Notiziario Patria Grande - Marzo 2025
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NOTIZIARIO MARZO 2025
GRANMA (CUBA) / ESTERI / NATIONAL ENDOWMENT FOR DEMOCRACY
Il tramonto della NED: nessuno la piangerà
GRANMA (CUBA) / ESTERI / STATI UNITI E TERRORISMO
Terrorismo o giustificazione?
La storia è testimone delle ansie espansionistiche della Casa Bianca
TELESUR (VENEZUELA) / ESTERI / ORGANIZZAZIONE DEGLI STATI AMERICANI
L’OEA ha un nuovo segretario generale.
Cambia qualcosa nel “ministero delle colonie”?
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / ARGENTINA
Argentina, cacciatori di taglie
SINPERMISO / ARTICOLI / ECUADOR AL BIVIO
Ecuador al bivio
PRENSA LATINA (CUBA) / ESTERI / ELEZIONI ECUADOR
Ecuador, Pachakutik annuncia accordo con Revolución Ciudadana
HISPANTV (IRAN) / ESTERI / COLOMBIA
Il presidente: l’oligarchia cerca di creare carenze e scontento
PRENSA LATINA (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA
Cortei per sostenere il Governo di Petro
GRANMA (CUBA) / ESTERI / NATIONAL ENDOWMENT FOR DEMOCRACY
Il tramonto della NED: nessuno la piangerà
Un’altra organizzazione statunitense creata per promuovere l’instabilità e il caos nel nome della «democrazia»si è appena aggiunta alla lista nera dell’attuale amministrazione a Washington.
La National Endowment for Democracy (NED) ha annunciato che per via del congelamento di fondi pubblici, più di 2000 organizzazioni in tutto il mondo –dipendenti dai suoi finanziamenti – sono rimaste senza appoggio. Secondo la NED, molte entità di prima linea hanno dovuto licenziare personale e ridurre le operazioni. In un comunicato del 25 febbraio, l’istituzione ha ammesso che i fondi bloccati «sostengono la quasi totalità delle sovvenzioni o operazioni».
Nella sua pagina web, la NED si definisce come un’organizzazione «senza fini di lucro e indipendente», fondata nel 1983 per «promuovere la democrazia liberale».
Senza dubbio, niente è più lontano dalla realtà. Questo organismo «non governativo» conta su una lunga storia d’appogio a gruppi terroristi, contractor della sovversione e media che diffondono i «valori statunitensi».
Un rapporto del 2024 del Ministero delle Relazioni Estere della Cina, ha rivelato che la NED, nel 2017, aveva finanziato 54 organizzazioni anticubane. Il documento descrive nel dettaglio i metodi come la creazione di contenuto nelle reti socieli e la cooptazione di accademici e giornalisti per fomentare presunte riforme di democrazia».
La NED è stata un braccio efficace delle operazioni segrete della CIA, specialmente in Europa dell’Est. Philip Agee, ex agente della CIA, dichiarò nel 1995: «Oggi non c’è solo la CIA ad opera nell’ombra, c’è anche il National Endowment for Democracy».
Qualche esempio
* La giornalista Masih Alinejad ha ricevuto 628 mila dollari dalla NED, tra il 2015 e il 2022, per manipolare narrative e incitare protestes in Iran nel 2022;
* Finanziamento delle Rivoluzioni Colorate: Appoggio all’Euromaidán in Ucrania (2013-2014), Rivoluzione delle Rose in Georgia (2003), Rivoluzione Arancione in Ucrania (2004), Rivoluzione dei Tulipani in Kirguistán (2005), Rivoluzione del Cedro in Líbano (2005);
* Nel precedente governo di Donald Trump, nel gennaio del 2017, la NED destinò più di 23 milioni di dollari per la sovversione contro Cuba;
* Il Direttorio Democratico Cubano (DDC), diretto dal terrorista Orlando Gutiérrez Boronat, solo nel 2017 ha ricevuto dalla Fondazione più di 813 mila dollari;
Come si può apprezzare, il corollario delle azioni distruttive della NED è molto esteso. Il suo eventuale fallimento – se succederà – farà male solo a sovversivi e terroristi che vivono dei suoi fondi. I popoli e i governi sovrani invece potranno respirare.
Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 27 febbraio 2025
GRANMA (CUBA) / ESTERI / STATI UNITI E TERRORISMO
Terrorismo o giustificazione? La storia è testimone delle ansie espansionistiche della Casa Bianca
L’etichetta di terrorista fu un pretesto perfetto per far sì che Washington spargesse la morte in Afganistan, Iraq e Siria. Foto AFP
La recente designazione di terrorista espressa dall’amministrazione statunitense nei confronti di organizzazioni del narcotraffico come il Tren de Aragua, Mara Salvatrucha, il cartello di Sinaloa, quello di Jalisco Nueva Generación, Carteles Unidos, quello del Nordest, del Golfo e la Nueva Familia Michoacana, viene sempre accompagnata, alla fine, dall’argomentazione che «minacciano la sicurezza nazionale del paese».
Insieme con «Fare l’America di nuovo grande» – lo slogan del presidente Donald Trump – questo è lo stratagemma che forma l’insieme delle premesse che accendono allarmi nel mondo.
Le amministrazioni statunitensi hanno saputo trarre profitto da ogni accusa e illazione che gli passa per la mente, e utilizzano l’etichetta di «terroristi» come strumento di coercizione politica e giustificazione per ogni loro guerra e intervento.
Quando il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti definisce Organizzazioni Terroriste Straniere (FTO), e individua come Terroristi Globali Specialmente Designati (SDGT), attiva il suo severo protocollo di sanzioni, compreso il congelamento dei conti bancari, il divieto di viaggiare negli Stati Uniti e la criminalizzazione dell’appoggio materiale come ben descritto sul sito web dell’apparato governativo.
Lo abbiamo già visto tante volte in passato: il «cartellino» di terrorista si aggiunge a un infinito numero di pretesti artificiosi per far sì che Washington potesse impunemente spargere la morte in Afganistan, Iraq, Siria, e in altri paesi.
Intervistato da France 24, il messicano Carlos Matienzo, direttore di DataInt e esperto in Sicurezza, lo ha spiegato così: «Anche se legalmente non attivano necessariamente un’invasione o gli strumenti di guerra per attuarla, questi “cartellini” danno una cornice narrativa e politica che avvicina questa possibilità, è una questione non tanto legale, ma di politica di forza».
Per la Casa Bianca, questa denominazione dà il “via libera” per agire con le sue leggi senza che sentirsi in dovere di confrontarsi con il Diritto Internazionale o con la sovranità dei Paesi. La usano come un capriccio, così come scrisse il militare e filosofo tedesco Carl von Clausewitz, nel suo libro “Della guerra”.
Utilizzano il conflitto non solo come «un’azione, ma come un vero strumento politico», e sembra essere proprio la bibbia dell’imperialismo.
Claudia Sheinbaum, la presidente messicana, non ha fatto mancare la sua risposta a queste “etichette”, chiarendo nella sua maniera abituale che non è stata consultata con il suo Governo e che «si tratta di una violazione della nostra sovranità».
La storia è testimone delle ansie d’espansione della Casa Bianca e dei suoi metodi per svilupparsi. Si deve solo ripassare quello che è avvenuto per non doverlo rivivere.
Elizabeth Naranjo e GM per Granma Internacional, 2 marzo 2025
TELESUR (VENEZUELA) / ESTERI / ORGANIZZAZIONE DEGLI STATI AMERICANI
L’OEA ha un nuovo segretario generale. Cambia qualcosa nel “ministero delle colonie”?
I dieci anni di gestione dell’OEA da parte di Luis Almagro si contraddistinsero per lo sfacciato atteggiamento aggressivo contro i governi di Venezuela, Nicaragua e Cuba. Foto: teleSUR
Il 4 febbraio 1962, in risposta all'espulsione di Cuba dall'Organizzazione degli Stati Americani (OEA), Fidel Castro di fronte ad una piazza piena di un milione e mezzo di cubani, definì l’OEA il "ministero delle colonie” degli Stati Uniti.
La Seconda Dichiarazione dell'Avana così affermava: "L'OEA si è smascherata per ciò che è: un ministero delle colonie yankee, un'alleanza militare, un apparato di repressione contro il movimento di liberazione dei popoli latinoamericani".
Questo lunedì 10 marzo verrà eletto all'OEA un nuovo segretario generale in sostituzione di Luis Almagro. L'unico in lizza per l’incarico è Albert Ramdin, ministro degli Esteri del Suriname dal 2020 ed ex vicesegretario generale dell’OEA dal 2005 al 2015.
La domanda che molti si pongono, dopo il decennio capeggiato dall’ex cancelliere uruguaiano, è: nell’OEA cambierà qualcosa di essenziale cambiando il segretario generale?
Ricambio nella Segreteria Generale
L'elezione di Ramdin in linea di principio è assicurata, dopo il ritiro della candidatura dell'attuale cancelliere del Paraguay, Rubén Ramírez Lezcano, che rappresenta posizioni di destra intransigente, in particolare verso Venezuela, Cuba e Nicaragua.
Il surinamese, infatti, conta espressamente sui voti di 22 Stati membri, quando è necessaria una maggioranza semplice di 18 voti.
La sua candidatura è stata appoggiata dai 14 membri del Caricom, ai quali si sono aggiunti recentemente Bolivia, Cile, Uruguay e Colombia, ed in seguito Repubblica Dominicana, Costa Rica ed Ecuador. Stati Uniti e Canada non hanno ancora anticipato la loro intenzione di voto.
In realtà la lista ufficiale di 34 Paesi membri è irregolare, per non dire falsa: oltre al ritiro del Nicaragua nell’aprile 2022, il Venezuela ne uscì nel 2019 e Cuba non vi partecipa, a dispetto di una "riammissione" condizionata concessale nel 2009.
Almagro, un decennio d’allineamento imperialista
I dieci anni di gestione dell’OEA da parte di Luis Almagro si contraddistinsero per lo sfacciato atteggiamento aggressivo contro i governi di Venezuela, Nicaragua e Cuba.
Candidato dal governo dell'Uruguay, Almagro fu eletto nel marzo 2015 con un voto quasi unanime di 33 Paesi membri, salvo l'astensione della Guyana, appoggio sceso a 23 voti per la sua rielezione nel 2020.
Durante questi dieci anni Almagro aderì incondizionatamente alle posizioni statunitensi, assumendo una postura aggressiva contro i governi di sinistra della regione. La Rivoluzione Bolivariana fu il suo bersaglio preferito, legittimando addirittura la possibilità d’un intervento armato contro il Paese, contraria, almeno in teoria, agli stessi principi dell'OEA. Questa posizione gli valse l'espulsione dal Fronte Ampio uruguaiano nel 2018.
Fu anche decisivo l'interventismo dell'OEA nelle elezioni in Bolivia nel 2019, preliminari al colpo di Stato, quando nel suo rapporto questionava "l'integrità dei risultati". Almagro allora ne chiese apertamente l’annullamento e la convocazione di nuove elezioni.
Per quanto riguarda l'Ecuador e il suo voltafaccia politico verso destra, Adoración Guamán e Carola Íñiguez concludono così un loro articolo: "Almagro si arroga la rappresentanza dell'OEA svincolata dai suoi organi, scavalcando i limiti delle sue funzioni e attribuzioni, per cui è arrivato perfino a far pressione sulle istituzioni interamericane dei diritti umani, con l'obiettivo di blindare i governi dell'Ecuador, sia durante il mandato di Lenín Moreno sia di Guillermo Lasso".
In un altro articolo del libro “L'OEA ai tempi di Almagro", Tamara Lajtman ed Aníbal García Fernández segnalano la "inoccultabile selettività nel denunciare violazioni dei diritti umani, nell'applicare la Carta Democratica Interamericana in certi Stati, nel sostegno deliberato a taluni governi”. In particolare, il riferimento è al controllo sull’operato di Venezuela e Cuba come presunti istigatori di un "modello di destabilizzazione", alla luce delle forti proteste sociali scatenatesi nel 2019 e 2020 in Colombia, Ecuador e Cile.
Cambierà qualcosa con Ramdin?
Rispondere a questa domanda richiede un alto grado di scetticismo.
L'OEA, fondata a Bogotà nel 1948 su richiesta degli Stati Uniti, rientrò nel loro disegno di frenare l'espansione del comunismo e le idee ugualitarie nel continente. Allo stesso tempo, da allora in poi l'organismo adempì al compito d’istituzionalizzare la Dottrina Monroe nella regione - denominata "emisfero" nel gergo dell'OEA e del Dipartimento di Stato - pretendendo con ciò di consolidare la propria influenza unica, auto-assumendosi il ruolo di presunto garante di democrazia e diritti umani e, chiaramente, di supremo difensore del liberismo economico e della proprietà privata.
Secondo la politologa argentina Silvina Romano, coordinatrice del libro già menzionato, fin dall’inizio "l'OEA non nascose la sua tendenza ad adeguarsi ai principi di sicurezza e politica economica richiesti dagli USA".
In questo modo, il ricambio alla Segreteria Generale non significò mai la modifica strutturale di quell'obiettivo strategico, giacché gli undici funzionari che occuparono l’incarico svolsero fedelmente il ruolo di gestori di quel modello di relazioni diplomatiche asimmetriche. Fondamentale a tal fine è che il finanziamento dell'OEA dipende in larga misura dalla quota apportata dagli Stati Uniti, attualmente molto vicina al 50%.
Nel corso del primo decennio del nuovo secolo, di fronte all'implosione dei sistemi neoliberisti e alla proliferazione di governi di sinistra o di centro sinistra, l'OEA dovette rilanciarsi con un profilo di segretario generale presuntamente più incline al dialogo e più presentabile per le sinistre, scegliendo funzionari come Miguel Insulza, del partito socialista del Cile o Luis Almagro, che era stato cancelliere nel governo del Fronte Ampio di José "Pepe" Mujica.
Tuttavia, dopo non molto tempo, questa tattica si rivelò essenzialmente pubblicitaria e non riuscì ad evitare la formazione di istanze d’integrazione sovrane come l'UNASUR e posteriormente la Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC). In particolare quest’ultima, in cui non partecipano né gli Stati Uniti né il Canada, rappresentò una dura sfida alla pretesa dell'OEA di essere l'ambito reggente della diplomazia regionale. I suoi dettami, concezioni e politiche riguardanti democrazia e diritti umani, evidenziarono in quel periodo la decadenza e la distanza dalla pluri-nazionalità realmente esistente nella regione col suo desiderio di definitiva emancipazione.
In questo quadro di perdita di credibilità dell'OEA in quanto a neutralità e affidabilità, accentuata ancor più dalla gestione Almagro, l'elezione di Albert Ramdin, indica in linea di massima un nuovo tentativo di "lavarsi la faccia".
In quanto alla gestione in sé, le intenzioni geostrategiche del governo statunitense, di fronte alla relativa perdita d’influenza globale di quella che era stata la loro potenza unipolare nella sfera mondiale, indicano chiaramente un nuovo adattamento alle circostanze della bisecolare Dottrina Monroe.
In questo caso, il lemma "America agli americani” si reinterpreterà come denuncia del già esteso inserimento economico e tecnologico della Cina e dei rapporti della Russia in America Latina e Caraibi, e più avanti, si cercherà di troncare la partecipazione continentale al progetto della Via della Seta, l'incorporazione ai BRICS e, soprattutto, di evitare l'abbandono del dollaro come valuta standard negli scambi commerciali.
Tuttavia, c’è da supporre che il nuovo Segretario Generale userà delle attenuazioni, ad esempio favorire un certo dialogo intraregionale, basandosi soprattutto sulle sue buone relazioni con le nazioni anglofone dei Caraibi e sull’appoggio ottenuto da settori dei governi non rivoluzionari di centro-sinistra.
È probabile anche che in questo periodo si tenti nuovamente il "rilancio" dell'influenza dell'OEA, con un profilo di segretario generale di presunto contrappeso rispetto all'aggressivo atteggiamento dell'attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump: in un copione cinematografico interpreterebbero i ruoli del “poliziotto buono e poliziotto cattivo".
Un film visto già molte volte e che per i popoli dell'America Latina e dei Caraibi, al di là della proverbiale tendenza alla speranza e ad un certo ingenuo ottimismo, dovrà essere motivo d’iniziale diffidenza. Perlomeno finché i fatti non parleranno da soli.
Javier Tolcachier, 9 marzo 2025
Articolo originale: Nuevo secretario general en la OEA. ¿Cambia algo en el “ministerio de las colonias”?
Traduzione a cura di Adelina B., Patria Grande/CIVG
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / ARGENTINA
Argentina, cacciatori di taglie
Il governo Milei offre ricompense per denunciare manifestanti. Promuovere la delazione è un vecchio espediente cui ricorrono tutte le dittature.
Mediante la Risoluzione 357/2025, pubblicata questo mercoledì in Gazzetta Ufficiale, si offre una ricompensa di dieci milioni di pesos a coloro che, non avendo partecipato ad atti criminosi, "forniscano dati utili, precisi e concreti che permettano l'identificazione e detenzione dei responsabili promotori della violenza lo scorso 12 marzo 2025" (*). Questa decisione del governo nazionale, che ci riporta ai "cacciatori di taglie" dei western statunitensi, non è nuova in America Latina.
In Colombia durante il regime di Uribe si decise di premiare chi avesse eliminato guerriglieri dell’ELN o delle FARC, o persone ad esse collegate. Il risultato di quell'esperienza fu terrificante: la Giurisdizione Speciale per la Pace in Colombia, un organismo ufficiale che si occupò d’indagare sul tema, identificò e pubblicò i nomi di 2000 vittime di esecuzioni extragiudiziali perpetrate dall'Esercito. In maggioranza gli assassinati erano contadini, senza vincolo alcuno con dette organizzazioni, ammazzati per riscuotere i compensi. Per tentare di occultare i crimini si ricorreva a falsi testimoni o si collocavano nelle case delle vittime dei volantini delle organizzazioni guerrigliere.
Attualmente, la politica dei cacciatori di taglie si sta usando negli Stati Uniti per rintracciare i migranti venezuelani. Lo storico e scrittore Luis Britto García ha recentemente denunciato che la politica migratoria degli Stati Uniti nei confronti dei migranti venezuelani sottoposti ad accuse, è un business da cacciatori di taglie. Negli USA centinaia d’immigrati che lasciarono il Venezuela a causa della crisi economica, provocata dal blocco e dalle sanzioni, o per discrepanze politiche col governo di Maduro, sono accusati ora di appartenere all'organizzazione criminale "El Tren de Aragua" e deportati nelle carceri di El Salvador. Lì il governo di Bukele li alloggia nel Centro di Confinamento del Terrorismo (Cecot), e riscuote per la loro permanenza fra i 2000 e i 5000 dollari al mese.
Un po' più indietro nel tempo: i regimi nazisti e fascisti, ricompensavano economicamente chi denunciava ebrei, "comunisti ", zingari, omosessuali, ecc.
Il governo sta mostrando le sue carte. Mette in chiaro che la sua unica intenzione è saccheggiare le risorse naturali, depredare e sfruttare il popolo, per favorire l'accumulazione brutale nelle mani di un pugno di capitalisti, per la maggior parte multinazionali e di origine statunitense. In questa smascherata si vanno profilando tutti gli elementi che caratterizzano un regime dittatoriale: controllo dei mezzi d’informazione, vessazione e persecuzione dei giornalisti, restrizione del diritto di espressione e di protesta, promozione delle delazioni, coordinamento di politiche repressive con centri di potere stranieri, orientamento delle forze armate e degli organi di sicurezza verso il controllo e la persecuzione del "nemico interno", forte pressione sul potere giudiziario affinché giustifichi detenzioni arbitrarie, discriminazione e persecuzione di coloro che considera "asociali", ecc.
Incentivare i "cacciatori di taglie", ovvero: qualsiasi vicino, collega di lavoro o di studio può essere bersaglio di denunce, è un ulteriore passo verso la promozione della disgregazione sociale e la distruzione delle pratiche comunitarie. Questo l’obiettivo dell'offensiva di Milei.
Per ora il nostro popolo sta mostrando di avere riserve sufficienti per continuare a resistere. La mobilitazione di oggi, a sostegno dei pensionati, e quella del prossimo 24 marzo, saranno cruciali per sapere a che punto siamo e riprendere energie per continuare a combattere questo progetto miserabile.
Guillermo Cieza, Resumen Latinoamericano, 19 marzo 2025
Articolo originale: Argentina. Cazadores de recompensas
https://www.resumenlatinoamericano.org/2025/03/19/argentina-cazadores-de-recompensas/
(*) N.d.T. Il 12 marzo si è svolta a Buenos Aires una grande manifestazione di protesta dei pensionati, appoggiati da innumerevoli altri settori della popolazione, che la polizia ha represso in modo brutale e indiscriminato, colpendo selvaggiamente anziani e giovani, saturando di gas lacrimogeni, sparando proiettili di gomma ad altezza d’uomo, ferendo quasi a morte un giornalista, arrestando centinaia di persone - compresi bambini - montando attraverso infiltrati una vera e propria opera teatrale di provocazioni per giustificare l’operato repressivo. Le proteste contro le politiche del governo non si fermano ed il presidente Milei promette repressione ancora più dura contro chiunque manifesti.
Traduzione a cura di Adelina B., Patria Grande/CIVG
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SINPERMISO / ARTICOLI / ECUADOR AL BIVIO
Ecuador al bivio
L’Ecuador tornerà alle urne il 13 di aprile per eleggere il suo prossimo presidente. Dopo una prima tornata elettorale nella quale la differenza tra le due principali candidature in lizza è stata inferiore a ventimila voti, l’attuale presidente, Daniel Noboa, e la candidata di “Revolución Ciudadana”, Luisa González, continuano ad essere appaiati in questa seconda tornata.
Nelle prossime quattro settimane Daniel Noboa, giovane milionario appartenente alle elites tradizionali del paese e che cerca la rielezione dopo essere stato per poco più di 14 mesi a capo del governo nazionale, e Luisa González, candidata progressista rappresentante del movimento politico guidato dall’ex presidente Rafael Correa, si contenderanno voto su voto la presidenza dell’Ecuador nel ballottaggio. Tutto ciò in un paese flagellato da una spirale di violenza che registra 1300 assassinii nei primi 50 giorni dell’anno (un crimine all’ora), nel quale solo il 33% dei cittadini in età lavorativa ha un impiego formale, e nel quale il 28% della popolazione vive in stato di povertà e più del 12% in stato di povertà estrema.
A partire dal 2020, punto di partenza della grave e multiforme crisi che attraversa il paese, la società ecuadoriana ha assistito a sei processi elettorali, tra elezioni amministrative e provinciali, consultazioni popolari ed elezioni presidenziali. In parallelo, sono progressivamente cresciuti il pessimismo come stato d’animo predominante e la disaffezione politica degli ecuadoriani.
In questo contesto di disincanto generalizzato, queste tornate elettorali mettono fine ad una varietà politica fittizia che deriva dalla molteplice mappatura degli attori presenti nel sistema dei partiti ecuadoriano. Il Consiglio Nazionale Elettorale ha censito 78 organizzazioni politiche registrate in quest’ultimo processo elettorale; 17 di queste hanno rilevanza nazionale e 61 invece solo provinciale. Nella prima tornata elettorale si sono contesi la carica a presidente 16 candidati di cui 12 hanno ottenuto un risultato inferiore all’1% di voti. Mentre l’88% di voti si è concentrato nelle due candidature che si disputeranno il ballottaggio - Noboa e González -. La terza scelta nelle preferenze dell’elettorato ecuadoriano è risultato essere quindi il voto nullo.
Stando così le cose ed al di là dei risultati incerti che derivino dal ballottaggio lo scenario politico ecuadoriano nell’immediato sembrerebbe mirare ad una logica di bipartitismo nell’Assemblea Nazionale, il che porrebbe fine ad un periodo caratterizzato da proteste sociali, debolezza del governo e protagonismo degli attori politici esterni al sistema istituzionale esistente. Infatti nonostante il fatto che l’Ecuador sia un paese storicamente caratterizzato da lotte sociali che periodicamente sfociano in violenti disordini, le ultime mobilitazioni di massa di particolare rilievo ebbero luogo nell’ottobre 2019 (ultima prima della pandemia) e giugno 2022 (unica dopo la pandemia). Quella identità politica di natura ribelle e insubordinata che prima caratterizzava la scena pubblica e che nelle strade affrontava i vari governi nazionali e le élites tradizionali del paese, oggi sembra aver optato per esprimersi con il voto. Anche se molto lontano dalle percentuali di coloro che si disputano il ballottaggio, quel 5,29% di voti raggiunto dalla dirigente indigena Leonidas Iza in questa tornata elettorale trasforma il movimento “Pachakutik” (Movimiento de Unidad Plurinacional Pachakutik - Nuevo País : partito politico ecuadoriano di orientamento socialista e indigenista fondato nel 1995 -ndt) nella terza forza politica del paese.
Militarizzazione e controllo sociale
Gli ecuadoriani andranno alle urne in stato di “conflitto armato interno”, per effetto della disposizione emanata 14 mesi fa dal presidente Noboa in risposta agli alti livelli di insicurezza e violenza che attraversa l’Ecuador. La legittimazione in sede elettorale della politica governativa del pugno di ferro in materia di sicurezza, porta con se l’inasprimento nel paese del processo di militarizzazione.
Nonostante la semplice informazione dimostri il fallimento completo della strategia di militarizzazione applicata dal governo di Noboa, la normalizzazione della guerra e di tutte le sue conseguenze (assassini su commissione, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, saccheggi violenti, estorsioni, sequestri, violazione della legalità da parte dell’apparato repressivo) ha permesso che si imponesse socialmente la tesi della necessità di un maggiore blocco democratico con il fine di garantire una maggiore sicurezza, dal momento che la concezione stessa di questa sicurezza è ormai associata alla regolazione ed al controllo dell’ordine pubblico. Allo stesso modo, gradualmente si va sviluppando nelle sue varie modalità, motivandolo con il medesimo obiettivo, tutto ciò che ha a che vedere con il nuovo “ordine della violenza”.
Stando così le cose, mentre attualmente il discorso mainstream insiste nell’affermare che l’incremento della delinquenza è prodotto di una Costituzione che viene considerata “debole, garantista e tesa a proteggere i delinquenti”, riforma legislativa dopo riforma legislativa, nell’ordinamento giuridico ecuadoriano si vanno via via eliminando le garanzie costituzionali che prima costituivano interessanti conquiste nella tutela dei diritti.
Con il risultato che la vigente Costituzione di Montecristi – una volta punto di riferimento del neo-costituzionalismo sociale post-neoliberale – si sta trasformando con il passare del tempo in un Frankestein sempre più disarticolato rispetto al suo quadro teorico fondativo.
Nel settembre del 2024, una ricerca pubblicata dalla Fondazione Giornalisti Senza Catene (Fundación Periodistas Sin Cadenas) rivelò che una informazione fino ad allora riservata secondo la quale, tra gennaio e luglio del 2024, la Procura Generale dello Stato aveva aperto 145 cause nei confronti delle Forze Armate per abuso di potere nell’esercizio del servizio e, sempre nello stesso periodo, il Pubblico Ministero aveva autorizzato 12 indagini per esecuzioni extragiudiziali.
La società ecuadoriana ha cominciato a rendersi conto di questa realtà occulta alla fine dello scorso anno per effetto della copertura mediatica data al caso “Las Malvinas” un inquietante episodio che coinvolge membri delle Forze Armate nella sparizione forzata ed il successivo assassinio di quattro ragazzi afro-ecuadoriani, con età comprese tra gli 11 ed i 15 anni, figli di famiglie povere.
Ai dati di cui sopra, si dovrebbero aggiungere anche altre sei denunce di sparizioni forzate nella provincia de Los Ríos ed oltre 200 denunce di detenuti vittima di torture e maltrattamenti nelle carceri ecuadoriane, che a partire dal 2024 sono sotto il controllo militare, per effetto della dichiarazione di “conflitto armato interno”. Tutti questi procedimenti sono sotto osservazione a cura delle diverse organizzazioni della società civile impegnate nella difesa dei diritti umani, le quali hanno avviato propri sistemi di monitoraggio vista la opacità della informazione da parte della Procura Generale dello Stato e delle istituzioni del Esecutivo ecuadoriano.
Sospensione della democrazia
Andando oltre il profilo dispotico del presidente, il quale violentando il quadro normativo vigente mette insieme indebitamente l’esercizio della sua funzione presidenziale assieme a suo ruolo di candidato alla rielezione e utilizza il patrimonio pubblico per fini politici personali, il processo di militarizzazione in atto nel paese ha comportato che i vertici delle forze militari e di polizia – l’apparato repressivo dello Stato – si situino oggi in una posizione diversa da quale che la democrazia liberale tradizionalmente assegnava loro. La politica del pugno di ferro e militarizzazione applicata da Noboa in un paese immerso da anni in una crisi di indebolimento istituzionale si evidenzia ora come uno strumento di distruzione dei fondamenti della democrazia, che vanifica la competenza politica, attenta contro il principio della separazione dei poteri ed erode ulteriormente la scarsa fiducia nelle istituzioni. Il prolungarsi nel tempo di questa situazione - il che aggraverebbe ancora di più la rottura che già esiste nello scadente sistema democratico ecuadoriano - aprirebbe la strada ad una situazione di vulnerabilità il cui effetto sui settori popolari consoliderebbe l’effetto di smobilitazione sociale che vive ora il paese e permetterebbe a sua volta l’avvio di azioni di governo perfettamente compatibili con la categoria della necropolitica.
Ed è questo che da rilevanza all’attuale processo elettorale. Oltre alla disputa per il potere tra un progressismo sempre meno progressista e la frazione delle élites che cattura lo Stato, i movimenti sociali e le organizzazioni popolari del paese devono capire che l’Ecuador si trova ora ad un bivio.
Decio Machado, Sinpermiso, 21 marzo 2025
Articolo originale: Ecuador en la encrucijada
https://sinpermiso.info/textos/ecuador-en-la-encrucijada
Traduzione a cura di Patrizia B., Patria Grande, CIVG
Decio Machado, ex consigliere del Presidente dell’Equador Rafael Correa, membro del gruppo fondatore del quotidiano Diagonal e collaboratore abituale in diverse testate in America Latina ed Europa. Ricercatore associato in Sistemi Integrati di Analisi Socioeconomiche e direttore della Fondazione Alternative Latinoamericane di Sviluppo Umano e Studio Antropologici (ALDHEA: Alternativas Latinoamericanas de Desarrollo Humano y Estudios Antropológicos). Corrispondente della testata online Brecha.
PRENSA LATINA (CUBA) / ESTERI / ELEZIONI ECUADOR
Ecuador, Pachakutik annuncia accordo con Revolución Ciudadana
Quito, 28 marzo 2025 (Prensa Latina)
Il movimento Pachakutik, dell'Ecuador, ha annunciato attraverso le reti social che domenica 30 marzo firmerà un accordo con Revolución Ciudadana (RC), in vista del secondo turno elettorale.
Pachakutik, braccio politico della Confederazione di Nazionalità Indigene dell'Ecuador (Conaie), ha informato che l’evento si svolgerà nel cantone Alausí, nella provincia andina di Chimborazo. Sarà un "accordo programmatico" "per un Paese libero dalla violenza, per la pace e la vita".
"È tempo di crisi, la nostra forza più grande è l'unità. Di fronte all'avanzare di una destra violenta e antidemocratica, è il momento di lasciare da parte le differenze e agire insieme per un Paese più giusto", afferma Pachakutik in un comunicato.
Due settimane fa rappresentanti di questo gruppo politico e di altre 75 organizzazioni, compresa la Conaie, realizzarono una riunione per definire la loro posizione in vista del ballottaggio fra Luisa González, di RC, e l'attuale presidente aspirante alla rielezione, Daniel Noboa.
In quell'incontro, le organizzazioni sociali esclusero il sostegno al presidente e presentarono una serie di istanze a González, che dichiarò di assumersi con piena responsabilità la richiesta di costruire un'agenda programmatica che promuova giorni migliori per l'Ecuador.
“Stiamo compiendo un passo storico, con il saldo proposito di costruire un progetto che dia priorità all'essere umano e alla dignità, basato sulla giustizia sociale e il rispetto dei diritti fondamentali, garantiti dalla Costituzione e dalla Legge” affermò González in tale occasione.
L'Ecuador tornerà alle urne il 13 aprile, a scegliere come presidente o González o Noboa, rappresentanti di due progetti opposti.
Articolo originale: Pachakutik anuncia acuerdo con Revolución Ciudadana de Ecuador - Noticias Prensa Latina
Traduzione a cura di Adelina B., Patria Grande/CIVG
HISPANTV (IRAN) / ESTERI / COLOMBIA
Il presidente: l’oligarchia cerca di creare carenze e scontento
Gustavo Petro ha denunciato un tentativo di colpo di Stato promosso da settori politici di destra ed élite economiche.
HispanTV, 27 marzo 2025
Durante la recente riunione del Consiglio dei Ministri, il presidente colombiano ha denunciato le anomalie che si stanno evidenziando nel sistema sanitario, con le medicine che restano requisite, anziché consegnate alle persone che le necessitano. Secondo Petro, si vuole creare lo scontento sociale mediante la mancanza forzata dei prodotti, e il popolo non può cadere in questa trappola.
Ha inoltre affermato che il Consiglio Nazionale Elettorale intende togliere la personalità giuridica a certi partiti politici che lo sostengono, al fine di ostacolare la sua partecipazione alle dinamiche politiche.
Petro ha infine ribadito che l'oligarchia pretende di tacciarlo come dittatore, proprio mentre lui sta cercando di far progredire le riforme sociali.
Articolo originale: Presidente de Colombia: oligarquía busca generar escasez y descontento | HISPANTV
https://www.hispantv.com/noticias/colombia/612273/presidente-colombia-oligarquia-escasez-descontento
Traduzione a cura di Adelina B., Patria Grande/CIVG
PRENSA LATINA (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA
Cortei per sostenere il Governo di Petro
Prensa Latina, 24 marzo 2025
Decine di migliaia di persone si sono mobilitate il 18 marzo in diverse città della Colombia, in appoggio al programma di Governo promosso dal presidente Gustavo Petro.
Sindacati, associazioni contadine e indigene, studenti sono stati protagonisti di cortei definiti dal capo dello Stato come l'avvio del processo di consultazione popolare annunciato la settimana prima, il cui scopo è far sì che i cittadini si pronuncino liberamente, senza l'intermediazione del Parlamento, sulle riforme sociali.
A Cali, nel Sud-Ovest dello Stato, alle manifestazioni si è unita la vicepresidente, Francia Márquez, la quale ha ribadito l’impegno dell’Esecutivo verso le trasformazioni sociali che il Paese chiede: "Oggi il popolo è nelle strade e si solleva per dire: non ci fermeranno, continueremo ben saldi, duri quel che duri e costi quel che costi. Il cambiamento è nelle mani del popolo, è lui che decide che ha bisogno di trasformazioni sociali".
Anche a Barranquilla, nel dipartimento settentrionale di Atlantico, circa 12.000 persone sono scese in strada per dare il proprio sostegno al Governo, secondo quanto ha diffuso il direttore dell'Agenzia Nazionale delle Terre, Felipe Harman. A suo giudizio, la mobilitazione in quei territori è diventata una dimostrazione di vera democrazia, il popolo mobilitato per la giustizia sociale, per la terra, per il diritto alla salute e ad un lavoro dignitoso.
Analoghe marce molto partecipate si sono svolte anche in importanti città come Medellin, Pasto, Tunja, Cúcuta, Popayán, Manizales, Buenaventura, tra le altre. Il Ministero dell'Interno ha riferito di una concentrazione di oltre 20.000 persone nella centrale Piazza Bolivar a Bogotà.
Da quella tribuna il presidente Gustavo Petro ha convocato i cittadini a partecipare alla consultazione popolare sulle riforme sociali, e ha dichiarato che, a partire da quel giorno, la mobilitazione nel Paese sarà permanente e crescente.
Articolo originale: Marchan en Colombia en respaldo al Gobierno de Petro | Correo Canadiense
https://www.correo.ca/2025/03/marchan-en-colombia-en-respaldo-al-gobierno-de-petro/
Traduzione a cura di Adelina B., Patria Grande/CIVG