Cari sindacati, con le lacrime di coccodrillo non ci facciamo nulla
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- Scritto da Medicina Democratica
Apprendiamo, per l’ennesima volta dopo una serie di omicidi del lavoro un po’ più numerosi o ravvicinati del solito, che i sindacati (per esempio CGIL.CISL UIL Lombardia) nel denunciare l’incremento degli infortuni mortali in regione chiedono di aprire una vertenza sulla sicurezza sul lavoro e di “restituire operatività ai Servizi di prevenzione negli ambienti di lavoro cui spetta la vigilanza sul rispetto delle norme e la prevenzione, rafforzando il personale dedicato ai controlli nelle aziende”.
Da tecnico della prevenzione di uno dei Servizi di Prevenzione citati resto sinceramente basito e scandalizzato da una tale posizione nello stesso giorno in cui ricevo dagli stessi sindacati un comunicato in cui si vantano di aver messo alle strette la regione Lombardia sulle RAR (risorse aggiuntive regionali) ovvero qualche centinaio di euro (annuali) per chi sarà ligio alle direttive aziendali.
Sono gli stessi sindacati che non hanno detto nulla quando gli operatori della prevenzione, nella prima fase covid e mentre i lavoratori “essenziali” (e quelli non essenziali ma con esenzione prefettizia autocertificata), lavoravano in condizioni di lavoro indefinite se non mandati allo sbaraglio (come nelle RSA), erano costretti a rimanere in smart working (fino al 4 maggio 2020): nel momento in cui i lavoratori avevano più bisogno di essere seguiti e garantiti nelle condizioni di lavoro gli operatori se ne stavano a casa a compilare scartoffie virtuali.
Questo sta succedendo ancora adesso, fino a pochi giorni fa un numero pari almeno a un terzo degli operatori della prevenzione erano impiegati a fare i tracciamenti ovvero a telefonare a destra e a sinistra per ricostruire i contatti stretti di persone positive al covid, peraltro senza alcuna attenzione o mandato particolare per far emergere eventuali focolai in aziende.
Se per le Agenzie di Tutela della Salute i servizi di prevenzione sul lavoro sono l’ultima ruota del carro (diversi direttori generali si sono succeduti nel tempo dimostrando in più occasione che nemmeno sapevano quale fossero le funzioni di tali servizi) vi è stato un silenzio assordante e una acquiescenza insopportabile da parte delle diverse forme di rappresentanza dei lavoratori pubblici.
Ma anche sull’argomento dell’entità del numero degli operatori (elemento importante anche se non sufficiente) nulla si muove nel silenzio pluriennale anche dei sindacati. Basti pensare che, dopo la strage della Lamina di Milano (4 morti asfissiati), condanna del datore di lavoro a 9 mesi con patteggiamento, era stato sottoscritto l’ennesimo impegno di nuove assunzioni. Un piano triennale (del maggio 2018) per l’assunzione di 45 tecnici della prevenzione nelle ATS lombarde e di altre figure con un investimento oltre i 7 milioni di euro (su 3 anni) in realtà a costo zero perchè questa cifra è quella normalmente raccolta in termini di sanzioni introitate dalle stesse ATS per l’azione (anche) repressiva dei servizi.
E’ impossibile sapere (qualche consigliere regionale vuole farsi carico ?) quanti effettivamente sono i tecnici assunti ma, dallo scorcio che posso vedere dalla mia posizione, direi non più di un quinto di quelli previsti.
Nel frattempo la quota 100 ha invece accelerato l’uscita dal lavoro dei tecnici anziani che così non saranno disponibili neppure – se e quando ciò avverrà – per seguire i nuovi tecnici, posto che ci vogliono almeno 3 anni per riuscire a formare un neolaureato.
Nel frattempo le sentenze contro i lavoratori si accumulano, dalla esclusione dell’imputazione di infortunio sul lavoro relativa al crimine ferroviario di Viareggio che ha rimesso in discussione la giusta condanna di Moratti, al disconoscimento delle responsabilità per i morti da amianto alla Breda, alla Scala e in altri siti.
Non mi stupirebbe che, anche in qualche caso recente, emerga la tesi che la colpa è del lavoratore e non delle sue condizioni di lavoro, sulla falsariga delle discussioni nei convegni regionali se non sia ora di superare un modello “repressivo” (leggasi controllo per l’attuazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro e intervento per l’eliminazione forzata delle violazioni) o un modello di “sostegno” delle aziende (da “accompagnare” con consulenze personalizzate affinchè gradualmente si allineano alle norme).
Insomma, forse la prima vertenza dei lavoratori va fatta nei confronti delle loro rappresentanze affinchè si sveglino e diamo modo ai lavoratori stessi di poter avere coscienza e quindi lottare per le proprie condizioni lavorative anche oltre i ricatti del precariato e dei mille contratti che li indeboliscono, unendo quindi la lotta per le condizioni di un lavoro sicuro alla tutela dei diritti sul lavoro e per la dignità dei lavoratori.
Per parte nostra continueremo ad essere dalla parte di quei lavoratori e lavoratrici autoorganizzati che vorranno contrastare l’insicurezza e le patologie da lavoro di ogni genere come pure saremo assieme alle vittime che pretendono giustizia anche nelle aule dei Tribunali; ricordiamo che, nell’ambito della rete nazionale per il diritto alla salute abbiamo condiviso e individuato degli obiettivi su questo tema che sono riportati sulla nostra rivista e qui sotto resi disponibili.
PAG 103 – 113 Gruppo lav salute dico 32
Marco Caldiroli – Presidente di Medicina Democratica Onlus, Tecnico della prevenzione dell’ambiente e nei luoghi di lavoro
PS nel caso in cui intendiate infortunarvi in provincia di Milano cercate di escludere una vigilia lavorativa di una festività (natale, pasqua, ferragosto per ora ma non si escludono ulteriori aggiunte) perchè in quel caso incorreste in uno dei giorni in cui i servizi di prevenzione sono chiusi e gli operatori in ferie forzate (altra grande conquista sindacale) pertanto sarà disponibile solo la squadra di reperibilità (pochissimi operatori per un vastissimo territorio) che interverranno solo in caso di infortuni gravissimi o mortali.