Un nuovo “uragano” punta su Haiti
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- Scritto da Flavio Rossi
5 giugno 2024
In seguito all’assassinio del presidente Jovenel Moises nel luglio 2021 e al successivo sgretolamento del regime ad interim di Ariel Henry, costretto alle dimissioni dalle proteste popolari nel marzo scorso, ora ad Haiti sembra regnare soltanto il caos.
I media continuano a trascurare il problema politico alla radice della crisi, ripetono (ormai da anni) che l’unica realtà è quella delle bande armate che spadroneggiano nella capitale Port Au Prince. In questa narrazione, come per magia, la società del paese caraibico scompare.
Il Club Montana nel febbraio 2022 aveva eletto l’economista Fritz Jean come “premier ombra” in vista del superamento del governo iper-corrotto di Henry, ma le centinaia di partitini e associazioni che lo integrano, così come il partito socialdemocratico Fanmi Lavalas (quello del deposto Presidente Aristide), cioè le principali forze politiche haitiane, per i media semplicemente non esistono.
Il senso di questa manipolazione informativa è chiaro; se l’unica realtà è quella di criminali che terrorizzano e uccidono, allora si tratta soltanto di un problema di ordine pubblico, si deve intervenire con la forza e ristabilire la “legalità”.
Una spiegazione facile ed utile al dominio neocoloniale vigente ad Haiti sotto patrocinio USA. L’élite haitiana, serva degli interessi nordamericani ma priva di un vero esercito dal 1995, attende ansiosa un intervento militare (di chiunque) che possa restaurare la sua egemonia.
Nel frattempo, il simulacro di governo in aprile si è ridotto al Consiglio Presidenziale di Transizione (CPT), che alla fine di maggio ha eletto all’unanimità Garry Conille, direttore UNICEF per l’America Latina e i Caraibi, ed ex Primo Ministro per sei mesi nel 2012.
Il CPT è composto da sole nove persone, eppure questo ente dovrebbe gestire un percorso istituzionale in vista delle elezioni del 2026, ricostruendo una base di consenso e legittimità per il futuro governo. Ai primi di giugno, Conille è volato da Miami a Port Au Prince ed ha fatto un giro nel centro cittadino. Chiuso in un blindato in assetto di guerra. Lui è stato ripreso all’interno del veicolo con elmetto e giubbotto antiproiettile.
Nonostante la cortina mediatica, si intuisce bene che esiste una volontà popolare di radicale cambiamento, per togliere le masse haitiane dalla miseria e mettere fine a corruzione, malaffare e criminalità organizzata come sistema di governo. Ma forze esterne usano organismi sovranazionali per imporre soluzioni che impediscano un’autentica indipendenza, e quando non bastano passano ad azioni forti. Basta ricordare che Aristide, unico presidente eletto ed amato dal popolo haitiano, è stato deposto nel 2004 da un golpe yankee.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU nell’ottobre scorso ha approvato (Russia e Cina si sono astenute) una missione multinazionale, la Militar Security Support Mission (MMSS). Si tratta di una missione pianificata, organizzata e finanziata dagli Stati Uniti. Tale missione prevede l’invio di qualche migliaio di poliziotti di varie nazionalità sotto comando keniota. I governi coinvolti si caratterizzano per essere privi di autentica sovranità, tutti asserviti all’egemonia statunitense. Una serie di staterelli caraibici (Giamaica, Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Santa Lucia, Grenada, San Vicente e Granadina, Dominica, Guyana, Suriname) invieranno complessivamente qualche centinaio di uomini.
Il Bangladesh è l’unico Paese asiatico ma sembra partecipare in modo simbolico, come il Ciad. Il grosso della truppa è fornito da Kenya e Benin .
Il Kenya è da decenni impegnato in missioni militari neocoloniali travestite da “missioni umanitarie” (Repubblica Democratica del Congo, Liberia, Somalia, Jugoslavia, Timor Est), al punto che l’amministrazione Biden considera il presidente keniota William Ruto il principale interlocutore africano. Ruto si è incontrato il 23 maggio con Biden per siglare un accordo enfatizzato come un evento di portata storica. Un viaggio di Stato celebrato in pompa magna, che va ben al di là della missione haitiana, infatti, è stata l’occasione per siglare un partenariato strategico che include pesanti investimenti statunitensi, tali da fare del Kenya un bastione per cercare di arginare la crescente influenza russo-cinese nel continente nero.
La Corte Penale dell’Aja nel 2012 aveva incriminato Ruto per le centinaia di vittime seguite agli scontri post-elettorali del 2007. Ormai non se ne ricorda più nessuno. Forse il signor Ruto un giorno sarà dimenticato definitivamente, invece, il socialista Jomo Kenyatta e il suo panafricanismo keniota lo ricordiamo ancora oggi.
Il Benin è una novità assoluta. Uno dei più piccoli stati africani con un esercito che non raggiunge i 5.000 uomini, ne invia ben 2.000 ad Haiti!
Patrice Talon, il premier beninese, è un imprenditore spregiudicato, magnate dei cotonifici, eletto nel 2016 ed ora al secondo mandato presidenziale.
Nel settembre 2023 ha incontrato Xi Jinping a Pechino in prospettiva di accordi commerciali strategici, la stessa cosa aveva fatto nel 2022 a Washington.
La ricerca di spazi politico-imprenditoriali di livello internazionale, di affermazioni personali in alleanze variabili, devono aver spinto Talon, forte della produzione di cotone di cui il Benin è al primo posto nel mondo, al coinvolgimento nella missione verso Haiti.
Ma non si esclude una fascinazione culturale utile al necessario mimetismo di questa iniziativa nordamericana, pretestuosamente umanitaria ma sostanzialmente militare.
Ad imporre il ripristino dello statu quo saranno africani, uomini neri come gli afrodiscendenti haitiani da riportare all’obbedienza, e come i caraibici, devoti al culto sincretico magico-religioso da cui è nato il vudù. Dalla terra dell’antico impero del Dahomey, quello degli splendidi manufatti in bronzo e terracotta noti in tutto il mondo, dalla culla del vudù, arrivano i poliziotti che per somiglianza etnica e culturale non possono che essere “buoni”. Che nel Benin oggi la stragrande maggioranza della popolazione sia cristiana o musulmana non importa, che gli haitiani non abbiano l’anello al naso nemmeno, quella fascinazione risulta spendibile per l’opinione pubblica occidentale. All’atto pratico una foglia di fico, dato che i militari africani non vanno a curare cicli di conferenze ma necessariamente a “menare le mani”. Talon a fine maggio ha dichiarato di voler promuovere un quadro legale per consentire agli haitiani di prendere la cittadinanza beninese. Puzza di promozione pubblicitaria, ma conferma l’ipotesi di una speculazione circa il ponte storico culturale fra i due Paesi.
Quali siano gli indirizzi di azione politica del premier nero, lo lasciano intendere le forze speciali francesi schierate in piccole basi nel nord del Benin, la cui presenza è stata denunciata da forze politiche beninesi (Partito Comunista ed Alleanza per la Patria).
Nel febbraio 2022 Macron e Talon hanno siglato un accordo dal contenuto rimasto segreto, ma non è un mistero che i militari francesi espulsi dall’intera regione del Sahel cerchino una ricollocazione strategica vantaggiosa. Guarda caso, al nord il Benin confina con Niger e Burkina Faso, recentemente liberatisi dal giogo dei colonialisti.
La situazione della MMSS resta molto fluida. Roboanti promesse di finanziamenti statunitensi per centinaia di milioni di dollari non sembrano sbloccare l’operazione, che risulta in ritardo e prevedibilmente difficile.
Del resto, le minacce di Jimmi Chérizier, noto capo-popolo haitiano, demonizzato dai media e perfino sanzionato dall’ONU, ma in grado di “bucare” con rivendicazioni popolari (cacciata di Henry, elezioni, sovranità ed emancipazione socioeconomica), non lasciano dubbi sulla possibilità di scontri armati con la “polizia buona” con mandato ONU. Chérizier comanda una organizzazione armata detta G-9 Fanmj Aliè (Famiglia e Alleati), ma nel corso del 2023 ha rivendicato la nascita di Viv Ansam (Vivere Insieme), nata dall’alleanza fra G-9 e G-Pep,
un’ altra banda armata. Il suo ruolo è stato decisivo nello spingere la Comunità dei Caraibi (CARICOM) a riconoscere la debolezza dell’irriducibile Hernry, costringendolo alle dimissioni e promuovendo la CPT. Tornato dal Kenya in cerca della missione africana, Henry l’anno scorso non aveva nemmeno potuto atterrare ad Haiti, perché l’aeroporto era stato occupato dalle forze di Cherizier.
Ruto nel mese scorso ha dichiarato che in tre settimane la missione sarà operativa, ma finanziamento e preparazione delle forze, trasporto e dispiegamento in terreno ostile è cosa ardua, anche con il supporto logistico nordamericano. Secondo il giornale italiano delle Nazioni Unite (OnuItalia.com) si vocifera che i Carabinieri italiani potrebbero essere coinvolti nella preparazione degli istruttori kenioti, fatto che solleva delle perplessità sulla decantata imminenza della MMSS.
La popolazione haitiana è ampiamente ostile ad un intervento militare, il ricordo della missione ONU (MINUSTAH, 2004-2017) sotto comando brasiliano è ancora ben vivo. Abusi, violenze sessuali e addirittura la diffusione del colera, erano state le “gesta” di quei soldati di occupazione, finendo con lo screditare l’autorità delle Nazioni Unite. Pur nell’infamità, MINUSTAH aveva occupato Haiti con efficacia, dispiegando 8.500 soldati. La spedizione poliziesca MMSS ne prevede appena 3.500. Le organizzazioni armate hanno già espresso volontà di resistenza, e secondo Ekuru Aukot, il leader keniota di opposizione, per gli africani “.. si preannuncia una missione suicida”. Aukot nel novembre 2023 aveva fatto bloccare, temporaneamente, la missione dall’Alta Corte di Nairobi per incostituzionalità. Il tribunale aveva giustamente rilevato che in assenza di un governo haitiano, l’invio di poliziotti sul piano legale non è possibile, perché manca un accordo bilaterale.
La crisi haitiana risiede nel ciclo del debito imposto dalla Francia per punire il popolo haitiano dell’indipendenza guadagnata eroicamente nel 1804, e pagata col sangue. Un autentico aiuto internazionale non può essere tale senza il risarcimento del danno, senza un piano finanziario che metta il governo haitiano in condizione di ricostruire una economia e pacificare la sua società.
Il riconoscimento della responsabilità coloniale è un passaggio politico imprescindibile per una soluzione definitiva del sottosviluppo haitiano. Ma la logica del dominio continua a infuriare. Ancora una volta una missione militare per Haiti, ancora una volta qualcuno si prepara a sbarcare su quelle coste con intenzioni di “conquista”, e quel popolo è solo.
Se esiste una fascinazione culturale di questa missione, è quella della capacità di resistenza dimostrata nei secoli da parte di chi quel Paese disgraziato lo abita, di chi è abituato a lottare disperatamente.. perché non ha nulla da perdere.
Flavio Rossi PatriaGrande/CIVG