Nessuno ha ucciso Lollo.

 

 

Lorenzo Zaratta – detto Lollo - aveva solo 5 anni quando, il 30 luglio del 2014, è morto per un tumore cerebrale, un astrocitoma. Nel suo tessuto cerebrale erano stati trovati ferro, acciaio, zinco, silicio e alluminio. Lorenzo Zaratta viveva a Taranto, quartiere Tamburi, ed era divenuto il simbolo della lotta all’inquinamento.

Per la sua morte sono stati processati 9 dirigenti di quella fabbrica di morte che è l’ILVA: processati sì, ma assolti a vario titolo, come sempre succede in questi casi.

Il 19 agosto scorso sono uscite le motivazioni della sentenza di assoluzione: “La letteratura medica, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non consente di affermare la sussistenza di una 'correlazione causale' tra inquinamento ambientale-atmosferico e tumori del sistema nervoso centrale, e segnatamente, dell’astrocitoma". E ancora “permane un’insuperabile situazione di ragionevole dubbio circa l’effettiva sussistenza del nesso causale fra la presunta condotta ascritta agli imputati e il decesso del piccolo Lorenzo”.

Eppure Antonietta Gatti, fisico e bioingegnere, autrice di una serie di analisi sui campioni biologici del piccolo Lorenzo, aveva parlato di caso “emblematico” perché “trattandosi di un bambino la cui patologia tumorale si è resa manifesta nei primi mesi di vita quando le esposizioni ambientali sono molto limitate se non quasi nulle stante lo stile di vita caratteristico dell’età”: la causa, quindi, secondo Gatti, era “da ricercare nell’esposizione della madre durante la gravidanza”.

Un secondo studio a firma  di Annamaria Moschetti, pediatra e presidente della Commissione Ambiente dell’Ordine dei Medici di Taranto, e di Leonardo Resta, professore di anatomia patologica presso la facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Bari, aveva inoltre evidenziato “il livello di inquinamento al quartiere Tamburi durante i primi tre mesi di gravidanza – da novembre 2008 a gennaio-febbraio 2009 – sottolineando gli eccessi di sostanze come benzoapirene e polveri sottili” (vedi articolo del Fatto Quotidiano del 19 agosto).

Il giudice si spinge persino a scrivere che la madre di Lollo, durante la gravidanza , ha trascorso, per motivi di lavoro, otto ore al giorno per cinque giorni a settimana, nei primi quattro mesi di gestazione del piccolo Lorenzo, “praticamente attaccata o comunque a ridosso del perimetro dello stabilimento” al punto da esporre la donna “alla diffusione incontrollata di polveri e sostanze inquinanti provenienti dall’attività del siderurgico” che è “sostanzialmente analoga a quella di molti lavoratori operanti all’interno del grande complesso industriale”. Complesso industriale che la Corte d’Assise in primo grado ha condannato per i reati di “disastro ambientale e avvelenamento di acque e sostanze alimentari”.

 

Ma nessuno ha ucciso Lollo, come nessuno uccide i 4.000 lavoratori che ogni anno muoiono per l’amianto.

La Scienza e la Legge con la maiuscola, mai così certe e perentorie come le abbiamo viste in questi due anni e passa di pandemia, sono invece balbettanti in tutti quei casi in cui si riesce a mettere in discussione un sistema industriale di morte che, per il profitto, uccide non solo i lavoratori e i cittadini, ma anche il nostro futuro, i bambini.

Non servono altre parole, se non che questo sistema barbaro – il capitalismo - va abbattuto.

 

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

Sesto S.Giovanni, via Magenta 88

 

Fonte: Centro di iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”