Ingegneria finanziaria per banche impiombate (dal Superbonus)

15 Maggio 2024

 

Moto perpetuo

 

 

Dopo l’emendamento governativo che stringe ulteriormente le viti sul Superbonus, colpendo soprattutto le banche, pare siano in corso manovre per una exit a beneficio degli istituti di credito. Sarebbe l’ennesima versione del fecondo filone italiano dell’ingegneria finanziaria per disperati.

Il contesto: l’emendamento governativo, firmato dal MEF, prevede che lo spalma-bonus si applicherà a tutti i lavori ancora in corso nel 2024, quelli che avvengono con la nuova aliquota di detrazione scesa da 110 a 70 per cento. E prevede anche che le banche e gli intermediari finanziari non potranno più compensare, a partire dal 2025, crediti del Superbonus con debiti Inps e Inail. Questa è la versione più evidente e marcata della retroattività del provvedimento, visto che le banche hanno pianificato i propri fabbisogni finanziari basandosi anche su tale compensabilità.

Sempre dal 2025, inoltre, banche e società finanziarie dovranno spalmare in sei anni i vecchi crediti ma solo se acquistati a prezzo inferiore al 75 per cento del valore nominale. Questa sarebbe la cosiddetta “misura anti-usura” (sic). Nei fatti, queste misure determinano un prelievo aggiuntivo e retroattivo agli istituti di credito, motivo per cui l’Abi, il sindacato dei banchieri, si prepara alle lamentazioni nei confronti del governo.

Usando anche come argomentazione la disparità di trattamento tra gli istituti e l’altro grande acquirente di crediti edilizi, Poste italiane, che sfugge alle strette malgrado sia assoggettata a vigilanza bancaria a causa del Bancoposta. Chi pensa male e ci azzecca può ritenere che la grazia alle Poste derivi dal prossimo collocamento di una tranche del suo capitale.

Arriva il fondo di buyback?

Ma, ecco la sorpresa: oggi si legge, sul sempre informato (di cose romane) Messaggero, che da un paio di settimane Intesa Sanpaolo starebbe discutendo col Tesoro della possibilità di creare un “fondo di sistema” per acquistare i crediti edilizi in portafoglio delle banche, che sono stimati ammontare a circa 35 miliardi, considerando i maggiori istituti.

Ohibò, e come mai? E con quali soldi verrebbero ricomprati quei crediti? E il fondo, di chi sarebbe? Diciamo che, la motivazione dell’operazione potrebbe risiedere nei crescenti incomodi che quei crediti causano ai portafogli delle banche, e che la stretta di Giorgetti ha accentuato. Il fondo dovrebbe essere pubblico, quindi lo stato si ricomprerebbe proprie passività, e non è chiaro con quale beneficio finanziario.

Da ultimo, con quali fondi? Qui il Messaggero scrive:

L’ipotesi di emettere Btp per finanziarsi sarebbe impraticabile in quanto aumenterebbe il debito pubblico e, per quanto concerne la riuscita del collocamento, va tenuto presente che la quarta edizione del Btp Valore è stata deludente. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di ricorrere a un maxi-finanziamento bancario, sulla falsariga del prestito concesso a novembre 2015 per rendere possibile il salvataggio delle quattro banche (Etruria, Chieti, Ferrara, Marche). Questo prestito potrebbe sommarsi con contribuzioni di alcuni investitori e il Mef conta di coinvolgere Cdp. Naturalmente al Mef attendono che le banche facciano i compiti a casa per definire il prezzo di vendita dei crediti, commisurato al cassetto fiscale di ciascun istituto.

Tanta roba, no? Vediamo. Sia l’emissione di Btp che il cosiddetto maxi finanziamento bancario avrebbero effetti identici sullo stock di debito pubblico. La “contribuzione di alcuni investitori”, sottinteso privati, e il coinvolgimento di CDP, che opera fuori dal perimetro pubblico, determinerebbero invece una riduzione dell’onere pubblico. Ma il vero punto dirimente è l’ultimo: le banche devono “definire il prezzo di vendita dei crediti”. Obiettivo minimale del MEF deve essere quello di spalmare il debito da Superbonus in un numero elevato di anni. Senza perderci soldi aggiuntivi.

Pareggio, guadagno o perdita?

Qui sta il nocciolo del discorso. Perché, se obiettivo è quello di togliere i crediti dal portafoglio delle banche, il loro prezzo deve essere uguale a quello a cui sono stati acquisiti. Niente di più, niente di meno. Se invece si andasse ad una forma di asta in cui le banche propongono un prezzo di acquisto e quello medio risultasse inferiore al valore nominale del debito pubblico causato da Superbonus, le banche avrebbero una perdita e il Tesoro una sorta di sopravvenienza attiva. Non sarebbe più ingegneria finanziaria per disperati ma il suo opposto.

Ma è realistico che le banche arrivino a pagare il Tesoro per liberarsi dei loro crediti edilizi? Buona domanda, la cui risposta avremo se e quando questo fondo vedrà la luce. Di certo, se le banche scaricassero i loro crediti al Tesoro con un utile, il governo farebbe una figura difficilmente rimediabile, e i contribuenti sarebbero tosati due volte. Quindi, qui e ora, mi pare che l’ipotesi di uscita a pareggio sia l’unica percorribile. Ovviamente, occhio ai dettagli: se le banche dovessero finanziare il Tesoro per rilevare i propri crediti, e se il tasso di tale finanziamento fosse superiore a quello medio del debito pubblico, le banche guadagnerebbero e il Tesoro perderebbe, ancora.

C’è anche da precisare che, se anche il fondo vedesse la luce in condizioni di “breakeven” per le banche, si tratterebbe della neutralizzazione della manovrina con cui Giorgetti sta cercando disperatamente di limitare i danni per i contribuenti. Pensateci. Niente gettito aggiuntivo da mancate compensazioni dei debiti previdenziali, ad esempio. E niente beneficio per il Tesoro derivante da eventuale spalmatura in sei anni per i crediti acquistati sotto al 75 per cento del nominale. Sono tutte voci che devono o dovrebbero essere incluse nel prezzo di riacquisto.

Interessante comunque il fatto che, nel silenzio o meglio nel frastuono della propaganda partitica, la maggior banca italiana, quella “di sistema”, si stia muovendo per “sistemare”, appunto, i crediti. Banche danneggiata dalla correzione di Giorgetti, e quindi banche alla ricerca di una exit per sfuggire a quei costi? Seguiremo questa vicenda con attenzione. Fatelo anche voi perché, quando le cose sono lontane dai riflettori dei teatrini televisivi, di solito i contribuenti hanno solo da perdere.

 

Da phastidio.net