La sinistra occidentale e la contraddizione USA-Cina

5.11.2023


Se USA e Cina erodono l'ordine internazionale – Aspenia Online


SIGNIFICATIVI segmenti della sinistra occidentale non comunista vedono la contraddizione che si sta sviluppando tra Stati Uniti e Cina nei termini di una rivalità inter-imperialista. Questa caratterizzazione svolge tre distinte funzioni teoriche dal loro punto di vista: in primo luogo, fornisce una spiegazione per la crescente contraddizione tra Stati Uniti e Cina; in secondo luogo, lo fa utilizzando un concetto leninista e all'interno di un paradigma leninista; in terzo luogo, critica la Cina come potenza imperialista emergente e, di conseguenza, come economia capitalista, in conformità con la critica dell'ultra-sinistra alla Cina.

Tale caratterizzazione rende ironicamente questi segmenti della sinistra implicitamente o esplicitamente complici delle macchinazioni dell'imperialismo statunitense contro la Cina.  Nel migliore dei casi, porta a una posizione che sostiene che entrambi i Paesi sono imperialisti, quindi non ha senso sostenerne uno contro l'altro; nel peggiore, porta a sostenere gli Stati Uniti contro la Cina come "male minore" nel conflitto tra queste due potenze imperialiste. In entrambi i casi, ciò porta all'annullamento di una posizione di opposizione nei confronti della posizione aggressiva dell'imperialismo statunitense nei confronti della Cina e, poiché i due Paesi sono ai ferri corti sulla maggior parte delle questioni contemporanee, porta a un generale ammutolimento dell'opposizione all'imperialismo statunitense.

Per un certo periodo di tempo, settori significativi della sinistra occidentale, anche quelli che altrimenti si professano contrari all'imperialismo occidentale, hanno appoggiato le azioni di questo imperialismo in situazioni specifiche. È stato evidente nel loro sostegno al bombardamento della Serbia quando quel Paese era governato da Slobodan Milosevich; è evidente attualmente nel sostegno alla NATO nella guerra in corso in Ucraina; ed è anche evidente nella loro scioccante mancanza di una forte opposizione al genocidio che Israele sta perpetrando sul popolo palestinese a Gaza con il sostegno attivo dell'imperialismo occidentale. Il silenzio o il sostegno alla posizione aggressiva dell'imperialismo sulla Cina da parte di alcuni settori della sinistra occidentale non è, certo, necessariamente identico a queste posizioni, ma è conforme ad esse.

Una posizione del genere, che non si oppone frontalmente all'imperialismo occidentale, è, per ironia della sorte, completamente in contrasto con gli interessi e gli atteggiamenti della classe operaia dei Paesi metropolitani. La classe operaia europea, ad esempio, si oppone in modo schiacciante alla guerra per procura della NATO in Ucraina, come dimostrano i numerosi casi di rifiuto da parte dei lavoratori di caricare le armi europee destinate all'Ucraina. Ciò non sorprende, perché la guerra ha anche avuto un impatto diretto sulla vita dei lavoratori, aggravando l'inflazione. Ma l'assenza di un'opposizione schietta della sinistra alla guerra sta facendo sì che molti lavoratori si rivolgano ai partiti di destra che, anche se si allineano alle posizioni imperialiste quando salgono al potere, come ha fatto la Meloni in Italia, sono almeno critici nei confronti di tali posizioni quando sono all'opposizione. La quiete della sinistra occidentale nei confronti dell'imperialismo occidentale sta quindi provocando uno spostamento a destra dell'intero baricentro politico in gran parte delle metropoli. E il fatto di considerare la contraddizione USA-Cina come una rivalità inter-imperialista fa parte di questa narrazione.

Per quanto riguarda il fatto che la Cina sia un'economia capitalista, e quindi impegnata in attività imperialiste in tutto il mondo in rivalità con gli Stati Uniti, coloro che sostengono questo punto di vista stanno, nella migliore delle ipotesi, assumendo una posizione moralista e confondendo "capitalista" con "cattivo" e "socialista" con "buono". La loro posizione equivale in effetti a dire: Io ho la mia idea di come dovrebbe comportarsi una società socialista (che è una nozione idealizzata), e se il comportamento della Cina in alcuni aspetti differisce dalla mia idea, allora ipso facto la Cina non può essere socialista e quindi deve essere capitalista. I termini capitalista e socialista, tuttavia, hanno significati molto specifici, che implicano la loro associazione con tipi di dinamiche molto specifiche, ognuna delle quali è radicata in determinate relazioni di proprietà di base. È vero che la Cina ha un settore capitalistico significativo, caratterizzato da rapporti di proprietà capitalistici, ma la maggior parte dell'economia cinese è ancora di proprietà dello Stato e caratterizzata da una direzione centralizzata che le impedisce di avere l'auto-movimento (o "spontaneità") che contraddistingue il capitalismo. Si possono criticare molti aspetti dell'economia e della società cinese, ma definirla "capitalista" e quindi impegnata in attività imperialiste al pari delle economie metropolitane occidentali, è una farsa. Non solo è sbagliato dal punto di vista analitico, ma porta a una prassi palesemente contraria agli interessi sia delle classi lavoratrici delle metropoli sia dei lavoratori del Sud globale.

Ma sorge subito una domanda: se la contraddizione USA-Cina non è una manifestazione della rivalità inter-imperialista, allora come possiamo spiegare la sua ascesa alla ribalta nel periodo più recente? Per capirlo dobbiamo tornare al periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Il capitalismo è uscito dalla guerra fortemente indebolito e in crisi esistenziale: la classe operaia delle metropoli non era disposta a tornare al capitalismo di prima della guerra che aveva comportato disoccupazione di massa e indigenza; il socialismo aveva fatto grandi progressi in tutto il mondo e le lotte di liberazione nel Sud globale contro l'oppressione coloniale e semicoloniale avevano raggiunto un vero e proprio crescendo. Per la sua stessa sopravvivenza, quindi, il capitalismo ha dovuto fare una serie di concessioni: l'introduzione del suffragio universale degli adulti, l'adozione di misure di welfare State, l'istituzione dell'intervento statale nella gestione della domanda e, soprattutto, l'accettazione di una decolonizzazione politica formale.

Decolonizzazione politica non significava però decolonizzazione economica, cioè il trasferimento del controllo sulle risorse del Terzo Mondo, fino ad allora esercitato dal capitale metropolitano, ai Paesi di nuova indipendenza; contro tali trasferimenti l'imperialismo ha infatti combattuto una lotta aspra e prolungata, segnata dal rovesciamento dei governi guidati da Arbenz, Mossadegh, Allende, Cheddi Jagan, Lumumba e molti altri. Tuttavia, il capitale metropolitano non riuscì a impedire che le risorse del Terzo Mondo sfuggissero in molti casi al suo controllo a favore dei regimi dirigisti sorti in questi Paesi dopo la decolonizzazione.

La situazione si è ribaltata a favore dell'imperialismo con l'avvento di uno stadio superiore di centralizzazione del capitale che ha dato origine al capitale globalizzato, compresa soprattutto la finanza globalizzata, e con il crollo dell'Unione Sovietica, a sua volta non del tutto estraneo alla globalizzazione della finanza. L'imperialismo ha intrappolato i Paesi nella rete della globalizzazione e quindi nel vortice dei flussi finanziari globali, costringendoli, sotto la minaccia dei flussi finanziari in uscita, a perseguire politiche neoliberiste che hanno significato la fine dei regimi dirigisti e la riacquisizione del controllo da parte del capitale metropolitano su gran parte delle risorse del Terzo Mondo, compreso l'uso del suolo.

È in questo contesto di riaffermazione dell'egemonia imperialista che si può comprendere l'acuirsi della contraddizione USA-Cina e molti altri sviluppi contemporanei come la guerra in Ucraina. Due caratteristiche di questa riaffermazione devono essere notate: la prima è che l'accesso al mercato metropolitano per i beni provenienti da Paesi come la Cina, insieme alla volontà del capitale metropolitano di localizzare impianti in questi Paesi per trarre vantaggio dai loro salari relativamente più bassi per soddisfare la domanda globale, ha accelerato il tasso di crescita di queste economie (e solo di queste economie) del Sud globale; in Cina lo ha fatto al punto che la principale potenza metropolitana, gli Stati Uniti, ha iniziato a vedere la Cina come una minaccia. La seconda caratteristica è la crisi del capitalismo neoliberale, emersa con virulenza dopo il crollo della "bolla" immobiliare negli Stati Uniti.

Per entrambi questi motivi, gli Stati Uniti vorrebbero ora proteggere la propria economia dalle importazioni provenienti dalla Cina e da altri Paesi del Sud globale con posizioni simili. Anche se queste importazioni possono avvenire, almeno in parte, sotto l'egida del capitale statunitense, gli Stati Uniti non possono permettersi di correre il rischio di "deindustrializzarsi". Il desiderio di "ridimensionare" la Cina così presto, dopo averla osannata per le sue "riforme economiche", è quindi radicato nelle contraddizioni del capitalismo neoliberale e quindi nella logica stessa della riaffermazione dell'egemonia imperialista. Non è la rivalità inter-imperialista, ma la resistenza della Cina, e di altri Paesi che ne seguono l'esempio, alla riaffermazione dell'egemonia da parte dell'imperialismo occidentale a spiegare l'acuirsi delle contraddizioni USA-Cina.

Con l'accentuarsi della crisi capitalistica, con l'aumento dell'oppressione dei Paesi del Terzo Mondo a causa della loro incapacità di servire il debito estero attraverso l'imposizione di "austerità" da parte di agenzie imperialiste come il Fondo Monetario Internazionale, che a sua volta suscita una maggiore resistenza da parte di questi Paesi e una maggiore assistenza da parte della Cina, le contraddizioni
tra Stati Uniti e Cina si acuiranno e le filippiche contro la Cina in Occidente diventeranno più aspre.

 

* Prabhat Patnaik importante economista comunista indiano

Da Peoples Democracy   -  Traduzione di Enzo Pellegrin