Notiziario Patria Grande - Maggio 2021

NOTIZIARIO

 

 

MAGGIO 2021

 

 

 

 

REBELION / PERU’ / ESITO DELLE ELEZIONI

La vittoria di Castillo è un terremoto politico

 

TELESUR / COLOMBIA / CRISI POLITICA

Colombia. La riforma fiscale è stata l'ultima goccia

 

RT ESPANOL / CILE / VERSO LA COSTITUENTE

Cile, verso una Costituente a maggioranza progressista: la mobilitazione popolare che ha cambiato la storia

 

TELESUR / LATINOAMERICA / NICARAGUA

Washington: nuovo tentativo di rovesciare il governo nicaraguense

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / NUOVA GUERRA FREDDA

Il ritorno della Guerra Fredda?

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / GLI EFFETTI DEL BLOCCO

Le banche svizzere bloccano le transazioni appena vedono “Cuba”

 

GRANMA (CUBA) / INTERNI / SMART WORKING A CUBA

Lavoro  a distanza e telelavoro: garanzie, sfide e opportunità

 

REBELION / PERU’ / ESITO DELLE ELEZIONI

La vittoria di Castillo è un terremoto politico

 

La vittoria di Pedro Castillo alle elezioni presidenziali peruviane è un grande terremoto politico che riflette l'enorme polarizzazione sociale e politica del Paese andino. La classe dirigente ha subìto una massiccia sconfitta per mano dell'insegnante, militante sindacalista a capo del partito Peru Libre, che si autodefinisce marxista, leninista e mariateguista.
Il conteggio è stato un processo lento e doloroso, e l'esito decisivo non è stato chiaro fino alla fine, tre giorni dopo la chiusura delle urne avvenuta il 6 giugno. Nel momento in cui scriviamo, con il 99,79% dei voti scrutinati, Pedro Castillo ha 8.735.448 voti (50,20%) e un piccolo ma irreversibile vantaggio sul suo rivale, la populista di destra Keiko Fujimori, che ha ottenuto 8.663.684 voti (49.79%).

Al momento i risultati ufficiali non sono ancora stati annunciati. La squadra di Fujimori accusa di frode e sta preparando dozzine di ricorsi. Le masse sono pronte a difendere il voto nelle strade. Ci sono notizie che 20.000 ronderos (membri delle milizie di autodifesa contadina create durante la guerra civile negli anni '90, di cui Castillo è membro) si stanno spostando nella capitale per difendere la volontà del popolo. Oggi, 9 giugno, è stata convocata una grande manifestazione a Lima, dove la gente si è radunata per tre notti di fila davanti al seggio elettorale di Castillo.
È stata l'estrema frammentazione del voto al primo turno che ha permesso a Castillo di passare al secondo turno con appena il 19%. Tuttavia, il suo successo elettorale non è casuale, ma espressione della profonda crisi del regime peruviano. Decenni di politiche di privatizzazioni e liberalizzazioni contro la classe operaia in un paese estremamente ricco di risorse minerarie hanno sedimentato una  democrazia borghese basata su un'estrema disparità di ricchezza e una diffusa corruzione.

Cinque ex presidenti sono in carcere o accusati di corruzione. Tutte le istituzioni della democrazia borghese sono molto screditate. Le manifestazioni di massa del novembre 2020 sono state un'espressione della profonda rabbia accumulata nella società peruviana. A questo si deve aggiungere l'impatto della pandemia e della crisi capitalista. Il Paese ha subìto una delle peggiori contrazioni economiche dell'America Latina con un calo dell'11% del PIL, e ha registrato la peggiore percentuale di morti e il peggior tasso di mortalità al mondo, mentre i ricchi e i politici del governo si sono fatti vaccinare prima di chiunque altro.

Un voto per un cambio radicale

Le masse operaie e contadine volevano un cambiamento radicale ed è proprio questo che Pedro Castillo rappresenta ai loro occhi. La sua campagna ha avuto due principali assi politici: la rinegoziazione dei contratti con le multinazionali minerarie (se si rifiutano potrebbero essere nazionalizzate) e la convocazione di un'Assemblea Costituente per porre fine alla costituzione del 1993 redatta durante la dittatura di Fujimori (il padre della candidata Keiko).
I suoi principali slogan elettorali: "Basta poveri in un paese ricco" e "Parola di maestro" risuonavano tra gli oppressi, i lavoratori, i poveri, i contadini, gli indigeni Quechua e Aymara, in particolare nella classe operaia e nei poveri lontani dai circoli dell'alta borghesia dalla pelle chiara di Lima.
L'autorevolezza di Castillo viene dall'aver sfidato la burocrazia sindacale nello sciopero degli insegnanti del 2017. Per gli operai e i contadini, è uno di loro. Un umile insegnante di campagna con radici contadine che ha promesso di vivere dello suo stipendio di maestro anche quando diventerà presidente. Il suo fascino è proprio quello di essere un antisistema per la sinistra. La sua popolarità rivela un profondo discredito della democrazia borghese e di tutti i partiti politici, compresi i principali partiti di sinistra.

Sebbene Keiko Fujimori non fosse il candidato preferito, l'intera classe dirigente peruviana ha chiuso i ranghi dietro di lei al secondo turno. La sua campagna è stata brutale. I manifesti a Lima proclamavano "Il comunismo è povertà" e minacciavano le sette piaghe se Castillo avesse vinto le elezioni, lo accusavano di essere "il candidato del violento Sentiero Luminoso". Il premio Nobel Vargas Llosa, che in passato si è opposto al governo di Alberto Fujimori da un punto di vista borghese liberale, ha scritto infuocate articolesse sostenendo che una vittoria di Castillo avrebbe comportato la fine della democrazia.
Nonostante tutto ciò, o forse proprio per l'odio che ha suscitato nella classe dirigente, Castillo ha iniziato la seconda tornata con sondaggi che lo davano con 20 punti di vantaggio sul rivale, un vantaggio che poi è diminuito con l'avvicinarsi del giorno delle elezioni, in parte perché la campagna di odio ha spinto gli elettori esitanti verso Keiko Fujimori, ma in parte anche perché Castillo ha sembrato voler ridimensionare il messaggio e le promesse elettorali.

Sebbene al primo turno avesse promesso di convocare a tutti i costi un'Assemblea Costituente, poi ha detto che avrebbe rispettato la Costituzione del 1993 e chiesto al Congresso (dove non ha la maggioranza) di indire un referendum per decidere se convocare una Costituente. Mentre al primo turno aveva detto che avrebbe nazionalizzato le miniere, poi ha sottolineato che cercherà prima di rinegoziare i contratti. Più andava avanti, più il suo vantaggio si riduceva, al punto che il giorno delle elezioni la sua vittoria non era più scontata.
Contraddizioni di classe
Tuttavia, la vittoria di misura rivela la netta polarizzazione di classe del paese. Fujimori ha vinto a Lima (65 a 34) e anche lì i suoi risultati migliori sono nei distretti più ricchi: San Isidro (88%), Miraflores (84%) e Surco (82%). Castillo ha vinto in 17 dei 25 dipartimenti del paese, con vittorie massicce nelle regioni più povere del sud e delle Ande: Ayacucho 82%, Huancavelica 85%, Puno 89%, Cusco 83%. Ha vinto anche nella sua nativa Cajamarca (71%), una regione dove ci sono state massicce proteste contro l'estrazione mineraria.

Negli ultimi giorni della campagna, Keiko Fujimori, in classico stile populista, ha promesso trasferimenti diretti di denaro dai pagamenti delle compagnie minerarie alla popolazione delle città in cui si trovano le miniere, un tentativo di allontanare gli elettori dalla proposta di Castillo di modificare i contratti a beneficio dell'intera città. Gli elettori hanno eletto Castillo in massa in tutte le città minerarie: a Chumbivilcas (Cusco), 96%; Cotabambas (Apurímac), base della miniera cinese MMG Las Bambas, oltre il 91%; Espinar (Cusco), dove opera Glencore, più del 92%; Huari (Áncash) dove c'è una miniera congiunta BHP Billiton - Glencore, oltre l'80%.

Le masse di operai e contadini che sostengono Castillo erano pronte a scendere in piazza per difendere la sua vittoria, mentre Fujimori gridava alla frode e si appellava ai risultati. Nei giorni che hanno preceduto le elezioni e subito dopo, si è diffusa la voce di un golpe militare. I principali sostenitori di Fujimori hanno chiesto all'esercito di intervenire per impedire a Castillo di prendere il potere.
Non c'è dubbio che una parte della classe dirigente in Perù è nel panico e ha usato tutti i mezzi a sua disposizione per impedire a Castillo di vincere le elezioni. Lo vedono come una minaccia al loro potere, ai loro privilegi e al modo in cui hanno governato il paese dall’indipendenza di 200 anni fa. Finora sembra che abbiano prevalso gli elementi più prudenti della classe dirigente. Un editoriale del principale quotidiano borghese La República ha descritto Fujimori come irresponsabile per aver gridato alla frode. “Facciamo appello alla leadership ragionevole e premurosa dei leader politici e delle autorità. Bisogna tranquillizzare le piazze del Paese che ribollono di sfiducia e stanchezza”. Questo è ciò che li preoccupa. Qualsiasi tentativo di rubare le elezioni a Castillo riporterebbe in piazza le masse di operai e contadini, radicalizzandole ancora di più.

Tutto questo dà un'idea di ciò che Castillo dovrà affrontare una volta assunta la carica. La classe dirigente e l'imperialismo ricorreranno a tutti i mezzi necessari per impedirgli di governare davvero. Abbiamo visto lo stesso copione in passato contro Chávez in Venezuela. Membri di spicco dell'opposizione golpista venezuelana erano a Lima per sostenere Fujimori prima delle elezioni e non è una coincidenza. Useranno il Congresso e le altre istituzioni borghesi, i media, l'apparato statale (fino all'esercito) e il sabotaggio economico per limitare la capacità di mettere in atto le loro politiche.
Difendi la vittoria: preparati alla battaglia

Il programma di Castillo, nonostante i riferimenti a Marx, Lenin e Mariátegui nei documenti di Perú Libre, è di sviluppo capitalista nazionale. Propone di utilizzare la ricchezza mineraria del paese per programmi sociali (principalmente l’istruzione) e lavorare con "imprenditori nazionali produttivi" per "sviluppare l'economia". I suoi modelli sono l’ecuadoriano Correa dall'Ecuador e il boliviano Morales.
Il problema è che di capitalisti "produttivi nazionali" responsabili non ne esistono. La classe dirigente peruviana, i banchieri, i proprietari terrieri, i capitalisti, sono strettamente legati agli interessi delle multinazionali e dell'imperialismo. Non sono interessati ad alcuno "sviluppo nazionale", ma al proprio arricchimento.
Castillo dovrà ora affrontare un dilemma. Da un lato, potrà governare a favore delle masse operaie e contadine che lo hanno eletto, che significherebbe una rottura radicale con i capitalisti e le multinazionali, ma potrà farlo solo affidandosi alla mobilitazione di massa extraparlamentare. Oppure potrà cedere, ammorbidire il suo programma e adeguarsi agli interessi della classe dirigente, che significa che sarà screditato tra coloro che lo hanno votato, e preparerà la sua stessa rovina. Se cercherà di servire contemporaneamente due padroni (operai e capitalisti), non farà piacere a nessuno dei due.

Nel tentativo di rassicurare "i mercati" - nervosi durante lo scrutinio - la squadra di Castillo ha rilasciato una dichiarazione che vale la pena citare: "In un eventuale governo del professor Pedro Castillo Terrones, candidato alla presidenza di Peru Libre, rispetteremo l'autonomia del Banco Central de Reserva, che ha fatto un buon lavoro mantenendo bassa l'inflazione per più di due decenni. Ribadiamo che non abbiamo considerato nel nostro piano economico nazionalizzazioni, espropri, confische di risparmi, controlli sui cambi, controlli sui prezzi o divieti di importazione. L'economia popolare con i mercati che sosteniamo promuove la crescita delle aziende e delle imprese, in particolare l'agricoltura e le PMI, al fine di generare più posti di lavoro e migliori opportunità economiche per tutti i peruviani. Manterremo un dialogo aperto e ampio con i vari settori delle imprese e degli imprenditori onesti, il cui ruolo nell'industrializzazione e nello sviluppo produttivo è fondamentale. Garantire il diritto alla salute e all'istruzione per tutti richiede l'aumento della qualità della spesa sociale, che dovrebbe basarsi su riforme fiscali per l'estrazione mineraria mirata ad aumentare la raccolta di risorse nel quadro di una politica di sostenibilità fiscale, con una graduale riduzione del deficit pubblico e nel rispetto di tutti gli impegni a pagare il debito pubblico peruviano”.
Lo stesso Castillo ha dichiarato: “Ho appena avuto colloqui con la comunità imprenditoriale nazionale, la quale sta mostrando sostegno al popolo. Creeremo un governo rispettoso della democrazia, dell'attuale Costituzione. Costruiremo un governo con stabilità finanziaria ed economica”. Tutta l'esperienza mostra che ciò che la classe dirigente descrive come "stabilità finanziaria ed economica" significa in realtà far pagare ai lavoratori e ai poveri la crisi del loro sistema garantendo le migliori condizioni possibili per la realizzazione dei profitti capitalistici. Il pagamento del debito è in diretta contraddizione con l'applicazione di una politica di spesa sociale. A tutto questo Castillo dovrebbe opporre gli interessi generali degli operai e dei contadini. Non c'è una via di mezzo.

Per ora le masse peruviane festeggiano e restano in guardia per difendere la loro vittoria. La lotta è appena iniziata. Ogni passo avanti di Castillo deve essere sostenuto. Le sue esitazioni o battute d'arresto devono essere criticate. Gli operai e i contadini possono contare solo sulle proprie forze e devono mobilitarsi per colpire l'oligarchia.
Mariátegui, nella conclusione del suo “Punto di vista antimperialista”, la tesi che presentò alla Conferenza Latinoamericana dei Partiti Comunisti nel 1929, diceva: “In conclusione, noi siamo antimperialisti perché siamo marxisti, perché siamo siamo rivoluzionari, perché opponiamo al capitalismo il socialismo come sistema antagonista, chiamato a succedergli perché nella lotta contro l'imperialismo straniero adempiamo ai nostri doveri di solidarietà con le masse rivoluzionarie d'Europa”. Il suo punto di vista è più attuale che mai.

Jorge Martín, 10 giugno 2021

Fonte: https://rebelion.org/la-victoria-de-castillo-un-terremoto-politico/




TELESUR / COLOMBIA / CRISI POLITICA

Colombia. La riforma fiscale è stata l'ultima goccia

La riforma fiscale del governo di Iván Duque e il ministro delle finanze, il suo ideologo, sono ormai un ricordo del passato, ma lo sciopero nazionale continua con un livello di violenza così eccessivo da parte delle forze dell’ordine, che sorprende e allarma il mondo, ma non la Colombia.
Sebbene non esista più, la riforma fiscale è stata la classica goccia che ha fatto trabozzare il vaso. Detto alla maniera colombiana, è stato “il vaso di Llorente” che ha scatenato l'indignazione collettiva nazionale. Ma qual era il suo contenuto per aver causato una reazione così rabbiosa?

La riforma imponeva una tassa del 19%, l’equivalente dell’IVA, sui prodotti alimentari di base come il caffè e lo zucchero, la benzina e il biodiesel, e poi sulle pensioni e sui servizi pubblici che si abbatteva sugli strati intermedi.
Il piano del governo era coprire un enorme divario fiscale effetto di un enorme debito estero, della corruzione, della burocrazia e del salvataggio delle banche durante la pandemia. Era un piano aggressivo contro le tasche dei lavoratori, senza toccare gli strati superiori, tanto meno le grandi fortune.

"Legge di solidarietà sostenibile" era stata battezzata, ma la popolazione non è più caduta nella trappola, era già successo troppe volte. Sia i governi precedenti che quello attuale hanno sempre fatto riforme con la stessa formula ortodossa o conservatrice, secondo gli economisti. Cioè, senza andare fino in fondo: procedere con un'equa redistribuzione del reddito per indebolire le tasche sempre più impoverite di milioni di famiglie. Così si spiega, tra le altre ragioni, perché la Colombia è il secondo paese dell'America Latina con la maggiore disuguaglianza sociale, il settimo al mondo secondo la Banca Mondiale.
È stata la pressione sociale, le strade, le massicce mobilitazioni nazionali, che hanno avuto successo. Il presidente Iván Duque ne ha annunciato il ritiro, ma ha avvertito che è in arrivo un'altra riforma fiscale. Sebbene l'annuncio sia stato accolto come una piccola vittoria, non è stato sufficiente per placare l'indignazione. La popolazione, che l'ha ribattezzato "Paquetazo Duque", ha ricordato che la riforma non era solo fiscale, ma era un intero pacchetto di misure economiche che comprendono la riforma del lavoro, della salute e delle pensioni.
In questo momento, la rabbia è fondata su un dramma diventato quotidiano da quando la pandemia è arrivata nel Paese: la mancanza di un piatto di cibo sulla tavola di milioni di famiglie, davanti allo sguardo indolente del governo. Per un anno si sono visti stracci rossi sulle porte e sulle finestre dei quartieri popolari come richiesta di aiuto per i bisogni più elementari. Tutti i partiti dell'opposizione hanno chiesto con insistenza un reddito di base universale, senza essere ascoltati.

"O ci uccide la fame, o ci uccide il Covid-19" dicono i tanti che hanno dovuto lasciare la propria casa per trovare altri mezzi di sopravvivenza in un Paese dove più di 77mila persone sono morte per il virus. Nell'ultima settimana il numero medio di morti è stato di 480 al giorno secondo, i dati ufficiali. Dopo Brasile e Messico, la Colombia è la nazione latinoamericana più colpita dalla pandemia.
A quasi 15 giorni dallo sciopero civico iniziato il 28 aprile, si è aggiunta a quella frase un altro pezzo: "o ci ammazza la polizia". Quella che doveva essere una giornata di manifestazioni si è  prolungata, senza sapere per quanto tempo.

Studenti, afro-discendenti, contadini, indigeni, operai, sindacati dei lavoratori, sindacati degli insegnanti e movimenti sociali, ciascuno con le proprie rivendicazioni, si sono uniti per dire "basta" a un modello di paese che li soffoca, che è stato totalmente rivelato dalla pandemia e che ora mostra il lato più repressivo contro la protesta legittima, come sancito dalla Costituzione.
A seguito dell'eccessiva violenza dello Stato contro i manifestanti, in meno di due settimane sono state uccise 47 persone, 39 per mano della forza pubblica, in maggior parte giovani, e 300 persone sono rimaste ferite, comprese 28 vittime di colpi agli occhi. Ci sono stati quasi mille arresti e centinaia di persone risultano disperse. Secondo la Piattaforma contro la scomparsa forzata della ONG Temblor, 370 colombiani non si sa dove si trovino attualmente.

In qualità di capo di stato e delle forze militari, il principale responsabile di questo bagno di sangue è il presidente Iván Duque, che gioca su due tavoli. Da un lato, chiede un dialogo nazionale, incontra prima le élite politiche e lascia gli studenti e le centrali dei lavoratori in fondo alla lista. D'altro, usa tutta la capacità repressiva dello stato contro le manifestazioni, con più uniformi, armi e mezzi d'assalto per le strade. Nelle ultime ore, ad esempio, ha ordinato l'invio di diecimila poliziotti e altri duemila soldati a Cali per contenere la protesta. Tuttavia, è sorprendente che un tale livello di azione repressiva non sia persuasivo e le mobilitazioni siano lungi dall'essere arrestate.
I video in cui si possono chiaramente osservare le forze pubbliche che attaccano i civili hanno fatto il giro del mondo, sono fatti innegabili nonostante i tentativi di distrazione mediatica. Per questo, governi, organizzazioni politiche, accademici, cittadini, compresi l'Onu e Papa Francesco, si sono espressi chiedendo che questa pratica venga interrotta e che il dialogo e l'accordo tornino prioritari. Il governo risponde attraverso la segreteria che è chiamato ad affrontare il "terrorismo urbano".
Dove sta andando la Colombia? Se lo chiede il celebre sociologo portoghese, Boaventura de Sousa Santos, in un suo recente articolo, e tra le sue riflessioni condivido questa: “Le conseguenze della pandemia non possono essere magicamente fermate dall'ideologia dei governi conservatori; la crisi sociale ed economica post-pandemica sarà estremamente grave, soprattutto perché si accumula con le crisi preesistenti alla pandemia. Ecco perché sarà molto più grave”.
E aggiunge: “Il neoliberismo non morirà senza ammazzare, ma più ammazza e più muore. Quello che sta accadendo in Colombia non è un problema colombiano, è un problema nostro, quello dei democratici di tutto il mondo”.
Dove sta andando la Colombia? Se lo stanno chiedendo milioni di colombiani che non vedono nessuna speranza per il futuro.

Tatiana Pérez, 12 maggio 2021

 


 

 

RT ESPANOL / CILE / VERSO LA COSTITUENTE

Cile, verso una Costituente a maggioranza progressista: la mobilitazione popolare che ha cambiato la storia

 

Sottovalutare non è mai una buona cosa.
L’hanno capito bene, il 17 maggio scorso, il presidente Sebastián Piñera e i politici dei partiti tradizionali, accomodàti nelle loro poltrone del potere, immersi nelle loro lotte di palazzo, totalmente indifferenti alle richieste dei cittadini. Furono già sorpresi in quel mitico ottobre 2019, quando gli studenti delle scuole superiori di Santiago iniziarono a saltare i tornelli della metropolitana per protestare contro l'aumento del prezzo del biglietto.
I giovani si sono riuniti, hanno urlato, hanno saltato i tornelli una, due, dieci volte. La ribellione si è moltiplicata, è diventata una mobilitazione di massa senza precedenti, inarrestabile, Plaza Italia è stata riconvertita in Plaza Dignidad, e un largo strato sociale ha ripudiato la disuguaglianza radicata in un Paese fino ad allora considerato un esempio del successo neoliberista in America Latina.

Il miraggio cominciò a crollare. Piñera ha insistito con la repressione, con la diffamazione permanente dei manifestanti credendo di poter controllare la situazione, ma ha avuto torto. La realtà lo ha superato ad ogni passo. Nell'ottobre del 2020, in un plebiscito vissuto con autentica emozione, uno schiacciante 78% dei cittadini ha dichiarato di approvare una nuova Costituzione.

Finalmente i cileni potranno scrollarsi di dosso la zavorra della Costituzione ereditata dal dittatore Augusto Pinochet, ma rimasta ancora in vigore nei trent’anni di democrazia.
Senza averlo pianificato, progettato e aspettato, i giovani cileni hanno dato vita a un movimento sociale che ha acquisito una portata storica e che oggi, dopo un anno e mezzo, acquista un connotato epico, perché la Costituzione che nascerà da queste proteste studentesche sarà scritta da leader femministe, dai quartieri, dagli ambientalisti, dai movimenti per i diritti umani, dagli indigeni, dagli attivisti LGTBI e da tutti i tipi di operatori sociali e senza esperienza partitica.

Sarà una Convenzione che raccoglierà lo spirito dell’uguaglianza di genere, scritta da leader nuovi e progressisti, da movimenti emanati da questo sconvolgimento che ha modificato completamente la mappa politica di un Paese che si è scrollato di dosso il luogo comune di essere il più conservatore della regione. Come riassume bene uno degli slogan delle proteste: “Il Cile si è svegliato”.
Memoria
Piñera è stato il grande perdente delle elezioni, come negarlo. Con la forza del voto, la società cilena ha rivendicato non solo la disuguaglianza causata dalle politiche neoliberiste, ma anche la persistente violenza istituzionale esercitata dalle forze dell’ordine sotto la sua responsabilità.

Ci sono i rapporti di Amnesty International e di Michelle Bachelet, ex Presidente e Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, che denunciano l'uso di armi letali, attacchi indiscriminati contro manifestanti pacifici e violenti, torture, maltrattamenti, stupri e abusi sessuali, detenzioni arbitrarie e massive, ferimenti con armi da fuoco di adulti, giovani, ragazze e ragazzi.

Sono lì, davanti alle telecamere in diretta, davanti ai getti d'acqua, agli inseguimenti, ai gas lacrimogeni, al sangue. Morti, mutilati, feriti. Nell’impunità più totale. C'è la denuncia contro Piñera per crimini contro l'umanità presentata alla Corte Penale Internazionale dell'Aia.

E ci sono i sondaggi secondo cui oltre il 90% della cittadinanza disapprova un presidente che attende con impazienza di lasciare La Moneda. Manca poco. Le elezioni sono il 21 novembre e il prossimo marzo cederà il potere. È meno di un anno, ma in queste condizioni di estrema debolezza politica e disprezzo sociale sembra un'eternità.
Con la Convenzione, il Governo e i suoi alleati aspiravano ad ottenere 52 seggi, il terzo necessario per porre il veto agli articoli di legge e imporre le loro posizioni conservatrici nella Costituzione, ma ne hanno ottenuti solo 38. Al di là del riconoscimento della sconfitta, nella destra persiste una confusione che si traduce in fastidio, diffamazioni e calunnie, minacce e banalità a raffica ("stiamo diventando un Chilezuela") che non hanno avuto effetto sulla maggioranza degli elettori, che hanno sottovalutato.

Comunisti
Le elezioni hanno dimostrato che in Cile, a differenza della maggior parte dei paesi della regione, il Partito Comunista è vivo e vegeto, con un candidato alla presidenza che avanza costantemente in vista delle elezioni di novembre. Si chiama Daniel Jadue, è sindaco di Recoleta, rieletto per la seconda volta consecutiva. Ma le figure emergenti e inaspettate sono Irací Hassler e Javiera Reyes, due giovani economisti che hanno battuto i sindaci di Santiago e Lo Espejo, e che fanno già parte del rinnovamento della classe politica cilena voluta a partire dalle proteste del 2019.
I loro trionfi possono sconcertare i distratti, quelli che contunuano a credere all’uso della parola "comunista" scagliata negli ultimi tempi come un'accusa per stigmatizzare ed evocare regimi autoritari spettrali tipici della defunta Guerra Fredda, ma qui le campagne di intimidazione non hanno sortito l’effetto sperato e il Partito Comunista Democratico locale, ancorato alla difesa delle lotte popolari e dei diritti umani, ha raccolto tanti voti che rafforzano la sua influenza pubblica nel bel mezzo dell'intenso processo di trasformazione politica e sociale avviato nell’ottobre del 2019 e che con le elezioni ha scritto un capitolo cruciale.
"Cancellare la tua eredità sarà la nostra missione", diceva il messaggio indirizzato all'ultimo dittatore cileno e incarnato in una bandiera gigante in Plaza Dignidad durante le celebrazioni del trionfo del plebiscito a ottobre. Oggi quella promessa è più vicina. Più a nord, la travagliata Colombia prende coscienza di ciò che la protesta e l'organizzazione popolare possono ottenere.
La trasformazione cilena non sarà facile, come non lo è nessun progresso storico. Per cominciare, i "mercati" (i soliti speculatori) hanno reagito come sempre ad ogni segnale di avanzamento della sinistra: con la svalutazione della moneta e il crollo del mercato azionario. Sono prevedibili.

L'unica cosa certa è che, ora, i politici e i media neoliberisti non potranno più proporre il Cile come esempio di bravo studente. Non hanno più nulla di cui vantarsi.

Cecilia González, 17 maggio 2021

 


 

TELESUR / LATINOAMERICA / NICARAGUA

Washington: nuovo tentativo di rovesciare il governo nicaraguense

di Pablo Jofre Leal, 25 maggio 2021

 

Il Nicaragua, questo paese metafora di ciò che è “tanto violentemente dolce”, come espresse il defunto scrittore argentino Julio Cortazar, è divenuto oggetto di pressione aperta da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati regionali, coordinati dal segretario generale dell'Organizzazione degli Stati Americani (OEA) Luis Almagro, nell’intento di dettare legge (la loro) al popolo nicaraguense.

 

  

Le amministrazioni statunitensi hanno ormai un modus operandi cronicizzato: Washington, coi suoi gruppi di potere, tiene sotto pressione costante il Nicaragua tramite una politica di sanzioni, basata sul presupposto che il governo nicaraguense rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale USA. Come può un paese di 130.000 chilometri quadrati, 6.6 milioni di abitanti, con un PIL che lo colloca al 140° posto nel mondo, essere un pericolo per la sicurezza di una superpotenza militare, demografica ed economica, di 330 milioni di abitanti, con un PIL che il Nicaragua non raggiungerebbe nemmeno in tre vite e che costituisce la principale potenza militare del mondo? 

Si tratta unicamente dell'esercizio di una politica ostile, supportata dai mezzi d’informazione (che al contrario disinformano e manipolano), che fanno apparire il Nicaragua come paese non democratico, che accusano il governo di Daniel Ortega di tutti i mali immaginabili, ma che ossequiosamente tacciono al cospetto dei soci degli Stati Uniti, che potrebbero rientrare nella lista dei governi al di fuori delle benché minime norme democratiche come Colombia, Honduras, Guatemala, Israele, Egitto, monarchie come Marocco, Arabia saudita, Bahrein ed Emirati Arabi. Tutti violatori compulsivi dei diritti umani, ma che sono alleati di Washington e, ciò dinnanzi, il silenzio si fa assordante. 

A sei mesi delle elezioni presidenziali nel paese centroamericano, le pressioni contro questa nazione fanno parte della strategia degli Stati Uniti per portare a compimento un “golpe morbido”, com’è loro consuetudine, contro i governi che intralciano le loro smanie di esercitare un’egemonia senza contrappesi. A tal fine hanno indubbiamente tenuto conto dell'apparente "successo" conseguito nel colpo di Stato contro Evo Morales in Bolivia nel novembre 2019; stesse pratiche ora contro Daniel Ortega, tramite l’uso di sanzioni, sotto la regia di Stati Uniti, Gran Bretagna e i fedelissimi dell'Unione Europea. Tutto ciò è ingrediente della classica ricetta destabilizzatrice: miscela di pressione politica, economica e mediatica, sostegno ad Organizzazioni Non Governative mediante fondi elargiti da istituzioni statunitensi come l'USAID, azioni per minare dall’interno compiute dalla destra nicaraguense traditrice della patria, operazioni dei servizi d’intelligence nordamericani, attività destabilizzatrice dell'OEA e dell'indebolito ma sempre pericoloso Gruppo di Lima. 

Il Dipartimento di Stato nordamericano sta diffondendo informazioni deliberatamente false sulla situazione in Nicaragua, coinvolgendo in misura man mano più evidente l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) controllata da Washington, per intervenire apertamente in ciò che gli USA considerano i "loro problemi" a sud del Rio Grande. Fino a pochi mesi fa con il governo dell'ex presidente Donald Trump, e similmente con la linea seguita dall'attuale amministrazione democratica di Joe Biden, la Casa Bianca ha accusato senza fondamento Daniel Ortega di ostacolare un dialogo nazionale interno coi suoi oppositori politici, di rifiutare qualsiasi loro "proposta costruttiva" per condurre la repubblica nicaraguense sulla cosiddetta via democratica allo sviluppo. 

Indubbiamente il governo di Ortega ha un difficile compito: dar vita ad un ampio dialogo nazionale riguardo a progetti ed interventi anche lesivi per la popolazione e sui quali il governo deve in modo intelligente guadagnarsi l'appoggio sociale, come la costruzione del canale interoceanico ad opera di un'impresa cinese. Ridurre i costi sociali ed ambientali dell'attività estrattiva, in particolare mineraria, per la quale ha quasi duplicato la superficie concessa. Concepire una politica di attenta gestione delle monocolture e degli allevamenti, attività economicamente redditizie, ma dannose per le comunità. Infine attaccare con forza qualsiasi parvenza e realtà di corruzione, che tende ad erodere il sostegno popolare (1). 

Washington esercita costanti pressioni attraverso l'OEA, per riaprire la questione dell'applicazione delle disposizioni della Carta Democratica Interamericana, con la possibile conseguente sospensione del Nicaragua dal partecipare a questa organizzazione regionale. Il Segretario Generale dell'OEA Luis Almagro non considererebbe tale passo un'interferenza nelle questioni interne del Nicaragua, semplicemente fa parte del copione golpista. A tale scopo si sta usando, analogamente, il lavoro golpista dell'ambasciatore statunitense a Managua, Kevin Sullivan, divenuto attivista a tempo pieno. 

Durante la celebrazione del 126° anniversario della nascita dell'eroe nazionale Augusto César Sandino, Ortega ha denunciato l’operato e l'intromissione del diplomatico statunitense (2): “Non s’intrometta, come sta continuando a fare, presentando candidati, facendo pressione sui partiti politici affinché accettino il candidato voluto dagli yankee. L'ammonimento non è solo contro Sullivan, ma anche per altri ambasciatori che vivono facendo riunioni con gruppi politici nelle loro ambasciate, ai quali piace immischiarsi ovunque e decidere al posto dei padroni di casa; l'ambasciatore yankee se ne va su e giù per il paese vendendo i suoi candidati, come se lui fosse nicaraguense". 

Di fatto tutta questa isteria verso il Nicaragua testimonia il fallimento immediato della politica USA in America Latina, così come l'incapacità degli alleati continentali ad incarnare le idee criminali di Washington per conseguire un isolamento regionale contro il governo di Daniel Ortega. Washington sta affrontando un fallimento di ormai quindici anni, durante i quali ha tentato di demolire il Fronte Sandinista, sopravvissuto nonostante problemi economici, dissidenze, pressioni, sanzioni, azioni destabilizzatrici, demonizzazione di Ortega con accuse di nepotismo ed autoritarismo, usate in questo caso, ma taciute nei confronti dei fedelissimi di Washington. Una politica golpista respinta dai paesi in cui la sovranità rappresenta uno scudo permanente alle brame di dominio di Washington e ai servigi dei suoi complici. Sono governi solidali con Daniel Ortega e col popolo del Nicaragua, che condannano energicamente qualunque forma d’ingerenza straniera, pressioni e sanzioni contro uno Stato sovrano. 

È il caso del Foro di Sao Paulo, che ha denunciato il blocco illegale imposto a nazioni come Cuba, Nicaragua e Venezuela in violazione del Diritto Internazionale. Lo scorso 4 maggio questo Foro regionale ha reso noto dal suo sito ufficiale l’avvio della Campagna “Blocco No, Solidarietà SI’ - America Nostra per sempre”, che proseguirà fino al 23 giugno, data della votazione all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della risoluzione di condanna del blocco economico, finanziario e commerciale contro le nazioni latinoamericane e caraibiche (3) 

È un appello a rispettare la sovranità dei popoli, a non interferire nei loro affari interni, se ciò è la dimostrazione evidente delle ambizioni dell'imperialismo. Il governo ed il popolo del Nicaragua possono trovare in maniera autonoma la soluzione pacifica alle difficoltà sorte nell’intento di garantire lo sviluppo socioeconomico sostenibile della collettività, nell’osservanza delle norme e dei principi costituzionali, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà civili, ma con la lotta senza quartiere contro il golpismo. Anche per questo il governo di Ortega deve analizzare a fondo le riforme sociali che permettano di soddisfare le necessità della società, in un percorso che non ricalchi esclusivamente un modello che ha già dimostrato carenze in altri paesi della Nostra America. 

 

Note:

(1)  https://rebelion.org/que-pasa-en-nicaragua-un-enfoque-desde-la-izquierda-critica/

(2)  https://www.france24.com/es/minuto-a-minuto/20210519-ortega-acusa-a-embajador-de-eeuu-de-inmiscuirse-en-elecciones-de-nicaragua

(3)  https://www.telesurtv.net/news/foro-sao-paulo-lanza-campana-contra-bloqueo-region-20210504-0034.htm

 

Fonte 1:

https://www.telesurtv.net/bloggers/Washington-nuevo-intento-de-derrocar-al-gobierno-nicaraguense-20210525-0001.html?utm_source=planisys&utm_medium=NewsletterEspa%C3%B1ol&utm_campaign=NewsletterEspa%C3%B1ol&utm_content=33

Articolo tratto da: www.segundopaso.es

 

 


 

 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / NUOVA GUERRA FREDDA

Il ritorno della Guerra Fredda?

 

 

Sia sul fronte propriamente militare, a partire cioè dall’Ucraina e dalla NATO, come nell’uso di strumenti di destabilizzazione fino alla preparazione dei colpi di Stato eufimisticamente definiti rivoluzioni colorate, l’Occidente fa di tutto per surriscaldare il clima dei rapporti con la Russia contando sull’ampio schieramento dei governi allineati al disegno diretto dagli Stati Uniti.

Tra le azioni recenti c’è stato il tentativo di colpo di Stato contro il presidente della Bielorussia, che non avrebbe escluso nemmeno il più tragico degli epiloghi: l’eliminazione fisica di Aleksandr Lukashenko e della sua famiglia.

Il Servizio Federale della Sicurezza russo e il Comitato di Sicurezza Statale bielorusso hanno annunciato il 17 aprile d’aver sventato l’azione e individuato i loro organizzatori diretti: i cittadini bielorussi Aleksander Feduta e Yuri Zenkovich sono stati arrestati a Mosca mentre preparavano il colpo di Stato che sarebbe stato sferrato il 9 maggio, proprio durante la sfilata del Giorno della Vittoria contro il Fascismo.

Anche se i piani dei golpisti sono falliti, è chiaro che negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei complici i piani eversivi non saranno interrotti, e si continuerà a cercare di far crollare Lukashenko.

La Russia, da parte sua, non permetterà il ripetersi nel territorio del suo alleato più importante di quanto avvenuto in Ucraina nel 2014, si legge sul sito di Sputnik.

In relazione con questo fatto e con il deliberato proposito di «nasconderlo» mediaticamente dopo il fallimento dell’attentato, il Governo della  Repubblica Ceca, grande alleato degli Stati Uniti, si è unito al disegno antirusso e, con false accuse contro il personale diplomatico dell’ambasciata a Praga, ha espulso 18 funzionari, una misura alla quale la Russia ha risposto con il ritorno obbligatorio nella Repubblica Ceca di 20 suoi diplomatici accreditati a Mosca.

La portavoce del Ministero degli Esteri russo, María Zajárova, ha dichiarato alla stampa che l’espulsione dei diplomatici russi dalla Repubblica Ceca ha avuto come chiaro obiettivo relegare in secondo piano gli articoli sulla stampa del colpo di Stato sventato in Bielorrusia.

Il portavoce del Governo di Mosca, Dmitri Peskov, ha precisato che questi piani sono un segnale di «grave pericolo» ed ha confermato che Vladímir Putin aveva discusso del tema della minaccia rappresentata dal progetto del colpo di Stato con il presidente statunitense Joe Biden.

Elson Concepción Pérez e GM per Granma Internacional, 3 maggio 2021

 

 



GRANMA (CUBA) / ESTERI / GLI EFFETTI DEL BLOCCO

Le banche svizzere bloccano le transazioni appena vedono “Cuba”

Durante la telefonata, Franco Cavalli si indigna, si arrabbia molto. L’ex parlamentare del Partito Socialista Svizzero del Canton Ticino dice: «È una viltà. Non è altro che questo. È un viltà infame».

A 78 anni, Cavalli, specialista in oncologia, è un uomo molto attivo. E’ anche presidente di Medicuba Europa, una ONG svizzera con filiali in 14 Paesi europei che presta aiuto medico all’Isola.

Poco tempo fa, Medicuba ha comprato antibiotici da una piccola impresa farmaceutica della Svizzera occidentale per inviarli via mare ai Caraibi. L’organizzazione ha un conto in una filiale della UBS e, quando doveva pagarne l’acquisto, la banca ha respinto il denaro con la motivazione del blocco nordamericano. La banca teme le sanzioni, anche se il trasferimento di denaro è dal conto svizzero di Medicuba a un altro contro svizzero, anche se il denaro non ha come destinazione né Cuba né gli Stati Uniti. Per fermare la richiesta del trasferimento, basta che nell’operazione compaia la parola “Cuba”, che in questo caso compare nel nome dell’ONG. La banca ha bloccato l’operazione anche quando Cavalli ha provato a fare il trasferimento dal suo conto personale.

Il medico in pensione Raffaele Malinverni è membro della presidenza di Medicuba Svizzera: «A volte la filiale di una banca respinge un’operazione mentre un’altra filiale della stessa banca l’accetta senza alcuna obiezione», dice. Afferma che le reazioni delle banche sono imprevedibili ma quelle che dicono no sistematicamente sono le grandi banche svizzere Credit Suisse e UBS, il Basler Antonalbank e la sua filiale Cler e, a volte, altre banche cantonali.

Respingono anche le donazioni. A volte, le banche negano anche il trasferimento dei contributi volontari dei membri all’organizzazione.

Roland Wüest, coordinatore di Medicuba, ha scritto: «Ci comunicano tutti i rifiuti. A grandi linee, ogni mese si bloccano dieci pagamenti, cioè il 15% di tutte le trasnsazioni».

Nel caso degli antibiotici, l’impresa farmaceutica della Svizzera  occidentale è stata obbligata ad aprire un conto in Postfinance solo per farsi pagare la somma dovuta. Malinverni dice: «Le soluzioni si trovano, ma ogni volta costa molto  tempo e molto lavoro».

Medicuba, organizzazione umanitaria fondata nel 1992, ha quattro dipendenti. Un terzo circa dei suoi 800 mila franchi svizzeri di bilancio sono gestiti dalla Direzione Sviluppo e Collaborazione. A Cuba, l’organizzazione segue i bambini autisti, è presente nella prevenzione dell’AIDS, facilita i piccoli interventi in pazienti con patologie oncologiche e offre borse di studio a medici intensivisti cubani per la specializzazione in Svizzera.

Spiega Malinverni: «Ogni volta che  protestiamo con una banca per i trasferimenti bloccati ci dicono che il nostro impegno umanitario è meraviglioso, ma che le cose stanno come stanno. Se insistiamo, scattano sempre le solite risposte: la parola magica in tutti i casi è ‘temiamo la reputazione’». L’ufficio stampa della banca comunica: «UBS vigila sulle attività e sui rischi relazionati con i pagamenti».

In gennaio, Medicuba ha inviato una denuncia a Finma, l’ente che regola il mercato finanziario, in cui ha enumerati i tanti casi di trasferimenti negati e ha richiesto di «prendere le misure appropriate», contro le banche coinvolte. Finma ha risposto che «le istituzioni finanziarie devono analizzare, minimizzare e controllare adeguatamente i rischi giuridici e di reputazione. Le misure adottate dalle banche sono politiche decise in autonomia».

Medicuba  ha incaricato lo studio legale di Robert L. Muse di Washington di delineare un profilo d’accusa; il nostro giornale ne ha una copia. La conclusione è che i trasferimenti bancari all’organizzazione non violano mai il blocco nordamericano per diverse ragioni: Medicuba è un’organizzazione umanitaria, la  sua sede è fuori dagli Stati Uniti, i trasferimenti non si fanno in dollari e non vanno né negli USA né a Cuba. E non ci sono cittadini nordamericani che lavorano nella presidenza dell’organizzazione.

L’avvocato Willi Egloff, rappresentante legale di Medicuba, considera illecita la pratica delle  banche svizzere: «Si tratta di istituzioni di diritto  pubblico. Negando un servizio a un cittadino svizzero agiscono arbitrariamente», dice Egloff, e afferma di non voler fare denunce perché Medicuba ha cose più nobili da fare che spendere tempo e denaro in processi giudiziari.

Poco tempo fa è avvenuto un fatto notevole nel Comitato delle Relazioni Estere del Consiglio Federale. La maggioranza ha approvato un postulato che chiede che il Consiglio Federale si pronunci per un alleggerimento del blocco nordamericano e per un servizio di pagamenti senza intoppi tra la Svizzera e Cuba. All’inizio di marzo, il Consiglio Federale ha approvato il tema grazie all’approvazione della sinistra e, straordinariamente, anche del Partito Liberale.

Il parlamentare federale Hans-Peter Portmann, presidente del Grupo Parlamentare Svizzera-Cuba e grande estimatore dell’Isola, è stato decisivo. Nonostante tutte le sue critiche e le differenze politiche con il sistema cubano, Portmann è convito che anche oggi la maggioranza della popolazione cubana eleggerebbe il Partito Comunista.

Franco Cavalli dubita che il Consiglio Federale o le banche si facciano impressionare dalla decisione del parlamento. Alla fine dei conti, l’approvazione di un disegno, non è molto più di un desiderio.

Sandro Benini

 

Articolo pubblicato su Berner Zeitung, traduzione dal tedesco di Orestes Sandoval López e in italiano di Gioia Minuti.

 

 


 

GRANMA (CUBA) / INTERNI / SMART WORKING A CUBA

Lavoro  a distanza e telelavoro: garanzie, sfide e opportunità

 

A fronte della pandemia, anche Cuba ha messo in atto misure in materia di lavoro, salari e sicurezza nell’ottica di proteggere i posti di lavoro, a cominciare dall’implementazione del tele-lavoro.

Marta Elena Feitó Cabrera, ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale, durante il suo intervento in una delle tavole rotonde della televisione su questo tema, ha detto che si tratta di una modalità compresa nel Codice del Lavoro stabilito a Cuba dal settembre del 2019, calzato sulla particolare situazione energetica del paese.

Nella Legge del Lavoro precedente esisteva una tipologia di lavoro simile chiamata «a domicilio», che prevedeva comunque una modalità non tradizionale del lavoro, con una presenza limitata nel luogo di lavoro.

Feitó Cabrera ha elencato le garanzie del lavoro remoto o domestico, con i lavoratori che ricevono il 100% del salario e il supplemento mensa per coloro che ne usufruivano normalmente.

I commenti dei lettori esprimono bene le preoccupazioni della popolazione, e una delle questioni più discusse riguarda le modalità per metterei pratica il tele lavoro nella Cuba odierna.

Il criterio principe del telelavoro è evitare i contagi nei centri di lavoro, ma molti sottolineano la difficoltà delle condizioni tecniche per garantire connessioni domestiche veloci e di qualità.

C’è chi sottolinea l’importanza di preparare ruoli di coordinamento e responsabilità per un nuovo modello lavorativo che non prevede il rapporto diretto con i collaboratori.

La titolare del MTSS ha richiamato le amministrazioni a far uso di questa modalità e a non aspettare indicazioni: «Tutte le amministrazioni che hanno lavoratori con la possibilità di lavorare a distanza devono ricorrervi», ha riaffermato.

Le statistiche permettono di sapere quanti lavoratori hanno scelto questa modalità in un momento in cui il paese attraversa una difficile situazione epidemiologica iniziata nel marzo del 2020, quando si registrarono i primi casi del SARS-COV-2 a Cuba.

«Alla fine del mese di marzo, erano 304 mila i lavoratori a distanza, cioè il 13% del totale dei dipendenti. I territori al di sopra della media della percentuale di lavoratori impiegati a distanza sono Guantánamo (27%), Pinar del Río (19%), Sancti Spíritus (18%), Las Tunas e Santiago de Cuba (17%), Granma (16%) e Villa Clara (15%)», ha detto Travieso Rosabal.

Anche se tutti sanno che molte funzioni esigono la presenza nel posto di lavoro, alcuni dei settori che sicuramente possono fare più ricorso al lavoro a distanza sono la progettazione del software, il supporto e la manutenzione delle applicazioni informatiche, la progettazione, i lavori giornalistici, eccetera.

 

Tra benefici e soggettività

A differenza di ciò che si potrebbe pensare, e cioè che da casa si lavori meno, il tele lavoro apporta benefici alle imprese diminuendo lo spazio degli uffici e i mezzi utilizzati, ma non sono gli unici punti a favore.

«I vantaggi principali del lavoro a distanza per i lavoratori sono il risparmio del tempo del trasferimento, la possibilità di pianificare in forma autonoma il lavoro e alternare le responsabilità domestiche, familiari e lavorative», ha chiarito la Direttrice d’Impiego del MTSS. A questo si deve aggiungere che si eliminano i ritardi e le assenze, dato che il lavoratore adegua il suo orario.

Anche se è dimostrato che questo modo di lavorare apporta migliorie per il datore e per l’impiegato, esiste ancora una resistenza nell’applicarlo in alcune amministrazioni dove pure esistono le condizioni per la sua applicazione.

«È noto che alcuni degli aspetti che hanno limitato la sua applicazione sono di carattere oggettivo, come la disponibilità dei mezzi tecnici, ma ve ne sono anche di carattere soggettivo, in alcune amministrazioni che hanno presentato resistenza a implementare metodi di gestione efficaci».

Il paese è in condizione di sviluppare il lavoro a distanza e mantenerlo in maniera continuativa nel tempo?

«Nelle condizioni attuali, la generalizzazione di questa forma di organizzazione del lavoro è motivata soprattutto come misura di prevenzione del contagio e, in secondo luogo, come misura di risparmio energetico. Vale la pena segnalare altre motivazioni, come ad esempio la lontananza dal luogo di lavoro o la necessità di assistere persone bisognose. Una volta superata la pandemia, alcune ragioni resteranno argomenti validi per optare per queste modalità di lavoro a distanza. Come strategia di controllo, si svilupperà assieme alla Centrale dei Lavoratori di Cuba nelle riunioni collettive del lavoro degli incaricati che successivamente lavoreranno con queste modalità d’impiego», ha precisato Feitó Cabrera.

 

La casa, l'ufficio.

Il telelavoro è definito come «forma di lavoro che si svolge in un luogo lontano dagli uffici centrali o dai centri di lavoro abituali e che implica l’utilizzo di strumenti informatici e di telecomunicazioni indispensabili per realizzare le attività».

Secondo i dati del MTSS, fino al 23 aprile, a Cuba, 13.718 lavoratori utilizzavano questa modalità. Anche se toccando questo tema si pensa inizialmente a connessioni e computers, la Direttrice d’Impiego vede il tema da un altro punto di vista: «Nell’implementazione del lavoro a distanza e del telelavoro è importante  considerare la sicurezza a la salute nel lavoro, così come la qualità della vita delle persone occupate».

Trasformare la casa in ufficio comporta il ripensamento totale del concetto di spazio, orario e abitudini, sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. Nella normativa è stato incorporato il concetto di telelavoro e dei relativi criteri per l’applicazione che definiscono anche i passi da compiere per facilitare il lavoratore nel perseguimento dei presupposti tecnici per svolgere il suo lavoro, che in non pochi sono attualmente disponibili.

 

Il ruolo delle amministrazioni

Sul sito del MTSS è scritto: «Compete alle amministrazioni del lavoro rispondere a questa sollecitazione e perfezionare l’implementazione e il controllo del lavoro a distanza partendo dalla definizione degli incarichi che, per loro natura e funzione, si possono svolgere in modalità a carattere permanente o parziale».

Yenia Silva Correa e GM per Granma Internacional