Un cuneo … tra i denti

(dicesi “cuneo fiscale” ilrapporto tra il costo del lavoro e le imposte e tasse applicate allo stesso;in parole povere èla differenza che, in busta paga, c’è tra stipendio lordo e stipendio netto, dopo che il primo è stato debitamente tassato; quella italiana è, nell’area OCSE, una delle più alte: il 45,9%).

 

Da giorni i media di regime (giornali e tv) non fanno che battere la grancassa sul taglio del cuneo fiscale presente nel Decreto Lavoro del governo Meloni, come del resto hanno sempre fatto ad ogni elemosina dei passati governi di ogni colore.

Facciamo qualche breve riflessione.

 

 

Il taglio durerà solo fino a dicembre 2023. Le cifre (lorde) sono le seguenti (fonte: CGIL):

 

retribuzione                      retribuzione                        aumento stipendio

annua lorda                      mensile lorda                            mensile lordo

10.000,00                             769,23                                         53,85

15.000,00                          1.153,85                                         80,77

20.000,00                          1.538,46                                       107,69

25.000,00                          1.923,08                                       134,62

30.000,00                           2.307,69                                      138,46

35.000,00                           2.692,31                                      161,54

 

Aumenti “principeschi” per stipendi che, nel nostro paese,  sono fermi da circa 30 anni.

Peccato che, tra aumenti smisurati dei costi dei generi di prima necessità, della sanità per l’impossibilità di curarsi senza pagare, dell’energia (ultimo quello del gas, su cui non c’è più lo “sconto sugli oneri di sistema”, che peserà un 22% in più rispetto a marzo) e dell’inflazione, questi miseri “aumenti” ce li hanno già sfilati dalle tasche.

 

. Da dove viene il “tesoretto” che, secondo il governo ha permesso questo taglio delle tasse?

Dai nostri salari; i padroni non ci mettono 1 euro, il profitto non si tocca.

Torna il ritornello di sempre: bisogna evitare un aumento dei salari che causerebbe un aumento dell’inflazione, secondo Confindustria e il suo attuale governo. Peccato che la stessa BCE, per bocca di Christine Lagarde, nel marzo scorso ha dovuto ammettere che la spirale inflattiva era anche “colpa” delle aziende, i cui profitti sono saliti.

E, visto che il taglio viene pagato attraverso le casse INPS, aspettiamoci ulteriori riduzioni alla spesa sociale (sanità, scuola, pensioni, ecc.). Infatti non ci sarà l’adeguamento al costo della vita delle pensioni e non verrà riconosciuta l’indennità di “vacanza” contrattuale ai pubblici dipendenti, i cui contratti sono in scadenza nel 2024.

Insomma, il taglio del cuneo fiscale se lo trovano tra i denti i lavoratori.

 

Una guerra in piena regola contro i proletari, che devono riprendere a lottare per difendere il loro salario. Ricordando però che si tratta di una lotta di difesa contro i continui, e sempre più brutali, attacchi del capitale. In una società capitalista la lotta economica è necessaria per sopravvivere e può ostacolare temporaneamente i meccanismi dell’accumulazione del capitale, ma non può cambiarli.

Finchè ci limiteremo a lottare contro gli effetti del sistema capitalistico invece di lottare contemporaneamente per la sua abolizione rimarremo schiavi salariati in balìa dei nostri padroni.

 

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Sesto S.Giovanni, via Magenta 88 – 8.5.2023