Libertà è partecipazione ( ? )
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- Scritto da Piotr
23 ottobre 2021
“No, perché non è mica facile non andare a votare. Soprattutto non è bello
farlo così, a cuor leggero, o addirittura farsene un vanto. C’è dentro il disagio
di non appartenere più a niente, di essere diventati totalmente impotenti”,
Giorgio Gaber e Sandro Luporini, “Il signor G”.
Giorgio Gaber, come Sandro Luporini, su molte cose aveva la vista lunga,
come succede spesso agli artisti ma come succede raramente, sempre più
raramente, ai politici.
Chi oggi vince, vince col venti per cento degli aventi diritto al voto. È così. E
non è una cosa positiva. C'è chi cinicamente se ne frega e si attacca alla forma
per fare tranquillamente i comodi suoi, e chi, invece, crede veramente di
avere in tasca una maggioranza. Pochissimi riflettono in modo strutturale su
cosa sta succedendo.
Perché la gente non vota? Per dirla in termini molto concisi, perché sa, o
sente, intuisce, che ormai vige una forma di neo signoria, di neo oligarchia
repubblicana, in cui i partiti sono solo associazioni di podestà, di loro servitori
e di loro attendenti, sottoposti a signori che vivono protetti in palazzi
inavvicinabili (la crisi attuale, tra terremoti economici e finanziari,
sconvolgimenti sociali, guerre mondiali ed epidemie, mi ricorda ogni giorno di
più quella europea del XIV secolo).
È un fenomeno che era stato descritto già alcuni anni fa da studiosi della
democrazia del calibro di Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky.
Qualche commentatore particolarmente stupido ha detto che questa è una
“fake news”. Capite? Non una tesi storica e politica da confutare, ma una
“news” e per giunta “fake”.
Questa fake news era stata confermata da Padoa-Schioppa quando senza peli
sulla lingua nel 1999 disse, compiaciuto, in un'intervista a Commentaire, che
l'Europa non praticava la democrazia ma un «dispotismo illuminato» (il
virgolettato è letterale). Concetto anticipato da Monti l'anno precedente in
un'intervista a Federico Rampini, quando affermò che le istituzioni della UE
possono prendere decisioni impopolari (probabilmente per ricondurre
pappemolli viziate dal welfare e dai diritti sul lavoro alla «durezza del vivere»
- sempre Padoa-Schioppa), dato che sono «più lontane, più al riparo, dal
processo elettorale». E così non devono rendere conto a nessuno (a parte chi
possiede veramente le leve del potere, è intuitivo).
E quindi perché la gente dovrebbe andare a votare? Per un sindaco che
dipende da un governo che dipende da un despota illuminato al riparo dalla
volontà popolare? Al di là delle personali simpatie o antipatie di pelle, sembra
del tutto inutile: chi decide in ultima istanza non tiene in nessun conto la
volontà del “popolo sovrano”. E lo fa programmaticamente.
***
Padoa-Schioppa, Monti, così come Juncker o Kohl (che hanno affermato cose
simili), dicono pane al pane e vino al vino. Hanno tutti i difetti del mondo ma
non sono, o erano, millantatori né ciarlatani.
Rendiamocene conto (anche noi come loro) una volta per tutte: la democrazia
che abbiamo conosciuto fino a ieri, non esiste più. I processi democratici sono
un ricordo, e nella misura in cui qualcuno di essi non lo è ancora, è
considerato un fastidio.
Può dispiacere - e a me dispiace - ma non deve sorprendere. La democrazia
che abbiamo conosciuto nel mondo occidentale è un prodotto storico, non un
regalo celeste e immortale. È figlia delle lotte prima della proto borghesia
contro l'Ancien Régime, poi della borghesia e del primo proletariato insieme,
contro le restaurazioni e infine del proletariato contro la borghesia.
Questa lunga stagione di lotte successive, suggellate in Europa da quella al
nazifascismo, è finita. Per sempre? Chi lo sa. Oggi è così. Dopo duecento anni,
complice la finanziarizzazione che è figlia della lunghissima crisi sistemica che
stiamo vivendo, sta accadendo una cosa nuova, diversa, rispetto a ciò che
abbiamo vissuto. Qualcosa che spiazza. Inizialmente era difficile da leggere,
ma ormai è sempre più chiara. Proletariato e borghesia come classi con un
loro progetto specifico, una loro visione del mondo specifica e con loro valori
specifici (spesso conflittualmente condivisi, come il lavoro e la sua etica), in
Occidente non esistono più. Esiste un nuovo Secondo Stato, forse un Primo
Stato e infine un nuovo ampio Terzo Stato, composito, disomogeneo e che fa
riferimento a culture politiche diverse, alcune storiche, altre in confusa
gestazione – e alcune non vedranno mai la luce (la disorganicità delle lotte
contro il green pass obbligatorio lo dimostra palmarmente).
Tutto il succo (e la fortuna) dei tormentoni “non ci sono più destra e sinistra”
e “né di destra né di sinistra” e delle loro declinazioni e varianti, sta qui.
Questa è la sua materialità storica.
***
Se si vuole ricostruire la democrazia, occorre partire da questa
consapevolezza. Lo stesso per i diritti umani e per gli ideali che ci hanno
accompagnato nella vita: Liberté, Égalité, Fraternité.
Se non lo facciamo ci limiteremo a estenuanti bla bla sulla destra e sulla
sinistra, sul fascismo e sull'antifascismo, biascicando formule, parole d'ordine
e slogan come reduci decrepiti, per il divertimento compassionevole di chi
detiene il potere reale, non vuole intralci di alcun tipo, non vuole che il
“popolo sovrano” decida su niente che conti per davvero, cosa che, dopo il
referendum vincente sulla Brexit, Mario Monti ha teorizzato apertamente (far
votare è stato, da parte di Cameron, “un abuso della democrazia”), seguito da
Giorgio Napolitano (“incauto proporre questo referendum”) - della serie:
quando la sicurezza arrogante unita allo shock rivela trucchi che invece
devono rimanere segreti.
Ciò che rimane in bella vista è un «finto potere che il potere reale lascia
ancora in concessione ai suoi difensori e ai suoi avversari, perché vi
smaltiscano, accademicamente, i vecchi sentimenti» (Pasolini). Così la politica
diventa un palcoscenico per «banali rappresentazioni, nelle quali tutte le
ambizioni umane intessono la loro menzogna» mentre «sullo sfondo
giganteggia la maschera sghignazzante della realtà» (Gramsci).
***
Il governo Draghi andrà imperterrito avanti col suo programma secondo le
tre linee guida seguite da decenni dalla monotona strategia anti-crisi: a)
Privatizzare il dominio pubblico – industria e servizi – per farvi investire
almeno una parte della massa di capitali sovraccumulati che rischiano di
svalutarsi o di aggiungersi al gioco finanziario della valorizzazione fittizia. b)
Aumentare il tasso di sfruttamento, sperando così di incentivare investimenti
e di ridurre la distanza – in realtà incolmabile – tra l'economia reale e
l'economia fittizia (cioè il prodotto della finanziarizzazione). c) Immettere nei
circuiti finanziari quanta più ricchezza reale possibile, per sostenere in
qualche misura i giochi della finanza casinò (misura comunque modesta data
la massa impressionante di capitali fittizi in gioco).
Già in vista ci sono miliardi di tagli alla sanità pubblica, alla faccia di tutti i
discorsi, i mea culpa e i peana elevati in questi due anni di pandemia. Più in là
si prospetta un prelievo sul patrimonio immobiliare degli Italiani (e non ci si
illuda: non seguirà criteri di equità e proporzionalità). Lo vuole espressamente
l'Europa.
Come compenso verranno elargiti sussidi: il liberismo li contempla, purché sia
lasciato libero di agire. Li contemplavano anche tutti i regnanti inglesi, da
Elisabetta I in poi. Nella loro forma classica moderna presero il nome di “sistema di
Speenhamland” (su Wikipedia ne trovate una sommaria descrizione, mentre
un'analisi raffinata e approfondita si trova in “La grande trasformazione” di
Karl Polanyi).
La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può
nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.
(Antonio Gramsci, Quaderni del carcere).