L’occupazione di cui non parla nessuno: gli studenti dell’Università di Genova contro precarietà e guerre. Un’intervista a Giacomo Aloi (Collettivo ‘Come Studio Genova’)
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- Scritto da Sebastiano Coenda
CIVG Genova (12 maggio 2021)
Oggi mi trovo in compagnia di Giacomo di ‘Come Studio Genova’, un collettivo studentesco che dal 19 aprile è impegnato nell’occupazione degli edifici della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova. Quest’evento ha rappresentato un’importante occasione non solo per portare avanti le rivendicazioni del Collettivo legate al mondo universitario e dell’istruzione, ma ha anche costituito un significativo momento di partecipazione e di confronto, aperto a tutta la cittadinanza, su alcune delle principali questioni politiche, sociali ed economiche del nostro tempo: Scuola, Sanità, Lavoro, Interessi industriali e finanziari, Lotte Sociali, Guerre e così via.
Giacomo, prima di approfondire gli aspetti strettamente più legati all’occupazione, potresti raccontarci come è nato il collettivo Come Studio Genova e che obbiettivi si propone?
Il collettivo è nato circa un anno fa, durante la prima ondata della pandemia di Covid-19, dalla costatazione di un gruppo di studenti (in gran parte studenti-lavoratori) dalle contraddizioni materiali che siamo stati costretti a vivere e che con l’arrivo del Covid si sono acuite ulteriormente. La rivendicazione con cui siamo partiti è stata quella dell’abolizione della terza rata d’iscrizione all’università, che è stata la prima questione che abbiamo portato in piazza. Da quel momento in poi il gruppo si è progressivamente consolidato ed ha iniziato a sviluppare un’analisi strutturale del sistema universitario. Presto il discorso si è allargato a quelli che sono gli altri settori della vita pubblica: il mondo del lavoro, le condizioni effettive dei lavoratori, la graduale dissoluzione del Walfare State, del Sistema Sanitario Nazionale, e così via. La matrice comune di questi mutamenti è ovviamente lo sviluppo del sistema capitalistico, che durante questa pandemia sta subendo una decisa accelerazione parallelamente ad una ristrutturazione interna. Il percorso è stato dunque un percorso di analisi e di azioni in piazza, che ha sempre cercato di coordinarsi con le altre realtà cittadine, non solo del mondo della scuola, ma anche del mondo del lavoro.
Come nasce l’occupazione della facoltà di Scienze della Formazione?
L’occupazione è una tappa del percorso del nostro collettivo, dettata dall’inasprirsi delle condizioni di vita e dalla volontà di portare il livello del discorso ad un bacino d’ascolto più ampio, per giungere fino ai diretti responsabili e ai naturali interlocutori delle rivendicazioni che portiamo avanti.
Quali sono queste rivendicazioni?
Le nostre rivendicazioni sono diverse. Quella principale è relativa all’abolizione dell’ANVUR. L’ANVUR è l’ente che gestisce la distribuzione dei fondi pubblici alle università italiane. L’ANVUR si basa sulla logica della meritocrazia, logica che amplifica il divario tra i vari atenei, andando poi a determinare quella che è una distinzione tra atenei di serie A e atenei di serie B. Un ateneo riceve infatti una quota di finanziamento in base alla sua produttività in termini di progetti di ricerca ai quali viene attribuito un punteggio. Il problema è che le condizioni di partenza dei vari atenei sono molto diverse. Ciò comporta che gli atenei che già hanno elevati standard di formazione e ricerca riescano ad ottenere più finanziamenti, andando così ad alimentare un circolo vizioso nel quale le università più ricche e prestigiose divengono i principali destinatari dei finanziamenti pubblici. Parallelamente, gli atenei più deboli e con meno risorse non riusciranno mai ad emergere, o anche solo a stabilizzarsi sulle loro condizioni di partenza, in quanto saranno destinatari di un ammontare di risorse via via minore. Inoltre, a causa di questa dinamica gli atenei più prestigiosi drenano continuamente un gran numero di studenti provenienti dalle regioni con università minori.
Un altro punto per noi fondamentale è rappresentato dalla ricerca. La maggioranza dei fondi pubblici per la ricerca universitaria è sempre più destinata in via esclusiva a quei settori e a quegli ambiti suscettibili di produrre applicazioni industriali in grado di aumentare la produttività delle aziende private. Un esempio: una facoltà come ingegneria navale solitamente riesce ad attrarre buona parte dei finanziamenti pubblici in quanto andrà poi a produrre delle conoscenze e delle competenze utili agli interessi industriali di quel settore. Ed è esattamente qui che si insinuano i privati. Perché? Perché questa dinamica permette loro di appropriassi delle conoscenze e delle competenze che vengono sviluppate in università, realizzando in questo modo una ricerca universitaria (finanziata con risorse pubbliche) ad esclusivo beneficio del settore industriale privato.
Un'altra rivendicazione, di natura più pratica, è quella relativa alla gestione delle aule e degli spazi. Su questo punto abbiamo richiesto che gli spazi inutilizzati vengano adibiti ad aule studio in modo tale da fornire agli studenti gli spazi fisici che necessitano per studiare. Parallelamente, abbiamo continuato a portare avanti la battaglia per l’abolizione della terza rata. Che poi, a dir la verità, per quanto ci riguarda le rate in un’università pubblica non ci dovrebbero proprio essere, in quanto si dovrebbe dare a tutti la possibilità di raggiungere il massimo livello di istruzione.
Passiamo ora a parlare più strettamente dell’occupazione. So che avete organizzato delle attività molto interessanti, ad alcune delle quali ho avuto anche il piacere di partecipare. Ce ne puoi parlare?
Le iniziative sono state tante e di vario tipo: assemblee, seminari, conferenze e incontri su specifici temi. Molto significativo è stato l’incontro con il CALP (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) che ci ha raccontato la sua esperienza di lotta. Il CALP è riuscito nei mesi e negli anni passati ad interrompere il traffico d’armi nel porto di Genova. Armi destinate a sostenere la guerra dell’Arabia Saudita contro il popolo Yemenita: una guerra criminale. La nostra esperienza con il CALP dimostra anche l’esigenza dell’intersezionalità delle lotte. L’Università non è un sistema stagno o a sé stante, ma, come ovunque nella società, esistono forti correlazioni. Questo è importante sottolinearlo. Troppo spesso si pensa che ciò che si studia in Università rimanga lì, come un fatto quasi individuale, mentre in realtà ci sono delle ripercussioni ed esistono degli interessi ben specifici dietro al modo in cui viene organizzata l’università. Importante è stato anche l’incontro con un comitato cileno che ci ha parlato delle rivolte degli ultimi anni in Cile: rivolte partite per l’appunto dagli studenti.
Abbiamo parlato della guerra in Donbass con diverse persone che hanno partecipato al sostegno della popolazione in Ucraina. Abbiamo avuto un incontro con una psichiatra che ci ha spiegato che cos’è la psichiatria oggi e come sta cambiando alla luce degli avvenimenti di quest’ultimo anno; dunque un’analisi critica. Abbiamo incontrato un gruppo di medici che, oltre a parlare di salute e malattia, si batte anche contro la realizzazione del nuovo ospedale Galliera qui a Genova, la cui realizzazione è perfettamente coerente con la logica di privatizzazione che al giorno d’oggi permea tutto, dalla salute all’istruzione. Sebbene questo ospedale non sarà privato, sarà un presidio sanitario che andrà ad accentrare ulteriormente il servizio sanitario di un’area molto vasta, a totale deterioramento della medicina territoriale, per di più in una città come Genova con grosse difficoltà di spostamento date proprio dal suo stesso territorio.
Abbiamo ospitato anche delle radio, come radio GrAMma e radio Onda d’Urto, che hanno trasmesso alcuni programmi qua in loco. Ci sono stati poi dei collegamenti con i No Tav a Torino che ci hanno parlato della loro lotta, anche in riferimento agli ultimi fatti di repressione a San Didero in occasione della costruzione del nuovo autoporto, ennesimo esempio di prepotenza istituzionale.
Avete delle collaborazioni o dei contatti attivi con altri movimenti studenteschi in Italia o all’estero che portano avanti le vostre stesse battaglie?
A livello nazionale soprattutto. Abbiamo intessuto dei rapporti con un collettivo padovano, l’Assemblea Universitaria per il Diritto allo Studio. Abbiamo contatti anche con Bologna, con la BA e Saperi Naviganti che è la sua organizzazione studentesca universitaria. Abbiamo dei contatti all’Università di Catania e a Firenze con i ragazzi di Krisis, che tra l’altro giusto ieri (11 maggio 2021) hanno occupato anche loro la Facoltà di Lettere della loro città.
A livello internazionale abbiamo avuto un’occasione di solidarietà con un gruppo di studenti greci che sono stati severamente repressi, all’interno delle loro stesse facoltà, in seguito alla militarizzazione degli atenei, dove sono stati mandati militari e poliziotti a presidiare le università. Abbiamo poi avuto contatti con studenti paraguaiani, anche in questo caso a seguito di una repressione fortissima che ha portato all’arresto di un gruppo di studenti e studentesse per presunti atti di vandalismo in occasione di proteste antigovernative.
Sebbene il vostro collettivo parta da rivendicazioni prettamente connesse al mondo dell’Istruzione e dell’Università, in realtà la logica e i ragionamenti che proponete sono notevolmente più ampi, finendo per abbracciare le molteplici contraddizioni del sistema economico e sociale nel quale siamo immersi. Qual è dunque l’idea di società che voi ragazzi di Come Studio Genova portate avanti?
Sicuramente la nostra impostazione è di ispirazione marxista. Ciò ci permette anche di tenere insieme, in un’ottica sistemica, tutta la complessità sociale che ci proponiamo di analizzare. La prospettiva che auspichiamo è quella di un mondo in cui le ingiustizie sociali siano sostanzialmente eliminate e in cui le concezioni di produzione e lavoro siano effettivamente al servizio del bene della collettività. È sempre la solita utopia molto semplice e molto radicale.
Ma nei fatti molto difficile.
Vero. È difficile, ma se è forte nell’immaginario ti dà una bella energia. E poi sai, stando qua, anche una semplice esperienza collettiva di autogestione come questa è sicuramente una cosa che ti dà tanto.
Hai anticipato la domanda successiva: qual è l’importanza della realtà associativa e dello stare assieme, anche alla luce di un anno di pandemia e di distanziamento sociale? Cosa ti ha dato dal punto di vista umano questa esperienza?
L’impatto è stato sicuramente forte. Ho visto come le persone avessero voglio di ritrovarsi e di organizzarsi. La socialità è sì la quotidianità che vivevamo tutti i giorni prima della pandemia, ma la socialità porta anche all’organizzazione. E questo è importantissimo. Soprattutto in un momento storico in cui l’organizzazione sociale si basa essenzialmente sull’atomizzazione dell’individuo. Siamo stai completamente disabituati anche solo all’idea che ci si possa organizzare. Gli effetti dell’isolamento sono stati pesanti e sicuramente tra qualche anno ne patiremo le conseguenze ancora più che adesso. Mi viene da pensare agli studenti delle scuole medie, o ancor più delle elementari, costretti per quasi l’anno intero a stare a casa, davanti a uno schermo. Si perde tutta quella che è la sfera della socialità. E la stessa didattica ne viene inficiata. L’idea d’istruzione come mero trasferimento di nozioni da un contenitore all’altro non ha niente a che fare con l’educazione che è anche, e forse soprattutto, un fatto fisico. Tutto ciò concorre ad alimentare una logica individualista.
A volte sembra quasi che la didattica a distanza abbia risolto alcuni problemi, per esempio dando più libertà allo studente-lavoratore, che di solito è un ragazzo che lavora per pagarsi gli studi. Tuttavia, in realtà questa libertà che emerge è una finta libertà. Per l’esempio che ti ho appena riportato si potrebbe dire che non andrebbero confusi i due piani. Lo studente è uno studente e il lavoratore un lavoratore. Se studio devo essere messo nelle condizioni di poter studiare. Non posso essere costretto a spaccarmi la schiena e lavorare 40/50/60 ore la settimana per potermi permettere un’istruzione universitaria.
La didattica a distanza ha distrutto quasi completamente la qualità dell’istruzione. E c’è anche il rischio che questo strumento non venga abbandonato del tutto una volta usciti dalla fase emergenziale, ma che diventi una caratteristica strutturale del sistema. In questo caso l’Università diventerebbe una sorta di canale Youtube. In un mondo distopico potrebbe essere così.
Ho saputo che recentemente siete stati oggetto di critiche da parte dell’Università e del rettore. Vi hanno accusato, tra le altre cose, di ostacolare il rientro in presenza degli studenti e di essere dei facinorosi che si vogliono semplicemente divertire in barba alle norme anti-covid. Come rispondete a queste critiche?
C’era anche un’altra questione riguardante il personale amministrativo. È stato detto che con l’occupazione abbiamo impedito il regolare ingresso dei lavoratori amministrativi. Cosa non vera perché è stata la stessa direttrice del dipartimento a dire ai lavoratori con una comunicazione di non venire a lavorare.
Riguardo al rientro. Il rientro in presenza che l’università propone è un rientro basato sulle prenotazioni, quindi un rientro in presenza molto limitato e probabilmente non sarebbe neanche avvenuto, proprio come non è avvenuto negli altri dipartimenti. In più a maggio, con le lezioni praticamente finite. E poi quello che l’università vorrebbe è un ritorno alla normalità pre-emergenza: proprio quello che noi non vorremmo!
Quando poi ci accusano di essere dei facinorosi il livello del discorso viene completamente spostato. A noi quello che ci interessa è prima di tutto far venire fuori il contenuto politico. Ci abbiamo dedicato tempo ed energie. Cerchiamo di mantenere il livello del discorso su un piano coerente: non si può rispondere a delle rivendicazioni politiche con degli attacchi del genere.