Haiti sconosciuta

 

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01 –La rimozione di una storia

 

L’assassinio del presidente Jovenel Moise, nel luglio 2021, ha peggiorato la già drammatica condizione del popolo haitiano, lasciando il paese caraibico in un pericoloso vuoto di potere che sembra preludere all’ennesima occupazione militare straniera.

La miseria e il caos in cui dominano le bande criminali favoriscono la richiesta di un intervento esterno a fini umanitari e di stabilizzazione. Il quadro generale, purtroppo, è risaputo: sottosviluppo, povertà, criminalità, corruzione e degrado politico sono elementi che invogliano l’ingerenza straniera sull’onda di un coro mediatico compiacente. Eppure, non si tratta di un vizio nazionale o di una maledizione, ma di un fenomeno preciso: il colonialismo.

Quando gli ex schiavi neri cacciarono gli schiavisti e i loro eserciti, dando vita alla prima repubblica nera del mondo, si coprirono di gloria, ma innescarono una dinamica di feroce ritorsione imperialista dalle conseguenze ancora in atto.

La vincente Rivoluzione haitiana del 1791-1804 finisce definitivamente nel 1825, allorché la Francia riconosce l’indipendenza di Haiti levando l’embargo e consentendo la ripresa dei commerci. In cambio, Parigi impone il pagamento dei “danni” subiti dalla perdita della colonia, stimati nella cifra colossale di 150 milioni di franchi in oro, ridotti a 90 milioni nel 1838. L’estinzione di quel debito, un abuso odioso, ha mortalmente pesato sul bilancio nazionale haitiano fino al 1951. Se poi si aggiunge che Haiti è stata occupata militarmente dal 1915 al 1934 (dagli USA), dal 1995 al 1997 (dall’ONU) e ancora dal 2004 al 2017 (sempre dall’ONU), si capisce bene che la condizione neocoloniale, concretamente, non è mai più finita.

Flagelli naturali (uragani e terremoti) hanno ulteriormente infierito su quel popolo antillano.

Questa è storia poco nota ma ciò che si ignora davvero, sono le ragioni che hanno scagliato contro i giacobini neri una damnatio memoriae allo scopo di cancellare le tracce di quella esperienza potente ed eversiva. Per comprendere appieno, occorre ricuperare l’evento storico facendo leva sulle ricerche recentemente condotte in ambito accademico, uno sforzo necessario se si vogliono vedere le profonde e insospettabili radici dell’attualità.

La sanguinosa lotta haitiana culminata nella dichiarazione di indipendenza non si esaurisce solo nel coronamento dell’antico sogno di Spartaco, perché costruisce un nuovo ordine sociale, producendo un vero sisma culturale e geopolitico. Il pilastro del sistema schiavista fondato sul “diritto naturale” allo sfruttamento degli schiavi (regolato dal “Code Noir” fin dal Seicento) risulta abbattuto, svelando la grande capacità di autodeterminazione dei neri e polverizzando la retorica della presunta azione civilizzatrice coloniale. Uno Stato di ex schiavi è un esempio che agli inizi dell’Ottocento risuona in decine di insurrezioni, dagli Stati Uniti al Brasile, e mina il sistema di dominio globale perché la rottura col modello culturale allora vigente è completa. La nazione che nasce dalle ceneri della colonia francese di Saint Domingue la chiamano Haiti (da Ayiti, il nome usato dagli indios Tainos, sterminati dai colonizzatori) proprio allo scopo di rimarcare il rifiuto dell’idea e della pratica del dominio. La stessa indipendenza haitiana scandalizza perché ribalta il principio della superiorità bianca, colonna portante della cultura colonialista.

Gli eventi haitiani generano pure una importante conseguenza geopolitica: Napoleone Bonaparte, persa la colonia più profittevole di Francia e bloccato sul mare dall’Inghilterra, vende la Luisiana a Thomas Jefferson, così raddoppiando d’un colpo la superficie degli Stati Uniti che da allora si proiettano verso lo status di grande potenza.

Si nota chiara, pertanto, la magnitudine dell’evento e la sua totale ed incredibile assenza nell’immaginario collettivo. Non è casuale. La più grande vittoria politica degli oppressi non ha lasciato tracce visibili perché quella storia non è mai stata raccontata per intero. Per la storiografia dominante, eurocentrica e razzista, quella Rivoluzione era inaccettabile, fino a quel momento perfino impensabile, sicché non rimaneva che manipolarne la memoria svuotandone il contenuto, tacendo e mistificando anche i fatti del quindicennio successivo, quando la nazione di uomini finalmente liberi prova ad autogestirsi nell’isolamento internazionale. Si spiegano così la mancanza di ricerca e narrazioni adeguate su un uomo e capo eccezionale come Toussaint Louverture (il “Napoleone Nero”), la demonizzazione dei suoi compagni di lotta e poi dirigenti nazionali come Jean Jacques Dessalines e Henry Cristophe: il primo liquidato come un autocrate sanguinario, il secondo, invece, come un despota megalomane. Un accurato lavoro quindi di cancellazione e manipolazione che ci costringe pertanto a cercare di sciogliere pazientemente i nodi di quella storia.

     

 

Il martirio di T. Louverture, catturato nel 1802 con l’inganno e deportato in Borgogna dove muore in prigionia l’anno seguente, non impedisce (nello stesso anno) la definitiva sconfitta dell’armata napoleonica nella battaglia di Vertières e l’espulsione dei francesi.

Il comandante in capo, l’ex schiavo nero e “cimarrone” J. J. Dessalines, proclama l’indipendenza (1804) e guida la creazione di uno “Stato impossibile” nell’ostracismo mondiale e sotto embargo da parte di Francia, Spagna e Stati Uniti.  Malgrado le difficoltà, la Costituzione del 1805 azzarda addirittura rovesciare l’ontologia razzista, giacché nell’articolo 14 ogni cittadino viene definito “nero” nonostante il colore della pelle, richiamandone pure la natura indigena. La “negritudine” assume un valore politico che rivendica la continuità con la lotta anticoloniale degli indios Tainos; dalle ribellioni indigene cinquecentesche della regina Aanacaona ed Hatuey, passando per le rivolte degli schiavi di Makandal (1750) fino a quella di Boukman (1791). Gli haitiani rendono così finalmente universali gli ideali dei giacobini francesi, che avevano abolito la schiavitù solo nel 1794, costretti dall’invasione britannica della colonia, ma negato i diritti politici a neri e mulatti. Essi attingono, probabilmente, anche agli ideali abolizionisti propriamente africani contenuti nella tradizione della Carta di Mandé. Una “carta” dei diritti umani emanata oralmente dal Re Soundiata Keita nel 1222 nel Regno di Mande, attuale Mali, che bandiva la schiavitù imposta dagli arabi sulla base di amore, libertà e fratellanza per ogni uomo.  Il proverbio creolo semplifica il concetto: “Tout monse moun!” (“Ogni uomo è un uomo!”). Proclamatosi imperatore nel 1804, Dessalines viene assassinato due anni dopo da una congiura militare di cui le circostanze non sono mai state chiarite. Non c’è da stupirsi, le tensioni politiche nel gruppo dirigente erano divenute esplosive.

 

 

02 – Haiti tra rivoluzione, conflitti e divisioni

 

Va ricordato che il percorso rivoluzionario era stato violento e tortuoso, complicato dalle invasioni militari, quella spagnola dalla confinante colonia di Santo Domingo, quella  britannica e infine quella napoleonica, ed in misura maggiore dall’intreccio dei diversi interessi delle varie componenti la società coloniale: élite bianca monarchica, coloni bianchi repubblicani, gente di colore libera repubblicana ma non abolizionista, schiavi insorti e “cimarroni” (neri fuggitivi organizzati in bande armate). La guerra era infine culminata con una vincente alleanza fra neri e creoli, ma persisteva una profonda divisione per ragioni socioeconomiche oltre che culturali.  I mulatti, concentrati nel sud di Haiti, erano nella stragrande maggioranza uomini liberi, piccoli agricoltori, inclini alla cultura mercantile e liberale. Vi era fra loro anche una potente élite che condivideva le condizioni dei bianchi colonialisti, possedeva piantagioni e schiavi, e pur nutrendo sentimenti revanscisti rispetto alla Francia, non metteva in discussione lo schiavismo. I neri, concentrati a nord presso le grandi piantagioni, erano per lo più ex schiavi che avevano elaborato degli elementi culturali propri, che diverranno poi caratteristici di Haiti (il “creol”, una lingua franco-africana, il wudu, uno spiritualismo animista e il lakou, la comunità di villaggio).

Queste differenze avevano già procurato uno scontro armato, detto la “Guerra dei coltelli” che nel 1798 aveva visto la lotta fra una fazione minoritaria a guida creola (capeggiata da André Rigaud e Alexandre Sabés detto Pétions) e quella maggioritaria di Louverture, vinta da quest’ultimo.

Vi era, dunque, un dissidio interno che si era riproposto nella fase post-coloniale.

L’élite creola non poteva condividere la prospettiva di completa rottura col passato, piuttosto cercava una conciliazione per superare l’embargo, condizione indispensabile per la ripresa dei commerci.

Invero nessuna nazione aveva riconosciuto Haiti. Il Vaticano aveva ritirato i suoi sacerdoti (che torneranno solo nel 1860) ed il senatore statunitense George Jhon Barrien circa possibili rapporti diplomatici aveva dichiarato: “ ..causerebbero un contagio morale accanto al quale la peste nera apparirebbe innocua e insignificante!”. 

Il “giacobinismo nero” incarnato prima da T. Louverture e poi dai suoi primi ufficiali, appunto J. J. Dessalines e H. Cristophe, intendeva invece istituire un ordine che implicava uno scontro frontale inevitabile.

Pertanto, scomparso Dessalines (1806), avviene una frattura nazionale. Dopo un anno di lotta interna Haiti si spacca in due: nella parte settentrionale governa Cristophe, in quella meridionale Pétions, il leader creolo. Cristophe governa in qualità di Capo dello Stato fino al 1811, da quando istituisce un regno monarchico costituzionale che durerà fino al 1820. Pétions, governatore del sud, nel 1807 proclama la Repubblica (sul modello degli Stati Uniti) e ne diviene Presidente.

 

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Il frontespizio del Piano militare per la difesa del Regno del Nord stampato nel 1814.

 

 

Qui troviamo il nodo storiografico più stretto, la narrazione superficiale che vuole un tiranno regnare col terrore al nord, mentre al sud un sincero repubblicano si distingue nell’aiutare il libertador sudamericano Simon Bolivar e che alla scomparsa del monarca settentrionale assurgerà a “Padre della Patria”.

La verità è altra, risiede in una dinamica ben più complessa e scomoda, solo recentemente riportata alla luce, ma utile a sciogliere quel nodo.

 

03 – Al Nord il Regno di Christophe: la difesa rivoluzionaria

 

Nel marzo del 1814, caduto Napoleone, il trattato di Parigi permette alla Francia di proseguire la tratta degli schiavi ancora per cinque anni e già in ottobre una missione francese (gli emissari Medina, Draveman e Dauxion-Lavaysse) tenta di negoziare con Pétions la ripresa del controllo coloniale.

Nel novembre, l’arresto dell’agente parigino Franco Medina da parte del Regno del nord fa fallire le trattative segrete. Re Cristophe, infatti, pubblicizza questa trama complottista costringendo Pétions a respingere la missione francese guidata dal colonnello Jean Francois Dauxion-Lavaysse.

Stante l’assidua minaccia francese, Christophe emana il “Plan general de defense du royame”, un manifesto politico-militare per la lotta contro la restaurazione colonialista. Il piano difensivo predispone una guerra totale contro l’invasore francese attraverso la tattica della “terra bruciata”, l’uso sistemico della guerriglia articolata su colonne mobili e truppe scelte, i “Royal Dahomé” (guerrieri africani mercenari, originali del Dahomey, attuale Benin) e l’uso di tutta la violenza possibile sulla scorta dell’esperienza maturata durante la lotta di liberazione.

Si tratta di impedire, in ogni modo, il ritorno dei “padroni” con un piano lucido ed ambizioso che stupisce per la modernità, ma che rientra nel quadro generale dello Stato settentrionale, il più misconosciuto di questa storia negletta.

Cristophe prosegue il rafforzamento militare intrapreso da Dessalines: organizza un esercito disciplinato e numeroso (circa 20.000 soldati su di una popolazione che non supera le 250.000 persone.), costruisce varie fortificazioni, fra cui la imponente Citadelle Laferrière ed ingaggia persino mercenari africani. Egli avvia la creazione di uno Stato forte, gerarchizzato e progredito appoggiandosi ad una nobiltà di tipo bonapartista, conti e baroni da lui scelti fra gli alti ufficiali di quell’esercito nato dalla Rivoluzione, la “Armée Indigène” che era stata di Louverture e di Dessalines. Un dispotismo illuminato che gli permette di avviare una grandiosa campagna civico-militare di opere pubbliche dai risultati eccezionali, riconosciuti anche dalla storiografia haitiana tardo ottocentesca (Thomas Madiou).

 

 

Citadelle Laferrière, Haiti Immagine che contiene montagna, erba, esterni, naturaDescrizione generata automaticamente

 

L’imponente fortezza “Cittadelle La Ferriere”, il gioiello castrense voluto da Re Cristophe.

Formidabile deterrente contro le invasioni, dotata di 160 cannoni, mura spesse tre metri ed alte fino a 40, era in grado di contenere fino a 5.000 uomini. La leggenda nera del “tiranno” Christophe si appoggia alla lugubre fascinazione evocata dalla superba fortificazione.

Dal 1982 è patrocinata dall’UNESCO, così come il Palazzo Reale “Sans Souci”.

 

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Le riserve di munizioni per i grossi calibri della fortezza. Queste piramidi sono eloquenti circa la determinazione delle forze armate di un regno di cui andava taciuta ogni memoria.

 

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I resti del palazzo reale di Cristophe, il “Sans Souci”, evidentemente ispirato all’omonimo palazzo reale di Federico II di Prussia a Potsdam. Un esempio di architettura magnificente che si commenta da solo, ma ignorato per secoli. Allo scopo di rovinarne la memoria (tanto dell’edificio quanto del sovrano) viene collegato al capo guerrigliero Jean Baptiste detto “Sans Souci”, eliminato dello stesso Cristophe per ribellione durante le fasi concitate della guerra contro i francesi.

 

Sans Souci, Haiti, rovine  Sans Souci, Haiti, rovine ricostruite in 3D

In basso veduta generale dei ruderi accanto ad una fotoricostruzione che restituisce l’immagine originale.     

 

Oltre alle magnifiche edificazioni ora sotto egida dell’UNESCO, La Cittadelle Laferriere e il Palazzo Reale Sans Souci, il monarca haitiano fa costruire caserme nuove, una manifattura tessile per le uniformi, una fonderia per armi, una fabbrica di polvere da sparo, una vetreria, scuole pubbliche ed ospedali, istituti professionali, una Accademia Reale di medicina e un’altra di musica, una scuola di disegno e pittura, un collegio femminile. Si aggiungano nove residenze reali e varie case di caccia.

La cura per l’efficienza amministrativa è testimoniata dalle note di viaggio degli europei in transito, giacché sono numerosi i tecnici ingaggiati come sovrintendenti, dai militari prussiani agli architetti ed artisti. Vi sono anche sei insegnanti inglesi delle scuole lancasteriane impegnati nell’organizzare l’istruzione superiore, in lingua inglese. La stessa cura va alla manutenzione di strade, ponti, gestione dei terreni agricoli. Le piazze principali dispongono di illuminazione e le strade sono pavimentate.

Tenendo conto che la superficie del Regno corrisponde all’incirca a quella del Trentino Alto-Adige, si evidenzia qualcosa di fenomenale.

 

04 - La riforma agraria e le differenze con il Sud

 

Sul piano economico, il successo sta nella produzione agricola finalizzata all’esportazione. La Gran Bretagna è la principale acquirente, pur non riconoscendo Haiti non applica alcun embargo, accanto a Svezia, Danimarca e Olanda. L’intensa attività commerciale garantisce ampi profitti per il Regno, dacché il commercio è gestito direttamente dal sovrano insieme ai suoi collaboratori. Solo nel 1817 ben 150 navi mercantili trasportano all’estero milioni di tonnellate di caffè, cotone, cacao, rhum, zucchero e tabacco.

L’elevata produttività agricola è assicurata da un regime di lavoro coatto che impedisce ai contadini la libera circolazione e li costringe all’occupazione nei latifondi assegnati ai nobili. I contadini sono anche tenuti a prestare servizio in cantieri di opere pubbliche. Misure che garantiscono la mano d’opera e impediscono lo spopolamento delle campagne frenando l’emigrazione verso le città e verso il Sud. Questa era la politica agraria già di Louverture, meglio definita dal Regno settentrionale attraverso la regolamentazione contenuta nel “Code Henry”, il Codice Civile emanato nel 1814 che regola tutta la vita dello Stato.

Nel Codice Agrario si definiscono i compiti dei latifondisti cui spetta la responsabilità di rendere redditizi i terreni facendo uso della forza lavoro nel rispetto di una serie di regole: orari di lavoro compresi fra le 9 e 10 ore massime per turno, rispetto di domeniche e festività, abitazioni adeguate e cure mediche presso gli ambulatori presenti in ogni piantagione, istruzione scolastica per i figli dei contadini rimasti orfani a carico dei latifondisti. Per costoro, oggetto di ispezioni da parte di funzionari reali, sono previste pesanti sanzioni in caso di negligenze. I contadini possono spostarsi all’interno del Regno previo rilascio di appositi salvacondotti e hanno diritto di portare le loro lagnanze in tribunale.

Questo sistema agrario, laddove preso in considerazione, è pesantemente bollato dalla storiografia contemporanea come semi-feudale. Un regime di servaggio che sarebbe esemplare dimostrazione di come il percorso haitiano si riduca, in definitiva, ad un semplice passaggio dalla schiavitù alla servitù della gleba. Giudizio svilente, di una realtà certo discutibile ma che non può essere liquidata senza adeguata contestualizzazione. Basti considerare che In Italia, ad esempio, il limite massimo della giornata lavorativa a 12 ore sarà oggetto di legge soltanto nel 1899, quasi un secolo più tardi!

A conferma della criticità della questione, Pétion nel 1812 spinge sul confronto ideologico facendo leva sul “miraggio” delle libertà individuali e promuove nella Repubblica del sud la distribuzione delle terre in piccoli lotti, in ciò suscitando grande entusiasmo popolare, tanto che gli viene attribuito il nomignolo di “Bon Papa”. Egli crea un forte richiamo per i contadini del nord, attirati al sud dall’ideale della piccola proprietà in totale autonomia. L’iniziativa del leader creolo deprime la produzione agricola perché la orienta alla mera sussistenza, e contrariamente a quanto accade nel Regno di Cristophe, impedisce all’unica risorsa nazionale di fornire i capitali per le infrastrutture e per il commercio estero (che rimane nelle mani di stranieri), ma Pétion crea così le condizioni per una efficace competizione che finirà con l’erodere il consenso nel Regno rivale.

Il sovrano settentrionale, per ridurre le tensioni sociali accumulatesi, risponderà con una parziale distribuzione delle terre soltanto nel 1818, beneficiando circa trecento contadini cui viene concesso il riscatto agevolato e dilazionato del terreno.

La profonda differenza fra i due regimi si manifesta anche in politica estera. La Repubblica di Pétions fornisce più volte aiuto concreto (armi, denaro e uomini) ai capi indipendentisti venezuelani Simon Bolivar e Francisco Miranda, mentre il Regno del nord si attiene alla scrupolosa neutralità.

Il monarca nero nega il suo aiuto per timore di guastare il vitale rapporto con l’Inghilterra in favore di un movimento rivoluzionario di cui riconosce un grave limite, la sua totale estraneità alla causa abolizionista. La storia gli darà ragione, perché nei fatti i libertadores sudamericani non metteranno in atto alcuna politica di emancipazione dalla schiavitù e neppure salderanno il debito morale, perché Haiti sarà lasciata sola nell’isolamento internazionale. In Venezuela la soppressione della schiavitù arriverà solo il 26 marzo 1854 e la prima autentica ambasciata della Repubblica di Colombia comparirà, addirittura, nel 1950.

 

05- Una lotta d’avanguardia contro il sistema coloniale

 

Re Henry promuove comunque la lotta contro il sistema colonialista, ma in modo sottile ed originale.

Si appoggia alla Gran Bretagna impegnata nel conflitto con la Francia napoleonica, sia per gli scambi commerciali sia per il pieno sostegno fornito dal movimento abolizionista britannico di Thomas Clarksson, il suo “African Institution”. Si tratta dell’unica realtà in contraddizione col regime coloniale e quella rete europea di aristocratici e borghesi “illuminati” fornisce un valido aiuto in ambito diplomatico e culturale. A loro si appoggia Prince Sanders, il maestro di scuola afro-statunitense che su incarico di Cristophe organizza l’istruzione pubblica gratuita. Sanders è l’autore della prima pubblicazione che contraddice la propaganda razzista e illustra i risultati dell’emancipazione haitiana in “Haytian Papers” (1815). Funge da agente diplomatico speciale e porta nel Regno un vaccino contro la malaria procurato in Europa. Sempre lui avrebbe dovuto concretizzare il progetto che prevedeva il riscatto di neri negli Stati Uniti (per un capitale di 25.000 dollari) allo scopo di trasportarli ad Haiti con un’apposita nave, da dove sarebbero sbarcati liberi. Il progetto fallirà per la scomparsa del sovrano.

Cristophe cerca la Russia (scrive allo zar Alessandro tramite T. Clarksson) per un’alleanza transnazionale abolizionista e, forte dei capitali accumulati dalla sua florida economia, tenta di acquistare Santo Domingo dalla Spagna. L’operazione si avvale della mediazione britannica, ma si scontra con gli interessi statunitensi, che ne impediscono la realizzazione.

Inoltre, si segnalano alcuni casi ben documentati dalla ricerca dello storico cubano José Luciano Franco pubblicati nel 1966 che fanno pensare ad una consolidata (e simpatica) prassi da parte della marina di Cristophe: la confisca della “merce” trasportata dalle navi negriere colte nelle acque lungo la costa haitiana del Regno del nord. Nel biennio 1810-11 si tratta dell’intero carico (205 africani) della nave negriera spagnola “Santa Ana” diretta a Cuba, di quello della “Gerona” e di un’altra nave negriera portoghese (altri 440 schiavi liberati). Nel 1817 una goletta statunitense, il “Dash” (cui viene sequestrato il carico, e i marinai neri, liberati ed integrati nella marina haitiana) ed un’altra nave negriera (sempre degli Stati Uniti ma battente bandiera portoghese, da cui liberano 145 africani e ne incarcerano l’equipaggio). Significativo anche il curioso caso (1813) del riscatto del cittadino Azor Michel ed alcuni bambini haitiani. Costoro erano stati rapiti da negrieri e rivenduti a Cuba, ma su esplicita richiesta del Segretario di Stato del Re, riportati ad Haiti.

Ma è in ambito culturale che il Re nero agisce contro il colonialismo con più forza.

Con l’istruzione pubblica cerca la formazione di quadri tecnici e di scolarizzare il maggior numero di cittadini per lo sviluppo di una coscienza nazionale. Con l’editoria spinge una importante “battaglia delle idee” tramite l’ausilio di intellettuali che esportano l’universalità dei principi rivoluzionari traditi dai francesi. Fra questi spiccano il già citato Prince Sanders. Juste Chaanlatte, editore della “Gazette Officielle de l’Etat de Haiti”, giornalista e poeta, già segretario di Dessalines e “cervello” della Costituzione del 1805. Julien Prevost, storico e propagandista, Segretario di Stato, Ministro degli Esteri e Luogotenente Generale.

Ma sopra ogni altro, Jean Luis Vastey, il più grande intellettuale al servizio della rivoluzione haitiana.

Il suo “Système colonial dévoilé” (1814) smaschera la vera natura del sistema schiavista con tutto il carico di orrore, violenza, sadismo e disumanizzazione. Quel testo usa il sistema dell’inchiesta: parlano le vittime e i testimoni, si fanno nomi e cognomi degli aguzzini, si ricostruisce la particolare dimensione psicologica della “necropolitica” (secondo la definizione del filosofo camerunense Achille Mbembe), cioè quella perversa dimensione di comportamenti che nascono dall’esercizio del diritto di vita e di morte e finiscono col disumanizzare tanto le vittime quanto i carnefici. Qualcosa che oggi fatichiamo a capire fino in fondo, ma si rammenti che il livello di feroce crudeltà praticata dagli schiavisti francesi era divenuto tale che negli anni ‘80 del Settecento la legislazione coloniale aveva rafforzato i divieti di mutilazione dei corpi degli schiavi, allo scopo di salvaguardarne il valore commerciale.

Il creolo Vastey sovrintende la stesura del “Code Henry” e scrive vari pamphlet che mettono a nudo la connessione strutturale fra proprietà privata e genocidio/razzismo, fra colonialismo e schiavismo.

Questo lucido pioniere dell’anticolonialismo, oggi personalità misconosciuta, è la voce di un popolo che si è riconquistato la dignità umana e surclassa il paternalismo abolizionista degli europei benpensanti, che addirittura anticipa i temi terzomondisti del ventesimo secolo (Frantz Fanon, Aimé Cesaire).

È lo specchio spietato che mostra il vero volto del “progresso” esportato dalle nazioni che si fregiavano pomposamente dei filosofi illuministi. L’importanza del suo ruolo nel governo del Regno si deduce dalle onorificenze a lui conferite: i titoli di Barone, Cancelliere e Cavaliere dell’Ordine di Enrico.

 

 

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La bandiera del Regno del Nord, l’araba fenice fra leoni rampanti sui colori rosso e nero.

Questi colori li ritroviamo nelle bandiere di molti movimenti di liberazione del secolo scorso, seppure con diverse grafie: M26-7 cubano, ELN colombiano, FSLN nicaraguense, Montoneros argentino, MIR cileno, MPLA angolano e anarcosindacalismo, EZLN messicano.

 

 

 

 

06 - La morte di Christophe e la fine del Regno

 

Se oggi nel mondo accademico si assiste al parziale recupero delle pagine di questa storia rimossa, a livello divulgativo permangono silenzio, banalizzazione e mistificazione. Della storia personale di Christophe si ascolta la “leggenda nera” di superficiali guide turistiche e di ricostruzioni intrise di elementi favolistici. Descrivono un monarca analfabeta e superbo che uccide i suoi sudditi colpevoli di mancanze personalmente (a volte a colpi di cannone), che fa costruire una fortezza le cui pietre sono impastate col sangue degli animali e che si suicida con un proiettile d’argento o d’oro, a seconda delle versioni. Sono narrazioni meschine, evidentemente finalizzate a cancellare la memoria di una personalità fuori dal comune, se non addirittura geniale.

Brillante uomo d’azione, nato già “affranchi” o liberato da giovanissimo, forse nativo di Grenada, partecipa alla guerra d’indipendenza americana combattendo contro i britannici all’interno di una unità di miliziani neri che prende parte alla battaglia di Savannah. Tornato ad Haiti, lavora in un hotel di cui diventa gestore o proprietario e finisce con l’essere coinvolto nella rivoluzione, percorrendo una rapidissima carriera militare che lo trasforma in uno dei generali più fedeli e capaci di Louverture. Questi gli affida il compito di gestire le piantagioni durante i difficili anni di lotta, a conferma delle sue doti, anche amministrative. Le sue iniziali note biografiche sono incerte ma il temperamento di quello che allora era ancora soltanto un “generale negro” lo si può evincere dalla lettera che scrive il 2 febbraio 1802 a Charles Leclerc, comandante in capo dell’armata inviata da Bonaparte ad Haiti per riconquistare la colonia e ripristinare la schiavitù. Il generale francese (cognato di Napoleone che morirà quello stesso anno di febbre gialla) scrive a Cristophe prima dello sbarco nei pressi della città di Le Cap, intimandogli la resa. La risposta:

“…non posso permettervi di sbarcare. Se avete la forza con cui mi minacciate io vi resisterò come compete a un generale, e se avrete la fortuna delle armi, non potrete che entrare a Cap ridotta in cenere. Ed io vi combatterò ancora su quelle stesse ceneri.

Dalle parole ai fatti: i francesi sbarcano nei pressi, Cristophe mette a fuoco la città. Cominciando da casa sua.

Henry Cristophe si uccide per davvero. Si spara nel petto perché un golpe lo coglie il 28 ottobre 1820 con i postumi di un ictus, mezzo paralizzato ed incapace di difendersi. I golpisti impiccano suo figlio sedicenne, il principe Jacques Victor Henry erede legittimo, dieci giorni dopo. Vengono eliminati anche i suoi collaboratori più stretti, compreso il “pericoloso” ideologo Vastey, in circostanze ancora sconosciute. La moglie Marie-Louise Coidavid e le figlie Améthiste e Athénaise riescono a salvarsi, esiliate in Europa, finiscono la loro vita nel Granducato di Toscana (dal 1824 al 1851) e sono sepolte nel cimitero dei Cappuccini di Pisa.

 

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Henry Cristophe e sua moglie Marie Louise Coidavid con la sorella.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La trama del Colpo di Stato non è conosciuta, ma Jean-Pierre Boyer, già luogotenente di Pétion e alla sua morte (nel 1818) succedutogli alla presidenza della Repubblica, immediatamente marcia con le sue truppe al nord, ricomponendo l’unità del Paese.

Cinque anni più tardi la squadra navale francese al comando del barone Armand de Mackau impone, manu militari, il pagamento dei “danni” per la perdita della colonia in cambio del riconoscimento internazionale. Boyer accetta, ponendo di fronte ad un Senato inizialmente recalcitrante la scelta fra guerra e sudditanza privilegiata (per l’élite creola). Egli sigla l’atto che “normalizza” Haiti chiudendo il sipario sull’epopea rivoluzionaria.

Nell’occasione, ventuno salve di cannone sparate dal naviglio francese salutano l’avvenuta “riconquista”.

Si inaugurava così la perversa spirale del cosiddetto “debito d' indipendenza”. Siccome si trattava di una cifra enorme (lo storico haitiano del XIX secolo Beaubrun Ardouin attesta che la prima rata era sei volte la disponibilità del tesoro nazionale), il governo haitiano ha dovuto aprire un altro debito con la Francia per poter onorare i pagamenti. Era nato il “doppio debito”, una condizione finanziariamente grottesca.

Il leader creolo, erede di Pétion, viene esautorato nel 1843 dai vertici militari (generali neri indegni epigoni di Cristophe) e costretto all’esilio, prima in Giamaica poi in Francia, dove muore nel 1850.

L’unico Presidente haitiano eletto democraticamente, l’ex sacerdote cattolico Jean-Bertrand Aristide, nel 2003 ha sollevato la questione dell’oltraggioso “debito nazionale” pagato da generazioni di haitiani e prima ancora col sangue dei loro progenitori, chiedendone la restituzione. Pur trattandosi di un danno incalcolabile, perché aveva impedito nel tempo qualunque sviluppo socioeconomico e trasformato Haiti nel paese più povero delle Americhe, il suo governo ha stimato un indennizzo, a titolo di risarcimento, di circa 22 miliardi di dollari. “Titid” (come lo chiamavano i suoi sostenitori) ne aveva dato notizia sulla base di 21 punti, richiamandosi polemicamente alle 21 cannonate di tronfia soddisfazione sparate dalla marina francese quasi due secoli prima.

La Francia ha quindi istituito una apposita Commissione e stabilito che si era trattato di un semplice “accordo” fra nazioni, sorvolando sul ricatto eseguito con la forza. Non ha accettato né l’esborso né un pericoloso precedente che avrebbe potuto coinvolgere altre ex colonie.

L’anno seguente Aristide è stato definitivamente deposto da un golpe, il secondo. Il primo risaliva al 1991.

 

07 – Il valore storico, etico e politico della lotta haitiana

 

Dipanare questa storia occultata porta a conclusioni graffianti, ma affatto banali.

Desta sconcerto notare che la manipolazione della memoria di quanto accaduto ad Haiti mostra tutta la sua efficacia proprio nell’omissione del risultato più eclatante ed immediato di quella rivoluzione:

la soppressione della schiavitù!

Il fatto clamoroso, viene sfacciatamente ignorato, tanto è vero che nell’immaginario collettivo si ricorda soltanto l’aiuto generoso dato a S. Bolivar, finendo col “pietrificarlo” nella sola eredità storica haitiana degna di menzione.

Gli schiavi negri ribelli, capaci di liberarsi da soli e di autogestirsi, sono stati un fatto talmente eversivo che la demonizzazione/cancellazione ha agito nei secoli.

In Sudamerica, dove pure i neri hanno contribuito in modo decisivo alla vittoria contro gli spagnoli, non hanno goduto di alcun riconoscimento. Non era bastato spargere le proprie ossa sui campi di battaglia delle guerre di indipendenza. In barba alla legge di Manomissione voluta da Bolivar nel 1821 e alle promesse di libertà per chi avesse combattuto con i repubblicani, nel dopoguerra reduci neri dovevano difendersi in tribunale dalle pretese degli ex padroni di riportarli al loro servizio, giacché la schiavitù non era stata ancora abolita. Per timore di sovvertire l’ordine sociale, il Ministro degli Interni e della Giustizia venezuelano Antonio Leocadio Guzman (il futuro fondatore del Partito Liberale del Venezuela) nel 1835 firma perfino un decreto che stabilisce l’impossibilità di emanciparsi dalla schiavitù tramite il servizio militare, precisando: “.. perché hanno fatto della caserma un rifugio per servi delinquenti”. 

Lo stupefacente ritardo nel rendere il giusto merito al ruolo di uomini e donne di colore si spiega facilmente alla luce delle esigenze di dominio, ma esistono anche altre motivazioni da ricercare nelle complesse dinamiche antropologiche già emerse durante la rivoluzione haitiana, sottili questioni razziali difficilmente comprensibili fuori delle società coloniali.

Altrettanto degno di nota è il fatto che in questi mesi a Cuba si va costruendo il monumento a José Antonio Aponte, martire nero della sollevazione abolizionista del 1812. Quest’uomo, carpentiere, ex sergente della milizia negra, pittore autodidatta, guida una rivolta che si ispira alle gesta haitiane. Risulta dagli atti dell’interrogatorio che egli era sicuramente a conoscenza di Cristophe e del suo modello di società. Condannato ed impiccato, è stato demonizzato con tanto successo che ancora pochi decenni fa gli anziani cubani ricordavano il detto popolare spregiativo: “Es mas malo que Aponte!” (È più cattivo di Aponte!). Finalmente, dopo più di due secoli, José Antonio Aponte, eroe negro, può entrare a buon diritto nel Pantheon delle grandi personalità della storia del popolo cubano.

Restano tante omissioni storiografiche ancora tutte da colmare. Lampante è il caso delle trame golpiste che hanno portato alla morte Dessalines e Cristophe, del resto anche sulla vicenda della cattura di Louverture ci sono tante zone d’ombra.

Anche il ruolo femminile giocato negli avvenimenti haitiani resta da indagare, eppure, molte hanno avuto compiti apicali in ambito civile come militare. Infatti, si ricordano varie eroine: Suzanne “Sanité” Bélair (combattente col grado di tenente, fucilata insieme al marito, il generale Charles Bélair), Marie Claire Hereuse Félicitè (moglie di Dessalines, morirà centenaria), Catherine Flon (“Madre della Patria”, cuce la prima bandiera nazionale), Victoria “Abdaraya Toya” Montou (combattente, già guerriera nel Dahomey), Marie-Jeanne Lamartinére (combattente in abiti maschili per mascherare la sua bellezza), Cecile Fatiman (sciamana che insieme a Boukman celebra la cerimonia che inaugura la rivolta degli schiavi del 1791).

 E che dire della signora francese Marie Madeleine Lachenais, detta “la Joutte” (“la Giostra”), compagna di Petions e poi di Boyer? Sembra verosimile che ella, fedele compagna di entrambi (dal primo ebbe due figlie), abbia condizionato la politica estera dei due leader creoli in direzione filofrancese.

Ci auguriamo che il recupero della tremenda storia haitiana possa proseguire e contribuire ad una efficace divulgazione per smascherare il ruolo del colonialismo, tuttora vigente in quel Paese.

Di fronte al persistere del suprematismo bianco negli USA e di condizioni di lavoro de facto di schiavitù per milioni di persone nel mondo, sorprendentemente, scopriamo che quelle ottocentesche lotte haitiane mantengono intatte la loro attualità, oltre ad essere la base etico politica dell’antimperialismo tanto del XX secolo quanto di quello in corso.

La loro memoria merita di stare ben viva nelle menti e nei cuori di chi oggi ricerca verità e giustizia.

Che possa risuonare l’eco del grido disperato ed eroico, pronunciato in creolo, di Suzanne “Sanité” Bélair al momento della sua fucilazione: “Viv libète! Aba esclavaj!”

 

Haití

Un manifestante con i simboli rivoluzionari haitiani, la bandiera rosso-nera e il bicorno che fu dei capi dell’epoca: Louverture, Dessalines e Cristophe.

 

 

FONTI CONSULTATE

 

 

·  Michel Rolph Trouillot- Silencing the Past – 1995

 

·  Juan Antonio Hernandez - Hacia una Historia de lo imposible: la revolucion haitiana y el libro de pinturas de José Antonio Aponte - University of Pittsburgh – 2000

 

·  David V. Trotman - Rompiendo el Silencio sobre la Revoclucion Haitiana – Cuadernos Americanos n.126 - 2008

 

·   Antoine Coron - Le sistéme de défense du Roy Cristophe - Biblioteque National Francaise – 2010

 

·   Carlos Francisco Bauer - La huella de Haiti en la historia universal – Memoria Academica - 2011

 

·  Ana Vergara – Las armas a cambio de la libertad – Los esclavos en la Guerra de Independencia venezuelana (1812-1835) – Universidad Simon Bolivar – Dialnet - 2011

 

·  Raul Esteban/Diaz Espinoza - La invisibilizacion de la Rrevolucion de Haiti y sus posibles

resistenncias descolonialies desde la negritude – Universidad Autonoma de Madrid - 2014

 

· Andres Rodriguez Soler/Yoslaine Fuentez Cruz - La Revolucion Haitiana (1791/1804) – Una aproximacion a sus constituciones para superar el olvido y el abandono - Rivista Elettronica – 2015

 

·  Marcelo Fernandez - – La revolucion Haitiana, el imperialismo norteamericano y un’alternativa neopopulista – Aproximaciones -  2015

 

· Juan Francisco Martinez Peria - Revolucion en la Ideas: Jean Luis Vastey y la desconolizacin de la civilizacion y el progreso - Pléyade (Santigao) Rivista n. 23 – 2019

 

· Juan Francisco Martnez Peria - Revolucion en un solo pais? - Henry Cristophe y la difusion del ideario revolucionario en el Mundo Atlantico - Revista del la Red Intercatedras de Historia de America Latina Contemporanea – 2019

 

· Yamila Balbuena/Lucas Bruschetti - Jean Luis Vastey – La revolucion epistemologica haitiana – Rev. Anuario n.33 - 2020

 

· Acoma- Rivista Internazionale di Studi Nordamericani n. 18 - AAVV - 2020

 

·  Javier Lavina – Trabajo y Postemancipacion en Haiti - Universidad de Barcelona - 2020