Ucraina. Un’analisi chirurgica della guerra. Intervista a Jacques Baud, militare svizzero e consigliere dell’ONU.

 

 

Jacques Baud, militare svizzero e consigliere dell’ONU

 

 

La rivista Zeitgeschehen im Fokus ha intervistato Jacques Baud, colonello dell’esercito svizzero, esperto in servizi segreti militari e consigliere della NATO e dell’ONU: “L’approccio bellico russo è molto diverso da quello degli USA”.

 

Zeitgeschehen im Fokus: Signor Baud, lei conosce la regione dove ora si combatte la guerra. Che conclusioni trae da ciò che sta succedendo in Ucraina?

Jacques Baud: Conosco abbastanza bene la regione. Vi sono stato con il FDFA (Ministero degli Affari Esteri Svizzeri) nel cui nome svolsi funzioni nella NATO per cinque anni. Il mio lavoro era contrastare la proliferazione di armi letali, in questa funzione collaborai al programma in Ucraina dopo il 2014. Oltre a ciò conosco molto bene la Russia, la NATO e l’Ucraina per effetto del mio lavoro precedente in ambito di intelligence strategica. Parlo russo ed ho accesso a documenti che poche persone in Occidente hanno possibilità di leggere.

 

ZiF: Lei è esperto della situazione in Ucraina. La sua attività professionale l’ha portato ad operare nella attuale area di crisi. Come percepisce ciò che sta accadendo?
JB:E’ una pazzia, possiamo anche dire che ci sia una vera e propria isteria. Ciò che mi sorprende, e mi infastidisce parecchio, è che nessuno si chieda perché i russi abbiano dato inizio a questa operazione. Nessuno vuole sostenere la guerra, e sicuramente neppure io. Tuttavia, come ex capo di “Politica e Dottrina” del Dipartimento per le Operazioni di Mantenimento della pace dell’ONU a New York ed aver ricoperto per due quel ruolo, mi pongo sempre la domanda: “Come siamo arrivati al punto di cominciare una guerra?

 

ZiF: Quale fu il suo incarico nell’ONU?
JB: L’ONU aveva bisogno di capire come si inneschino le guerre, quali fattori conducano alla pace e cosa si possa fare per evitare vittime o come prevenire i conflitti. Se non si capisce come si scatena una guerra non si può neppure trovare una soluzione. Siamo esattamente in questa situazione. Ogni paese sta imponendo le sue sanzioni alla Russia, e sappiamo molto bene che questo non porterà a nessun risultato. Ciò che mi ha colpito in maniera particolare è stata la dichiarazione del Ministro dell’Economia Francese di voler distruggere l’economia della Russia con l’obiettivo di causare sofferenze al popolo russo. E’ una affermazione oltraggiosa.

ZiF: Come valuta l’offensiva russa?
JB: Attaccare un altro Stato va contro i principi del diritto internazionale. Allo stesso modo si deve però anche considerare il contesto nel quale una tale decisione è stata presa. In primo luogo, si deve mettere in chiaro che Putin non è né pazzo né ha perduto il contatto con la realtà. È una persona metodica e sistematica, cioè molto russa. Credo che se avesse realizzato una “piccola” operazione per proteggere la popolazione del Donbass, ovvero un’operazione “massiccia” in favore della popolazione del Donbass e degli interessi nazionali della Russia, le conseguenze sarebbero state le stesse. Quindi ha scelto la soluzione più estesa.

 

ZiF: Qual è l’obiettivo della Russia?
JB: Di certo non è rivolto contro la popolazione ucraina. Putin lo ha ripetuto più e più volte e può essere dedotto dai fatti. La Russia continua a fornire gas all’Ucraina, i russi non lo hanno impedito. Non hanno bloccato la rete internet. Non hanno distrutto le reti elettriche e le condutture idriche, anche se alcuni di questi servizi possono essersi interrotti nelle aree di conflitto. Però l’approccio bellico russo è molto diverso da quello statunitense, ci sono gli esempi in Yugoslavia, Iraq, Libia. Quando i paesi occidentali attaccarono queste nazioni, in primo luogo distrussero la rete di approvvigionamento idrico ed elettrico e tutte le relative infrastrutture.

 

ZiF: Perché l’Occidente agisce in questo modo?
JB: È necessario analizzare l’approccio occidentale dal punto di vista della sua dottrina operativa, basata sull’idea che se si distruggono le infrastrutture, la popolazione si ribellerà conto “il dittatore” e ci si potrà sbarazzare di lui. Questa fu anche la strategia durante la Seconda Guerra Mondiale, quando alcune città tedesche come Colonia, Berlino, Amburgo, Dresda, ecc. furono bombardate fino alla loro distruzione, prendendo di mira direttamente la popolazione civile per suscitare una rivolta. Il governo perderà così il suo potere a causa del sollevamento popolare, facendo sì che si vinca il conflitto senza porre in pericolo le proprie truppe. Questa è la teoria (la pratica è però molto diversa).

 

ZiF: Qual’è l’approccio russo?
JB: E’ completamente diverso. Hanno dichiarato chiaramente il loro obiettivo. Vogliono la “smilitarizzazione” e la “denazificazione” dell’Ucraina. Se si osservano i fatti con obiettività, questo è esattamente ciò che stanno facendo. Naturalmente una guerra è una guerra e, purtroppo, nel conflitto ci sono sempre delle vittime, però è interessante analizzare ciò che dicono i numeri. Venerdì 4 marzo, l’ONU ha reso nota la cifra di 265 civili ucraini morti. Nella notte, il Ministero della Difesa russo calcolò il numero dei soldati morti in 498. Ciò significa che ci sono state più vittime tra i militari russi che tra i civili della parte ucraina. Se questi dati si confrontano con i conflitti in Iraq e Libia si rileva che la situazione attuale è esattamente opposta rispetto alle guerre scatenate dall’occidente.


ZiF: I media occidentali non stanno mostrando la verità?
JB: No, i nostri media affermano che i russi vogliono distruggere tutto, ma ciò ovviamente non risponde a verità. Mi preoccupa anche il modo in cui i nostri media ritraggono Putin, parlano di lui come se all’improvviso il “tiranno” abbia deciso di attaccare e conquistare l’Ucraina. Nei mesi scorsi, gli Stati Uniti hanno ripetuto più volte l’avvertimento che ci sarebbe stato un attacco a sorpresa, cosa che poi non si è verificata. Di sicuro, i servizi segreti e i leader ucraini hanno ripetutamente negato il contenuto di questi avvertimenti. Se si analizzano attentamente i rapporti militari ed i preparativi in loco, si può dedurre con ragionevole certezza che Putin non aveva alcuna intenzione di attaccare l’Ucraina fino al mese di febbraio.

 

ZiF: Perché la situazione è cambiata, cos’è successo?
JB: Per capire è necessario innanzitutto conoscere alcuni fatti. Il 24 marzo del 2021, il presidente ucraino Zelensky emanò un decreto presidenziale per riconquistare la Crimea. Quindi cominciò a spostare l’esercito ucraino a sud e sudest verso il Donbass. Da un anno c’è una gran concentrazione di truppe ucraine sulla frontiera a sud dell’Ucraina. Zelensky ha sempre sostenuto che i russi non avrebbero attaccato l’Ucraina. Anche il ministro della difesa dell’Ucraina lo confermò in diverse occasioni. Allo stesso modo, il capo del Consiglio di Sicurezza ucraino dichiarò a dicembre e poi a gennaio che non vi erano segnali di un attacco russo contro l’Ucraina.

 

ZiF: Era un trucco?
JB: No, e sono sicuro che Putin non aveva intenzione di attaccare l’Ucraina, lo disse ripetutamente. Evidentemente, ci furono pressioni da parte degli Stati Uniti perché si cominciasse la guerra. Gli USA hanno pochi interessi in Ucraina, ma volevano aumentare la pressione nei confronti della Germania per causare la chiusura del Nord Stream II. Volevano che l’Ucraina provocasse la Russia e, se la Russia avesse reagito, il Nord Stream II sarebbe stato sospeso. Si alluse a tale scenario quando Olaf Scholz fece visita a Washington, e Sholz chiaramente non voleva accettarlo. Questa non è solo la mia opinione, ci sono molti diplomatici statunitensi che capirono la stessa cosa: uno degli obiettivi principali era il Nord Stream II, e non bisogna dimenticare che questo gasdotto fu costruito su richiesta dei tedeschi. E’ fondamentalmente un progetto tedesco. Perché la Germania ha bisogno di più gas per raggiungere i suoi obiettivi energetici e climatici.

ZiF: Perché gli Stati Uniti hanno interessi nel conflitto?
JB: A partire dalla Seconda Guerra Mondiale, la politica statunitense è sempre stata quella di evitare che Germania e Russia (o URSS) lavorassero più strettamente, prescindere dal fatto che i tedeschi nutrono una paura storica nei confronti dei russi. Questi due Paesi però sono le due più grandi potenze europee. Storicamente ci sono sempre state relazioni economiche tra Germania e Russia. Gli USA hanno sempre cercato di evitare che ciò accadesse. Non bisogna dimenticare che, in una guerra nucleare, il campo di battaglia sarebbe l’Europa. Ciò significa che, in questo caso, gli interessi di Europa e Stati Uniti non potrebbero assolutamente coincidere. Questo spiega perché negli anni ’80 l’Unione Sovietica appoggiò i movimenti pacifisti in Germania. Una relazione più stratta tra Germania e Russia renderebbe inutile la strategia nucleare degli USA.

 

ZiF: Perché gli USA criticano la dipendenza energetica della Germania?
JB: E’ ironico che gli Stati Uniti critichino la dipendenza energetica della Germania o dell’Europa dalla Russia. La Russia è il secondo maggior produttore di petrolio del mondo. Gli USA acquistano il petrolio principalmente dal Canada e poi da Russia, Messico e Arabia Saudita. Ciò significa che gli USA dipendono in parte dalla Russia, per esempio per quanto riguarda il carburante per i motori dei missili. Ciò non disturba gli Stati Uniti, che invece non approvano che l’Europa dipenda dalla Russia. Durante la Guerra Fredda, la Russia, o meglio l’Unione Sovietica, ha sempre onorato tutti i contratti di fornitura del gas. La forma mentis russa in merito è molto simile a quella svizzera. La Russia ha una mentalità molto rispettosa delle norme, si sente impegnata dalle norme così come la Svizzera. Ciò non significa che non abbiano emozioni, ma quando ci sono delle regole, loro le rispettano. Durante la Guerra Fredda, l’Unione Sovietica non ha mai messo insieme commercio e politica. In questo senso, la contesa con l’Ucraina è principalmente politica.

 

ZiF: Per Brzezinski, l’Ucraina sarebbe la chiave per dominare l’Eurasia. Quanto conta questa teoria in questo conflitto?
-Brzezinski è stato senza dubbio un grande pensatore e ancora influenza il pensiero strategico degli Stati Uniti, però non credo che questo sia un aspetto fondamentale in questa specifica crisi. L’Ucraina è sicuramente importante, ma ora il punto non è chi domina o controlla l’Ucraina. I russi non pretendono di controllare l’Ucraina. Il problema dell’Ucraina, per la Russia come per gli altri paesi, è strategico.

 

ZiF: Cosa significa questo?
JB: In tutta la discussione in atto dovunque, si stanno ignorando quesiti cruciali. Si parla di armi nucleari come se si stesse assistendo a un film. La realtà è diversa. I russi vogliono stabilire una distanza tra le forze militari della NATO e la Russia. Il potere della NATO non è altro che il potere nucleare statunitense. Questa è l’essenza della NATO. Quando lavoravo nella NATO, Jens Stoltenberg – allora mio responsabile – spesso diceva: “La NATO è una potenza nucleare”. Oggi, gli USA hanno schierato i loro sistemi missilistici in Polonia e Romania, compresi i sistemi di lancio MK-41.

 

ZiF: Sono armi difensive?
JB: Gli Stati Uniti, naturalmente, sostengono si tratti di armi puramente difensive. Di fatto, da questi sistemi di lancio si possono sparare missili antibalistici, ma anche missili nucleari. Queste rampe di lancio sono situate a pochi minuti da Mosca. Se in una situazione di particolare tensione i russi dovessero rilevare, attraverso immagini satellitari o servizi segreti, attività di queste piattaforme che costituiscano i preparativi per un lancio, aspetterebbero forse che i missili nucleari siano lanciati verso Mosca? Certo che no: darebbero inizio immediatamente ad un attacco preventivo. Tutta questa situazione si è aggravata quando gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato ABM (trattato dei missili antibalistici), che stabiliva che non si potesse implementare questo tipo di sistemi di lancio in Europa. Il principio era proprio quello di mantenere un determinato tempo di reazione perché, in caso di scontro, potrebbero verificarsi errori non intenzionali.
Abbiamo avuto qualcosa del genere durante la Guerra Fredda. Quanto più grande è la distanza tra i missili nucleari, maggiore è il tempo per reagire. Se i missili vengono dislocati troppo vicini al territorio russo, la Russia non avrà tempo per reagire in caso di attacco, e si corre il rischio di entrare in una guerra nucleare molto più in fretta. Ciò riguarda tutti i paesi vicini. I sovietici, a suo tempo, si resero conto di questo, e perciò crearono il Patto di Varsavia.
Ma la NATO nacque prima… la NATO venne fondata nel 1949, e il Patto di Varsavia solo sei anni dopo. Il motivo fu il riarmo della Repubblica Federale Tedesca e il suo ingresso nella NATO nel 1955. Osservando la mappa del 1949, si può notare un divario molto accentuato tra il potere nucleare della NATO e quello dell’URSS. Mentre la NATO avanzava verso la frontiera russa, includendo la Germania, la Russia reagì con il Patto di Varsavia. In quel momento, i paesi dell’Europa dell’Est erano già tutti comunisti e si trovavano sotto il controllo dei propri partiti comunisti. L’URSS voleva mantenere un cordone di sicurezza intorno ai suoi confini, e quindi creò il Patto di Varsavia. Voleva mantenere una trincea, una difesa fortificata per poter condurre  una guerra convenzionale per il maggior tempo possibile. Questa era l’idea: riuscire, attraverso una  guerra convenzionale, ad evitare il più lungo possibile di entrare in una guerra nucleare.


ZiF: E oggi è ancora così?

- Dopo la Guerra Fredda, la strategia nucleare fu quasi dimenticata. La sicurezza non era più una questione di armi nucleari. La guerra in Iraq, la guerra in Afghanistan furono guerre con armi convenzionali, e la dimensione nucleare non era in questione. Però i russi non hanno dimenticato, loro pensano strategicamente. A quei tempi, visitai lo Stato Maggiore dell’Accademia Voroshilov a Mosca. Lì si poteva vedere come ragionano. Ragionano strategicamente, come si deve ragionare in tempi di guerra.

 

ZiF: Oggi capita così?
JB: Oggi si può vedere molto chiaramente. Lo staff di Putin pensa strategicamente. I russi hanno un pensiero strategico, un pensiero operativo ed un pensiero tattico. I paesi occidentali, come abbiamo potuto osservare in Afghanistan o in Iraq, non hanno strategia. Questo è esattamente il problema che hanno i francesi in Mali. Il Mali ora pretende che abbandonino il paese, perché i francesi stanno uccidendo persone senza una strategia e senza un obiettivo strategico. Con i russi è completamente diverso, essi pensano strategicamente. Hanno un obiettivo. E lo stesso vale per Putin.

 

ZiF: Nei nostri media è stato detto che Putin ha messo in gioco le armi nucleari. Lei ha sentito questa notizia?
JB: Si Vladimir Putin ha messo le sue forze nucleari in allerta al livello 1 il 27 febbraio. Però questa è solo la metà della verità. Nei giorni 11 e 12 febbraio, a Monaco si tenne la conferenza per la sicurezza. Zelensky stava lì e dichiarò di voler acquisire armi nucleari. Il fatto venne interpretato come una potenziale minaccia e quindi si accese la luce rossa al Cremlino. Per capire bene, dobbiamo ricordare l'Accordo di Budapest del 1994. Si trattava di distruggere i missili nucleari nel territorio delle ex repubbliche sovietiche, lasciando solo la Russia come potenza nucleare. Anche l'Ucraina consegnò le armi nucleari alla Russia in cambio dell'inviolabilità dei suoi confini. Quando la Crimea è tornata alla Russia, nel 2014, l'Ucraina disse che non avrebbe rispettato l'accordo del 1994.


ZiF: Torniamo alle armi nucleari. Cosa disse effettivamente Putin?
JB: Se Zelensky avesse voluto riavere le armi nucleari, per Putin sarebbe stato sicuramente inaccettabile. Avere armi nucleari proprio alla frontiera darebbe un tempo utile dall’allarme troppo breve. Durante la conferenza stampa successiva alla visita di Macron, Putin mise ben in chiaro che se la distanza tra la NATO e la Russia fosse stata troppo piccola, ciò avrebbe potuto generare complicazioni senza che ce ne potessimo rendere conto. Ma l'elemento decisivo è stato all'inizio dell'operazione contro l'Ucraina, quando il ministro degli Esteri francese ha minacciato Putin dichiarando che la Nato era una potenza nucleare. Putin ha reagito alzando il livello di allerta delle sue forze nucleari. I nostri media, ovviamente, non ne hanno parlato. Putin è realista, ha i piedi per terra e ha un obiettivo.

 

ZiF: Cosa ha indotto Putin ad intervenire militarmente adesso?
JB: Il 24 marzo del 2021, Zelensky emise un decreto presidenziale per riconquistare la Crimea con la forza e iniziò i preparativi per farlo. Non sappiamo se questa fosse la sua vera intenzione o solo una manovra politica. Tuttavia, ciò che abbiamo osservato è che venne rafforzato il contingente dell’esercito ucraino nella regione del Donbass e nel sud verso la Crimea. Ovviamente, i russi si accorsero di questa concentrazione di truppe. Nello stesso tempo, la NATO cominciò importanti esercitazioni tra il Baltico ed il Mar Nero e, comprensibilmente, questo indusse i russi a reagire con esercitazioni militari nel distretto sud. Le cose si calmarono e, a Settembre, la Russia mise in campo le esercitazioni “Zapad 21” pianificate già da molto tempo. Queste esercitazioni si svolgono ogni quattro anni. Al termine, alcuni contingenti restarono nei pressi della Bielorussia. Si trattava di unità del Distretto Militare dell’Est. La maggior parte delle truppe che restarono lì, furono impegnate per una gran manovra pianificata con la Bielorussia per il principio di questo anno.

 

ZiF: Come ha reagito l’Occidente di fronte a questi eventi?
JB: L’Europa, ma specialmente gli Stati Uniti, li hanno interpretati come un’intensificazione delle capacità offensive contro l’Ucraina. Esperti militari indipendenti, come anche il capo del Consiglio di Sicurezza ucraino, affermarono che in quel momento non si stavano realizzando preparativi per una guerra. Il contingente lasciato dalla Russia in Ottobre non era destinato ad una operazione offensiva.
Tuttavia, i cosiddetti esperti militari occidentali, specie in Francia, li hanno interpretati come preparativi per una guerra e iniziarono a definire Putin un pazzo. Così si è evoluta la situazione a partire dalla fine di ottobre 2021 e fino al principio del 2022. Il modo in cui USA e l’Ucraina hanno diffuso notizie in merito è stata a dir poco contraddittoria. Gli USA mettevano in guardia a proposito di una offensiva pianificata mentre l’Ucraina la negava, fu un continuo avvicendarsi di affermazioni e smentite.

 

ZiF: La OSCE comunicò che ci furono dei bombardamenti in Donbass a febbraio. Che successe?
JB: A fine gennaio la situazione sembrava evolversi. Gli USA parlarono con Zelensky e si registrarono piccoli cambiamenti. Dal principio di febbraio, però, gli USA cominciano a parlare di un imminente attacco russo e iniziano a descrivere scenari di aggressione. Antonio Blinken, nel consiglio di sicurezza dell’ONU, spiega come secondo i servizi segreti USA si sarebbe potuto sviluppare un attacco russo.
Questo ci ricorda la situazione del 2002/2003 prima dell’attacco all’Iraq. Anche allora le spiegazioni che diedero gli USA presumibilmente si basarono su analisi dei servizi segreti. Come sappiamo, non erano basate su fatti reali, l’Iraq non possedeva armi di distruzione di massa. Di fatto, la CIA non confermò questa ipotesi. Come risultato, Donald Rumsfeld non si affidò alle relazioni della CIA, ma a un piccolo gruppo di informatori del Dipartimento della Difesa, che era stato appositamente istituito per eludere le analisi della CIA.

 

ZiF: Da dove viene questa informazione?
JB: Nel contesto ucraino, Blinken ha fatto esattamente le stesse cose. In tutta la discussione che ha preceduto l’offensiva russa si nota l’assenza totale di analisi da parte della CIA e delle agenzie dei servizi segreti occidentali. Tutto ciò che Blinken ci ha raccontato veniva da un gruppo da egli stesso costituito, il “Tiger Team”. Gli scenari che ci sono stati rappresentati non erano frutto di analisi di intelligence, ma la narrazione di alcuni esperti autonominatisi che inventarono uno scenario ad uso di una precisa agenda politica. Nacquero così le voci secondo cui i russi erano sul punto di attaccare. Il 16 febbraio, quindi, Joe Biden disse che sapeva che i russi erano sul punto di attaccare, ma quando gli venne chiesto come facesse a saperlo, rispose che gli USA avevano ottime capacità di intelligence, ma non menzionò la CIA o i servizi segreti.

ZiF: E quindi cosa altro accadde il 16 febbraio?
JB: Quel giorno ci fu un aumento esagerato delle violazioni del cessate il fuoco da parte dell’esercito ucraino lungo la linea del cessate il fuoco, denominata “linea di contatto”. Ci sono sempre state violazioni negli ultimi otto anni, però, dal 12 febbraio, l’aumento è stato enorme, con esplosioni, specie nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Lo sappiamo attraverso i rapporti dell’OSCE in Donbass. Questi rapporti si possono leggere nei “Rapporti giornalieri” dell’OSCE.

 

ZiF: Qual era l’obiettivo dell’esercito ucraino?
JB: Questa era senza dubbio la fase iniziale di una offensiva contro il Donbass. Quando il fuoco di artiglieria si intensificò, le autorità di entrambe le repubbliche cominciarono ad evacuare la popolazione civile verso la Russia. In un’intervista, Sergei Lavrov parlò di oltre 100.000 rifugiati. In Russia questo fu visto come l’inizio di una operazione su vasta scala.

 

ZiF: Quali furono le conseguenze?
JB: Questa azione dell’esercito ucraino scatenò tutto. A partire da quel momento, per Putin era ormai chiaro che l’Ucraina intendeva portare a termine un’offensiva contro le due repubbliche. Il 15 febbraio, il parlamento russo, la Duma, adottò una risoluzione proponendo il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche. In principio Putin non reagì, ma man mano che si intensificarono gli attacchi, il 21 febbraio decise di rispondere affermativamente alla petizione parlamentare.

 

ZiF: Perché Putin prese questa decisione?
JB: In quella situazione non esisteva altro rimedio, il popolo russo non avrebbe capito se lui non avesse fatto niente per proteggere la popolazione russofona del Donbass. Per Putin era chiaro che se fosse intervenuto solo per aiutare le repubbliche popolari o per invadere tutta l’Ucraina, l’Occidente avrebbe reagito allo stesso modo con sanzioni massicce. In primo luogo riconobbe l’Indipendenza delle due repubbliche e poi, lo stesso giorno, stipulò trattati di amicizia e cooperazione con ciascuna di esse. A partire da quel momento avrebbe potuto invocare l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che gli permetteva di intervenire per dare assistenza alle due repubbliche nel quadro della difesa collettiva e della legittima difesa, creando così la base legale del suo intervento militare.

 

ZiF: Però oltre ad aiutare le due repubbliche, non ha attaccato anche l’intera Ucraina?
JB: Putin aveva due opzioni: la prima, semplicemente aiutare il Donbass russofono contro l’offensiva militare ucraina; la seconda, portare a termine un attacco più profondo in tutta l’Ucraina per neutralizzarne le capacità militari. Si rese quindi conto che, qualsiasi scelta avesse fatto, avrebbe comunque subito sanzioni. Perciò ha puntato senza indugio per l’opzione più dura; è necessario tuttavia precisare che Putin non ha mai detto di volersi impadronire dell’Ucraina. I suoi obiettivi sono chiari: demilitarizzazione e denazificazione.

 

ZiF: Qual’è il contesto di questi obiettivi?
JB: La demilitarizzazione è comprensibile, dal momento che l’Ucraina ha riunito tutto il suo esercito nel sud tra il Donbass e la Crimea. Un’operazione rapida avrebbe consentito di accerchiare queste truppe. E infatti è accaduto proprio questo, e gran parte dell’esercito ucraino si trova attualmente accerchiato in una grande area della regione del Donbass, tra Slavyansk, Kramatorsk e Severodonetsk. I Russi l’hanno circondata e sono in procinto di neutralizzarla.
Inoltre, riguardo alla cosiddetta denazificazione, quando i russi la citano non lo fanno a vuoto. Per compensare la scarsa affidabilità dell’esercito ucraino, a partire dal 2014 sono state costituite nel paese consistenti forze paramilitari, compreso per esempio il famoso reggimento Azov. Ce ne sono però molti altri. Ci sono una gran quantità di gruppi sotto il comando dell’Ucraina, e non sono composti esclusivamente da ucraini. Il reggimento Azov, per esempio, comprende componenti di 19 nazionalità, tra queste quella francese, svizzera, ecc. Si tratta di una vera e propria legione straniera. In totale, secondo Reuters questi gruppi di estrema destra sono costituiti da circa 100.000 combattenti.

 

ZiF: Perchè ci sono tante organizzazioni paramilitari in Ucraina?
JB: Nel 2015/2016 ero in Ucraina con la NATO. L’Ucraina viveva un grosso problema che consisteva nella scarsità di soldati dal momento che il suo esercito aveva subito molte perdite per cause diverse dalle battaglie. Le cause erano i suicidi, l’alcolismo, ecc. Facevano fatica a trovare nuove reclute. Per la mia esperienza all’interno dell’ONU mi chiesero aiuto e quindi mi recai in Ucraina diverse volte. Il punto fondamentale era che l’esercito aveva perso credibilità verso la popolazione e anche tra le forze armate. Per questo motivo l’Ucraina ha incoraggiato e sviluppato ancora una volta questo tipo di contingenti paramilitari. Si tratta di fanatici spinti dall’estremismo di destra.

 

ZiF: Da dove viene questo estremismo di destra?
JB: Le sue origini risalgono agli anni ’30. Dopo gli anni di grave carestia che passarono alla storia come il “Holodomor” nacque un movimento di resistenza al potere sovietico. Per finanziare la modernizzazione dell’URSS, Stalin aveva confiscato i raccolti provocando la carestia. Il NKVD, precursore del KGB (che era allo stesso tempo Ministero degli Interni e della Sicurezza) accentuò questa politica. Il NKVDS era organizzato su base territoriale e in Ucraina vi erano molti ebrei in posti di comando superiori. Il risultato fu che tutto si confuse in una sola ideologia: odio nei confronti dei comunisti, dei russi e degli ebrei. I primi gruppi di estrema destra risalgono a questa epoca ed esistono ancora. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi avevano bisogno di questi gruppi, come la OUN (Organizzazione Nazionalista Ucraina) di Stepan Bandera, e l’Esercito Insurrezionale Ucraino. I nazisti usarono queste organizzazioni per lottare contro i Sovietici.
In quel momento, le forze del Terzo Reich erano viste come liberatrici, come la seconda divisione blindata delle SS, “Das Reich”, che aveva liberato Járkov dai sovietici nel 1943 e che ancora oggi si ricorda in Ucraina. L’epicentro geografico di questa resistenza di estrema destra era situato a Lvov, oggi Lviv, nell’antica Galizia. Questa regione aveva persino la sua “personale” 14ma Divisione Panzer Grenadier SS Galizia, una divisione delle SS composta totalmente da ucraini.

 

ZiF: La OUN si formò durante la Seconda Guerra Mondiale e sopravisse al periodo sovietico?
JB: Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il nemico era l’Unione Sovietica. L’URSS non era riuscita ad eliminare completamente questi movimenti antisovietici durante la guerra. Gli USA, la Francia e la Gran Bretagna si resero conto che l’OUN poteva essere utile e quindi l’appoggiarono per lottare contro l’URSS con sabotaggi e armi. A partire dal principio degli anni ’60, gli insurrezionalisti ucraini furono appoggiati dall’Occidente con operazioni clandestine come Aerodynamic, Valuable, Minos, Capacho e altre.
Da allora, l’Ucraina ha conservato una stretta relazione con l’Occidente e la NATO. Oggi la fragilità dell’esercito ucraino ha portato all’uso di truppe fanatiche di estrema destra. Ritengo che il termine neonazisti non sia del tutto esatto, anche se hanno alcune idee simili, ne indossano i simboli, sono violenti ed antisemiti.

 

ZiF: Dopo il 2014 vennero sottoscritti accordi per pacificare la situazione in Ucraina. Qual è il significato degli accordi nel contesto della controversia attuale?
JB: Si, è importante capirlo, perché è sostanzialmente il mancato rispetto di questi accordi che ha condotto alla guerra attuale. A partire dal 2014, sembrava esserci una soluzione per il conflitto, e la soluzione era negli accordi di Minsk. Nel settembre del 2014, l’esercito ucraino non era più in grado di gestire il conflitto, nonostante fosse assistito dai consulenti della NATO. Subiva continuamente, e per questo dovette impegnarsi negli accordi di Minsk I nel settembre del 2014. Si trattava di un accordo tra il governo ucraino ed i rappresentanti delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, con garanti europei e russi.

 

ZiF: Come nacquero queste repubbliche?
JB: Per comprendere è necessario tornare un po’ indietro in questa storia. Nell’autunno del 2013, l’Unione Europea voleva concludere un accordo commerciale ed economico con l’Ucraina. La UE stava offrendo all’Ucraina una garanzia di sviluppo con sussidi, esportazioni, importazioni, ecc.. Le autorità ucraine avevano intenzione di sottoscrivere il patto. Però c’era un grave problema, l’industria e l’agricoltura ucraine erano orientate verso la Russia. Per esempio, gli ucraini sviluppavano motori per aerei russi, non per aerei europei o statunitensi. Allora, l’orientamento generale dell’industria era verso l’Est e non verso l’Ovest. In termini di qualità, difficilmente l’Ucraina avrebbe potuto competere con il mercato europeo, di conseguenza le autorità ucraine intendevano cooperare con la UE, mantenendo però le relazioni economiche con la Russia.

 

ZiF: Sarebbe stato possibile?
JB: Da parte sua, la Russia non ebbe nessun problema con questi progetti, voleva però conservare le relazioni economiche con l’Ucraina, e quindi propose di stabilire un gruppo di lavoro tripartito per elaborare due accordi: uno tra Ucraina e la UE e l’altro tra l’Ucraina e la Russia. L’obiettivo era salvaguardare gli interessi di tutte le parti in causa. Fu però l’Unione Europea, per il tramite di Barroso, che pretese che l’Ucraina scegliesse tra Russia e Unione Europea. L’Ucraina a quel punto chiese tempo per elaborare una soluzione. Dopo questi fatti, la UE e gli USA giocarono sporco.

 

ZiF: Perché?
JB: La stampa occidentale titolò: “La Russia fa pressione all’Ucraina perché impedisca il trattato con la UE”. Non era vero, non erano questi i fatti. Il governo ucraino continuò a dimostrare interesse nel trattato con la UE, però voleva semplicemente avere più tempo per considerare altre soluzioni a questa situazione complessa. I media europei, invece, non evidenziarono questo aspetto. Nei giorni seguenti, estremisti di destra provenienti dall’est del paese comparvero nel Maidan di Kiev. Tutto ciò che accadde, con l’approvazione e l’appoggio dell’Occidente, è stato veramente terribile. Non è però possibile descrivere dettagliatamente quei fatti in questa intervista.

 

ZiF: Cosa accadde dopo che Yanukovich, il presidente eletto democraticamente, venne rovesciato?
JB: Il nuovo governo provvisorio – sorto dal golpe nazionalista di estrema destra – come primo atto ufficiale, cambiò la legge sulla lingua ucraina. Ciò dimostra che il colpo di Stato non aveva niente a vedere con la democrazia, ma fu causato dagli ultranazionalisti che organizzarono il sollevamento popolare. Questa modifica legislativa scatenò una tempesta nelle regioni russofone. Si organizzarono grandi manifestazioni in tutte le citta del sud di lingua russa: a Odessa, Mariupol, Donetsk, Lugansk, in Crimea, ecc. Le autorità ucraine reagirono brutalmente, reprimendo con l’esercito. Vennero proclamate immediatamente repubbliche autonome a Odessa, Kharkov, Dnepropetrovsk, Lugansk y Donetsk. Si combatté brutalmente e alla fine resistettero Donetsk e Lugansk, che si autoproclamarono repubbliche autonome.

 

ZiF: Come legittimarono il loro status?
JB: Si tennero referendum nel maggio del 2014 per conservare l’autonomia, e ciò è decisamente importante. Se si osservano i nostri media negli ultimi mesi, si sente parlare solo di “separatisti”, ma è una menzogna. I media occidentali parlano sempre di separatisti ma questo non è vero: nei referendum si citava chiaramente l’autonomia all’interno dell’Ucraina. Queste repubbliche volevano una sorta di soluzione alla svizzera, per così dire. Dopo il voto favorevole della popolazione per l’autonomia, le autorità chiesero il riconoscimento delle repubbliche anche da parte della Russia, ma il governo di Putin non acconsentì.

 

ZiF: La Crimea non è a sua volta coinvolta in tutto ciò?
JB: In genere si dimentica che la Crimea era già indipendente ancora prima che lo divenisse l’Ucraina. Nel gennaio del 1991, mentre ancora esisteva l’Unione Sovietica, in Crimea si tenne un referendum che venne gestito da Mosca e non da Kiev. Così la Crimea diventò una Repubblica Socialista Sovietica Autonoma. L’Ucraina invece non fece il suo referendum per l’indipendenza se non sei mesi dopo, nell’agosto del 1991. In quel momento, la Crimea non si considerava parte dell’Ucraina, ma l’Ucraina non la pensava allo stesso modo.

 

ZiF: Cosa voleva la popolazione della Crimea?
JB: Di fatto, gli abitanti della Crimea si consideravano indipendenti. I decreti emessi da Kiev erano in totale conflitto con il referendum del 1991 e ciò spiega perché in Crimea ci fu un nuovo referendum nel 2014, dopo che il nuovo governo ultranazionalista arrivò al potere in Ucraina. Il risultato di questo ultimo referendum fu molto simile a quello di 30 anni prima. Dopo il referendum, la Crimea chiese di unirsi alla Federazione Russa. Non fu la Russia a conquistare la Crimea, fu il popolo della Crimea che autorizzò le autorità a chiedere alla Russia di essere accolta. Nel trattato di amicizia tra Russia e Ucraina firmato nel 1997, l’Ucraina garantiva le peculiarità culturali delle minoranze nel paese. Quando la lingua russa venne proibita come lingua ufficiale nel febbraio del 2014, si stava violando questo trattato.

 

ZiF: Le persone che non conoscono tutti questi fatti, corrono il rischio di interpretare male la situazione?
JB: Direi proprio di sì. Oltretutto, negli accordi di Minsk si garantiva l’autonomia delle repubbliche del Donbass. I garanti erano dal lato Ucraino la Germania e la Francia, mentre la Russia lo era per le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. Questo documento venne redatto sotto il segno dell’OSCE. La UE non era coinvolta, si trattava di una questione dell’OSCE. Subito dopo degli accordi di Minsk I, l’Ucraina incominciò un’operazione contro le due repubbliche autonome. Il governo ucraino ignorò completamente l’accordo che aveva appena firmato. L’esercito ucraino subì l’ennesima sconfitta a Debaltsevo. Fu un disastro.

 

ZiF: Ciò avvenne anche con l’appoggio della NATO?
JB: Si, e uno si chiede quale fu il ruolo dei consiglieri militari della NATO e perché le forze armate dei ribelli sconfissero totalmente l’esercito ucraino. Ciò condusse a un secondo accordo, Minsk II, firmato nel febbraio del 2015, che fu la base per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Pertanto, questo accordo era vincolante in virtù del diritto internazionale che avrebbe dovuto essere applicato.

 

ZiF: Vi fu monitoraggio da parte dell’ONU?
JB: No, non importava a nessuno, e a parte la Russia, nessuno pretese il completamento dell’accordo di Minsk II. All’improvviso, si è parlato solo del “Formato di Normandia”. Ma questo non aveva alcun senso. Questo “formato” nacque durante la celebrazione del “D DAY” del 2014, a giugno. Furono invitati i protagonisti della Seconda Guerra Mondiale, capi di stato alleati come Germania e Ucraina. Nel formato di Normandia, erano rappresentati solo i capi di stato, ovviamente non erano presenti le repubbliche autonome. L’Ucraina non accettò mai di parlare con i rappresentati di Lugansk e Donetsk. Se però si leggono gli accordi di Minsk, si può vedere come avrebbe dovuto svolgersi un referendum affinché si potesse modificare (in senso federale) la costituzione ucraina. Questo processo interno fu impedito dal governo ucraino.

 

ZiF: Però anche gli Ucraini firmarono l’accordo...
JB: Si, però l’Ucraina decise di addossare alla Russia le colpe del suo problema interno. Gli ucraini affermarono che la Russia aveva attaccato l’Ucraina e che questo era l’origine dei problemi. Però, a chi ha avuto modo di visitare il paese era chiaro che si trattava di un problema interno. Dal 2014, i supervisori della OSCE non hanno mai visto militari russi. Entrambi gli accordi sono molto chiari e precisi: la soluzione deve essere trovata all’interno dell’Ucraina. Si trattava di concedere una certa autonomia all’interno del Paese, e solo l’Ucraina poteva risolvere il problema, che non aveva niente a che vedere con la Russia.

 

ZiF: Per questo era necessaria una modifica della costituzione?
JB: Si, esattamente, però non si fece. L’Ucraina non fece alcun passo in tal senso. E non ci fu nessun impegno neppure da parte dei membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

ZiF: Come si comportò la Russia?
JB: La posizione della Russia è sempre stata la stessa. Voleva che si implementassero gli accordi di Minsk. Non ha mai modificato la sua posizione in questi otto anni. In questo periodo ci sono state diverse violazioni di frontiera, bombardamenti di artiglieria, ecc., ma la Russia non ha mai messo in discussione il rispetto degli accordi.

 

ZiF: Come ha proceduto l’Ucraina?
JB: L’Ucraina promulgò una legge all’inizio dello scorso anno. Era una legge che concedeva diritti diversi ai cittadini in virtù della loro etnia. Questa norma ricorda molto le leggi razziali di Norimberga del 1935. I pieni diritti sono riservati ai veri ucraini, mentre gli altri hanno solo diritti limitati. Proprio dopo questi fatti, Putin scrisse un articolo in cui spiegava la genesi storica dell’Ucraina. Criticò il fatto che potesse essere fatta una distinzione tra etnia ucraina e russa. Scrisse l’articolo a seguito dell’emanazione di questa legge. In Europa, però, venne interpretato come una dichiarazione di disconoscimento dell’Ucraina come Stato, e un tentativo di costruire una giustificazione alla possibile annessione dell’Ucraina. In Occidente, la gente è convinta di ciò, e si possono contare sulle dita di una mano coloro che hanno letto l’articolo di Putin. E’ ovvio che in Occidente l’obiettivo era quello di dare di Putin un’immagine il più negativa possibile. Io ho letto il suo articolo ed è perfettamente sensato.

 

ZiF: Cosa si aspettavano i russi da Putin?
JB: Ci sono molti russi in Ucraina. Putin doveva dire qualcosa. Non sarebbe stato giusto per il suo popolo (anche dal punto di vista del diritto internazionale) non dire nulla rispetto ad una legge discriminatoria verso i russi ucraini. Tutti questi piccoli dettagli sono una parte importante del conflitto, e se non si conoscono non si può comprendere ciò che sta accadendo. Questo è l’unico modo di mettere in prospettiva il comportamento di Putin e vedere i meccanismi che hanno causato la guerra. Non posso dire se Putin sia buono o cattivo, ma il giudizio che abbiamo di lui Occidente è chiaramente basato su falsi elementi.

 

ZiF: Cosa pensa della reazione della Svizzera in merito alla neutralità?
JB: E’ un disastro. La Russia ha elaborato una lista di 48 “Stati ostili” nella quale è compresa anche la Svizzera. E’ un vero e proprio cambio epocale, del quale però la stessa Svizzera è responsabile. La Svizzera è sempre stata “il personaggio di mezzo”. Abbiamo facilitato il dialogo con tutti gli Stati e abbiamo avuto il coraggio di restare sempre “neutrali”. Rispetto alle sanzioni c’è una situazione di isteria. La Russia è ben preparata di fronte a questa situazione: patirà, ma è ben preparata per affrontarne l’impatto. Tuttavia, il principio delle sanzioni è completamente sbagliato. Oggi le sanzioni hanno rimpiazzato la diplomazia. Lo abbiamo visto con il Venezuela, con Cuba, con l’Iraq, l’Iran, ecc. Questi Stati non hanno fatto altro che avere una politica non gradita agli USA. Questo, per loro, è stato un errore fatale. Quando vedo che gli atleti disabili sono stati sospesi dai Giochi Paraolimpici non ho parole. E’ assolutamente inopportuno. Colpisce persone singole, semplicemente è perverso. E’ tanto crudele come quando il Ministro degli Esteri francese afferma che il popolo russo deve subire le sanzioni. Chiunque lo sostenga, per me non è degno di rispetto. Non è sicuramente bene cominciare una guerra, ma reagire così è semplicemente vergognoso.

 

ZiF: Cosa pensa quando la gente scende in strada contro la guerra in Ucraina?
JB: Mi chiedo: cos’è che rende la guerra in Ucraina peggiore di quella contro l’Iraq, lo Yemen, la Siria o la Libia? In questi casi sappiamo che non ci sono state sanzioni contro l’aggressore, gli Stati Uniti. Chi sta manifestando per lo Yemen? Chi ha manifestato per la Libia, o per l’Afghanistan? Non sappiamo perché gli USA stavano in Afghanistan. So da fonti di intelligence che non fu accertato che l’Afghanistan o Osama bin Laden fossero coinvolti negli attacchi dell’11 settembre, ma in ogni caso andammo in guerra in Afghanistan.

 

ZiF: Perché?
JB: Il 12 settembre del 2001, proprio dopo gli attacchi terroristi, gli USA decisero di intraprendere rappresaglie e bombardarono l’Afghanistan. Il capo di Stato Maggiore della Forza Aerea degli Stati Uniti disse che in Afghanistan non c’erano abbastanza obiettivi, al che il Segretario della Difesa rispose: “Se non ci sono abbastanza obiettivi in Afghanistan, bombarderemo l’Iraq”. Ciò non è frutto di mia invenzione, ci sono fonti, documenti e persone che stavano lì. E’ la pura realtà, ma la propaganda e la manipolazione ci spingono continuamente verso il lato “giusto”.

 

ZiF: Dalle risposte che ha dato, lei ritiene che l’Occidente stia da tempo gettando benzina sul fuoco ai fini di provocare la Russia. Nonostante ciò, i nostri media raramente informano di queste provocazioni, e Putin è rappresentato come un bellicista ed un mostro...
JB: Mio nonno era francese, fu un soldato nella Prima Guerra Mondiale. Spesso mi raccontava di come era iniziata la guerra, che fu il risultato della stimolazione di un’isteria collettiva. L’isteria, la manipolazione e il comportamento irriflessivo dei politici occidentali assomigliano molto a ciò che accadde nel 1914, e questo mi preoccupa molto. Quando vedo come il nostro paese neutrale non sia più capace di prendere una posizione indipendente dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, mi vergogno. Abbiamo bisogno di mantenere la lucidità e la razionalità, e di conoscere i fatti che stanno dietro la cortina dei media.   

 

Fuente: observatoriocrisis.com  7 aprile 2022

Da Resumen Latinoamericano.

Traduzione di Patrizia B. per CIVG.IT