Perché è peccato mangiare gamberi anche di venerdì

 “L’uomo non ha tessuto la trama della vita, in essa egli non è che un filo” disse più di un secolo fa il rappresentante di uno di quei popoli “sottosviluppati” e primitivi che la società  di guerra e progresso ha sterminato, convertito, corrotto e perseguitato in tutta la sua storia: perché erano la testimonianza inoppugnabile di una diversa possibilità di vita e, di conseguenza, la testimonianza dei suoi errori e della sua follia.

Questo filo che è l’uomo si è strappato volontariamente dalla trama della vita e ormai, ad ogni suo movimento contribuisce a distruggerla, a renderla sempre più fragile: una rete piena di buchi che non può che cedere e deteriorarsi alla minima pressione.

“Tutto quello che fa alla trama, lo fa a sé stesso”.

Magari non sarà il proverbiale, e un po’ fiabesco, battito d’ali della farfalla a un capo del mondo che provoca un terremoto all’altro capo, ma non c’è niente di fiabesco nel nostro risotto ai gamberetti che ha provocato, per esempio, una buona parte di quei centocinquantamila e più morti uccisi dallo tsunami del 2004.

Il filo penzolante non vede più i nessi, i legami, le conseguenze dei propri atti. Non vede più la trama della vita.

Quarant’anni fa gamberi e gamberetti erano un cibo di lusso. Costavano molto, non erano sempre a disposizione.

Al massimo, quando andavi al ristorante e ordinavi un fritto misto, nei ristoranti più generosi ti ritrovavi tre o quattro gamberi nel “misto”, e te li dovevi sgusciare.

Adesso gamberi e gamberetti arrivano dagli allevamenti intensivi dei paesi schiavi del capitalismo occidentale. Li ritrovi dappertutto, al supermercato, al ristorante, dagli amici a cena, nei piatti pronti da mesi e rivitalizzati dal microonde del  bar sotto l’ufficio, persino in qualche mensa.

Perché costano quattro palanche e sono anche già sgusciati.

Quando qualcosa costa troppo poco, dovremmo diffidare, almeno domandarci come mai. E dovremmo essere in grado di capire quando una cosa costa troppo poco.

Ai tempi in cui eravamo tutti poveri e io ero bambina, mia madre, che era capace di fare una trattativa di mezz’ora per l’acquisto di un metro di stoffa, non si lasciava tentare a occhi chiusi dall’offerta del negoziante che, vista la sua propensione al risparmio, cercava di rifilarle quella più a buon mercato: pensava che fosse scadente, che si trattasse, insomma, di una fregatura.

Oggi pure, quando una cosa costa troppo poco, c’è dietro la fregatura, solo che non è più ai nostri danni. Chi rimane fregato non è il cliente del mondo ricco, che spende poco e che proprio per questo è ricco; sono quelli dall’altra parte: quelli che vivono o vivevano o lavorano dove la merce a buon mercato si produce.

Nel solo Bangladesh circa 200.000 ettari di foreste di mangrovie e di terre fertili sono state distrutte per far posto agli allevamenti di gamberi dei nostri supermercati. Cocktail di gamberetti! Quante ricette “a buon mercato”! A buon mercato per noi consumatori occidentali ma ad un prezzo altissimo per i contadini del Bangladesh e non solo: la stessa situazione la troviamo sulle coste di mezza Asia e dell’America latina.

Oltre alle foreste di mangrovie, scrigni di biodiversità, di ossigeno per il pianeta, di protezione delle coste dall’erosione e dalle tempeste e dai maremoti, gli allevamenti di gamberi hanno distrutto i terreni di migliaia di villaggi contadini. Gente che viveva liberamente e decorosamente dei frutti della terra, conservando antiche tradizioni e saperi, senza distruggere, senza inquinare: senza sfruttare né gli uomini né la natura ma in armonia con essa. Gente “arretrata” che ha dovuto soccombere al progresso.

Il progresso sono centinaia di migliaia di ettari di enormi vasche piene di acqua putrida, disinfettanti e antibiotici, in cui i disgraziati gamberi si trasformano da uova o larve in adulti. Non ci nascono, i gamberi, in quelle vasche; la riproduzione è impossibile in tali condizioni, ragion per cui vengono pescate in  mare le femmine gravide o le larve, e poi buttate là dentro: nell’inferno dei gamberi innocenti, che produce altro inferno per altri innocenti. Quelle distese di acqua inquinata, realizzate dove prima c’erano i mangrovieti, avvelenano la terra circostante e il mare. Niente più agricoltura, niente più pesca locale. Così si incentivano e alimentano le bidonvilles del terzo mondo e la distruzione, oltre che del pianeta in cui viviamo, della società umana.

Per un piatto di gamberetti? Eh, sì! Per i nostri consumi quotidiani, apparentemente così innocenti, di fatto così ignoranti e incoscienti.

Quanto agli allevamenti, durano al massimo nove anni, poi l’ambiente è così inquinato da rendere impossibile anche la mera sopravvivenza di qualsiasi organismo in quelle vasche-cloache, che vengono abbandonate: l’allevamento si trasforma infine in ettari ed ettari di rifiuti tossici.

Quando nel 2004 lo tsunami uccise più di 150.000 persone in Asia, si poté verificare senza ombra di dubbio che le foreste costiere avevano protetto le coste: dove le foreste, prima dello tsunami, erano ancora intatte, le distruzioni e le vittime furono estremamente contenute.

Ovviamente le foreste non sono state distrutte solo per i nostri gamberetti, anche per i “nostri” villaggi turistici ecc. E poi perché le città asiatiche si allargano, riempite da tutti quei contadini cacciati dalle loro terre per far posto ai nostri consumi, e diventati servi e schiavi delle “nostre” industrie.

Così va il mondo all’apice della società di guerra e progresso, cioè la globalizzazione industrial-consumistica. I “battiti d’ali” dell’Occidente, o più prosaicamente i carrelli della spesa dell’Occidente provocano catastrofi peggiori del terremoto in Asia, Africa, America Latina.

E non è finita qua. Cosa mangiano i gamberi-ergastolani nelle loro vasche di punizione? Di tutto, ma sopratutto altri pesci ridotti in poltiglia.

Ci sono ormai intere flottiglie di pescherecci che razziano tutto ciò che vive anche all’interno delle barriere coralline: quegli splendidi pesci colorati che vediamo nei documentari e che suscitano stupore, ammirazione, gratitudine verso una natura così ricca e colma di bellezza, quei pesci in molti casi preservati dalla distruzione perché “privi di valore alimentare” per gli umani, vengono adesso pescati a tonnellate senza alcun criterio, pressati da grandi benne come si fa con l’immondizia, ridotti in poltiglia e poi in farina per nutrire gli “economici” gamberetti.

Così economici  che mezzo chilo di tali gamberi, quando arrivano sul banco del supermercato, ha prodotto, tra l’altro, una tonnellata di anidride carbonica.

E da chi viene finanziata tutta questa criminale distruzione? Per esempio da USAID, sigla che, tradotta in italiano, sta per Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale. Questa agenzia governativa USA dice nella presentazione di sé stessa (dopo qualche riga di blabla sui suoi buoni intenti) la verità: il suo proposito è aumentare la sicurezza e la prosperità degli Stati Uniti.  

Si tratta infatti di una di quelle agenzie di sviluppo che aiutano il terzo mondo a diventare terra di rapina delle multinazionali. E infatti la famigerata USAID si occupa sempre di progetti finalizzati a sviluppare l’agricoltura e l’allevamento intensivi (oltre che geneticamente modificati) nei paesi in cui ancora non c’erano.

Non dimentichiamoci poi la FAO, che fin dagli anni ’70 promuoveva con tutte le sue forze questo tipo di allevamento. Sempre per “sviluppare” i paesi poveri, che allora erano meno poveri.

Comunque, a ben vedere, la fregatura nascosta dietro le merci troppo a buon mercato ce la prendiamo anche noi.

Oltre ad avvelenarci con prodotti che non dovrebbero nemmeno essere considerati commestibili, paghiamo tasse e balzelli per finanziare agenzie di sviluppo e istituzioni internazionali che sono solo la longa manu delle grandi imprese transnazionali.

Inoltre, tutta quella gente espropriata delle proprie terre, privata dei mezzi di sussistenza e a volte anche delle proprie case e radici, costretta ad adattarsi a qualsiasi lavoro e salario per sopravvivere, diventa i nostri concorrenti nel mercato globale del lavoro.

Così s’intrecciano tutti i fili della trama, e ciò che distruggiamo involontariamente coi nostri incoscienti consumi, ritorna a noi per distruggerci.

Padre Alex  Zanotelli disse che si vota ogni volta che si va a fare la spesa. Dovremmo tenerlo sempre a mente. Ma forse potremmo aggiungere qualcosa: nella guerra che le grandi imprese multinazionali stanno facendo al pianeta, i nostri consumi possono essere le loro munizioni. Se consumiamo quello che ci propinano, partecipiamo attivamente alla guerra che sta distruggendo la trama della vita. E che ci sta distruggendo.

Ma se riuscissimo a scorgerla, quella trama, a vivere responsabilmente, a non sprecare, a soppesare ogni nostro atto, scelta e consumo, forse la guerra sarebbe presto finita.

E i gamberi potrebbero tornare a camminare sul fondo del mare, le foreste di mangrovie a crescere, i contadini del Bangladesh o del sudest asiatico a coltivare i loro campi e a festeggiare i riti della terra.

 

Sonia Savioli, settembre 2014