Il rabbino Moshe Ber Beck lotta da quasi un secolo per le sue convinzioni

 16 dicembre 2020, MintPress

Dopo essere scampato ai soldati nazisti a 10 anni e più tardi ai pestaggi della polizia israeliana, il rabbino Moshe Ber Beck non è il tipo da permettere che qualche avversità ostacoli la lotta per affermare  le sue convinzioni.

 

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Nella foto il rabbino Moshe Ber Beck, tra gli attivisti che commemorano la Nakba mentre attraversano manifestando il ponte di Brooklyn a New York il 15 maggio 2016.    Foto Shutterstock

Il rabbino Moshe Ber Beck aveva 10 anni nella primavera del 1944 quando i nazisti invasero l’Ungheria. Trascorse molti mesi nascosto in un rifugio a Pest, la parte orientale della capitale ungherese Budapest, prima che lui e la sua famiglia potessero andarsene. Con la madre scomparsa, assassinata ad Auschwitz, lui e ciò che restava della sua famiglia, insieme a milioni di rifugiati,  viaggiò  attraverso l’Europa per trovare una casa. Nel 1948 si recò in Palestina dove visse e studiò nella comunità ebraica ultraortodossa di Gerusalemme a Mea Shearim. Rimase lì fino al 1967 quando lasciò la Palestina per non tornare mai più.

Tra le espressioni di solidarietà pubblicate sulle varie piattaforme di social media durante la Settimana di Solidarietà con la Palestina nel novembre 2020, c’era una foto di Rabbi Beck. Quasi 90 anni, sopravvissuto a un ictus che lo ha lasciato parzialmente paralizzato, si è prestato per una foto davanti ad una bandiera palestinese reggendo un cartello che diceva: “Tutti per la Palestina”. Bisogna ammettere che la sua vita e la sua devozione religiosa rendono il suo impegno per la lotta di liberazione palestinese ancora più notevole.

Lasciando Gerusalemme

Ho incontrato il rabbino Beck per la prima volta nella sua casa di Monsey, New York. Il rabbino Dovid Weiss, un altro ben noto e rispettato  rabbino ultraortodosso antisionista e  sostenitore della lotta palestinese, mi ha accompagnato ad incontrarlo. La famiglia del rabbino Weiss, anch’egli ungherese, fu sterminata dai nazisti. “Mio padre era il più giovane di dieci ed è riuscito a fuggire. Ma quando cercò di tornare per aiutare gli altri a scappare, era troppo tardi”.

A quel punto non sapevo chi fosse il rabbino Beck, ma potevo vedere che era un rabbino venerato e molto rispettato.

Ho cercato di capire cosa lo avesse spinto a lasciare Gerusalemme. All’epoca era un giovane con una famiglia numerosa e pochi mezzi. Viveva e studiava nel cuore del mondo ultraortodosso in Terra Santa, quindi mi chiedevo cosa potesse averlo spinto ad andarsene.

Il rabbino Beck parla yiddish e pochissimo inglese, quindi il rabbino Weiss è stato così gentile da tradurre. Gesticolando con le mani e anche alzando la sua voce altrimenti molto tranquilla, il rabbino Beck ha chiarito che c’erano molte ragioni per lasciare Gerusalemme e tutte avevano a che fare con il sionismo. Dopo la guerra del 1967, lui e un gruppo di giovani rabbini devoti e promettenti si resero conto che lo stato di Israele non era un posto per gli ebrei.

Ha parlato in yiddish indicando con le mani la barba, i payot (riccioli) il kaftan (gli abiti religiosi), e poi il rabbino Weiss ha tradotto: “Non voleva che la sua barba, i payot e il kaftan incoronassero lo stato sionista”.

 

https://www.invictapalestina.org/wp-content/uploads/2020/12/Rabbi-Wiess-and-Beck_edited.jpgRabbi Weiss (sx) e Rabbi Beck.

Anche se c’erano molte ragioni per la sua partenza, l’ultima goccia fu l’assalto israeliano del 1967 ai paesi arabi vicini. Sentiva di doversene andare. Con quattro figli e neanche un soldo in tasca, riuscì  in qualche modo a raggiungere il Regno Unito.

Eresia

Il rabbino Beck sempre più animatamente mi spiegava attraverso il rabbino Weiss che l’idea stessa dello stato sionista è eresia. “Se n’è andato puro e semplice a causa del sionismo”, ha spiegato il rabbino Weiss; altri giovani importanti rabbini sentivano che lo Stato stava facendo tutto ciò che era in suo potere per porre fine al loro stile di vita ebraico.

Questo rabbino anziano, apparentemente fragile, spiega appassionatamente come il sionismo e lo Stato di Israele “disprezzino e ridicolizzino” i principi della fede ebraica e rappresentino una “Kefira”, (eresia). Ha quindi rifiutato di coronare questo “falso giudaismo” con la sua presenza e il suo aspetto ebraico.

“Questi sono i nostri ragazzi”

Una storia che il rabbino Beck mi ha raccontato e che ho sentito anche da suo figlio, il rabbino Elhonon Beck a Londra, riguarda un incidente avvenuto mentre il rabbino Beck e molti altri si erano riparati in un rifugio antiaereo a Gerusalemme durante la guerra del 1967. Il quartiere di Mea Shearim si trova in un’area che, fino al 1967, si trovava proprio al confine tra lo Stato di Israele e Gerusalemme Est controllata dalla Giordania. Durante la guerra, in quella zona si sono svolti pesanti combattimenti e le persone ammassate nel rifugio antiaereo potevano sentire i rumori fragorosi di spari ed esplosioni.

Ad un certo punto, mentre sentivano  sfrecciare degli aerei da guerra ,  un uomo entrò nel rifugio e, volendo fare impressione sugli altri, disse: “non preoccupatevi, questi sono i nostri”. Era qualcosa che il rabbino Beck ei suoi compagni rabbini non potevano sopportare. Che gli ebrei religiosi si associassero agli aerei da guerra israeliani e si riferissero a loro come “nostri”. Lo Stato sionista e il suo esercito erano una maledizione per loro ed è stato in quel momento che molti di essi hanno deciso che era ora di lasciare il paese. “Non volevano che i loro figli crescessero in quell’atmosfera in cui gli ebrei religiosi sentivano una correlazione con l’esercito sionista”.

Un risultato della campagna di propaganda israeliana che seguì l’aggressione del 1967 fu che gli ebrei religiosi iniziarono a credere che la vittoria israeliana fosse un miracolo. Israele perpetuava  il mito che si trovava di fronte alla forza schiacciante degli eserciti arabi e che  era miracolosamente in grado di sconfiggerli tutti. Il rabbino Beck e gli altri del suo gruppo  considerano  questa convinzione, “che una vittoria sionista sia vista come un miracolo”, come un’eresia.

Dal tetto della loro Yeshiva, chiamata “Torah Veyir’a”, una famosa istituzione educativa religiosa antisionista a Gerusalemme, “si poteva vedere la parte araba di Gerusalemme”, che include la Città Vecchia”. Prima del 1967 si poteva solo guardare in quella direzione, ma dopo la guerra sono stati in grado di andarci “e dava un senso di falso potere”, che Rabbi Beck detestava. Non voleva che i suoi figli crescessero in un’atmosfera che idolatrava quel tipo di potere.

Un ambiente pericoloso

“Era pericoloso per te vivere lì?” Chiese il rabbino Weiss.

“Hai mai subito un pestaggio dalla polizia?”, rispose.

Il rabbino Beck è stato picchiato e arrestato dalla polizia israeliana in molte occasioni durante le proteste contro lo stato sionista e mentre affiggeva manifesti anti-sionisti sui muri. “Il pericolo non sono mai stati gli arabi, solo i sionisti”, ha aggiunto.

Quando la polizia israeliana entra nei quartieri ultraortodossi, lo fa con tutta la sua forza. La polizia arriva in tenuta antisommossa e spesso in sella a cavalli appositamente addestrati, calpestando le persone senza riguardo per le vite o per la sicurezza dei residenti. Le scene che si vedono durante le loro manifestazioni di protesta sono strazianti. Solo in Israele gli ebrei religiosi vengono trattati con tale disprezzo e violenza.

Quando un venerdì sera ho visitato la beis midrash (casa dell’apprendimento) nella sinagoga di Rabbi Beck a Monsey, ho visto decine di ebrei religiosi pregare. È un posto modesto e su una delle pareti è appeso un grande manifesto che denuncia il sionismo e le sue caratteristiche antiebraiche ed eretiche.

Sostenere la Palestina

Quest’ultima espressione di solidarietà del rabbino Beck non è stata affatto la sua prima. Nel 2018 ho parlato a una manifestazione a Brooklyn e l’ho visto schierato tra altri membri della comunità venuti per esprimere solidarietà alla Palestina.

 

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Rabbi Beck E Rabbi Weiss con i membri della comunità ultra ortodossa a una protesta a Brooklyn nel 2018 .

La propaganda sionista prende regolarmente di mira gli ebrei ultraortodossi che rifiutano il sionismo e Israele, creando l’impressione che siano fanatici irrilevanti.

Anche se il loro numero puòsembrare poco  significativo, le loro azioni sono certamente inestimabili. Quando un membro di questa comunità rende omaggio a una famiglia palestinese che ha perso una persona cara uccisa da un soldato israeliano o stringe la mano a un prigioniero palestinese in sciopero della fame, o anche un gesto semplice come un rabbino di 87 anni che tiene un cartello per esprimere solidarietà alla Palestina, è importante. Ricorda a tutti noi che in Palestina prima dell’invasione sionista, le persone vivevano fianco a fianco in pace, rispettandosi a vicenda. Ci mostra che ci sono obiettivi comuni che ci uniscono.

 

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Rabbi Yisrael Meir Hirsh visita il detenuto  in sciopero della fame Maher Al-Akhras.

Miko Peled è un autore e attivista per i diritti umani nato a Gerusalemme. È l’autore di “The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine” e “Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five”.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org