Dagli hacker onnipotenti agli avvelenatori fessi

22 dicembre 2020

 

Di quale Russia stiamo parlando? D’ora in poi bisognerà premettere questa domanda a qualunque cosa si voglia dire o scrivere. Riflessioni dal caso Navalnyj alla stagione di Putin.

 

avvelenatori 

 

Di quale Russia stiamo parlando? D’ora in poi bisognerà premettere questa domanda a qualunque cosa si voglia dire o scrivere. Perché è chiaro che la Russia degli hacker onnipotenti, quelli che penetrano come fosse burro anche i segreti del Pentagono o dell’agenzia atomica degli Usa (i quali proprio indietro come tecnologia non sono, e poi sono anni che la menano con ‘sti hacker, avranno pur preso qualche precauzione), non s’accoppia bene con quella degli avvelenatori fessi. Ma fessi assai, visto che non riescono a far fuori né un vecchio doppiogiochista inutile e ininfluente come Skripal né un furbone come Navalnyj, ci mettono la firma (l’uso del noviciok, una specie di neon con la scritta “è stato il Cremlino”) e se non basta la raccontano pure al telefono.

Anche perché nel mezzo ci sono molti casi in cui, senza tanta elettronica ma anche senza tante chiacchiere, chi doveva morire purtroppo è morto. La PolitkovskajaNemtsov, per fare solo qualche esempio. Non a caso gli omicidi “illustri” che nemmeno con le più ardite acrobazie si è riusciti ad affibbiare a Vladimir Putin. Non a caso, omicidi condotti alla vecchia maniera, una pistola e via, e quindi perfettamente riusciti.

C’è dunque qualcosa che non funziona. E questo qualcosa potrebbe benissimo essere in Russia. Quelle due Russie, tra hacker ai quali riesce tutto (e mettiamoci pure, accanto a loro, un’industria degli armamenti all’avanguardia)  e avvelenatori ai quali riesce nulla, sono così incompatibili da far pensare che esistano davvero due Russie e che stiano diventando sempre più incompatibili. Che ce ne sia una che lavora per il Cremlino e una che lavora contro, o comunque per conto proprio. Che gli hacker stiano da una parte e gli avvelenatori da un’altra, in una lotta per spostare gli equilibri e indirizzare la successione che si fa via via più aperta man mano che il sistema perde dinamismo e si sclerotizza intorno all’eternità politica di Putin.

Non è cominciata ieri, non finirà domani. Prepariamoci. Quando scoppiò il “caso Navalnyj” scrissi che Putin doveva assumersi la responsabilità morale dell’accaduto. Qualche sciocco dedusse che lo ritenevo anche il mandante degli avvelenatori. Ma nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, Putin ha detto che Navalnyj era pedinato da anni e, con uno scherzo di dubbissimo gusto, che se davvero avessero voluto ucciderlo (loro chi? Si presume lui e i servizi segreti…) l’avrebbero fatto. E in quelle condizioni, cioè ammettendo che Navalnyj era sotto la “tua” sorveglianza, non hai una qualche responsabilità? Il più mediatico e visibile dei tuoi critici (oppositore è troppo, Navalnyj non ne ha né il potere né la stoffa) finisce dentro un complotto sotto gli occhi dei tuoi uomini (o, peggio, per mano dei tuoi avvelenatori fessi) e non ne porti la responsabilità?

I casi sono due. O Navalnyj doveva morire per volontà di Putin (anche se è difficile capire quale interesse avesse il Presidente a realizzare un delitto così clamoroso, né come sia possibile che un simile desiderio venga eventualmente realizzato con tanto dilettantismo e incapacità). Oppure Navalnyj doveva morire, o magari proprio non morire, per mettere in difficoltà Putin. Nell’uno e nell’altro caso, al Cremlino qualcosa sta sfuggendo di mano e da qui al 2024, anno delle prossime elezioni presidenziali, la strada è molto molto lunga.

Nel frattempo prendiamo nota, a uso e consumo della nostra stampa, di quanto dicono Navalnyj e Bellingcat. E cioè, che il blogger è stato salvato dalla pronta reazione del pilota dell’aereo su cui lui viaggiava e dall’intervento accorto dei medici di Omsk. Quelli che a suo tempo veniva descritti come perfidi collaboratori degli avvelenatori fessi. Contrordine compagni!

 

Da letteradamosca