Pfas, l’Onu chiede all’Italia limiti nazionali. Il Piemonte rischia come il Veneto.

L’inviato speciale delle Nazioni Unite denuncia: “Le autorità sapevano e non hanno informato la popolazione”. Intanto, si cerca di regolamentare l’utilizzo delle sostanze chimiche. Per le associazioni è già un successo

 


L’Italia dovrebbe adottare una regolamentazione nazionale sui limiti per gli Pfas, le sostanze perfluoroalchimiche che stanno avvelenando il Veneto e per cui è in corso uno dei più grandi processi ambientali della storia italiana. È questo l’invito di Marcos A. Orellana, l’esperto di diritto ambientale che con tre collaboratori nei giorni scorsi ha ispezionato la zona dei veleni per conto dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite (Ohchr). Il relatore speciale Onu ha parlato a Roma alla fine di una visita che l’ha portato, oltre che nelle province contaminate del Veneto, anche nella Terra dei fuochi campana e a Taranto. Il rapporto con le informazioni raccolte in questi giorni verrà presentato alla 51esima sessione del Consiglio dei diritti umani nel settembre 2022. Ne usciranno altre raccomandazioni sui Pfas, proprio a partire dal caso italiano.

Orellana nella sua dichiarazione preliminare si è detto “seriamente preoccupato” dell’entità dell’inquinamento in Veneto che ha potenzialmente interessato più di 300mila persone esposte alle sostanze perfluoroalchiliche. “I residenti nella zona hanno sofferto di gravi problemi di salute, come infertilità, aborti e diverse forme di tumori” ha ricordato Orellana. “Alcuni sono venuti a conoscenza del problema della contaminazione tossica tra il 2016 e il 2017” quando la Regione ha iniziato il piano di monitoraggio per gli abitanti della zona rossa. Le autorità, che sapevano dell’inquinamento dal 2013, non hanno subito informato la popolazione delle aree più colpite del pericolo.

Dal 2013 al 2017, anno in cui sono stati introdotti i filtri in carbonio agli acquedotti, un numero non quantificabile di persone ha ingerito acqua contaminata, come hanno denunciato più volte i comitati locali. “Non avere informato ha significato che le persone non hanno potuto proteggersi perché tenute all’oscuro”. Secondo Orellana, tutt’oggi le istituzioni venete stanno operando in modo carente sia per quanto riguarda il monitoraggio degli Pfas nei cibi, sia per l’accesso di chi non vive in zona rossa agli screening per controllare il proprio livello di sostanze nel sangue.

Non solo Veneto, “è ora di risolvere il problema alla radice”.

Orellana ha assicurato che seguirà lo svolgimento del processo che si sta celebrando a Vicenza nei confronti di 15 manager di Miteni, Mitsubishi e Icig, gli ultimi proprietari dell’azienda. Il relatore dell’Ohchr si augura che, nel caso di condanna, l’Italia possa rivalersi con chi ha inquinato per assicurare alle vittime un risarcimento.

Il funzionario ha ricordato inoltre che il problema della contaminazione da Pfas non riguarda solo Miteni e non è limitata al Veneto, ma a tutte le aziende che usano queste sostanze chimiche nei loro processi produttivi scaricando acqua contaminate. Desta particolare preoccupazione la produzione di Pfas di nuova generazione da parte della Solvay di Spinetta Marengo, che potrebbe portare a un disastro ambientale simile a quello Veneto. Sono queste le ragioni per cui è stato chiesto all’Italia di ratificare la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti e di agire per risolvere il problema alla radice.

L’esperto ha spiegato che non esistono informazioni su una soglia sicura per gli Pfas, e secondo il principio di prevenzione l’Unione europea e l’Italia dovrebbero restringere il loro uso a quando è strettamente necessario. Se l’Ue sta muovendo i primissimi passi su una discussione di questo tipo, per Orellana, l’Italia può già lavorare a livello nazionale per proteggere la propria popolazione imponendo dei limiti agli scarichi. Nel caso Pfas, come negli altri esempi di inquinamento industriale, la delegazione ha raccomandato alle autorità di garantire che “le industrie utilizzino tecnologie e metodi di produzione che non danneggino la salute dei residenti”.

“Questa presa di posizione è un fatto importante e dirimente”, commenta soddisfatto Alberto Peruffo, attivista e portavoce del collettivo Pfas.Land che, insieme alle Mamme No Pfas, ha inviato la lettera all’Onu per reclamare i diritti negati dalle comunità venete e ha poi coordinato la visita di Orellana. Se questa dichiarazione è importante, lo sarà “ancora di più quando verrà presentato il report a Ginevra: tutti dovranno fare un passo avanti su queste sostanze chimiche, non solo le istituzioni ma anche il mondo industriale” si augura Peruffo.

Durante la sua permanenza in Veneto Orellana ha visitato l’ex sito di Miteni, fonte della più grave contaminazione europea, per poi recarsi in altri luoghi simbolo dell’inquinamento insieme ai rappresentanti dei movimenti e delle associazioni locali. La delegazione si è recata all’ospedale di Montecchio Maggiore, sede di uno dei maggiori centri per la cura del cancro al seno in Italia, e in alcuni tra i luoghi più contaminati come Arzignano e Lonigo, oltre al collettore Arica di Cologna Veneta. La delegazione “ha attraversato fisicamente i territori feriti stando a contatto con la gente e toccando con mano l’impatto dell’inquinamento sulla popolazione”, spiega Peruffo. Per chi si batte da anni, è già stato un successo.

Tommaso MeoGiornalista freelance

Fonte: http://www.numeripari.org