Notiziario Patria Grande - Dicembre 2022

 

 

NOTIZIARIO DICEMBRE 2022

 

 

ASSOCIAZIONE ITALIA-NICARAGUA / NICARAGUA E PANDEMIA

La scomoda vittoria del Nicaragua sul covid-19

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / LAWFARE, NUOVO TIPO DI INGERENZA USA

Lawfare: crimine politico in nome della legge

 

OBSERVATORIO DE TRABAJADORES / LATINOAMERICA / INGERENZE USA

Lawfare in Argentina: un caso pedagogico

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BRASILE, INSEDIAMENTO LULA

Trenta Capi di Stato alla cerimonia ufficiale di insediamento di Lula

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / PORTO RICO

Sarà il popolo portoricano che deciderà il suo futuro, adesso e per sempre

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / CILE

Il Presidente del Cile annuncia l’apertura di un’ambasciata in Palestina

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / RELAZIONI CUBA-RUSSIA

Incontro tra Putin e Díaz Canel

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / RELAZIONI CUBA-RUSSIA

Riflessioni su due popoli in sintonia

 

GRANMA (CUBA) / CULTURA / EQUILIBRI GEOPOLITICI

L’arrivo di una nuova era?

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / IL RAZZISMO DELL’EUROPA

Il giardino e la giungla: la discriminazione e il razzismo del colonizzatore

 

GRANMA (CUBA) / INTERNI / INGERENZA DEGLI STATI UNITI

Cuba condanna l’inclusione nella lista nera sulla libertà religiosa

 


 

 

ASSOCIAZIONE ITALIA-NICARAGUA / NICARAGUA E PANDEMIA

La scomoda vittoria del Nicaragua sul covid-19

di John Perry, Quaderno Sandinista, 26 novembre 2022

 

 

In Nicaragua, il terzo paese più povero dell'America Latina, la gente che non lavora non mangia. I tre quarti degli impieghi si trovano in piccole imprese o nell'economia informale. All’epoca, quando si diagnosticò il primo caso di Covid il 18 marzo 2020, il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, sapeva che chiudere l'economia sarebbe stato catastrofico.

Era sotto pressione da tutte le parti perché introducesse rigide restrizioni. Tra i paesi vicini al Nicaragua, El Salvador registrò il suo primo caso il 18 marzo e due giorni dopo impose l’isolamento; l’Honduras fece la stessa cosa; il Costa Rica impose un blocco il 16 marzo e tre giorni dopo chiuse completamente le frontiere. Questi governi vicini, tutti politicamente ostili verso il Nicaragua, insistettero affinché si unisse alla chiusura dell'economia regionale.

All’interno del Nicaragua, anche vociferanti gruppi d’opposizione e mezzi d’informazione chiedevano la chiusura dell'economia. Ma il paese si era appena ripreso da uno scontro violento tra questi gruppi d’opposizione ed il governo socialista sandinista di Ortega, avvenuto nel 2018 con un saldo di oltre 200 morti. Un blocco avrebbe solo esercitato maggior pressione sulla nazione divisa.

Quando Ortega dichiarò pubblicamente che non vi sarebbe stato isolamento, la maggioranza dei nicaraguensi accettò in silenzio tale decisione potenzialmente arrischiata, sapendo che aveva ben poche altre opzioni. Inevitabilmente, l'opposizione di destra lo accusò di negare la pandemia. Ma peggio ancora, seminò la paura ed il sospetto con previsioni che il servizio sanitario sarebbe collassato. Un gruppo di esperti dell'opposizione pronosticò 120.000 casi di covid per giugno; un canale locale dei media di destra, 100% Noticias, lo superò affermando che 23.000 nicaraguensi sarebbero morti nel giro di un mese. Non appena il governo cominciò a pubblicare statistiche relative al covid, venne creato un "osservatorio civico" antagonista, che non dichiarò mai la sua appartenenza o fonte di finanziamento. Cominciò a produrre rapporti settimanali che mettevano in discussione i dati del governo (benché le postille scritte in piccolo sul loro sito web rivelassero che le proprie statistiche si basavano su segnalazioni su reti social e perfino sul "sentito dire"). Molti nicaraguensi, compresi alcuni che conoscevo, avevano tanta paura di andare in ospedale quando manifestarono i sintomi del covid, che li lasciarono progredire troppo.

Questa narrativa disonesta prontamente si estese all’estero, dove le figure dell'opposizione nicaraguense godono di buoni contatti sui media internazionali. Il 4 aprile la BBC Mundo affermò che il governo di Ortega non aveva adottato "alcuna misura" contro la minaccia del virus. Inventò un tropo mediatico: la "lunga assenza" di Ortega dalle apparizioni pubbliche. Due giorni dopo, il New York Times chiese: "Dov’è Daniel Ortega?” e affermò che il governo era stato “ampiamente criticato per il suo approccio arrogante". The Guardian si unì al coro, affermando che Ortega “non era visibile", e quattro giorni dopo aggiunse che l’"autoritario" Ortega era uno dei quattro leader mondiali che negavano il virus. Il Washington Post dichiarò che Ortega era "scomparso", lasciando un governo ad operare con un "approccio da laissez-faire" di fronte alla pandemia. Il 6 aprile The Lancet pubblicò una lettera in cui si definiva la risposta del Nicaragua al covid "finora probabilmente la più bizzarra di qualunque paese al mondo". Secondo il New York Times, entro maggio il Nicaragua - "uno degli ultimi a respingere le rigide misure introdotte a livello mondiale"- sarebbe diventato un paese di "sepolture a mezzanotte".

Le menzogne dei media liberali non avrebbero potuto essere più lontane dalla realtà. Il governo di Ortega aveva priorizzato l’investimento nella sanità da quando era tornato al potere nel 2007, elevandolo al 19% del bilancio nazionale nel 2020, uno dei livelli più alti al mondo. Il Nicaragua fu anche uno delle prime nazioni della regione a stabilire la propria strategia Covid, emettendo un protocollo congiunto con l'Organizzazione Panamericana della Sanità (il ramo americano dell'OMS) il 9 febbraio. I suoi 36.000 lavoratori sanitari avevano ricevuto formazione su come affrontare il virus prima che si presentasse il primo caso. Si destinò un ospedale per trattare unicamente malattie respiratorie e altri 18 furono dotati di reparti d’isolamento per il Covid. Le "brigate" di salute lavorarono localmente e in conclusione realizzarono 5 milioni di visite casa per casa per educare le persone, identificare possibili casi di covid e contrastare l'informazione erronea. Ciò corrisponde in media a circa 4 visite per casa.

Tanto per non prendere “in assoluto alcuna misura contro il virus”. Si attivò un sistema di "monitoraggio e localizzazione" e si attuarono controlli sanitari ai valichi di frontiera mesi prima che il Regno Unito o gli Stati Uniti adottassero misure simili. Mentre il turismo si fermò e alberghi e ristoranti chiusero, molti altri esercizi commerciali rimasero aperti adottando precauzioni. L'uso di mascherine, mai imposto per legge, diventò quasi universale. Le scuole private chiusero ma le pubbliche rimasero aperte, con assistenza volontaria, perché molti bambini dipendono dai pasti scolastici gratuiti che vengono serviti a tutti gli alunni.

Quale fu il risultato? Ci fu un forte picco di casi e morti per covid tra maggio e luglio 2020, ma in agosto i numeri andarono diminuendo gradualmente, sebbene tornassero a raggiungere il punto massimo a metà del 2021. Il mio ospedale locale, uno dei 19 attrezzati per il Covid, poté realizzare una piccola festa nell’agosto 2020 per i pazienti che erano stati dimessi.

Nulla di questi iniziali successi servì a smorzare le critiche. L'articolo di The Lancet elogiò le politiche di confinamento di El Salvador e Honduras. Nel primo, il presidente Nayib Bukele obbligò le persone all’autoisolamento, offrendo un sussidio di 300 dollari per famiglia, il che provocò code massicce non regolamentate e in seguito rumorose proteste di fronte agli uffici governativi. I resoconti riportano che in alcune zone il blocco fu imposto da bande armate di mazze da baseball. Nel frattempo in Honduras, secondo il gruppo dei diritti umani COFADEH, una "quarantena militarizzata" sfociò in violenza poliziesca, oltre 1.000 arresti e quasi 900 veicoli requisiti. Le scuole honduregne rimasero chiuse per due anni. Tuttavia, entrambi i paesi riportarono livelli di contagio più alti che in Nicaragua. La stessa cosa fece il Costa Rica, che sostenne la più feroce alluvione di critiche al suo limitrofo e per molte settimane impedì perfino il trasporto di alimenti fra i due paesi.

I media internazionali non presero in esame se le chiusure fossero la scelta migliore per il Nicaragua o se fossero fattibili. La verità venne a galla solo verso la fine dalla pandemia, quando l'Organizzazione Mondiale della Sanità, The Economist ed Amnesty International produssero stime diverse circa l'eccesso di morti relazionato con il covid. Tutto dimostrò che, in confronto al resto dell'America Latina, e in realtà anche al Regno Unito e agli USA, al Nicaragua era andata relativamente bene. L'OMS collocò il suo livello di eccesso di morti al 14° posto tra i 19 paesi della regione, migliore dei suoi quattro vicini immediati.

Per quanto riguarda i vaccini, il Nicaragua all'inizio si trovò in svantaggio poiché, a differenza dei suoi vicini, non ricevette donazioni precoci di vaccini dagli USA o dalla Cina. Tuttavia, una volta arrivate le dosi attraverso il meccanismo Covishield dell'OMS, si procedette rapidamente. Le sue equipe sanitarie comunitarie hanno fatto sì che l’86% della popolazione sia completamente vaccinato, il tasso più alto dell'America Centrale, ed il 91% abbia ricevuto almeno una dose. Tutto questo fu ottenuto senza le disposizioni coercitive sulla vaccinazione adottate da molti paesi occidentali.

Rifiutandosi di chiudere, il presidente Ortega ha salvato il suo paese dal disastro economico. L'economia del Nicaragua si è ripresa rapidamente dalla pandemia, con una crescita del PIL di oltre il 10% nel 2021 ed una previsione del 4% per quest’anno. Il governo ha ripreso i programmi d’investimento ed ora ha 24 ospedali costruiti o in fase di completamento, oltre ad investire in energie rinnovabili, asfaltare strade rurali, ristrutturare scuole e raggiungere il livello più alto di copertura elettrica nella regione.

L'esperienza dell'America Latina col Covid è stata molto diversa: Brasile, Messico e Perù erano, come il Regno Unito e gli Stati Uniti, tra i 20 paesi coi più alti livelli di morti relazionati con il covid. Al contrario, secondo l'Università Johns Hopkins, in Nicaragua il tasso di mortalità ogni 100.000 abitanti era uno dei più bassi al mondo: 189 paragonati ai 276 del Regno Unito e 374 degli USA. Ma i media internazionali non hanno fatto nulla per correggere l'informazione non equilibrata dei primi mesi della pandemia. Finora nessuno si è chiesto perché l'operato del Nicaragua è stato migliore e che cosa si può imparare dalla sua esperienza. Varrebbe la pena verificarlo prima della prossima pandemia.

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / LAWFARE, NUOVO TIPO DI INGERENZA USA

Lawfare: crimine politico in nome della legge

 

L’arrivo al potere di governi progressisti in America Latina durante il primo decennio del XXI secolo è stato un duro colpo per i progetti neoliberali nella regione. Le nazionalizzazioni di imprese strategiche come quelle delle risorse energetiche, la ridistribuzione della ricchezza e la maggior presenza dello Stato in materia sociale, hanno permesso l’accesso di ampie fasce sociali all’educazione, alla salute e alla casa.

Queste politiche hanno danneggiato gli interessi privati stranieri, in maggioranza statunitensi. Washington e i suoi alleati locali avevano bisogno di rinforzare un’architettura giuridica che permettesse di blindare e assegnare privilegi al capitale multinazionale, e che togliesse dal potere i suoi nemici mediante l’uso della legge, e che li immobilizzasse politicamente.

Il Centro Strategico Latinoamericano di Geopolitica (Celag), spiega che il lawfare è «la supremazia e l’abuso dell’apparato giudiziario, potenziato dalla manipolazione dell’opinione operata dai media per espellere dalla politica determinati leader e gruppi con l’obiettivo immediato di restaurare l’ordine neoliberale».

L’ingiusta condanna di Cristina Fernández de Kirchner a sei anni di reclusione con la sospensione perpetua dall’esercizio degli incarichi pubblici stabilita dal processo per la causa Vialidad, il maltrattamento mediatico permanente, le accuse più disparate e continue contro di lei e i suoi familiari portano il marchio di questo tipo di operazione.

Poche ore dopo la condanna di Cristina, si sono conosciuti i fatti avvenuti in Perù, dove il presidente Pedro Castillo è stato destituito e arrestato, mentre la Procura operava nel Palazzo di Governo per trovare prove contro di lui, per accusarlo di ribellione e cospirazione dopo la dichiarazione dello stato d’eccezione nel Paese.

Il Presidente peruviano ha affrontato durante il suo mandato sei indagini giudiziarie di corruzione e ha dovuto governare tutto il tempo subendo i maltrattamenti dell’opposizione mediatica e dei partiti.

Nei due casi si tratta di operazioni di lawfare che si sommano a quelle perpetrate contro Rafael Correa, Jorge Glas, Luiz Inácio Lula da Silva, Dilma Rousseff, Evo Morales, Fernando Lugo, etc.

Questo metodo fa parte della guerra non convenzionale delle sanzioni economiche, delle campagne mediatiche di discredito, delle azioni politiche e diplomatiche e della sovversione interna.

Oggi si conoscono i programmi di specializzazione impartiti dal Governo statunitense a membri del settore giudiziario della regione, come il Programma Puentes 30 nella cornice delle riforme giudiziarie, alla quale ha partecipato Sergio Moro, il giudice a carico del Lava Jato, in Brasile.

Celandosi dietro a una presunta lotta contro la corruzione, utilizzano sofisticate campagne di relazioni pubbliche per ingannare la cittadinanza e riuscire così a paralizzare in molti casi l’azione popolare.

Senza dubbio, la corruzione è stata una regola dei governi neoliberisti del continente e non dei governi progressisti. La verità piano piano salirà a galla. Non potranno fare niente per fermare il corso della storia che assolverà gli innocenti e metterà i veri colpevoli nel posto che meritano.

 

Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 12 dicembre 2022

 


 

OBSERVATORIO DE TRABAJADORES / LATINOAMERICA / INGERENZE USA

Lawfare in Argentina: un caso pedagogico

Quali sono le caratteristiche dell'ultimo tentativo di applicazione della legalità nella regione? Cosa implica la condanna e la squalifica politica di Cristina Kirchner? Quali possibilità di reazione ha l'Argentina, vista nello specchio latinoamericano e caraibico?

di Lautaro Rivara, Alaiinfo, dicembre 2022

 

 

La testimonianza tardiva dell'intervento

Dovettero passare due decenni dall'inizio del Plan Cóndor perché i cosiddetti "file del terrore" scoperti a Lambaré, in Paraguay, fornissero prove materiali inconfutabili sul coordinamento tra esercito, polizia, civili e agenti dell'intelligence statunitensi in un'organizzazione sistematica e transnazionale di sterminio durante le dittature del Cono Sur negli anni ‘70. Erano i tempi dell'anticomunismo e della contro-insurrezione, dottrine che guidavano l'azione e la strategia interventista degli Stati Uniti in tutto il continente.

Queste dottrine e strategie sono mutate, ma non si sono fermate. Di natura opaca e segreta, impiegano lunghi periodi di tempo per essere svelati, come accadeva ai tempi del "Condor". Ciò si verifica generalmente quando vengono declassificati archivi militari o servizi di intelligence, spesso dopo aver superato il ciclo biologico di vittime e carnefici per garantire loro impunità e assenza di verità e giustizia. Nel caso degli Stati Uniti, la declassificazione di alcuni documenti avviene automaticamente al raggiungimento di un quarto di secolo dalla loro messa in atto, un processo non esente da ostacoli e battute d'arresto giudiziarie.

Chi studia le nuove dottrine e le strategie di intervento dispiegate negli ultimi tre decenni (in coincidenza, a livello regionale, con la fine del ciclo del radicalismo politico-militare in America Latina e nei Caraibi, e a livello globale con la dissoluzione del blocco dell'Unione Sovietica e il consolidamento di un ordine geopolitico unipolare) sa che l'unica cosa che si può fare, il più delle volte, è tirare fuori indizi, raccogliere testimonianze e formulare ipotesi ragionevoli e credibili, ma difficilmente possono essere provate in modo soddisfacente nel tempo di validità di queste stesse dottrine e strategie che cercano continuamente di cancellare le proprie tracce. Ci riferiamo ai quadri, agli attori specifici e ai dettagli di processi come il diritto, la guerra economica, il paramilitarismo e i sicari transnazionali, l’interventismo umanitario, le ONG coloniali o la strumentalizzazione geopolitica di gruppi confessionali.

Tuttavia, molte cose sono cambiate dai tempi del "Condor" e dei “file del terrore”. La crescente digitalizzazione della vita sociale (che tocca anche, e soprattutto, la sfera politica e geopolitica) ha portato a certe informazioni sensibili e importantissime, prima nascoste in sordidi uffici e archivi clandestini, che oggi circolano attraverso computer, telefoni, cellulari, satelliti e tentacolari reti in fibra ottica che attraversano il pianeta.

Questi flussi di informazioni, protetti ma vulnerabili, sono stati svelati dal giornalismo investigativo o da azioni di hacker e cyber-attivisti che li hanno presentati al grande pubblico, un materiale che altrimenti non sarebbe mai stato reso noto, o almeno non in modo completo e tempestivo. Il salto tecnologico ha gettato le basi per la fondazione di WikiLeaks, il più importante processo di divulgazione di informazioni classificate nella storia dell'umanità che ha reso il suo fondatore, Julian Assange, nientemeno che il nemico pubblico dichiarato di tutte le potenze occidentali.

 

Con tutti i mezzi: legalità in Argentina

Molto emblematico è, a questo proposito, quanto accaduto pochi giorni fa in Argentina. La fuga delle conversazioni di un gruppo Telegram di giudici federali, uomini d'affari, funzionari del principale partito di opposizione (tra cui un ministro della città di Buenos Aires) e operatori e dirigenti del principale multimedia del Paese (Grupo Clarín), ha fornito una prima e inaspettata prova dell'indiscutibile esistenza di un fenomeno molto controverso nel Paese e nella regione: la cosiddetta lawfare o guerra giudiziaria attraverso mezzi politici.

Le conversazioni trapelate rivelano la relazione tra attori della politica, dei media e giudiziari ad altissimo livello che cercavano di insabbiare un viaggio compiuto, con fini segreti, nel ranch del magnate Joe Lewis, proprietario terriero di nazionalità britannica detentore di almeno 12mila ettari di terra nella Patagonia argentina espropriati, compreso un intero lago nella provincia di Río Negro. Lewis è anche un importante investitore nel settore energetico e uno stretto alleato dell'ex presidente Mauricio Macri.

Tutti i meccanismi legali, o comunque circoscritti all'ambito nazionale, appaiono descritti in modo esplicito e colloquiale: la segnalazione di obiettivi politico-giudiziari tra i leader, militanti o funzionari di coalizioni progressiste (in questo caso il direttore della Polizia della Sicurezza Aeroportuale, José Glinski, ma anche il senatore e presidente del Partido Justicialista della capitale, Mariano Recalde); il linciaggio mediatico preparatorio delle vittime; l'articolazione di narrazioni comuni e il deliberato silenzio di alcune questioni tra le diverse corporazioni di stampa; la fabbricazione di false cause che include giudici, pubblici ministeri e funzionari; la preparazione e l'orientamento di falsi testimoni; la fuga tempestiva di informazioni sensibili da parte di agenti dei servizi di intelligence, e così via.

Ma altrettanto rilevante quanto il contenuto esplosivo delle chat è il momento in cui sono state svelate, proprio pochi giorni prima che fosse annunciata la sentenza per la cosiddetta "Causa Stradale", che ha appena condannato Cristina Kirchner a sei anni di reclusione (a cui ci si può appellare, e che non può essere applicata in virtù dei privilegi parlamentari di cui gode). Ma la cosa più importante è che la sentenza mira a squalificare politicamente per sempre il principale leader politico del Paese, in linea con quanto accaduto a Lula da Silva in Brasile e a Rafael Correa in Ecuador, o in processi più attuali come quelli in Perù (contro il governo di Pedro Castillo) o in El Salvador sotto Nayib Bukele e contro l'opposizione dell'FMLN.

In ogni caso, per ora, la “rilevazione precoce” del più recente processo giudiziario scatenatosi nella regione sembra aver allertato diversi attori nazionali e internazionali. Questo spiega, in larga misura, la proposta di diversi settori sociali, e in particolare del partito al governo, di democratizzare la giustizia argentina attraverso, in linea di principio, la riforma di due organi chiave dello Stato: la Corte Suprema di Giustizia della Nazione e il Consiglio della Magistratura, suo organo di governo. Tuttavia, queste riforme appaiono necessarie ma non sufficienti, e dovrebbero andare di pari passo con la piena riabilitazione della cosiddetta Media Law, morta senza tomba, a beneficio dei principali attori mediatici della strategia legale. Per quanto riguarda la riforma giudiziaria, sarebbe interessante diffondere in Argentina l’importante esperienza della riforma giudiziaria boliviana, che include, tra molti altri progressi, l'elezione popolare dei magistrati (sistema applicato, per chi diffida da qualche angolazione razzista del riuscito esperimento boliviano, anche negli stessi Stati Uniti). Il comprovato marciume di un intero potere statale merita la assegnazione di certe capacità decisionali all'unico sovrano, che è il popolo argentino. Come riformare un intero braccio dello Stato senza pensare ai processi costituenti, e tentando, per ora senza successo, di piegare un potere, la magistratura, con un altro, l'esecutivo? Soprattutto quando un potere opera vincolato dalla Costituzione e dal controllo pubblico e mediatico e l'altro opera in completa segretezza e senza alcun meccanismo di controllo sociale.

 

Sfondo risonante in Brasile ed Ecuador

Le chat hackerate dal sito Breached si aggiungono così ai documenti trapelati su WikiLeaks l'11 gennaio 2006, da cui risultava che Michel Temer, ex vicepresidente di Dilma Rousseff e uno dei principali operatori del processo giudiziario che la destituì dall'incarico nell’Impeachment del 2016, è stato uno dei principali informatori presso l'ambasciata americana in Brasile. Infatti, il confronto tra il celebre giudice di "Lava Jato", Sergio Moro, e alcuni dei pubblici ministeri e giudici che stanno dietro ai numerosi procedimenti avviati contro Cristina Kirchner (molti dei quali già archiviati) mostrano notevoli somiglianze: in particolare la sua partecipazione ad attività di "formazione" e altri viaggi ricorrenti negli Stati Uniti. Nel caso brasiliano, inoltre, Kenneth Blanco, sostituto procuratore generale del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, ha dichiarato nel 2017 che il suo Paese aveva uno "stretto rapporto" con il Brasile durante Lava Jato. Si tratta dello stesso personaggio che, quell'anno, incontrò in Argentina Mauricio Macri (nelle sue parole, uno dei suoi "nuovi partner internazionali") e con il capo della Corte Suprema di Giustizia, Ricardo Lorenzetti. Come si vede, gli intrecci tra operatori giudiziari, media e politici neoliberisti non si limitano ai confini nazionali, e hanno sempre alle spalle una sorta di connessione nordamericana.

Diverse analisi circolate su portali e social network prevedono che questa applicazione legale in Argentina "fallirà come è fallita in Brasile". La lettura è fondamentalmente sbagliata per due ragioni. In primo luogo perché ignora il tragico bilancio dell'esperimento brasiliano, a prescindere dal fatto che in un singolare "lieto fine" tutte le condanne a carico di Lula da Silva sono state annullate, recuperando i suoi pieni diritti politici e arrivando alla presidenza del gigante sudamericano per la terza volta. Lava Jato e la demonizzazione della politica in generale e del Partito dei Lavoratori in particolare, hanno aperto la strada all'impeachment di Dilma Rousseff nel 2016 e le porte al governo di Jair Bolsonaro dopo l'interregno di Michel Temer e le sue politiche di austerity omicide.

Ma c'è di più: Lava Jato è stata una grande operazione geopolitica per colpire le proiezioni del "potente Brasile", come si evince dallo zelo con cui la National Security Agency degli Stati Uniti aveva monitorato il Brasile, considerato un contendente per gli statunitensi e un Paese strettamente legato alla Cina secondo i documenti trapelati da Edward Snowden nel 2013. Il quadro produttivo e commerciale di un Paese che era già membro attivo dei BRICS e stava rendendo transnazionali le sue compagnie statali è stato gravemente danneggiato, come è successo con la compagnia petrolifera Petrobras, la compagnia aeronautica Embraer e la compagnia alimentare JBS, tutte al centro delle indagini. Insomma, le elezioni condizionate a cui Lula non ha potuto competere, l'isolamento geopolitico del Brasile e l'elenco sterminato di crimini del governo Bolsonaro (dall'incuria di fronte al covid al rogo volontario dell'Amazzonia) sono le ceneri che restano di quel lampo di guerra giudiziaria.

Ma la lettura del "fallimento del diritto in Brasile" nasconde un secondo errore per lo stesso motivo: confonde un processo globale con il suo punto culminante, e gli obiettivi visibili con gli obiettivi generali: non tutti i processi di guerra politica attraverso i tribunali finiscono oppure devono necessariamente concludersi con un leader politico o un leader sociale imprigionato o politicamente inabilitato. Come hanno sottolineato vari analisti e vittime del diritto, la guerra giudiziaria cerca di ridimensionare, demoralizzare, demonizzare e smobilitare non solo leader politici, ma anche leader di secondo piano, militanti, funzionari pubblici, magistrature non allineate e la popolazione in generale. La sua natura punitiva, e il parossismo che di solito raggiunge il linciaggio mediatico, ha una natura chiaramente impositiva. Infatti, proprio il declino della candidatura di Cristina Kirchner, senza dubbio la notizia politica continentale più importante dell'anno e dei mesi a venire, incoraggia una destra che caricherà la vittoria grazie alla legalità e alla sua capacità di squalificare, non solo i protagonisti politici o legali, ma anche sociali e mediatici avversari.

Il caso dell'Ecuador non è meno emblematico: lì, la magistratura e la legalità non sono state solo il principale ariete lanciato per sfrattare Rafael Correa e il governo della Revolución Ciudadana, per il quale sono stati falsificati 40 processi giudiziari. Sono stati anche il terreno preferito per l'articolazione di interessi e strategie che portarono alla presidenza il banchiere Guillermo Lasso. Accusati di corruzione o di "ribellione", questi processi si sono conclusi con la condanna e l'esilio di Correa, la prigione per l'ex vicepresidente Jorge Glas e con la persecuzione di Paola Pabón, prefetto di Pichincha, e Gabriela Rivadaneira, ex presidente dell'Assemblea Nazionale, insieme ad altri membri dell'assemblea. Anche lì, varie fondazioni ed enti finanziati dal National Endowment for Democracy (NED) hanno svolto un ruolo chiave nella generazione di narrazioni propiziatorie, e anche lì il risultato del cambio di regime favorito dall'applicazione della legge ha portato a un nuovo governo riallineato con la politica estera degli Stati Uniti.

 

Foto: Mucca Leone

 

In difesa del concetto di legalità

Tornando alla situazione argentina, la "rilevazione precoce" di questo esercizio legislativo che abbiamo citato, offre un ampio ventaglio di possibilità considerando che uno dei bilanci preliminari di Brasile ed Ecuador sono i bassi tassi di mobilitazione sociale che questi meccanismi di guerra politica e di effetti giudiziari hanno indotto tra le popolazioni colpite. Ecco l'efficacia paralizzante di narrazioni anti-corruzione così difficili da smantellare, a maggior ragione quando la corruzione è un fatto reale e verificabile. Una di queste possibilità, oggi urgente, è quella di spostare la sfida al diritto dell'enunciazione delle stesse vittime, da certe piattaforme mediatiche più o meno alternative e/o marginali e da alcune sedi accademiche, alle strade e alle piazze del Paese.

Le capacità di mobilitazione sociale, fiacche o almeno frammentate nell'Argentina del Frente de Todos, hanno fortunatamente alle spalle la memoria di una coscienza storica forgiata negli ultimi quarant'anni di democrazia e, sul lungo periodo, nella storia iniziata con il primo peronismo e culminata nella radicalizzazione politica degli anni 60 e 70. Ma anche la necessità di svegliare un governo che non sembra più in grado di difendere le proprie figure e gli interessi di gruppo (da qui il filo non tanto invisibile che lega l’attentato con l'attuale "fucilazione giudiziaria", due diverse forme di annientamento politico).

La denuncia pedagogica di questi meccanismi può far leva sul profondo discredito dell'ente giudiziario argentino, a partire dall'ultima dittatura civile-militare e dalla successiva transizione democratica. Secondo un rapporto del Latinobarómetro, il 74% degli argentini ha poca o nessuna fiducia nella magistratura. A questo si aggiunge il licenziamento della stessa Cristina Kirchner in casi truccati come il "Memorandum con l'Iran". Infine, non si può non citare la presa di coscienza indotta dalle passate sperimentazioni giuridiche nei paesi limitrofi, in particolare il caso importante dell'incarcerazione e successiva liberazione e riabilitazione politica di Lula da Silva in Brasile. Come accadeva ai tempi del Piano Condor, le dottrine e le strategie di intervento (la vecchia e la nuova) dipendono in una certa misura dal fattore sorpresa, dalla loro segretezza e clandestinità, e perdono di efficacia man mano che le loro trame vengono svelate e nella popolazione prende il sopravvento la consapevolezza generale dei suoi meccanismi tipici.

Nell'intervento pubblico di Cristina Kirchner che ha fatto seguito alla conferma della sua tanto annunciata condanna, qualche svolta (forse concettuale o forse di strategia comunicativa) ha portato la vicepresidente a fare a meno e addirittura a negare espressamente l'approccio legalistico, lasciando intendere che si trattava di una sorta di astrazione teorica o semplicemente una figura retorica. L'ex presidente ha invece sottolineato l'illegittimità costitutiva della magistratura (il suo carattere “mafioso”) e la sua parastatalità (lo stato parallelo). Tuttavia, nulla di quanto sostenuto in un discorso di grande valore storico, né alcuna delle prove fornite dalla fuga di notizie del suddetto gruppo Telegram, contraddice in alcun punto la caratterizzazione di ciò che sta accadendo in Argentina come processo di giurisprudenza o "guerra politica per via giudiziaria”.

Al contrario, l'idea di legalità ha il valore aggiunto di evidenziare la dimensione regionale e geopolitica di tali procedure, che non possono essere astratte nella loro dimensione strettamente locale, con il pericolo di ritenere che siano solo interessi corporativi a spiegare le azioni di giudici e pubblici ministeri formati, cooptati e/o acquisiti negli Stati Uniti. Questa dimensione regionale e geopolitica è stata presente in altri interventi della stessa vicepresidente, ad esempio in relazione alla causa del Memorandum con l'Iran. E se parliamo del caso brasiliano o ecuadoriano, questo quadro internazionale è già abbastanza chiaro. È vero che in Argentina non abbiamo ancora prove così minacciose come alcune trapelate da WikiLeaks sul diritto e i suoi interessi in Ecuador o in Brasile, né le chat di Telegram manifestano l'interferenza degli Stati Uniti con la stessa chiarezza cristallina. Tuttavia, è chiaro che la disponibilità di enormi risorse di litio, e il potenziale energetico situato nei giacimenti non convenzionali di Vaca Muerta, sono l'equivalente argentino della scoperta del Pre-sal in Brasile o dell'intenzione di trasformare l'Ecuador in un paradiso fiscale, una sorta di “Panama delle Ande”. Insomma, la magistratura è, al tempo stesso, una "corporazione nazionale" e l'ariete locale di strategie e dottrine di intervento regionali e globali, come rivela l'approccio lawfare, una parola sempre più comune nel linguaggio della vita quotidiana dei latinoamericani.

 

Riferimenti:

Calloni, Stella (2016). Operazione Condor, patto criminale . Editoriale Il cane e la rana: Caracas.

Rivara, Lautaro e Prieto, Fernando Vicente (coord.) (2022). Il nuovo Piano Condor: geopolitica e imperialismo in America Latina. Editoriale Battaglia di idee e Tricontinental Institute.

Romano, Silvina et al (2019) Lawfare. Guerra giudiziaria e neoliberismo in America Latina. CELAG.

 

Articolo originale:

LAWFARE EN ARGENTINA: Un pedagógico caso de “detección temprana” Lautaro Rivara.

https://observatoriodetrabajadores.wordpress.com/2022/12/09/lawfare-en-argentina-un-pedagogico-caso-de-deteccion-temprana-lautaro-rivara/

 

Traduzione a cura di PatriaGrande/CIVG

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BRASILE, INSEDIAMENTO LULA

Trenta Capi di Stato alla cerimonia ufficiale di insediamento di Lula

 

 

Saranno 120 le delegazioni rappresentanti di differenti governi del mondo, con trenta presidenti che assisteranno alla cerimonia di insediamento di Luiz Inácio Lula da Silva del 1º gennaio a Brasilia. Lo afferma il quotidiano Vermelho.

Sono stati inviati gli inviti ai Paesi con i quali il Brasile ha relazioni diplomatiche, e il numero delle conferme supera quello delle autorità presenti che furono presenti nell’ultima cerimonia dello stesso tipo avvenuta nel Paese.

Dal Sudamerica, solo il Perù non ha ancora confermato la sua delegazione, e il Venezuela non parteciperà per via di un decreto proibitivo del governo di Bolsonaro contro i suoi rappresentanti.

Saranno invece presenti i Capi di Stato e di Governo di Germania, Angola, Argentina, Bolivia, Cabo Verde, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Spagna, Guyana, Guinea Bissau, Messico, Palestina, Panamá, Paraguay, Portogallo, Suriname, Timor-Leste, Turchia, Uruguay e Zimbabue.

Gli Stati Uniti hanno confermato la loro delegazione con Deb Haaland, Segretaria del Dipartimento degli Interni, Douglas A. Koneff, Incaricato degli Affari e Juan González, Assistente Speciale del Presidente e Primo Direttore dei Temi dell’Emisferio Occidentale e del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha precistao Vermelho.

Gli attivisti e i simpatizzanti del nuovo governo intensificano la mobilitazione per domenica a Brasilia. Provenienti da varie regioni del Paese, saranno 300 000 i brasiliani che viaggeranno in autobus, automobili e aerei. Fino alla scorsa settimana erano 750 i convogli previsti.

Telesur ha detto che il nuovo presidente ha chiamato alla pace e alla tranquillità nel Paese dopo la minaccia terrorista di un seguace di Bolsonaro che ha cercato di far esplodere un camion cisterna vicino all’aeroporto internazionale di Brasilia, notizie giunte dopo le minacce di terrorismo dell’uomo d’affari George Washington de Oliveira Sousa, 54 anni, del partito di Bolsonaro, che ha cercato di far esplodere una bomba nelle vicinanze del terminal dell’aereoporto.

Il futuro ministro di Giustizia del Brasile, Flavio Dino, ha affermato che saranno rinforzate le misure di sicurezza in occasione dell’insediamento del presidente Luiz Inácio Lula da Silva.

Per venerdì 30 si prevede la smobilitazione dei gruppi bolsonaristi. Gli attacchi da questi perpetrati hanno generato strette misure di sicurezza. I blocchi stradali realizzati dai camionisti sono stati sciolti dalla polizia. La partenza dal Brasile del presidente sconfitto e dei suoi ministri, ha contribuito a smobilitare parte dei manifestanti che si trovavano nelle aree dei palazzi.

Redazione Granma e GM per Granma Internacional, 28 dicembre 2022

 


 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / PORTO RICO

Sarà il popolo portoricano che deciderà il suo futuro, adesso e per sempre

 

 

La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato, recentemente, un progetto di legge che permetterà a Puerto Rico di decidere il suo futuro con un referendum vincolante.

Il progetto di legge è stato approvato con 233 voti a favore e sembra che infine i «magnanimi» signori del governo yankee permetteranno ai portoricani di decidere il loro futuro e ottenere quell’indipendenza per la quale tanti patrioti hanno sacrificato la vita, o mantenere la condizione attuale di «libera associazione». Anche se il piano dev’essere ancora approvato dal Senato, il procedimento conta sull’appoggio dell’amministrazione Biden.

Dobbiamo ricordare che seguendo la teoria del Destino Manifesto e la dottrina Monroe, dopo la guerra Ispano-Cubano-Americana e in virtù del Trattato di Parigi, l’Isola cubana fu consegnata come bottino di guerra agli Stati Uniti e cominciò così il suo periodo coloniale come territorio non incorporato.

Nel 1950, il Congresso degli Stati Uniti approvò la Legge 600, che autorizzò l’inizio di un «processo costituzionale» che fece posto allo Stato Libero Associato di Puerto Rico, ratificando la natura del suo status politico coloniale.

Da più di cento anni, questo Paese sostiene una resistenza storica contro i tentativi di annettere la patria e cancellarne l’identità,la storia e la cultura.

Il 20 giugno del 2022, Cuba ha presentato al Comitato Speciale di Decolonizzazione un nuovo progetto di risoluzione sulla questione di Puerto Rico, una chiara dimostrazione dell’impegno storico con il popolo fraterno e i suoi leader indipendentisti.

Il progetto di risoluzione riconosce le dichiarazioni sul tema nei Vertici dalla CELAC, dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA), del Movimento dei Paesi Non

Allineati della Conferenza Permanente dei Partiti Politici dell’America Latina, così come di altri Forum.

Ora il Congresso statunitense pretende di decidere, con la sua autorità, il destino di un popolo. I risultati del referendum, che sarà vincolante, li impegnerebbe ad accettare la volontà dei votanti.

Gli annessionisti di sempre non nascondono la loro aspirazione a far diventare Puerto Rico il 51º Stato dell’Unione, ma sarà il popolo portoricano che deciderà il suo destino, ora e per sempre.

Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 16 dicembre 2022

 



GRANMA (CUBA) / ESTERI / CILE

Il Presidente del Cile annuncia l’apertura di un’ambasciata in Palestina

 

Gabriel Boric. Foto: DW

 

Il presidente del Cile Gabriel Boric ha annunciato nella notte di mercoledì 21 dicembre che il Paese sudamericano aprirà un’ambasciata in Palestina durante il suo mandato per rafforzare le relazioni bilaterali che, attualmente, sono rappresentate solo da un incaricato d’affari.

L’annuncio è stato dato durante la cerimonia di Natale alla presenza della comunità palestinese cilena, la più numerosa al di fuori del mondo arabo: «Non possiamo dimenticare una comunità che sta soffrendo un’occupazione illegale, che sta resistendo, che vede violati i suoi diritti e la sua dignità ogni giorno. Questo è assolutamente ingiusto e va ribadito a chiare lettere» ha affermato Boric durante lo svolgimento della cerimonia svoltasi nel municipio di Las Condes, nella Regione Metropolitana, come riportato da DW. L’agenzia di stampa ha anche ricordato che la comunità palestinese in Cile conta circa mezzo milione di persone di discendenza palestinese.

Dall’aprile del 1998 il paese sudamericano ha un Ufficio di Rappresentanza presso l’Autorità Nazionale Palestinese nella città di Ramalla, mentre la Palestina ha un’ambasciata a Santiago del Cile.

 

Redazione Granma e GM per Granma Internacional, 26 dicembre 2022

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / RELAZIONI CUBA-RUSSIA

Incontro tra Putin e Díaz Canel

 

Mosca, Federazione Russa. Le conversazioni ufficiali tra Miguel Díaz-Canel Bermúdez, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista e Presidente della Repubblica di Cuba, e Vladímir Putin, Presidente della Federazione Russa, sono state caratterizzate dalla volontà comune di rinforzare le relazioni che Cuba e Russia sostengono in tutti gli ambiti.

Prima del pranzo ufficiale, si è apprezzata un’atmosfera di franca cordialità in cui i due mandatari hanno espresso la soddisfazione di incontrarsi nuovamente.

In particolare, il dignitario russo ha ricordato che la recente xix Sessione della Commissione Inter-governativa e il Piano di Cooperazione in vigore tra i due governi, prevedono fino al 2030 lo sviluppo di molti progetti comuni.

«Lei sa che la Russia e l’Unione Sovietica hanno sempre appoggiato il popolo cubano nella sua lotta per la sovranità e per l’indipendenza, siamo sempre stati contro il blocco e abbiamo appoggiato Cuba su tutte le piattaforme internazionali. Sappiamo che anche Cuba mantiene lo stesso atteggiamento verso il nostro paese», ha dichiarato Putin, e ha preseguito: «Questo è il risultato dell’amicizia fondata dal Comandante in Capo Fidel Castro, al cui onore dedichiamo un monumento che è un’opera d’arte, l’immagine di un combattente».

Visibilmente emozionato, con rispetto e ammirazione, il presidente Putin ha parlato del Leader Storico della Rivoluzione Cubana come di «un uomo che ispira e guida anche in questa parte del mondo».

Il Presidente della Repubblica di Cuba ha parlato anche di affetti, e ha trasmesso al suo omologo russo il saluto fraterno del Generale d’Esercito: «Mi ha chiesto prima di partire da Cuba di darle un abbraccio fraterno. Per noi questa visita ha un significato profondo, nel momento in cui le nostre due nazioni sono sottoposte a ingiuste e arbitrarie sanzioni che hanno origine dallo stesso nemico, l’impero yankee», ha detto Díaz-Canel.

Riflettendo sulla situazione attuale del Paese euroasiatico, il Capo di Stato cubano ha detto :«Noi siamo bloccati da 60 anni e riceviamo le stesse sanzioni. Per questo il nostro primo impegno è stato continuare a difendere la posizione della Federazione Russa in questo conflitto che, lo ribadiamo, è stato creato e ha origine dalla disgraziata manipolazione dell’opinione pubblica internazionale da parte del Governo degli Stati Uniti».

Díaz-Canel ha parlato della sessione di lavoro della Commissione Intergovernativa che si è svolta prima della visita: «Credo che si stiano trovando un insieme di soluzioni rispetto ai temi fondamentali in cui possiamo far procedere la nostra cooperazione», ha affermato.

Il Presidente della Repubblica di Cuba ha rimarcato il ruolo che sta svolgendo la Federazione Russa e che «noi appoggiamo per far sì che il mondo cambi, che nel mondo si realizzi la multipolarità».

Infine, ha ricordato con soddisfazione che «nel mezzo di una situazione tanto complessa come i tempi che stiamo attraversando, ancora con il covid, noi possiamo mantenere il dialogo politico al più alto livello, e questo riflette la buona salute delle nostre relazioni politiche. Credo che potremo intensificare le nostre conversazioni e i nostri scambi sui temi globali e su quelli di nostro interesse diretto», ha affermato.

Diaz-Canel ha parlato delle idee comuni sulle ambizioni imperialiste, della necessità di difendere la multipolarità e anche dell’ammirazione per la profonda capacità di analisi di cui il presidente Vladímir Putin è capace.

Infine, ha ancora ribadito che «la Russia potrà sempre contare su Cuba, su tutta la nostra volontà, sul nostro impegno e sull’ammirazione che abbiamo per la storia e la cultura russe. Faremo tutto il possibile perché i nostri legami si rinforzino sempre più e divengano più ampi».

 

Yaima Puig Meneses, Alina Perera Robbio e GM per Granma Internacional, 5 dicembre 2022

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / RELAZIONI CUBA-RUSSIA

Riflessioni su due popoli in sintonia

 


Diaz-Canel: “Il mondo di oggi non è il mondo di cui l’umanità ha bisogno”.

Foto: Alejandro Azcuy

 

Il volo da Mosca ad Ankara ha permesso al Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista e Presidente della Repubblica di Cuba, Miguel Díaz-Canel Bermúdez, di condividere idee e riflessioni sullo svolgimento della sua recente visita ufficiale nella Federazione della Russia:«Il mondo di oggi non è il mondo di cui l’umanità ha bisogno, non è il mondo di cui abbiamo bisogno perché ci sia uguaglianza, inclusione ed emancipazione, perché tutti godano degli stessi diritti».

Approfittando della parentesi del viaggio, il dignitario ha risposto alle domande dei giornalisti che volevano soprattutto ascoltare una sua valutazione sulla visita appena svolta nella Federazione Russa e sugli scambi sostenuti con il presidente Vladímir Putin.

Su questo incontro, che senza dubbio ha avuto una connotazione molto speciale, il presidente Canel ha detto che si è trattato di una conversazione informale tra presidenti di Paesi che oggi sono sottoposti a pressioni e a sanzioni: «Sono Paesi che si devono muovere in mezzo a molte complessità e che sono imparentati dalla storia».

Díaz-Canel ha spiegato alla stampa che sia lui che Putin hanno apportato all’incontro un forte carico emotivo, soprattutto al cospetto del monumento dedicato al Comandante in Capo Fidel Castro Ruz inaugurato in una piazza di Mosca. E’ un gesto degli amici di Cuba, gente del popolo, gente umile che ha contato sull’approvazione del presidente russo: «E’ stato proprio il presidente Putin che ci ha invitati in questa occasione in Russia. Tra i due Paesi esiste una sintonia molto forte sui motivi che affliggono il mondo», ha sottolineato il presidente cubano riferendosi alle relazioni di alto livello sempre esistite tra l’Isola e il paese euroasiatico, un dialogo che non si è mai interrotto e che potrebbe concretizzarsi in nuovi progetti di collaborazione, come la riattivazione dell’industria dell’acciaio già in marcia e che prevede la partecipazione di specialisti russi. Ha poi citato anche altri progetti, come quello relativo a un centro di diagnosi e di servizi e i generosi programmi di borse di studio per la specializzazione di numerosi giovani cubani, le indagini geologiche per il petrolio, lo scambio culturale, l’energia, il miglioramento dell’infrastruttura bancaria o dei trasporti. In questi e in altri programmi si vede l’unità di intenti dei due Paesi, e non solo a livello materiale, ma anche nella dimensione spirituale.

Fidel – il cui lascito costituisce per entrami i popoli un’eredità da coltivare – e Raúl come altro artefice dell’amicizia ininterrotta, hanno stimolato alcune riflessioni del mandatario: «Una delle cose che dobbiamo riconoscere è che pur nelle avversità abbiamo sempre trovato sensibilità e conforto da parte degli amici russi. E questo capita anche in un’era in cui l’umanità vive uno dei momenti più tesi e complessi».

In una delle sue riflessioni ha sottolineato che esiste una comune volontà geopolitica a favore del multilateralismo: «Ci lega anche un senso di responsabilità: Cosa possiamo donare? Loro da una grande nazione e noi da una piccola, ma con lo stesso esempio di resistere creativamente, nonostante un nemico che ci vuole strangolare».

 

Raccontare la Storia e farlo bene

II Capo di Stato ha parlato con dovizia di riferimenti storici di questa amicizia tra russi e cubani, un’amicizia che, come ha detto il presidente Putin nell’inaugurazione del Monumento al Comandante in Capo, è la ricchezza comune dei due popoli. Come fare allora per mantenere viva la fiamma nelle nuove generazioni, perché comprendano l’insegnamento della Storia?

«Le relazioni tra Cuba e Russia, e prima con l’Unione Sovietica, hanno vissuto momenti difficili, ma con il passare degli anni c’è sempre stata la volontà di ricostruirle e aggiornarle», ha ricordato Diaz-Canel, e ha aggiunto: «Non c’è una spiegazione storica o un’analisi rigorosa, e a volerle trovare per forza si corre il rischio che l’opportunismo, il revisionismo e la semplificazione diano una visione distorta che non riflette la vera essenza del nostro legame. Per questo è sempre importante capire come sono nate e si sono sviluppate le relazioni. Quando una storia è cosi bella, i giovani si sentono attratti e responsabili di far crescere e dare continuità».

 

Ragioni per sentirsi felici

Il Presidente ha parlato in modo informale dei risultati comuni e delle occasioni di cooperazione che s’intrecciano su varie direttrici. Ha parlato anche di felicità perché, come si dice in cubano: «Questo giro è cominciato con il piede giusto. Sono felice perché il mio viaggio è cominciato bene in Algeria ed è continuato molto bene qui in Russia», ha affermato, proseguendo: «Questo viaggio dimostra ciò che molti vorrebbero ignorare: Cuba non è sola e nemmeno supplica. Ha molto da offrire e da condividere con i suoi amici e alleati. Ci sono infinite ragioni per essere felici e non solo io lo sono: è felice tutta la delegazione che mi accompagna. Non possiamo essere pessimisti, questa sfida di creatività, questa capacità di superare i momenti difficili è affascinante e va affrontata con felicità, con allegria, con desiderio e con animo. Credo che nelle giornate che si avvicinano potremo vivere altre emozioni all’altezza di questi intensi giorni».

Yaima Puig Meneses, Alina Perera Robbio e GM per Granma Internacional, 15 dicembre 2022

 


 

 

GRANMA (CUBA) / CULTURA / EQUILIBRI GEOPOLITICI

L’arrivo di una nuova era?

 

A poche ore dalla fine di questo 2022, il mondo vive una profonda instabilità politica ed economica

 

Dopo due anni di dura battaglia per il controllo della pandemia, nel 2022 il mondo è tornato alla cosiddetta “nuova normalità” e sono rinate alcune speranze. Si lotta ancora con le varianti della malattia che ha accresciuto le disuguaglianze e ha dimostrato la necessità della cooperazione internazionale, ma almeno si può tornare ad abbracciare i nostri cari. Senza dubbio, a poche ore dalla fine dell’anno, il mondo vive in un’instabilità politica ed economica.

Nel 2022 siamo stati testimoni della deflagrazione di gravi conflitti internazionali, di problemi economici globali e di un’emergenza climatica che ci chiama ad agire velocemente. La combinazione della crisi economica, dell’inflazione, della volatilità finanziaria, delle tensioni politiche e diplomatiche, delle crisi migratorie, delle guerre, delle sanzioni, dei disastri naturali e delle grandi potenze che usano la forza, ha riempito i titoli dei giornali.

Una serie di avvenimenti mostrano chiaramente che il ritmo attuale con cui si muove la società è insostenibile per l’ambiente e per l’umanità. È ben chiaro che le grandi potenze perdono terreno di fronte alle economie emergenti che danno fiducia a regioni che non ammettono l’idea di venire controllate dall’Occidente.

È necessario però anche un nuovo modello di relazione mondiale per far fronte alla crisi multi sistemica che viviamo. Ripassiamo alcuni di questi principali avvenimenti per capire con maggior chiarezza quanto potrà portarci il nuovo anno.

 

Può darsi che per l’anno nuovo …

Senza dubbio il conflitto che ha catalizzato tutte le attenzioni quest’anno è l’operazione militare speciale della Russia in Ucraina con l’obiettivo di “denazificare” questo territorio. La successione dei fatti tra Mosca e Kiev mantiene in tensione tutto il mondo e diversi esperti concordano che apre le porte per la nascita di una nuova multipolarità nel sistema internazionale.

Dopo le aggressive sanzioni contro la Russia, dovrebbe risultare chiaro all’Europa di non essere tanto indipendente come credeva, e se ha bisogno dei prodotti e dei servizi russi, non è solo per il gusto di averli, senza contare i contrasti interni all’Unione Europea sull’applicazione o meno delle restrizioni contro il gigante russo. Quando tutti pensavano che il conflitto sarebbe terminato grazie all’infinita serie di misure, il Governo di Vladímir Putin ha conquistato e consolidato le sue relazioni economiche con altre nazioni. Inoltre, i prodotti e le materie prime precedentemente destinate ai mercati europei, ora si trovano nelle vetrine latinoamericane, africane e asiatiche.

È stato dimostrato anche che l’euro e il dollaro non sono monete tanto forti come si pensava, e le economie emergenti gradiscono il pagamento dei loro prodotti in rubli e in yen.

È necessario considerare che gli statunitensi esercitano il loro dominio sull’Europa e, alla fine, sono gli europei che avranno freddo in inverno per aver seguito i dettami degli Stati Uniti.

Durante il 2022, si è fatta sentire la voce dei movimenti d’integrazione e cooperazione il cui principio è il rispetto reciproco e non l’imposizione, come nel caso della Celac, dell’ALBA-TCP, del Movimento dei Paesi non Allineati, della Commissione Economica Euroasiatica, del G77+Cina, dei Brics...

Per il mondo risulta interessante il rafforzamento della relazione tra Iran, Russia e Cina. Enorme dal punto di vista geografico, con 29 milioni di chilometri quadrati è un’economia che nell’insieme rappresenta il 22% del PIL mondiale. Il nuovo asse è dotato anche di un potere militare capace di costituire un contrappeso nella disputa in campo navale, terrestre e aereo contro l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico Nord – la NATO – un fatto riconosciuto dalla stessa Alleanza.

Senza dubbio, queste nuove alleanze rendono concreti i peggiori incubi per gli Stati Uniti sulla formazione di assi di cooperazione che sfidano la loro egemonia e quella dei loro alleati.

Non si può trascurare il ruolo dell’India nel sistema finanziario internazionale, la cui ingente crescita negli ultimi anni le ha permesso di occupare il quinto posto, spiazzando il Regno Unito.

Le economie nascenti saranno vitali nella produzione di greggio l’anno prossimo, e l’Organizzazione dei Paesi esportatori di Petrolio ha informato che le sue previsioni di domanda per il 2023 sarà di 29,2 milioni di barili al giorno, e i paesi emergenti apporteranno la maggior richiesta di questo aumento. È evidente che gli USA devono occuparsi della loro stessa sopravvivenza.

Di fronte a un gigante che sta perdendo le sue forze, è necessario comunque stare attenti perché farà qualsiasi cosa per recuperare la sua egemonia e non lo farà in maniera pacifica.

L’unione e la compenetrazione delle economie emergenti è una notizia positiva e promettete nell’ottica di chiudere l’era dell’unipolarismo e presentare al mondo un panorama di opzioni distante da quello che è stato imposto fino ad ora.

È tempo di passare a una struttura multipolare del sistema internazionale che permetta ad ognuno dei Paesi di vegliare e difendere i propri interessi nazionali senza sottomettersi a nessuno. Speriamo che per l’anno che verrà questa direttrice divenga realtà effettiva.

 

Milagros Pichardo e GM per Granma Internacional, 27 dicembre 2022

 



GRANMA (CUBA) / ESTERI / IL RAZZISMO DELL’EUROPA

Il giardino e la giungla: la discriminazione e il razzismo del colonizzatore

 

Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

 

Non è la prima volta che Josep Borrell usa le assemblee per difendere idee euro-centriste, razziste e discriminatorie. Nel travagliato cammino delle relazioni internazionali risultano poco etiche alcune dichiarazioni di leader europei, in questo caso di Josep Borrell, capo della diplomazia nella UE , che pochi giorni fa ha definito l’Europa «un giardino e il resto del mondo una jungla», e che ora osa rivendicare «valori» come la colonizzazione e la conquista dell’America.

Un comunicato dell’agenzia RT riferisce che durante una riunione con parlamentari latinoamericani, Borrell ha fatto un insolito discorso pro colonizzazione e conquista: «In un mondo che vive una tormenta perfetta, che deve ricalibrare la bussola strategica con piena coscienza storica, per navigare in questa tormenta non servono più né le rotte né le mappe del passato, ma come gli scopritori e i conquistatori dobbiamo inventare un nuovo Mondo», ha affermato nell’Assemblea Parlamentare Europea-Latinoamericana (Eurolat) che riunisce 150 parlamentari delle due regioni.

RT segnala che non è la prima volta che il politico usa queste riunioni per difendere idee euro centriste, razziste e discriminatorie: «La giungla ha una forte capacità di espandersi e il muro non sarà mai abbastanza alto per proteggere il giardino» sono state le parole di Borrel che hanno provocato la forte condanna della comunità internazionale.

A tali attitudini aggiungiamo l’interesse manifestato dal Capo della diplomazia dell’Unione Europea di incrementare l’invio di armi in Ucraina, di aggiungere nuove sanzioni contro la Russia per coinvolgere così tutta l’Europa nel conflitto, in perfetta sintonia con il modo d’agire del Governo degli Stati Uniti.

 

Elson Concepción Pérez e GM per Granma Internacional, 4 dicembre 2022

 



GRANMA (CUBA) / INTERNI / INGERENZA DEGLI STATI UNITI

Cuba condanna l’inclusione nella lista nera sulla libertà religiosa

 

Numerose voci. a Cuba, hanno condannato l’inclusione del paese caraibico in una lista punitiva sulla libertà religiosa, confezionata dagli Stati Uniti.

Sulle reti sociali, molti cubani esprimono la loro condanna per questa arbitraria decisione e affermano che le istituzioni religiose del Paese godono del pieno diritto di praticare la loro fede in aderenza alla Legge e apertamente, ha informato l’agenzia si stampa Prensa Latina.

Cuba e Nicaragua sono state deliberatamente inserite nella lista creata ad hoc da Washington dei Paesi che, a giudizio di questo Governo, violano la libertà religiosa, pretesto per nuove nuove sanzioni.

Il Ministro delle Relazioni Estere cubano, Bruno Rodríguez ha pubblicato un post su Twitter dove afferma che «l’inclusione dell’Isola nella lista arbitraria dimostra che, nuovamente, il governo degli Stati Uniti ha bisogno di ricorrere ad accuse disoneste per mantenere l’insostenibile politica d’abuso contro il popolo cubano».

La sezione «Paesi di Speciale Preoccupazione» viene elaborata annualmente dal Dipartimento di Stato, e quest’anno vi compaiono Cina, Arabia Saudita, Repubblica Popolare Democratica della Corea, Russia, Iran, Pakistan, Myanmar, Eritrea, Tajikistán e Turkmenistan.

 

Redazione Granma e GM per Granma Internacional, 4 dicembre 2022