria e la pratica dell’idea di governance. Che cosa s‘intende con questo termine? Una delle definizioni più efficaci l’ha fornita Guy Hermet, per il quale la governance è una «ideologia globale di sostituzione dello Stato». Si tratta dunque di un processo di privatizzazione del potere politico e del diritto, che trae le sue origini – per lo meno sul piano teorico – dalle riflessioni, svolte a partire dalla fine degli Anni Sessanta, da autori come Robert Dahl, Karl Deutsch e David Easton, in merito ai limiti della governabilità delle società democratiche. La tesi di fondo è che il pluralismo politico sarebbe sostenibile solo nella misura in cui fa coesistere gruppi sociali i cui interessi siano in qualche modo componibili tramite il raggiungimento di un compromesso. All’inizio degli Anni Settanta i teorici della Commissione Trilaterale (tra i quali figura Samuel Huntington) si spingono oltre, arrivando a sostenere che le democrazie diventano “ingovernabili” quando vengono – per così dire – “sovraccaricate” dalle istanze popolari. In altre parole la crisi della democrazia si spiega col fatto che essa sarebbe presa troppo “sul serio” dai cittadini.

A partire dagli Anni Novanta l’affermazione di tali pratiche è favorita in maniera determinante da due  fattori. Il fallimento delle politiche liberiste di tipo thatcheriano (ancora permeate delle concezioni più legate al liberismo classico, quelle cioè che postulavano una ritirata pura e semplice dello Stato dalla sfera economica) favorisce l’emersione di un nuovo paradigma neo-istituzionalista, in linea con le teorie neo-liberali, che attribuiscono allo Stato il compito di creare “l’ambiente” più idoneo per il libero dispiegamento delle attività del mercato. Dall’altro lato, il processo di estensione del dominio politico, economico e culturale degli USA su scala mondiale in seguito alla fine della Guerra Fredda (la cosiddetta “globalizzazione”) induce le élites euro-atlantiche a ritenere necessario un cambiamento delle regole del gioco, escludendo gli eletti tramite processo democratico dalla sfera decisionale, in favore di organizzazioni di diversa natura. Tra queste figurano in primo luogo le grandi istituzioni internazionali, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione Mondiale del Commercio ecc. In secondo luogo vi sono le potenti Organizzazioni Non Governative (ONG), in maggioranza anglosassoni, ed infine le grandi imprese transnazionali. L’elemento comune a queste tre tipologie di soggetti sta nel non essere dotati di alcuna legittimità democratica, a dispetto del potere sempre più esteso che esercitano.

Sono essenzialmente due i presupposti culturali su cui si regge la teoria della governance. Il primo è l’idea, mutuata dal liberalismo classico, in virtù della quale l’uomo sarebbe orientato esclusivamente alla massimizzazione egoistica del propri interessi materiali. È interessante a tale proposito notare come le azioni non interessate (fondate cioè su principi quali la generosità e la solidarietà) siano “scomposte” in azioni interessate grazie a modelli ispirati a concetti e teorie matematiche, ad esempio la teoria dei giochi. Il secondo pilastro culturale della governance è la l’assunzione fideistica secondo cui le imprese private rispondono ai bisogni della società sempre e comunque meglio rispetto a quanto farebbe lo Stato. L’idea che il mondo globale sia sempre più complesso spinge dunque a teorizzare l’inadeguatezza dello Stato nazionale nel far fronte alle nuove sfide e a sostenere la necessità che gli attori politici non abbiano più il monopolio della responsabilità decisionale. Questa dovrebbe invece competere anche alla “società civile” e al mercato, attualizzando così la vecchia idea liberale secondo cui qualsiasi forma di sovranità politica impedisce ai meccanismi di regolazione spontanea di produrre pienamente i loro effetti. Si tratta quindi di correggere l’azione di Stati e governi e di operare un vero e proprio trasferimento – per quanto possibile – della sfera politica nelle mani di attori privati. In questo modo al dibattito democratico si sostituiscono sempre di più le ricette degli “esperti”, presentate come “non ideologiche”, in perfetta continuità con i dettami del pensiero liberale. Non idee “di destra” o “di sinistra”, ma “idee che funzionano”, all’insegna quindi di parole d’ordine come efficacia o flessibilità. Tuttavia, per dirla con Zizek, «ciò che è proprio dell’atto (dell’intervento) politico non è semplicemente il funzionare bene all’interno della trama delle relazioni esistenti, ma il modificare la trama stessa che determina il modo in cui funzionano le cose».

La privatizzazione della sfera politica fa in modo che all’azione legislativa vengano preferiti principi, norme, regole, procedure, contratti, con la conseguenza che i provvedimenti risultino transitori e revocabili. Emerge dunque un ulteriore elemento caratteristico del sistema della governance, il quale è strettamente intrecciato con la privatizzazione della sfera politica: la privatizzazione del diritto, che diventa così un prodotto soggetto come tutti gli altri alle leggi della domanda e dell’offerta. È bene peraltro sottolineare un punto cruciale: attualmente l’offerta e le manovre di promozione/lobbying/marketing in quest’ambito sono monopolizzate dagli statunitensi e in seconda battuta dai britannici, il che ci deve far riflettere sul significato geo-politico di queste pratiche. È vero infatti che il processo di progressivo svuotamento della sovranità politica statuale riguarda principalmente i Paesi soggetti a vario titolo al sistema di dominio atlantico, ma non la potenza egemone statunitense, la quale mantiene inalterata la propria capacità decisionale, anche nella sfera economica. Né, per altro verso, questi fenomeni sembrano attecchire in quegli Stati che – pur con percorsi e sistemi politici, economici e sociali assai differenti tra loro – hanno intrapreso in questo inizio di XXI Secolo un percorso autonomo, provando così a sganciarsi dalla logica della globalizzazione imperiale a stelle e strisce.

Ai fini di una maggiore comprensione della questione, può essere interessante prendere in considerazione due esempi concreti di privatizzazione del potere e del diritto: il MES (o ESM, Meccanismo Europeo di Stabilità, presentato in ambito mediatico come Fondo Salva-Stati) e il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), ancora in fase di negoziazione. Il primo è un istituto finanziario di diritto privato con scopo di lucro, ma con funzione pubblica di governo economico vincolante e sanzionante. La sua natura privatistica si somma a una serie di immunità e privilegi tali da portare il MES al di sopra di ogni istituzione politica e giudiziaria esistente (artt. 32, 34 e 35). I suoi governatori, come del resto tutte le alte cariche (Consiglio d’Amministrazione, Presidente, dipendenti) godono di immunità giudiziaria finché agiscono nell’esercizio delle loro funzioni. Luoghi e documenti non sono violabili da alcun organo giudiziario. I verbali, i documenti prodotti, gli archivi non sono pubblici. Per quanto concerne invece il TTIP, al di là delle finalità economiche e geo-politiche, giova in questa sede ricordare che il partenariato prevederebbe un meccanismo di risoluzione dei contenziosi tra investitori e Stati, il quale permetterebbe alle imprese di denunciare gli Stati di fronte ad un “tribunale internazionale” qualora ritengano di aver subito un danno nei propri investimenti e profitti a causa di norme e politiche statali. È evidente l’influenza, sia deterrente sia sanzionatoria, che tali meccanismi esercitano nei confronti degli Stati, ovvero a limitare la propria sovranità, pena ingenti ripercussioni finanziarie.

In conclusione si può affermare che questo doppio processo di privatizzazione, della politica e del diritto, rompe con alcuni pilastri fondamentali della cultura moderna occidentale, quali lo Stato e il monopolio del potere da esso esercitato, la democrazia, il diritto pubblico, e apre scenari non del tutto inediti, che potrebbero evocare l’idea di un nuovo Medioevo. Nell’ambito dell’Unione Europea la similitudine sembra particolarmente azzeccata, se pensiamo che lo svuotamento di potere operato nei confronti degli Stati nazionali, in favore di organismi non elettivi e in alcuni casi di natura privatistica, appare qui più spinto che altrove. Sul piano più squisitamente culturale non sfugge poi come il riferimento storico al Sacro Romano Impero sia spesso evocato al fine di giustificare storicamente l’esistenza di una supposta identità europea. Infine non bisogna dimenticare come il processo di frammentazione politica, che nel Medioevo risultava complementare all’idea di unità imperiale (signorie territoriali, autonomie comunali, ecc.), trovi oggi un corrispettivo nella reviviscenza di localismi e movimenti secessionisti che ha caratterizzato l’Europa negli ultimi decenni, nonché nell’istituzione da parte di Bruxelles delle cosiddette regioni trans-frontaliere. A queste tematiche sarebbe auspicabile dedicare in maniera specifica un seminario apposito, che, vista la complessità e la delicatezza della questione, affronti nel merito i casi concreti. Non si può infatti fare a meno di registrare la tendenza, tanto diffusa quanto perniciosa, a confondere superficialmente localismi disgreganti e condivisibili aspirazioni a una maggiore autonomia territoriale, ma soprattutto rivendicazioni basate su identità “gonfiate” strumentalmente e questioni nazionali irrisolte.

 

Scheda lessicale

 

TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership): accordo commerciale teso a stabilire un’area di libero scambio tra USA e UE (la cosiddetta TAFTA,Transatlantic Free Trade Area). Oltre all’abbattimento dei già bassi dazi doganali tra le due sponde dell’Atlantico, il TTIP prevede l’armonizzazione delle rispettive normative in una ampia gamma di settori produttivi (farmaceutico, alimentare, finanziario ecc). La firma del TTIP non è ancora avvenuta, in parte per le perplessità verso quello che per molti è una annessione delle economie europee a quella americana.