Notiziario Patria Grande - Dicembre 2022 - Speciale Perù
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NOTIZIARIO DICEMBRE 2022
SPECIALE PERU’
TELESUR / ESTERI / SPECIALE PERU’
Gli errori di Castillo non possono giustificare un governo golpista di destra
GRANMA (CUBA) / ESTERI / SPECIALE PERU’
Un nuovo golpe parlamentare in Perù
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Continuano le proteste in Perú
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Le lezioni del colpo di Stato
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Gli errori di Castillo non possono giustificare un governo golpista di destra
di Carlos Aznarez (*), 10 dicembre 2022
Una nuova opportunità persa. Pedro Castillo è caduto come a suo tempo capitò al suo collega paraguaiano Fernando Lugo, con infamia e senza lode. Messo in scacco dalla destra? Ovviamente. Agirono ancor prima che vincesse il ballottaggio, lo presero di mira, lo accusarono dall’essere terrorista all’essere corrotto, infangarono con menzogne il passato e il presente suo e della sua famiglia. Lo obbligarono a modificare la rotta rispetto ai propositi per cui si era impegnato con il popolo povero, lavoratore e contadino. Mai niente bastava alla furibonda estremista di destra Keiko Fujimori e ai suoi amici impresari (costoro sì, corrotti oltre ogni limite), militari dal passato criminale, poliziotti idem e paramilitari al servizio del narcotraffico. Chiedevano sempre di più e più ancora, per non lasciar governare un Castillo che quanto meno peccò d’ingenuità all’inizio e dell’opposto negli ultimi tempi.
Certo, la destra ha fatto questo e molto di più. Che cosa c’era da aspettarsi? Che perdonassero a quel maestro e sindacalista, arrivato dal Perù profondo, la sfacciataggine di sfidare la borghesia di Lima, mettendo in discussione il suo potere e la sua storia d’impunità? Castillo è stato, nonostante sé stesso, il rappresentante di quei nessuno che un bel giorno si stufano di tanti maltrattamenti e si decidono a prendersi tutto, compreso il Governo.
Castillo si fece venire il mal di mare ondeggiando fra le sue stesse parole e molto presto diede prove tangibili di aver confuso la rotta. Allontanò nelle prime ore dal suo governo il miglior ministro degli esteri peruviano che potesse avere Nuestra America, Héctor Béjar. E già quello fu un semaforo rosso riguardo al quale Castillo né vide, né volle ascoltare gli ammonimenti che gli giunsero. Era già disposto a retrocedere di fronte all'alluvione di accuse che gli cadevano addosso. E questo si sa come comincia, ma il peggio è come va a finire. Dopodiché andarono cadendo uno dopo l’altro i ministri del suo gabinetto. "Senderisti", "comunisti", "corrotti", eccetera, eccetera, le frecce avvelenate della destra erano incessanti ed ogni volta pretendevano di più. Alcuni amici sussurrarono all'orecchio del profe Castillo che cercasse di fermare le concessioni, perché quelli "vogliono la tua testa”. Altri, dal partito Perù Libero (PL), il "suo" partito, o per lo meno quello che gli servì per vincere le elezioni, e la "sua" base di sostegno nelle masse, gli consigliarono di rafforzare il processo, di convocare la Costituente, di nazionalizzare il gas, di non retrocedere. Ma Castillo continuò a cambiare ministri, facendo alleanze, un giorno con la sinistra "al caviale", in un'altra occasione nominando funzionari vicini alla destra, finché le relazioni col PL s’incrinarono del tutto, e fu allontanato dal partito.
Nelle relazioni internazionali non smise di sbagliare, civettò malamente con gli Stati Uniti, rinnegò il Venezuela, si avvicinò all'OEA e al suo caporione Luis Almagro, condannò la Russia per aver "invaso" l’Ucraina, favorì l'arrivo d’investitori delle grandi imprese minerarie, dimenticandosi delle lotte a Las Bambas ed altre enclave, dove i lavoratori, per decenni, ci misero sfilze di morti per fermare la distruzione del territorio. Ma nessuna di quelle sbandate, rispetto alle promesse della campagna elettorale, servì per calmare il mostro, che non smise di chiedere sangue.
Il popolo, nel frattempo, richiedeva di ribaltare la situazione, si mobilitava per la Costituente e per la punizione delle aggressioni dirette del fujimorismo, e con assoluta chiarezza metteva in guardia il proprio presidente: "Chiuda il Congresso", "metta mano a quel nido di vipere", "si metta i pantaloni, profe".
Il futuro era annunciato. La cospirazione che mai si fermò, ad un certo punto sommò nelle proprie file l'ambiziosa Dina Boluarte, che non è di sinistra come proclama qualcuno, e nemmeno innocente, bensì il pezzo chiave di cui la destra aveva bisogno per attuare il golpe "nell’ambito della legalità democratica". E la Boluarte, che sognava d’indossare la fascia rossa sul petto, si trasformò in furiosa nemica del presidente legittimo, votato da milioni di cittadini.
Al colmo delle posizioni “banderuolesche”, un settore del partito Perù Libero, per puro risentimento e per non saper distinguere tra un albero e un bosco, si capovolse completamente verso l'idea di togliere Castillo dalla presidenza, e senza alcun tipo di scrupolo diede i voti ai deputati fujimoristi e ai loro alleati per destituirlo. Sono questi i momenti che fanno crescere i dubbi su che cosa voglia davvero dire qualche partito o settore quando afferma alla leggera di essere di "sinistra".
Finale. Affinché non vi siano dubbi: la destra e l'imperialismo non danno tregua a nessuna esperienza politica che pretenda attaccare i loro interessi di classe. Per coloro che in modo onesto e coraggioso lo fanno da posizioni rivoluzionarie, l'impero ha ricette di morte, terrore e distruzione, che ovviamente non sempre gli sono riuscite bene: ci sono Cuba, Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Iran, Siria, Yemen, Corea del Nord e un’infinità di paesi che gli tengono testa. Ad altri che, al di là dei discorsi, governando sono tiepidi o "né-né” e che credono di salvarsi usando quel tipo di flirt, quando arriva l'occasione viene dato pollice verso, sfruttando il fatto che l'unico scudo che può difenderli in situazioni estreme, il popolo, si è man mano allontanato avendo constatato che le proprie richieste non sono state prese in considerazione.
Ora regna Boluarte, applaudita da Keiko Fujimori e tutta la destra oligarchica imprenditoriale. È molto probabile che la usino per un periodo e poi la facciano uscire di scena come han fatto con Castillo. Al di là di quanto accaduto, è importante difendere il presidente votato dal popolo ed esigerne la libertà, e possibilmente evitare di riconoscere diplomaticamente qualcuno che si è impadronito del governo attraverso un colpo di Stato. Sarebbe il minimo che si può fare per non stabilire un cattivo precedente, cosa che Andrés López Obrador ha immediatamente compreso, mentre il presidente argentino, Alberto Fernández, ha di nuovo trascinato nel fango la politica estera del paese telefonando alla golpista Boluarte per congratularsi.
L’epilogo mostra una realtà originata da un cumulo di tradimenti: Castillo lo fece col mandato popolare, Boluarte voltò le spalle a Castillo e cospirò con la destra a favore di un golpe, i deputati che votarono da "sinistra" per un colpo di Stato tradirono i più elementari principi che dicono di sostenere.
Ora verranno tempi difficili, a meno che il giro per le comunità e province del paese che sta realizzando Antauro Humala, suscitando dove passa simpatie popolari col suo discorso nazionalista radicalizzato, coaguli presto un movimento che affronti i golpisti. O che le organizzazioni popolari di lavoratori e movimenti sociali, respingano massicciamente il governo fuji-conservatore. Ciò potrebbe aprire un nuovo capitolo.
(*) Giornalista argentino presso mezzi d’informazione quali giornali, radio e TV. Scrittore di vari libri su temi di politica internazionale. Direttore del periodico Resumen Latinoamericano. Coordinatore di Cattedre Bolivariane, ambito di riflessione e dibattito su America Latina e Terzo Mondo.
Traduzione a cura di Adelina B., Gruppo Patria Grande del CIVG
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Un nuovo golpe parlamentare in Perù
Pedro Castillo
Il Congresso del Perù ha approvato l’allontanamento del presidente Pedro Castillo per “incapacità morale” dopo che il mandatario aveva dichiarato lo scioglimento del Parlamento nel bel mezzo della crisi politica che attraversa il Paese.
La vicepresidente della Repubblica Dina Boluarte gli subentra nell’Esecutivo, ha precisa un dispaccio di RussiaToday.
E’ un nuovo avvenimento susseguente alle azioni dell’opposizione peruviana che ha la maggioranza del Congresso e che non ha mai smesso di governare anche da quando Castillo fu eletto 16 mesi fa.
Poco o niente poteva fare il maestro rurale e dirigente sindacale contro un apparato parlamentare i cui attori principali, lontani dal promuovere leggi per migliorare la situazione economica e sociale che attraversa il Perù, avevano concentrato tutte le loro forze per rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni dell’oggi ex mandatario.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, e di sicuro la più attesa dagli oppositori, è arrivata con la decisione dello stesso Castillo di sciogliere il Congresso, precisamente alcune ore prima che nello stesso Congresso si dibattesse la richiesta d’allontanamento che poteva, se approvata, mettere fine al mandato del sesto presidente peruviano revocato negli ultimi sei anni.
«Il Congresso ha destituito lo stato di diritto e la democrazia. Ha rotto l’equilibrio dei poteri per instaurare la dittatura congressuale con l’avallo del suo Tribunale costituzionale», ha sostenuto il governante deposto.
Elson Concepción Pérez e GM per Granma Internacional, 12 dicembre 2022
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Continuano le proteste in Perú
Le numerose proteste in Perù riflettano la profonda crisi politca e sociale dopo l’arresto del presidente Castillo. Photo: TELESUR
Il Fronte della Difesa del Popolo di Ayacucho, con altre organizzazioni sociali, contadine, studentesche e dei lavoratori, ha proclamato un nuovo sciopero regionale dal 20 dicembre per la chiusura del Congresso e la convocazione di una Costituente per cambiare la Costituzione peruviana.
Telesur ha precisato che lo sciopero si verifica nella cornice di una profonda crisi politica e sociale dopo la destituzione e il successivo arresto del presidente Pedro Castillo, allontanato dal Congresso.
In numerose città del Paese, per via della detenzione di Castillo, si registrano proteste per chiedere la rinuncia della presidente designata, la libertà immediata del mandatario, la chiusura del Congresso e l’immediata convocazione a nuove elezioni.
La polizia e l’esercito hanno represso le manifestazioni con violenza. Fino a lunedì 19 si contavano 25 vittime delle forze dell’ordine.
Per le organizzazioni e i gruppi sociali di Ayacucho, una delle regioni più colpite dalla repressione, la situazione rivela l’offensiva della destra e della classe più reazionaria per impadronirsi del Paese, in accordo con un comunicato del Fronte.
In questo contesto, il segretario delle Relazioni Estere del Messico, Marcelo Ebrard, ha comunicato che il suo Governo ha concesso asilo politico alla famiglia di Castillo e ha sottolineato che si tratta di un decisione sovrana del suo Paese.
Poi ha aggiunto che attualmente si sta negoziando il salvacondotto con il quale potrebbe uscire dal territorio peruviano e restare in Messico.
Redazione Granma e GM per Granma Internacional, 20 dicembre 2022
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Le lezioni del colpo di Stato
di Itzamná Ollantay (1), 19 dicembre 2022
I sanguinosi disordini verificatisi in Perù nei giorni scorsi, a causa della baraonda politica causata dalle élite del paese, ci stanno lasciando le seguenti lezioni:
Non vi è nulla da sperare dalla democrazia dei ricchi.
La democrazia rappresentativa instaurata in Perù dal 1821, non democratizzò mai né la politica, né l'economia, né tanto meno la questione socioculturale. Anzi, al contrario, consolidò nell'immaginario nazionale la pratica del: "I bianchi ricchi vennero per governare, noi ci siamo per ubbidire e servire".
Eppure, contro ogni pronostico, un contadino impoverito dell’area rurale, adempiendo alle procedure formali della democrazia liberale, arrivò ad essere presidente della Repubblica creola bicentenaria, per volontà popolare espressa nelle urne. L’élite creola autentica di Lima, cercò di addomesticare il contadino presidente, mediante la persuasione mediatica. Ma il presidente contadino, benché traballante, restò in piedi. Allora, gli tesero la trappola/stratagemma politico, come fecero con l'Inca Atahualpa (1532). E così, restaurarono il proprio banchetto neoliberista con aroma impregnato di sangue indio-contadino.
Noi indigeni non siamo cittadini.
La negazione della qualità di esseri umani nei confronti degli indigeni e contadini in Perù, come nel resto dei paesi bicentenari della regione, è parte costituente delle repubbliche creole. L'indigeno contadino non è persona. Pertanto, non può nemmeno essere cittadino (soggetto politico). Di conseguenza, è condannato inesorabilmente alla servitù bestiale, all'annichilimento culturale e biologico.
Si permette loro di votare per il padrone, ma non di eleggere qualcuno come loro. Se lo fanno, ed osano difendere i propri voti per le strade, i padroni li puniscono e li massacrano, perfino con trasmissioni dal vivo.
Ciò che sta accadendo in Perù, con una quantità indeterminata di morti ammazzati (si parla già di oltre 30 assassinati dalle armi dello Stato) è una prova evidente che l'indigeno, il contadino, che sia nativo o “limanizzato” (2) non sono, né furono mai, cittadini. Sono "nemici interni" per lo Stato creolo del Perù.
Non credere, né celebrare il bicentenario.
I popoli del Perù, allo stesso modo che negli altri paesi, vivono in una costante illusione: cantano l'Inno Nazionale (sul ritmo della marsigliese) come se fosse loro. Inalberano simboli patri razzisti come la bandiera che porta il colore bianco al centro. Ossequiano stupratori o personaggi violenti come loro eroi nazionali. Celebrano gli anniversari patri dei creoli senza chiedersi per che cosa o a chi servì quella patria dei padroni.
Nei fatti, in questo Perù creolo bicentenario, le grandi maggioranze, per quanti sforzi abbiano fatto per peruvianizzarsi o “limanizzarsi”, attraverso l’"educazione" o politiche eugenetiche, si trovano in una situazione esistenziale peggiore dei loro antenati durante la Colonia spagnola.
Il bicentenario per la stragrande maggioranza è stato una costante umiliazione, cancellazione, annientamento e schiavitù o auto-schiavitù.
Senza popolo non c'è rivoluzione.
L’inganno della democrazia liberale è che la vittoria politica si raggiunga col voto individuale e si regga mediante norme istituzionali. Ciò avviene per i padroni. Ma non per le grandi maggioranze. L'equazione politica per i settori popolari fu sempre ed è: urne + istituzioni + strade.
Pedro Castillo e la cerchia che lo attorniò, non capirono mai questa equazione basilare. Per questo non organizzarono mai popolazioni, comunità, delle comune civiche. E quando avvenne il colpo di Stato lo scorso 7 dicembre, Castillo aveva attorno a sé soltanto un avvocato.
Ma giacché la realtà supera sempre la fantasia, i non cittadini e le non cittadine, addirittura malgrado la titubanza politica di Castillo, emersero come formiche da tutte le parti del Perù… Al punto che i padroni creoli e la loro collaboratrice domestica addomesticata (Dina Boluarte), nella loro disperazione cercarono di spegnere l'incendio popolare con ulteriore benzina. E il Perù arde.
Evitare d’istituzionalizzare l’angolo cieco
Questo caos politico peruviano, sostenuto e riprodotto dalla sua intellighenzia neoliberistizzata, è a sua volta frutto di un ordinamento giuridico "sui generis". La Costituzione Politica vigente, del 1993, redatta e firmata dal dittatore incarcerato Alberto Fujimori, incoraggia ed istituzionalizza questo caos mediante figure giuridiche quali: la vacanza presidenziale, la depredazione di ministri dell’Esecutivo da parte dell'Organo Legislativo, ecc. Queste assurde norme costituzionali, che han fatto del Perù il paese vincitore internazionale di beffe, non esistono in nessun’altra Costituzione del Continente.
In questo momento il Perù, dal punto di vista giuridico ed istituzionale, si trova in un vicolo cieco. Un angolo cieco violento. La popolazione dalle strade reclama nuove elezioni, un nuovo processo Costituente. Lo Stato creolo, come risposta, massacra la popolazione. I deputati non vogliono anticipare le elezioni. L'usurpatrice Dina Boluarte si abbarbica al potere e non vuole rinunciare. In questa situazione l'orizzonte politico peruviano è di un'incertezza totale.
Obbligati ad optare per gli stessi?
Presto o tardi donne e uomini del Perù saranno convocati nuovamente alle urne per scegliere i nuovi governanti, con le medesime regole di prima, con gli stessi partiti-imprese padronali. E, sicuramente, con gli stessi risultati.
Le popolazioni e i settori insorti per le strade hanno certamente dei portavoce autentici a rappresentarli, ma non hanno organizzazione o strumento politico proprio. Di conseguenza, dovranno adeguarsi/chinarsi ai partiti politici neoliberisti (siano essi di destra, di sinistra o socialdemocratici).
Smettere di credere nel padrone, nel creolo, nel cittadino di Lima o “limanizzato”. Smettere di adulare il millantatore titolato. Emanciparsi dalla stampa di Lima o “limanizzata”. Sono alcune delle scommesse urgenti in questo paese dalle radici e cuori millenari. Organizzarsi politicamente, con uno strumento politico proprio, orizzonti propri, è un’altra delle sfide per far diventare le sue maggioranze demografiche maggioranze politiche.
È bene citare lo slogan "tutti i sangui" di Arguedas. Ma è più importante sentirsi ed essere realmente di tutti i sangui. E fra tutti e tutte, riconoscersi come rune, come uguali.
Note
(1) Si definisce nomade quechua. Figlio della Pachamama. Attivista e difensore riflessivo dei diritti umani e della Madre Terra. Avvocato, teologo ed antropologo di formazione in scienza occidentale.
(2) che ha assunto i costumi e il modo di parlare degli abitanti di Lima (considerati segno di distinzione)
Traduzione a cura di Adelina B., Gruppo Patria Grande del CIVG