SOS DONBASS – La nostra solidarietà concreta continua - Dicembre 2021

Nonostante tutto…

Nonostante le enormi e sempre più grandi difficoltà, grazie al sostegno di quelle persone che ci aiutano a NON LASCIARLI SOLI e ad aiutarli a RESISTERE, siamo riusciti a mandare un piccolo contributo per l’operazione di Olga “Fox” di Donetsk.

Questa è l’intervista e la storia di questa straordinaria donna e patriota e del Donbass, curata da Irina dell’Associazione Speranza, promotrice dell’aiuto

Grazie a tutti coloro che, nonostante questi tempi di pandemia,  ci aiutano ad aiutarli e a non lasciarli soli.

SOS DONBASS Italia

Chi è Olga “Fox” della Repubblica Popolare Donetsk

Dopo tutto, moriremo tutti un giorno, solo alcuni come un cane sotto un recinto e alcuni difendendo la loro patria” (Olga, “Fox”).

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Una donna fragile e dai capelli rossi brillanti maneggia abilmente una pesante macchina corazzata, senza alcun senso di inferiorità verso gli uomini. Olga, nome di battaglia “Fox”, è un artigliere di carro armato, tenente delle guardie dell’esercito DNR, comandante del  2° plotone “femminile”, 3° compagnia di carri armati dell’11°IRSP. Premiata con l’Ordine del “Generale dell’Esercito Margelov” della RPD, numero di riconoscimento 2820.
Prima della guerra, lei, nativa del Donbass, era un’insegnante di lingua e letteratura ucraina. Si può pensare a una professione più pacifica? Chi avrebbe saputo, che presto l’insegnante avrebbe indossato una mimetica invece di un vestito rigoroso e avrebbe preso un’arma invece di una penna. E si sarebbe messa di fronte a quelli, la lingua dei quali, aveva recentemente insegnato. Ma quando è scoppiata la guerra nel Donbass, Olga ha seguito gli eventi fin dall’inizio e ha capito molto rapidamente cosa stava succedendo e dove stavano andando le cose. E insieme alla prima milizia, si mise a difendere la sua terra. Come dice lei, non c’era più la condizione per sedersi e aspettare. In effetti, questo argomento viene fuori in molte altre conversazioni con coloro che ora stanno combattendo nel Donbass.
Per Olga la guerra è iniziata il 27 maggio 2014, dopo la presa dell’aeroporto di Donetsk. I primi partecipanti a questa guerra si sono riuniti nell’edificio dell’OGA, la Casa del Governo. Lì fu organizzato un coordinamento e si contraddistinsero i primi leader della resistenza. Inoltre divenne la loro base, potevano mangiare e dormire lì, cosa non indifferente in quel momento. Non tutti capivano cosa stava succedendo, ma era chiaro anche a coloro che avevano sentito la parola ‘politica’ solo nei film, che non era una cosa buona.

-        Buongiorno Olga, come sta? Può dirci come è iniziato il suo percorso militare?

–  Buon pomeriggio. Grazie, me la cavo. Sapevo cosa stava succedendo già  dall’autunno del 2013. Mi sono sempre tenuta aggiornata sulla politica e ho valutato la situazione. Quindi ero già lì da quasi subito. Nei primi giorni guardavo solo cosa succedeva, lo faccio sempre. Dopo uno sguardo più attento, ho iniziato ad agire. Naturalmente, come sempre, all’inizio degli eventi c’era il caos. E qualcuno doveva prendere l’iniziativa personalmente in alcune situazioni, prendere una decisione e agire. Così gli altri hanno notato alcune mie azioni e così sono rimasta coinvolta all’epicentro degli eventi. All’inizio rispondevo ai telefoni. La comunicazione in queste situazioni è una delle cose più importanti. Più tardi, quando il comando mi ha osservato da vicino, ho cominciato a imparare le basi delle questioni militari. Naturalmente, nessuno mi ha permesso di andare in combattimento, ma essendo in disparte, mi rendevo utile. Solo quando sei dentro tutto quello che  sta succedendo, cominci a capire quanto sia difficile per i ragazzi in prima linea, quello che vivono e quello che fanno. Ripensi a tutte le tue azioni, decisioni e desideri. Fu lì, in quei primi giorni, che incontrai Mikhail, Akhra e Arsen.

 

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-        Come ha reagito la tua famiglia alla tua scelta?

 -  Ho nascosto alla mia famiglia la partenza per la guerra per molto tempo. E poi me la sono cavata con racconti al telefono, anche se a quel punto ero già in campo. L’inganno è stato scoperto dopo un programma televisivo in cui mi hanno mostrato mentre scappavo dai bombardamenti all’aeroporto insieme a Givi. Mia madre si è sentita male, le è stata chiamata l’ambulanza e non mi ha parlato per molto tempo dopo. Ma mio padre e mio figlio erano orgogliosi di me fin dall’inizio. Il ragazzo era ansioso di andare in prima linea e non l’ho fermato, ma ho cercato di sostenere il suo desiderio in modo tranquillo e sorvegliato. Ora mio figlio studia in una scuola superiore per una formazione militare avanzata, e vuole diventare un ufficiale. Proprio come sua madre.

 

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-        Come mai i carri armati?

- Prima sono stata nel battaglione di fanteria motorizzata, poi ho avuto l’incarico di un vice ufficiale politico, e dopo ancora quello del vice capo di stato maggiore. E sei mesi dopo, nel novembre 2014, gli uomini del battaglione mi hanno letteralmente cacciato dalla prima linea. Hanno detto che con il mio cervello dovevo fare il ministro e indossare i tacchi invece degli stivali. Naturalmente, mi sono offesa per questa discriminazione e sono entrata al Ministero degli Esteri come capo del Dipartimento Visite e Delegazioni. Da dicembre 2014 a primavera 2016, sono venuta al fronte ufficialmente, proprio con i tacchi e una scorta.
In quei giorni sono diventata amica di Givi e Motorola. Come tutti quelli che hanno interagito con loro, ne ho apprezzato il carattere, la natura, il talento di comando, il calore umano e la capacità di entrambi i comandanti di proteggere e prendersi cura di coloro che li circondano.
È stata questa amicizia che mi ha portato ad essere oggi un artigliere di carri armati. Dopo una conversazione con loro ho voluto guardare le truppe carriste attraverso gli occhi di Givi. Poi, quando il reggimento ha annunciato il reclutamento di un equipaggio femminile per partecipare alla guida dei carri armati, ho pensato che fosse un destino. E non c’era molta scelta: nel battaglione, senza contare i cuochi, ero l’unica donna, ed ero ansiosa di mostrare al personale con il mio esempio, che non è mai tardi a studiare e che non c’è nessuna vergogna ad imparare qualcosa di nuovo.
La reazione di Givi è stata molteplice. Esplosivo, impulsivo com’era lui, si mise a gridare  forte e a lungo, che non dovevo. Dio sa come non mi ha ucciso proprio vicino al tank!

 

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E in una conversazione personale, Olga non dà molti dettagli sulla vita quotidiana in prima linea. Questo è un comportamento normale per chi è in guerra. Ma parla con orgoglio del suo carro armato e del suo equipaggio. Ed è pronta a parlare per ore del biathlon carrista. Ovviamente, ci vuole tempo per abituarsi all’attrezzatura del carro, per capire cosa spingere e come funziona, per adattare la plastica del corpo al suo interno. Le ragazze dell’equipaggio andavano in giro multicolori a causa dei lividi e abrasioni viola – blu, con le ginocchia fasciate e in graffi: all’inizio per inesperienza facevano un sacco di movimenti inutili, e il risultato era evidente, per essere precisi, sul corpo. Ma non ci siamo arresi, con gli occhi ardenti di entusiasmo, continuando ad imparare la novità. I ragazzi si sono scherniti, come spesso fanno quando le donne ficcano il naso in cose che sono state etichettate come “affari da uomini”. Di fronte a queste provocazioni, le ragazze carriste appena coniate si astenevano semplicemente.
Sembrerebbe, a cosa serve creare un equipaggio femminile di carri armati? Mica non ci sono abbastanza uomini per operare con macchinari pesanti? Naturalmente, non possiamo conoscere le intenzioni di chi ha avuto quest’idea. Ma l’effetto è stato raggiunto: l’ego maschile è stato ferito, l’interesse per il servizio militare e i carri armati in particolare è stato acceso. Ed è vero: com’è possibile che le ragazze fragili e piccoline possano gestire un carro armato, ma gli uomini no? Forse era questa l’idea?
A proposito, in quello storico biathlon su carro armato le ragazze hanno strafatto:
– Abbiamo fatto meglio del secondo equipaggio, che era composto da ragazzi. E in termini di tempo eravamo distanti 15 o 20 secondi, anche se i ragazzi avevano partecipato al biathlon l’anno prima e si erano classificati secondi.
Alla domanda se ha paura di essere in combattimento, Olga risponde ridendo che semplicemente non ha tempo per esserlo. L’adrenalina scorre nel suo cervello, l’ordine del comandante manda tutta questa energia al posto giusto così come la paura e il disagio.
Per i programmi “Dopo la guerra”, per superstizione, o, forse per esperienza, non si parla: infatti, nemmeno progettavano di andare in guerra, ma è andata così ed è andata bene (da interior.ru-best.com)

 

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Olga oggi ha bisogno di un’operazione urgente al ginocchio. Qui sopra c’è un estratto della sua cartella clinica. Su richiesta, possiamo fornirla per intero. Puoi aiutarla versando un importo libero sul conto della nostra Associazione, segnando “Per Olga” come causale.

Asociazione  Speranza

 Per INFO o contatti:    info@civg.it  – sosyugoslavia@libero.it