OSPAAAL, compagna dei popoli in cammino

25 febbraio 2021

 

L’Organizzazione di Solidarietà dei Popoli di Africa, Asia e America Latina – OSPAAAL – nasce a L'Avana nel gennaio del 1966. Alla sua conferenza fondativa partecipano 82 rappresentanti di Africa, Asia e America Latina che si identificano e ritrovano nel discorso dell'11 dicembre 1964 di Che Guevara alle Nazioni Unite, e ne adottano il passaggio più significativo come parola d'ordine della missione che decidono di intraprendere: "Questa grande umanità ha detto basta e ha cominciato a camminare".

Gli anni '60 furono un periodo fortemente caratterizzato da numerose aggressioni a Paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina e dalle conseguenti insurrezioni popolari. In Sudafrica si sviluppò la fase più cruenta del regime di apartheid. Per Cuba, la scelta di campo fu chiara: i movimenti popolari dovevano essere appoggiati, e la prima cosa da fare era dar loro voce.

Tra le modalità scelte dalla OSPAAAL per esprimere e diffondere il messaggio di sostegno e solidarietà ai popoli in lotta ci fu anche quella del manifesto, cartel in spagnolo.

Raccogliendo un'esperienza di stile e contenuti ereditata dall'arte del manifesto statunitense, il cartel cubano, a partire dalla metà degli anni '60, si sviluppò in una direzione propria creando un linguaggio grafico di sintesi di elementi nazionali ed extra-nazionali. Sotto l'aspetto tecnico, per i problemi dovuti alla scarsità delle materie prime, il cartel cubano riuscì a prescindere quasi completamente dalla tipografia.

La grafica della OSPAAAL fu diretta anche e soprattutto fuori da Cuba, a persone che non sapevano leggere, e per questo aveva – doveva avere – un impatto immediato. Nel linguaggio dei manifesti cubani di solidarietà della OSPAAAL il messaggio è trasmesso in modo convincente e il contesto, spesso complesso, è raccontato con efficacia attraverso semplici chiavi visuali. Il manifesto cubano internazionalista ha un connotato unico, si può dire pedagogico e formativo. Chi l’osserva è preso e accompagnato per mano da molteplici forme di espressione.

La OSPAAAL è conforto per "i dannati della Terra", è informazione diretta e pura, è denuncia. I primi manifesti, del gennaio 1967, portavano a conoscenza le crisi del Congo, del Guatemala e del Nicaragua, e raffiguravano i rappresentanti di quelle lotte, emblemi dei rispettivi popoli: Lumumba, Lima e Sandino. Si può dire che, negli anni dai '60 agli '80, i manifesti della OSPAAAL non mancarono una sola occasione per divulgare le notizie delle lotte in atto: dal Guatemala al Nicaragua, appunto, e poi dal Cile al Venezuela, dall'Uruguay al Congo, dalla Guinea Bissau all'Angola, all'Apartheid, allo Zimbabwe, alla Namibia, alla Palestina, alla Corea, alla Cambogia, al Vietnam, al Laos, alla discriminazione razziale negli Stati Uniti, per arrivare all'ultima guerra colonialista del secolo scorso, quella delle Malvinas. Non sono molti, invece, i manifesti della OSPAAAL sull'Unione Sovietica: Cuba non fu mai disposta ad appoggiarla incondizionatamente, sebbene in buona misura ne dipendesse economicamente.

In seguito alla caduta del blocco sovietico, le lotte di liberazione entrarono in seria difficoltà, ma nonostante le infinite avversità continuano tuttora, anche se spesso occultate o raccontate utilitaristicamente dalla stampa occidentale. Da allora, il contenuto dei manifesti della OSPAAAL è cambiato: i temi all'ordine del giorno sono diventati l'ordine sociale mondiale, il neoliberismo, le tematiche nazionali come il blocco degli Stati Uniti. In questo senso, l'attualità dei manifesti della OSPAAAL è impressionante, soprattutto quando ci "spiegano" quanto e come i capitali internazionali si siano ormai imposti sulle politiche sociali nazionali.

Nel 1967 la OSPAAAL fonda la rivista "Tricontinental". All'inizio si stamparono 50mila copie in tre lingue (25mila in spagnolo, 15mila in inglese e 10mila in francese) a cui per qualche tempo si aggiunse l'arabo. I manifesti erano inseriti all'interno come pieghevoli. Per tutti gli anni '60 non furono firmati perché la firma avrebbe contraddetto lo spirito collettivo: l'individualismo veniva dopo gli ideali.

I manifesti della OSPAAAL diffusero nel mondo i principi dell'internazionalismo cubano, come indicò il primo congresso "Cultura ed Educazione" che si svolse all'Avana nel 1966, secondo cui “l'arte della Rivoluzione deve essere internazionalista e legata alle radici nazionali, deve sollecitare tutti i mezzi di espressione culturale dell'America Latina, dell'Asia e dell'Africa che l'imperialismo tenta di annullare, deve rilanciare il grido degli inascoltati e dei perseguitati”.

 

    

   

AFRICA. Sotto il profilo storico, il XX secolo è stato certamente caratterizzato dagli innumerevoli tentativi da parte di molti Paesi del mondo di liberarsi dal giogo del sistema coloniale alla base dello sviluppo delle metropoli. Innescate dalla Rivoluzione d'Ottobre, le contraddizioni tra il potere coloniale e le colonie si intensificarono e, a partire dagli anni '40, diedero vita a fronti di lotta aperta od organizzata per l'indipendenza nazionale, prima in Asia e poi sempre più frequentemente in Africa, mettendo spesso in ginocchio nei 30 anni successivi le dominazioni coloniali. Nel 1945, più di 665 milioni di esseri umani si trovavano in qualche modo sotto schiavitù; nel 1996 vivevano in quelle condizioni ancora 35 milioni di persone, soprattutto in Africa. Con le denunce della OSPAAAL, le forze progressiste dell'Africa e del mondo potevano contare su una piattaforma dalla quale lanciare la propria voce e portarla nel mondo senza censure. I popoli e gli stati del Terzo Mondo rivendicavano la loro identità e il fermo proposito di assurgere a soggetti politici autonomi e indipendenti. Il Movimento dei Paesi Non Allineati che si andò progressivamente formando a partire da Bandung, nel 1955, fu la diretta conseguenza del ritrovato orgoglio delle popolazioni sfruttate.

Nella sua opera "I dannati della terra", Franz Fanon, medico della Martinica e attivista nella lotta di liberazione algerina, raccontò le radici e spiegò i meccanismi del colonialismo in Africa. Come Che Guevara in America Latina, egli capì che la decolonizzazione è un processo di "turbamento assoluto", ma deve produrre una nuova pelle, un nuovo pensiero, un nuovo uomo.

La OSPAAAL dovette già allora misurarsi con il fenomeno della disinformazione prodotta dalle grandi catene dei media per giustificare l'intervento nei paesi in rivolta, e per questo dedicò sempre analisi, azioni e manifesti ai rappresentanti dei movimenti e alle vittime della repressione.

 

ASIA. Cina e Giappone hanno sempre svolto un ruolo dominante nella instabile storia del Sudest asiatico. Nessun popolo della regione ha mai potuto evitare sul lungo termine la supremazia cinese. Tuttavia, dal XVI secolo all'inizio del XIX, l'espansione coloniale alterò gli equilibri del continente. Il commercio degli schiavi e il saccheggio senza limiti delle colonie permisero al nascente capitalismo europeo un repentino e potente sviluppo mentre le società coloniali, che dovevano consegnare tutte le risorse, si trovarono nell'impossibilità di svilupparsi economicamente e socialmente. Il colonialismo esercitava il controllo con la forza e la repressione, mantenendo il sottosviluppo delle colonie per favorire il progresso delle metropoli, sempre con spirito "umanitario" e "civilizzatore".

In seguito agli sconvolgimenti della Seconda Guerra Mondiale, il continente asiatico entrò in una nuova epoca in cui l'ordine del giorno divenne l'affrancamento dalla dipendenza e il recupero del ritardo di sviluppo.

Il movimento per l'indipendenza guidato da Gandhi in India, la Gran Marcia del Partito Comunista, Mao Tse-tung in Cina e l'instaurazione da parte di Ho Chi Minh della Repubblica Democratica in Vietnam furono circostanze animate dalla ricerca di nuovi percorsi di sviluppo non capitalisti che risvegliarono grandi speranze in tutti i popoli dell'Asia. Allo stesso tempo, costituirono l'incubo dell'imperialismo, che si mostrò pronto a impedire ulteriori "smarcamenti" dall'egemonia capitalista. Il Giappone fascista, battuto, risultò molto funzionale al riarmo economico e militare e al disegno espansionistico degli Stati Uniti i quali, proclamandosi salvatori dell'Oriente cristiano dal "pericolo giallo", si imposero come tutori dell'equilibrio e della pace mondiale, "garantito" di fatto da un'operazione bellica di proporzioni mai viste in precedenza.

Nessun media né arma di distruzione di massa era troppo cattiva se si trattava di impedire nuove "insubordinazioni". Il Vietnam, appoggiato dall'Unione Sovietica e da un crescente movimento di solidarietà di proporzioni mondiali, con la sua eroica lotta e il suo trionfo divenne nel 1975 un nuovo esempio, dimostrando che l'unità interna, l'organizzazione e una coscienza politica identitaria possono vincere anche i più potenti portatori del vecchio ordine.

 

AMERICA LATINA. Da più di cent'anni il continente latinoamericano è un vulcano in eruzione. Fin dalla Rivoluzione Messicana, il fermento sociale e politico del subcontinente testimonia che nessuna imposizione può essere accettata senza resistenza.

Tutti i movimenti di emancipazione di quella parte di mondo si sono trovati sistematicamente faccia a faccia con gli Stati Uniti, i quali hanno fatto pesare la loro indole egemonica fin dal presidente James Monroe, nel 1823. La sua politica, che prese il nome di "Dottrina Monroe", aveva il duplice scopo di impedire alle potenze europee di sostituirsi in qualsiasi modo all'influenza della Spagna e di raggiungere progressivamente il predominio politico ed economico in tutto l'emisfero americano, molto ricco di materie prime. La politica tracciata in origine da Monroe è stata da allora ripresa e aggiornata molte volte, e ancora oggi vi si fa riferimento per descrivere le aspirazioni della potenza nordamericana sul subcontinente. Nel 1904, Teodoro Roosevelt arrivò perfino ad affermare candidamente che agli Stati Uniti spettava il ruolo di polizia mondiale. Come conseguenza di una tale attitudine, gli Stati Uniti si sono sentiti "chiamati" ad intervenire militarmente o comunque con la forza in America Latina in più di 2000 occasioni fino a oggi per affermare o "difendere" i propri interessi economici, politici e strategici.

 

  

  


Per imporre su scala globale il proprio modello, gli Stati Uniti seguirono necessariamente tattiche e strategie non esattamente in punta di forchetta. Soprattutto nei paesi più sviluppati dell'America Latina, le organizzazioni dei lavoratori industriali e agricoli, i sindacati e i partiti progressisti, subirono veri e propri attacchi e persecuzioni, fino all'eliminazione fisica degli esponenti più attivi. Furono finanziate azioni sottocoperta come il colpo di stato in Brasile del 1964, l'appoggio alle dittature militari in Cile, Argentina e Uruguay e poi via via in Panama, Granada, Haiti, Repubblica Dominicana, Nicaragua, Guatemala, El Salvador. Per quanto anacronistiche, le dittature dei caudillos vennero fomentate per decenni dall'imperialismo e, sicuramente, nessuno di questi abbandonò il potere volontariamente o fu deposto dagli Stati Uniti, ma furono sempre necessarie opposizioni di profonda coscienza politica, organizzate e, quando necessario, armate.

In seguito al crollo del sistema di Bretton-Woods, organismi quali il Banco Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale portarono a capo,dove non poterono le armi, la penetrazione dell'economia mondialista attraverso il crescente indebitamento dei Paesi sottosviluppati e lo sfruttamento sempre più intenso delle loro risorse, riportando indietro le lancette della Storia e ripristinando una dipendenza simile a quella feudale, senza lasciare alternativa all'assolvimento degli "imprescindibili" obblighi dettati dalla finanza, anche a costo del depauperamento del patrimonio di diritti sociali conquistati in anni di lotta.

 

Un contributo speciale al cammino dei movimenti popolari, spesso non considerato e a dispetto delle molteplici discriminazioni, fu apportato dalle donne dell'America Latina. Anche in seno alla Chiesa Cattolica si sono sentite negli anni voci progressiste, e perfino il Papa dovette riconoscere il segno dei tempi: nella Conferenza dei Vescovi di Medellin del 1968 furono pubblicamente denunciati gli interventi dei "popoli potenti contro l'autodeterminazione dei popoli deboli". Queste tendenze si riflessero nella teoria e nella pratica della Teologia della Liberazione, così come nelle organizzazioni ecclesiastiche di base. Un esempio di ciò fu Padre Camilo Torres, che cambiò l'abito talare con il fucile.

Se la Dottrina Monroe è il tratto caratteristico dell'aberrazione dei rapporti di forza tra la potenza nordamericana e gli Stati del subcontinente latinoamericano, a essa fanno da contraltare gli uomini e i movimenti che si sono battuti per una vita degna. I popoli del subcontinente, attraverso i movimenti e le personalità a cui hanno dato vita nella politica e nella cultura, hanno continuamente cercato un proprio posto libero e indipendente nella Storia. Come Salvador Allende che nel 1970 in Cile arrivò al governo per via elettorale; come Augusto César Sandino che nel 1979 in Nicaragua riuscì a rovesciare la dittatura di Somoza; come il Fronte Amplio e i Tupamaros in Uruguay che all'inizio degli anni '70 furono fermati da un golpe appoggiato dalla CIA; come il sacerdote Camilo Torres che nel 1966 cadde in combattimento in Bolivia.

L'opinione pubblica mondiale non ha mai avuto la totale consapevolezza del dramma di queste terre che produssero culture tanto avanzate come i maya, gli aztechi e gli inca. Il grande sogno perseguito già da Simon Bolívar e José de San Martín di una definitiva liberazione dalla dipendenza colonialista, dalla schiavitù e dall'oppressione sociale e nazionale, è stato raggiunto solo in parte. Facendo tesoro delle tradizioni storiche della resistenza come quelle dei Tupac Amaru in Perù, di Hatuey a Cuba o degli araucanos in Cile, generazioni di brillanti pensatori e guerrieri hanno nel tempo alzato una e un'altra volta la fiaccola della libertà, come José Martí, il primo ad allertare sul pericolo costituito dalla politica della grande potenza nordamericana.

Questi esempi risvegliano ancora oggi la preoccupazione dell'imperialismo e costituiscono allo stesso tempo un orientamento per tanti uomini. Di tutto questo e di molto altro ci parlano la OSPAAAL e i suoi manifesti.

 

 

Fonti:

El Cartel Tricontinental de Solidaridad, Richard Frick, OSPAAAL, 2003

Il manifesto della OSPAAAL, arte della solidarietà, Tricontinental/Il Papiro, 1997

Approfondimento: http://www.ospaaal.com/        

 

                                               

Luigi Mezzacappa è coordinatore del Gruppo PatriaGrande del CIVG