Samaritani: la setta israelitica contraria all’occupazione dei Territori palestinesi

23 Settembre 2024

 

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I Samaritani contano circa 850 fedeli, in gran parte uomini anziani. Si definiscono “i veri discendenti di Mosè” e considerano Israele un progetto coloniale. Hanno persino un seggio al Parlamento dell’Anp. Ma sono sottoposti a varie restrizioni da Tel Aviv. E ora rischiano anche l’estinzione

Si prosternano al suolo dopo aver recitato parti del libro Sacro. Le voci dei fedeli fanno eco e si confondono con quella della guida spirituale che dirige la preghiera comunitaria. Le tuniche bianche e i cappelli rossi simboleggiano il giorno di festa e preghiera. Siamo a Nablus, in Cisgiordania, nei territori palestinesi ai piedi del monte Garizim, dove sorge Kiryat Luza, un piccolo villaggio abitato da poche centinaia di persone, tutti Samiriun, una delle più piccole sette religiose al mondo, 850 fedeli in tutto divisi tra Nablus e Holon, in Israele. Sarebbero i Samaritani citati nella Bibbia. E si definiscono «i veri discendenti di Mosè, a differenza degli ebrei israeliani che hanno modificato la Torah, sviando dalla retta via».

 

Origini e destino

Le prime tracce dei Samiriun risalgono al XII secolo a.C. Sarebbero loro il popolo di Israele citato nella Bibbia, che Mosè condusse in Terra Santa dopo la fuga dal Faraone. Si considerano “Shamiri”, cioè i veri conservatori della tradizione ebraica, e i possessori dell’unica copia originale della Torah. Dopo aver raggiunto, la Palestina si stanziarono a Nablus e vissero in pace sotto gli imperi che si susseguirono, da quello romano a quello ottomano, vivendo di preghiera e commerci pacifici con i vicini, fino alla nascita dello Stato di Israele, che segnò l’inizio dello scontro con i “nuovi arrivati” dall’Europa, da loro considerati estranei.

I Samiri seguono i dieci comandamenti e hanno riti specifici per il pellegrinaggio sul monte Garizim, che si svolge ogni anno. Pregano ogni giorno e digiunano una volta all’anno come forma di espiazione dei peccati.  Il loro numero è passato da diverse migliaia sotto l’impero romano alle poche centinaia di oggi e si teme possano estinguersi. Non è concesso infatti sposarsi al di fuori della setta Samiri ed essendo poco numerosi, i giovani spesso sono costretti a lasciare il gruppo per sposarsi liberamente con persone di altre fedi.

Attualmente i Samiri sono poco più di 850. Alcuni hanno cittadinanza giordana, altri palestinese, altri ancora israeliana. Parlano arabo ed ebraico e sono tutti sono accomunati da un legame forte con la Palestina, in particolare con Nablus dove la maggior parte dei Samiri è nata e cresciuta accanto ai fedeli musulmani e cristiani. E tutti considerano Israele come un progetto politico di occupazione dei Territori palestinesi. Il sacerdote Samiri Hosni che dirige la confraternita del Monte Garizim denuncia da anni le mire di Tel Aviv su questo luogo unico e storico. Hosni punta il dito contro gli scavi e le trivellazioni portate avanti dall’amministrazione israeliana per creare nuovi progetti edili e attrazioni turistiche con l’obiettivo di aumentare il numero di visitatori nell’area ma secondo il sacerdote sarebbe solo un pretesto per «rubare il nostro patrimonio culturale e religioso e per cancellare la nostra presenza secolare».

Gli scavi di Gezim sono solo una delle lunghe restrizioni che i Samiri vivono sulla loro pelle a fianco dei palestinesi. Dopo la guerra del 1967 con l’occupazione israeliana della Cisgiordania, i Samiri sono stati costretti a fuggire, deportati da Nablus a Holon, in Israele, con la promessa della cittadinanza israeliana. Alcuni sono partiti, altri si sono rifiutati di lasciare le loro terre. Come il padre di Hosni, anche lui una figura di riferimento della setta di Nablus, in costante contatto con i partiti politici palestinesi con i quali ha intessuto rapporti e collaborazioni contro l’occupante fin dai tempi della guerra dei Sei Giorni.

Lotta armata e politica
Ma mentre gli anziani della setta erano più inclini alla diplomazia, i giovani Samiri decidono di imbracciare le armi. Nader Mamdoh Saleh Sadaqa, nel 2000, a soli 21 anni si unisce, con altri giovani della setta, ai gruppi armati palestinesi attivi in Cisgiordania. Sono anni caldi quelli tra il 2000 e il 2005 con lo scoppio della seconda Intifada e gli scontri armati quotidiani contro l’esercito israeliano ai quali Nader partecipa attivamente, prima come “membro semplice” e poi come responsabile delle azioni militari a Nablus. A 25 anni è il capo politico e militare del battaglione “Martire Abu Mustafa”, braccio armato del Movimento popolare di liberazione della Palestina.

Nel 2004, dopo anni di ricerche, le forze di sicurezza israeliane lo scovano in una abitazione a Nablus, e dopo ore di scontri a fuoco, viene arrestato e condannato a sei ergastoli per una serie di operazioni militari che ha organizzato e condotto contro l’esercito israeliano, in collaborazione con le brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas, che hanno causato la morte di decine di soldati di Tel Aviv in Cisgiordania. Secondo le ong locali, è da anni sottoposto a torture e violenze fisiche all’interno del sistema carcerario israeliano con continui trasferimenti e isolamenti forzati.

La setta Samiri però non è impegnata solo sul fronte armato, ma anche su quello della rappresentanza politica all’interno della Cisgiordania. I rapporti storici tra i Samiri e Arafat, che dirigeva l’Autorità nazionale palestinese (Anp), hanno portato alla concessione di un seggio riservato ai Samiriun all’interno del Parlamento palestinese. «Arafat era un grande politico e una persona illuminata, premurosa, che ha sempre dato importanza e valore alla nostra presenza nella politica e società palestinese», afferma il sacerdote Samiri Hosni.

I Samiri sono presenti anche nei Consigli comunali della Cisgiordania, come a Nablus, dove partecipano attivamente alla vita politica: i loro rappresentano hanno la delega alla gestione del patrimonio turistico locale e al dialogo interreligioso. «Noi vogliamo vivere in pace. Da secoli siamo qui a Nablus accanto al monte Sacro Garizim, il vero luogo di culto ebraico. Gerusalemme non è mai stato un luogo sacro per noi, non è citato nemmeno nella Torah”, afferma il sacerdote Samiri Hosni. «Lo scontro tra noi palestinesi e gli ebrei israeliani è tutto politico. E non vivremo in pace fino a che non nascerà uno Stato Palestinese autonomo. Noi a Nablus siamo la testimonianza vivente che si può fare: che si può vivere tutti insieme, in pace, partecipando al bene della collettività».                                      Da TPI

 

'Beni Israel': i Samaritani del monte Gerizim in Palestina

Affermando di discendere dagli antichi Israeliti, i Samaritani negano la sacralità di Gerusalemme e vedono l'ebraismo contemporaneo come una deviazione dalla vera fede

 

'Beni Israel': i Samaritani del monte Gerizim in Palestina

 

RAMALLAH, Palestina

 Sulla cima del monte Gerizim, vicino alla città di Nablus in Cisgiordania, i membri della comunità samaritana, una delle più piccole comunità religiose al mondo, costruiscono le loro case, credendo che il luogo sia il più sacro della terra.

I Samaritani, che si definiscono palestinesi, aderiscono a una religione abramitica strettamente imparentata con l'ebraismo.

Pur affermando di essere i veri discendenti degli antichi Israeliti ("Beni Israel"), negano la sacralità della città di Gerusalemme e vedono l'ebraismo contemporaneo prevalente come una deviazione dalla fede originaria di Mosè e dei profeti dell'Antico Testamento.

I Samaritani, che sostengono di possedere la più antica copia esistente della Torah (il libro sacro ebraico), risalente a 3.600 anni fa, parlano sia l'arabo sia l'ebraico moderno.

Secondo Hosni al-Samiri, sacerdote samaritano e ricercatore religioso, parlano fluentemente anche l'ebraico antico, la lingua in cui fu scritta la Torah.

"Siamo Nablusis [cioè, di Nablus]", ha detto al-Samiri all'agenzia Anadolu. "Siamo parte integrante del popolo palestinese e ringraziamo i musulmani, che ci hanno sempre sostenuto".

Secondo al-Samiri, il leader musulmano del XII secolo Salah Eddin al-Ayyubi (noto in Occidente come "Saladino") permise ai Samaritani di celebrare i loro riti religiosi sul monte Gerizim dopo che i Bizantini ne avevano impedito l'esercizio per 150 anni.

I Samaritani credono che il monte Garizim rappresenti il ​​luogo più sacro per i Beni Israel, i veri Israeliti, fin dal loro esodo dall'Egitto del faraone.

"Il monte Gerizim, il luogo più sacro per i Samaritani, è menzionato numerose volte nella Torah, dove viene chiamato 'Beit El', o 'Casa di Dio'", ha affermato al-Samiri.

"Come ricercatore religioso, ho contato 120 riferimenti [nella Torah] alla sacralità del monte Gerizim, mentre non esiste un singolo riferimento genuino alla sacralità di Gerusalemme", ha aggiunto.

Deviazione

"Gli ebrei si sono staccati dalla fede originaria", ha detto al-Samiri all'agenzia Anadolu. "Non c'è nulla chiamato 'gli ebrei' [nella Torah]; c'è solo il popolo di Beni Israel".

"Gli Israeliti si staccarono dalla fede originaria e presero Gerusalemme come loro nuovo luogo santo", ha affermato.

"Ci sono migliaia di differenze tra l'antica Torah e ciò che sostengono gli ebrei [moderni]", ha affermato al-Samiri. "Hanno persino cambiato la lingua ebraica".

Secondo il sacerdote, la fede samaritana si basa su cinque pilastri: che esiste un solo Dio; che Mosè è il profeta di Dio; l'autorità dei cinque libri della Torah (il Pentateuco); la sacralità del monte Garizim; e che un giorno l'uomo sarà giudicato da Dio in un giorno del giudizio finale.

Sulla cima del monte Gerizim, a circa 900 metri sopra il livello del mare, l'osservatore può vedere, nelle giornate limpide, il Mar Mediterraneo a ovest e la cima del monte Hermon a nord.

"Siamo i veri discendenti di Beni Israel", ha ribadito al-Samiri. "La parola 'Samaritano' significa letteralmente 'custode della Legge' in ebraico".

 Palestinesi

A causa delle particolari circostanze geopolitiche in cui vivono, la maggior parte dei Samaritani ha la cittadinanza palestinese, sebbene alcuni abbiano anche la nazionalità israeliana o giordana.

In un gesto di solidarietà, si sono rifiutati collettivamente di rinunciare alla loro cittadinanza palestinese in cambio della piena nazionalità israeliana.

"Ci rifiutiamo di rinunciare alla nostra cittadinanza palestinese in cambio della nazionalità israeliana", ha spiegato al-Samiri. "Ma siamo costretti a mantenere la cittadinanza israeliana per poter comunicare con i nostri confratelli samaritani che vivono nella città israeliana di Holon".

La popolazione totale della comunità samaritana ammonta a sole 785 persone, distribuite tra il monte Gerizim, vicino a Nablus, e Holon, situata nei pressi di Tel Aviv, nel centro di Israele.

Considerata una delle più piccole comunità religiose del mondo, se non la più piccola, al-Samiri afferma che nel 1917 la popolazione della comunità contava 146 membri.

 'Ponte della pace'

"I Samaritani non amano essere coinvolti nella politica e preferirebbero fungere da ponte di pace tra ebrei e palestinesi", ha affermato al-Samiri.

"Tuttavia", ha aggiunto, "vivere nei territori palestinesi [occupati da Israele] ha portato alcuni dei nostri giovani ad unirsi alle fazioni [della resistenza] palestinesi, cosa che ha portato al loro arresto da parte delle autorità israeliane".

Al-Samiri, da parte sua, sostiene una "soluzione a due stati": la creazione di uno stato palestinese sui territori occupati da Israele nel 1967, con capitale Gerusalemme Est, accanto allo Stato di Israele.

"Il fallimento continuo nel creare uno Stato palestinese indipendente continua a rappresentare una minaccia per la pace globale", ha affermato.

I samaritani pregano ogni mattina e sera e trascorrono sette ore in preghiera il sabato (Shabbat), dopo aver eseguito abluzioni simili a quelle compiute dai musulmani, durante le quali si lavano le mani, la bocca, il naso, il viso, le orecchie e le gambe.

Anche le loro preghiere, come quelle dei musulmani, prevedono di inginocchiarsi e prostrarsi davanti a Dio.

Secondo al-Samiri, i giovani membri della comunità non prestano servizio in nessun esercito. Tuttavia, continua a notare che 21 Samaritani hanno combattuto nella prima guerra mondiale a fianco dell'esercito turco ottomano.

I Samaritani celebrano tradizionalmente sette feste principali: la Festa delle Luci (Al-Faseh); la Festa dei Pani Azzimi; la Festa del Raccolto; il Capodanno ebraico; Yom Kippur; la Festa delle Capanne; e la Gioia della Torah.

'Modello di coesistenza'

Ghaliah, un samaritano di 26 anni, lavora al Museo samaritano sulla cima del monte Gerizim, che contiene reperti e documenti samaritani di ogni periodo storico.

"Il monte Gerizim è la mia casa e la mia qibla [direzione per la preghiera]", ha detto all'agenzia Anadolu. "Sono una samaritana per fede e una palestinese per nazionalità".

"Ho amici musulmani e samaritani e vivo a Nablus come palestinese", ha detto. "È il mio paese, dove non mi sento una straniera".

Una giovane musulmana che lavora con Ghaliah ha descritto il museo come "un modello di coesistenza".

Badawiyah al-Samiri, giornalista samaritano, lavora presso l'agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA da 11 anni.

"Scrivo delle tribolazioni del popolo palestinese: le detenzioni, le invasioni e le vittime della violenza israeliana", ha dichiarato all'agenzia Anadolu.

"Sono parte integrante del popolo palestinese", ha affermato. "Ho amici musulmani che considero miei fratelli; che mi hanno sempre sostenuto in circostanze difficili".

 

Da anadolu

A cura di SOSPalestina/CIVG