La realtà dell’Afghanistan

guerra-in-afghanistan: documenti, foto e citazioni nell'Enciclopedia  Treccani laborwaveaesthetic Instagram posts - Gramho.com

 

Risulta sempre istruttivo ed illuminante avvicinarsi all’universo islamico nelle sue differenziate articolazioni utilizzando metri di giudizio ed analisi affrancati da pregiudizi e verità scontate. Questo è indubbiamente il merito del prezioso contributo di pensiero e di conoscenza fornito dall’autrice di questo testo attraverso il quale si può toccare con mano la complessità ed il rigore culturale della realtà afghana.

Interessante appare costatare come in quel contesto segnato da differenze etniche, religiose e culturali l’Islam, professato dal 99% degli afghani, abbia prodotto effetti unificanti, “scandendo i ritmi di vita delle comunità”. Altrettanto importante è costatare come tutto questo si sia prodotto nel rispetto di costumi ed usanze esistenti prima dell’islamizzazione del Paese in un processo sincretico reperibile in altre realtà del mondo islamico dove l’incontro del messaggio del Profeta con altri sistemi di valori umani e religiosi è avvenuto senza traumi e lacerazioni. Tale processo ha avuto luogo anche in Afghanistan e costituisce uno dei tratti importanti dell’identità afghana ed uno degli elementi che le ha consentito di preservare il proprio modo di essere e la propria forza a fronte di aggressioni e di inaudite violenze perpetrate per decenni contro di essa nel corso di distruttive interferenze esterne. Avvincente appare apprendere dalla lettura del testo come il codice d’onore denominato Pashtunwali fornisca la chiave di spiegazione del perché il defunto capo di al-Qaeda Usama bin Laden non fosse stato estradato negli Stati Uniti nonostante le insistenti intimidatorie pressioni americane. Questo perché il valore, intriso di profonda umanità, della protezione accordata ad un ospite, proprio della tradizione dell’etnia Pashtoun, prevalente nel Paese, non poteva consentire una violazione così flagrante di un codice di condotta profondamente condiviso da quelle comunità. Questo fa anche capire la distanza abissale separante l’universo afghano nella sua autonoma ed autentica estrinsecazione da un Occidente dove i codici di condotta obbediscono a logiche diametralmente diverse. Osama bin Laden, quali che fossero le sue colpe ed i suoi demeriti, era pur sempre un ospite e come tale meritava aiuto e comprensione! Aver menzionato episodi così altamente significativi porta l’autrice del testo ad evidenziare un aspetto di primordiale rilevanza ovverossia che ogni confronto o scontro con entità come quella afghana richiederebbe una conoscenza e considerazione di quella realtà. E la verità di tale assunto è largamente sinistramente confermata non solo dagli anni di guerra e di sangue che da qualche decennio contraddistinguono il divenire dell’entità afghana ma anche dalla evidente inanità del gigantesco sforzo bellico degli invasori americani, replicando quanto subito da coloro che li avevano preceduti nel perseguimento di una pari logica di dominio, quindi giunti anch’essi ad una soglia – come opportunamente fatto rilevare dalla Professoressa Morigi – di non sapere più cosa fare, venendosi a trovare in una dimensione di smarrimento strategico dalla quale ora cercano maldestramente di uscire. In poche parole il segno di un fallimento completo in termini di strategia e di visione politica nel perseguimento di una “blind bloody war”, come amaramente sottolineato un giorno da una figura autorevole quale William Ramsey Clark, ex-Ministro della giustizia degli Stati Uniti. Lo smarrimento degli obiettivi e la perdita di un filo conduttore in una scia di morte e distruzione che allontana le soluzioni in chiave politica e rende irrealizzabili i punti d’incontro tra contrastanti interessi. L’ostentata non conoscenza delle realtà dove si viene ad operare porta a sbocchi fallimentari per gli stessi interessi di coloro che per calcoli di dominio cercano di violentare culture e modi di vita consolidatisi nei secoli. Perfino una figura storica di altri tempi come Sir Winston Churchill ebbe un giorno a riconoscere la validità di tale semplice e ineliminabile assunto che il grande statista britannico considerava di vitale importanza avendo a cuore gli interessi imperiali della Corona. Ed invece al contrario la superpotenza americana, non essendo peraltro l’unica, continua ad ignorare tali basilari verità. La conseguenza è quella di andare incontro ai fallimentari risultati costatabili in Afghanistan, già costatati in Iraq, in Libia e per interposta persona nello Yemen, la più grave catastrofe umanitaria dalla fine della Seconda guerra mondiale, incredibilmente ignorata dai media internazionali. In definitiva al momento di scrivere queste note una via d’uscita dal pantano afgano non si intravvede mentre fatti di sangue continuano ad avvelenare il quadro generale nel Paese in un clima di profonda sfiducia nei confronti del processo di pace portato avanti in posizione di apparente debolezza dagli Stati Uniti alla ricerca di una exit strategy più che mai problematica, destinata probabilmente a perpetuare il clima di violenza e di “blind bloody war” in quella terra martire. Del resto la trattativa in corso a Doha, nell’emirato di Qatar, tra i rappresentanti di un governo corrotto impopolare e scarsamente rappresentativo e i Talebani non ha prodotto a tutt’oggi alcun risultato probante dato il muro di diffidenza e di astio nonché la distanza in termini culturali e politici che dividono le due Parti. Quel che ci si attendeva sulla scia della positiva conclusione lo scorso febbraio del negoziato tra i talebani e gli USA non si è purtroppo a tutt’oggi verificato. Lo stallo prodottosi ha favorito e continua a favorire il terrorismo dell’ISIS dove sono confluiti quei Talebani contrari ad ogni negoziato con gli invasori. Lo Stato islamico da situazioni del genere trae il massimo vantaggio seminando morte e dolore negli ospedali, università ed ogni struttura civile indispensabile per far uscire il Paese dal terrificante marasma nel quale si trova. Lo scopo della formazione fondata dall’iracheno Abu Bakr al-Baghdadi è quello di far apparire il governo di Kabul debole ed incapace di garantire l’ordine e la pace nel Paese. L’attuale aumento della violenza in Afghanistan, nel mentre prosegue senza risultati la trattativa tra governativi e Talebani a Doha, costituisce la prova dell’ennesimo fallimento di una strategia americana i cui tratti peculiari sono dati dall’arroganza ed il desiderio di dominio, senza alcuna considerazione delle variabili storiche e culturali proprie del contesto afghano. Un’altra area di scontro si è creata in Afghanistan in seno allo schieramento jihadista che vede da una parte i Talebani, di fatto appoggiati da al-Qaeda, e dall’altra i terroristi dello Stato islamico interessati a reperire nel perseguimento della loro delirante battaglia settaria nuove aree di inserimento dopo i colpi subiti in Siria ed in Iraq dove, seppur fiaccata, la loro devastante presenza non è comunque venuta meno e continua tuttora a colpire. Ciò fa inoltre comprendere quanto si riveli vacua e sterile la richiesta USA di una rottura tra i mujaheddin afghani e la formazione fondata da Usama bin Laden. Troppi sono i punti di affinità esistenti tra le due formazioni, in primis l’intendimento di cacciare gli invasori da una terra d’Islam e poter imporre la loro condivisa molto severa versione del messaggio coranico. Al-Qaeda, le cui capacità di radicamento nel territorio, a differenza dell’ISIS, si sono affermate in altre aree del mondo islamico, si è d’altronde rivelata determinante nell’inquadramento anche militare dei Talebani, rendendo alquanto illusorio l’impegno assunto dai militanti afghani, in esito alla trattativa conclusa lo scorso febbraio con gli americani, di non permettere che gli adepti di Usama bin Laden solchino il suolo afgano in cambio del ritiro delle forze USA dall’Afghanistan. In definitiva quanto sopra descritto rende questo libro molto interessante e formativo nella misura in cui riporta i dati della complessa equazione afghana nel loro contesto reale, consentendo al lettore sia un cospicuo arricchimento culturale sia un inquadramento dei problemi, non avulsi dalla tragica realtà che continua tuttora a rendere alquanto remota una via d’uscita dal dramma che quella nazione martire continua purtroppo a vivere e subire.

 

PS: questo testo è la prefazione al libro di  Maria Morigi – Afghanistan – Ed. Anteo

 

 

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Angelo Travaglini diplomatico in pensione, membro del Comitato Scientifico del CIVG