La politica ambientale in Cina: oltre i luoghi comuni

 

 

 

La “civiltà ecologica”

Il concetto di “civiltà ecologica” e la relativa necessità di una “rivoluzione ecologica” nascono in Unione Sovietica dopo il 1960 quando alcuni studiosi denunciano come un problema della civiltà contemporanea il legame tra modernizzazione industriale e crisi ambientali.

Negli anni Novanta l’idea di “civiltà ecologica” appare nella principale rivista teorica del PCC, Qiushi, in un articolo del 1997 sull’apertura di aree di sviluppo industriale “verde” del Jiangxi: nell’articolo si affronta il problema dell’attenuazione degli effetti delle crisi ambientali attraverso la definizione di un differente rapporto tra Uomo e Natura. Tuttavia, gli studiosi cinesi rifiutavano radicalmente l’ambientalismo liberista che dal 1992 in poi andava caratterizzando il panorama delle politiche ambientali globali.

In Cina, il concetto di “civiltà ecologica” è inestricabilmente legato a quello di “società armoniosa” (héxié shèhuì) definito dal Presidente Hu Jintao al Congresso Nazionale del Popolo del 2005 per distinguere la governance cinese dalle democrazie occidentali. Inoltre, il termine “civiltà ecologica” (shengtai wenming) più volte espresso nei discorsi ufficiali dal Presidente Xi Jinping, si lega concettualmente con il termine di “civiltà spirituale” (jingshen wenming) presente nella campagna di Deng Xiaoping degli anni Ottanta.

L’elaborazione del  concetto di “civiltà ecologica” consente infatti a Pechino di attingere alle tradizioni della cultura cinese, dimostrando al mondo di dare importanza alla protezione dell’ambiente e alla sicurezza del clima, grazie al proprio patrimonio di civiltà.  La fluidità del concetto stesso alimenta un dibatto molto sentito in Cina, poiché gli organi statali devono fornire dei principi generali, delle linee guida che possano ispirare un’azione democraticamente efficace, ma che siano anche flessibili.

Le politiche ‘green’ in Cina sono tese al miglioramento dell’ambiente di vita di 1.4 miliardi di cittadini attraverso atti legislativi, piani di sviluppo, istituzione di riserve naturali e potenziamento di un sistema finanziario ambientale.

 

Piani di sviluppo, riforme e programmi

Dai primi anni 2000, la Cina sta tentando di abbandonare il modello manifatturiero cui era legata a dagli anni ’80, sostituendolo con un modello incentrato sul settore dei servizi che sia in grado di garantire un maggior impiego di forza lavoro e dunque un incremento del reddito dei cittadini, utile ad aumentare i consumi interni. Questa scelta è destinata ad avere ripercussioni indirette ma significative sull’ambiente, alla luce del fatto che i servizi richiedono una quantità di materie prime e di energia nettamente inferiore alla produzione industriale.

Ciò ha favorito, di fatto, una diminuzione considerevole del consumo di carbone, petrolio e altre fonti energetiche fossili. Tra le riforme adottate, alcune sono specificamente incentrate sull’incremento del potere d’acquisto da parte degli agricoltori e l’introduzione di programmi e tecnologie per aumentare la produttività agricola a ridotto consumo di energia e basso impatto ambientale.

Di seguito le principali tappe di questo percorso:

- 2000: nella quinta Sessione Plenaria del 15° Comitato Centrale del PCC, la leadership cinese affronta il rapporto Uomo-Natura e annuncia l’inizio di una nuova fase del processo di modernizzazione impostato da Deng Xiaoping con la costruzione di una “società moderatamente prospera” (xiaokang shehui ).

- 2002: al Forum su Popolazione, Risorse e Ambiente, il Presidente Hu Jintao, insistendo sul concetto di “società moderatamente prospera”, auspica una nuova “visione di sviluppo scientifico” (kexue fazhan guan), con l’obiettivo di valorizzare la salvaguardia dell’ambiente.

- 2004-2007: la prospettiva si rafforza attraverso l’elaborazione del concetto di “civiltà ecologica”, introdotto nel discorso ufficiale del Presidente Hu Jintao al 17° Congresso. Il rapporto del Presidente affronta il tema della “costruzione di una civiltà ecologica come modello industriale di crescita e consumi improntato sul risparmio energetico delle risorse e sulla protezione ambientale” per la realizzazione programmatica della “società moderatamente prospera e armoniosa”. Risultato del 17° Congresso è un forte intervento sulla legislazione in materia ambientale, infatti nel corso del 2007 viene varato dalla Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme (NDRC) il Programma nazionale cinese sui cambiamenti climatici,prima iniziativa politica tesa ad affrontare il problema di riscaldamento globale. Secondo il Programma il governo si sarebbe dovuto impegnare rapidamente nell’adozione di misure in ambito economico, tecnologico e amministrativo finalizzate a ridurre le emissioni di gas serra. Il programma prevedeva interventi su produzione e uso di energia, agricoltura, silvicoltura e gestione dei rifiuti.

- 2008: vede la luce l’iniziativa “Politiche e azioni della Cina per affrontare il cambiamento climatico” che, soggetta ad aggiornamento annuale, documenta i dati sui cambiamenti di tipo meteorologico, agricolo, sociale ed ecosistemico verificatisi in Cina a causa dell’innalzamento delle temperature. Viene quindi certificata l’esistenza del cambiamento climatico, si prendono in esame modalità di mitigazione dei suoi effetti in una cornice di sviluppo sostenibile: “il cambiamento climatico è sorto dallo sviluppo e dovrà, dunque, essere risolto di pari passo con lo sviluppo”. La strategia prevista è di tipo “win-win”: crescita economica e salubrità dell’ambiente.

- 2011-2015: il Piano quinquennale per questo periodo prevede un investimento complessivo per l’ambiente di 3.000 miliardi di yuan, circa 450 miliardi di dollari. Sono previsti finanziamenti per oltre 300 miliardi di dollari al risparmio energetico, una riduzione delle emissioni di CO2 del 17% per unità di PIL e un taglio al consumo di energia del 16%. Misure che, nelle parole del ex-premier Wen Jiabao (geologo presso l’Università di Pechino oltre che membro permanente del Ufficio politico del PCC), dovrebbero consentire al Paese di smettere di “sacrificare il benessere ambientale per ottenere una crescita spericolata”.

- 2012: il Presidente Xi Jinping inserisce nello statuto del PCC il termine “costruzione di una civiltà ecologica”, facendone un elemento costitutivo del proprio pensiero sul “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” ed includendolo nella strategia di sviluppo complessivo fondata sulle “Cinque Costruzioni” di economia, politica, cultura, società ed ecologia.

- 10 settembre 2013: il Consiglio di Stato emana un programma per combattere l’inquinamento dell’aria, il “Piano d'azione per la prevenzione e il controllo dell'inquinamento atmosferico (2013-2017)”, finalizzato al controllo e alla graduale diminuzione dei livelli di PM 2.5 e PM 10.

- 2015: viene approvata la “Legge sulla protezione dell'ambiente”.

- 2016: il governo cinese presenta all’Agenzia dell’ONU per la tutela dell’ambiente e la promozione dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali (UNEP), il rapporto “Green is Gold: the Strategy and Actions of China’s Ecological Civilitation” promettendo di ridurre il consumo di acqua del 23%, di energia del 15% e le emissioni di CO2 per unità di PIL del 18% entro il 2020.

- 2017: viene introdotta la “Tassa cinese sulla protezione ambientale” e viene rinnovato il "Piano d'azione per la prevenzione e il controllo dell'inquinamento atmosferico"; a inizio anno il quotidiano online ChinaDaily aveva divulgato la notizia che, ai fini della valutazione degli amministratori locali, i risultati raggiunti in tema di politiche ambientali sarebbero stati più importanti degli indicatori di crescita economica. Nel corso del XIX Congresso Nazionale del PCC (ottobre 2017) si afferma l’intenzione di investire, entro il 2020, 360 miliardi di dollari in fonti di energia rinnovabile, con l’obiettivo di far sì che il paese raggiunga la percentuale del 20% di energia pulita entro il 2030. I cospicui investimenti nelle rinnovabili (soprattutto energia solare, eolica e idroelettrica) hanno tra l’altro come obiettivo l’autosufficienza energetica del paese, la tutela della salute pubblica e della qualità della vita. Nell’ambito del Progetto Belt and Road Initiative (BRI), la tematica green trova spazio nel paragrafo sulle infrastrutture e l’energia in cui Xi Jinping parla di green and low-carbon development, obiettivo da raggiungere grazie alle opportunità create dalle nuove tecnologie in campo energetico: “(…) dovremmo perseguire una nuova visione di sviluppo verde e uno stile di vita e lavoro che sia ecologico, a basso dispendio di carbone, circolare e sostenibile”, allo scopo di raggiugere gli obiettivi fissati per il 2030 dall’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile. Il Congresso promuove anche la costruzione del “National Park System”, che punta ad una strategia di sviluppo ambientale e sociale attraverso la salvaguardia di 10 parchi nazionali.

- 2018: viene istituito il Ministero dell’Ecologia e Ambiente (MEE) che fa proprie le competenze in materia di tutela ambientale che erano in capo alla “Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme” (NDRC) fin dal 2007.

 

Dai propositi ai risultati

A partire dal 2000, la leadership cinese è impegnata nella realizzazione dei seguenti quattro macro-obiettivi:

1) riequilibrio del sistema produttivo, attraverso il potenziamento della domanda interna e la riduzione delle esportazioni;

2) miglioramento della qualità della vita, dell’assistenza sanitaria e dei servizi pubblici;

3) riduzione delle sperequazioni sociali e del divario tra ricchi e poveri;

4) sviluppo delle regioni occidentali, arretrate rispetto a quelle centrali e costiere.

Il primo obiettivo preme di più, perché una crescita troppo dipendente dall’export come quella che ha conosciuto la Cina non è più in grado di garantire la piena realizzazione della c.d. “società armoniosa”.

Ormai lo sviluppo sostenibile con investimenti nei nuovi settori strategici (materiali d’avanguardia, biotecnologia, informatica, energie alternative, efficienza energetica, protezione ambientale e hi-tech) testimonia che tale sviluppo non è più una copertura di facciata da mostrare alla comunità internazionale per evitare critiche, quanto piuttosto una vera realtà.

Nel 2016, durante la prima fase di applicazione delle nuove norme sulla qualità dell’aria, nelle 74 città cinesi monitorate l’aria è stata ritenuta di buona qualità per il 74,2% dei giorni dell’anno, il 13,7% in più rispetto al 2013; la percentuale di acqua di superficie di buona qualità è cresciuta del 17,9% rispetto al 2010 e anche l’acqua dei grandi fiumi cinesi è sempre più pulita. Inoltre, i programmi di pianificazione urbanistica basati sull’economia circolare e lo sviluppo verde delle industrie sono sempre più praticati. È stata promossa con vigore una riforma strutturale dell’offerta e sono state avviate politiche finanziarie verdi. I livelli di consumo di energia stanno diminuendo e attualmente la Cina è prima al mondo per quanto riguarda gli impianti idroelettrici, eolici e solari, oltre ad essere il paese che usufruisce maggiormente delle energie rinnovabili.

Secondo l’agenzia Xinhua: “La Cina pubblica nei tempi opportuni le informazioni riguardanti la qualità dell’ambiente, le emissioni inquinanti delle imprese e la ratifica degli studi di impatto sull’ambiente. La popolazione è sempre più cosciente che deve investire nell’edificazione della civiltà ecologica”.

Pechino nel 2017 ha registrato un miglioramento netto della qualità dell’aria e dell’acqua. Secondo il rapporto pubblicato dall’Ufficio municipale della protezione dell’ambiente di Pechino “La capitale cinese ha conosciuto 226 giorni con l’aria pulita nel 2017, cioè 28 giorni in più che l’anno precedente, Il numero di giorni con un forte inquinamento è passato da 39 a 23”; “Nel 2017, la densità media del PM 2.5 a Pechino era di 58 microgrammi per metro cubo d’aria, in calo del  20.5% in rapporto al livello medio del 2016 e del 35.6% in rapporto al  2013”. Anche altri rapporti sostengono che a Pechino il livello dei tre principali inquinanti, ovverosia biossido di zolfo, biossido di azoto e PM 10, è calato rispettivamente del 20%, 4.2% e 8.7% in rapporto al 2016.

 

Riforestazione e parchi nazionali

Al XIX Congresso Nazionale del PCC (ottobre 2017) l’obiettivo di costruire una “civiltà ecologica” ed integrare lo sviluppo economico-sociale con quello ecologico attraverso il risparmio di risorse, veniva riassunto dall’ambizioso progetto di aumentare entro il 2020 la copertura forestale oltre il 23% del territorio del paese.

Come riportato in precedenza, Il XIX Congresso ha focalizzato la sua attenzione sulla costruzione di un piano globale per il “National Park System che punta ad una strategia di sviluppo ambientale e sociale attraverso la salvaguardia di 10 parchi nazionali, la protezione di molte specie in via di estinzione e la conservazione di siti storici come la Grande Muraglia Cinese.

“In passato, le riserve naturali tendevano ad essere piccole e offrivano riparo principalmente per una singola specie o avevano un ecosistema incompleto: i parchi nazionali contribuiranno a migliorare questa situazione”, è quanto afferma Cui Guofa, Professore presso la Beijing Forestry University. L’ambientalista e Direttore del Centro di protezione ecologica, Xianghai Wang Chunli, tra i massimi esperti di riserve naturali in Cina, esprime soddisfazione per l’impegno del PCC ma è al tempo stesso molto cauto sulla effettiva realizzazione del progetto dei parchi nazionali, consapevole del percorso ad ostacoli che deve intraprendere la Cina per raggiungere i risultati auspicati entro la metà del secolo.

Ma guardiamo ai fatti, e agli obiettivi di riforestazione proposti tra 2015 e 2020.

Con una spesa totale di circa 83 miliardi di dollari negli ultimi 5 anni sono stati piantati in Cina più di 338.000 chilometri quadrati di foreste, un’area più grande di quella della penisola italiana (che misura 301.338 km quadrati) ed entro al fine di quest’anno il programma prevede la riforestazione di altri 66.000 km quadrati. Entro il 2035 la Cina si è posta l’ulteriore obiettivo di aumentare la percentuale di superficie verde complessiva del paese, portandola dal 23% al 26%.

Un progetto “green” per proteggere le risorse naturali e ridurre l’inquinamento nelle aree ecologicamente fragili della Cina è stato avviato dal Consiglio di Stato che ha annunciato l’istituzione delle “ecological red lines”, le linee rosse ecologiche per delimitare e proteggere da ulteriori sviluppi urbani le aree in cui sono presenti parchi nazionali, foreste e fiumi.

Alcune regioni, inclusa la provincia di Jiangsu, hanno già implementato tale sistema di protezione, ma il piano comprende anche fondi e progetti per la preservazione delle aree naturali della provincia di Gansu, delle sorgenti dei fiumi Azzurro, Giallo e del Mekong nella riserva nazionale di Sanjiangyuan (provincia del Qinghai).

Inoltre, l’antico progetto di “trasformare il deserto in un’area verde” è ben rappresentato dai risultati ottenuti nel Deserto di Maowusu (provincia dello Shaanxi) dove oggi il 93,24% della superficie è un’area ricca di vegetazione. L’area di 42.000 chilometri quadrati ha visto le dune sabbiose trasformarsi in terre coltivate, grazie al lavoro incessante degli abitanti della provincia, che diversi decenni fa (dal 1959), hanno iniziato una fitta piantumazione di alberi, nel tentativo di rallentare l’avanzata del deserto. Ciò nasce dalla necessità della popolazione di vivere in un’area non soggetta a tempeste di sabbia, un fenomeno che nei secoli scorsi ha costretto la città a trasferirsi per ben tre volte più a sud. Decenni dopo la vegetazione è riuscita ad estendersi per 400 chilometri a nord, così il deserto si è trasformato in un’area fertile. Oggi la produttività di queste terre supera la tonnellata per ettaro: una cifra impensabile rispetto al passato.

 

I pioppi del Bacino del Tarim

Cambiando scenario, andiamo nella Regione Autonoma dello Xinjiang, dove il Deserto del Taklamakan, il più grande della Cina e il secondo più grande al mondo, occupa il maggiore bacino interno della Cina, il Bacino del Tarim. Un ambiente estremo in cui i movimenti della sabbia sono frequenti e intensi durante tutto l'anno, e i giorni di vere e proprie tempeste di sabbia rappresentano un terzo dell'anno. Negli ultimi mille anni, in questa zona il deserto si è esteso per circa 100 km verso sud. Per di più da 50 anni, a causa dell'intenso utilizzo delle risorse idriche, la desertificazione è drammaticamente avanzata, la biodiversità minacciata, le barriere ecologiche contro il deserto sono state indebolite e le tempeste di polvere sono diventate più frequenti.

Fin dal 1990, sono stati presi provvedimenti per affrontare questi problemi attraverso una maggiore consapevolezza ambientale, l'istituzione di riserve naturali e l'attuazione di una migliore gestione delle risorse idriche del Fiume Tarim e dei suoi affluenti.

Proprio il Tarim è noto per i grandi banchi di pioppi dell'Eufrate (Populus euphratica). Veri e propri “fossili viventi” diffusi in quest’area da oltre 60 milioni di anni. Alberi unici, molto resistenti sia ad inverni ghiacciati che ad estati roventi, ad aridità, ristagni idrici ed alte concentrazioni saline. Le radici di questi alberi, molto profonde, contribuiscono alla stabilizzazione del terreno, limitandone l’erosione. Pertanto, gli specialisti di genetica forestale della FAO considerano i pioppi dell’Eufrate come una risorsa fondamentale per contrastare gli effetti più deleteri del cambiamento ambientale nelle zone aride e semi-aride del globo. Le foreste di pioppi forniscono inoltre habitat e risorse alimentari per gli animali selvatici, e costituiscono una barriera efficace contro le tempeste di sabbia.

Nel 2015 è stato avviato nell’ambito dell’iniziativa Belt and Road (BRI) un grande progetto gestito dalla Regione Autonoma dello Xinjiang, finalizzato alla tutela e valorizzazione delle foreste di pioppi dell’Eufrate. Gli alberi vengono monitorati in zone di pieno deserto, nelle oasi e lungo i corsi d’acqua. Ad ogni guardia forestale spetta l’incarico di coprire un’area assegnata (a cavallo, in bicicletta, in barca o a piedi), monitorando lo stato di salute di questi fondamentali rappresentanti della flora locale.

Però, salvo qualche raro servizio di amatori turistici e appassionati ecologisti, a noi occidentali –disastrosamente coinvolti nella propaganda anticinese per la violazione dei diritti umani in Xinjiang e in tutta la Cina – di queste cose non giunge affatto notizia…

 

Maria Morigi è membro del Comitato Scientifico del CIVG e collabora con l’Osservatorio Italiano sulla Nuova Via della Seta. È autrice di numerosi articoli e saggi di storia delle religioni e geopolitica, fra cui “La Perla del Drago – Stato e religioni in Cina” e “Xinjiang ‘Nuova Frontiera’ – Fra antiche e nuove Vie della Seta” (Anteo Edizioni).

 

Per approfondire

 

Carlotta Clivio: La civiltà ecologica della nuova era di Xi Jinping

https://sinosfere.com/2019/10/01/carlotta-clivio-la-civilta-ecologica-della-nuova-era-di-xi-jinping/

 

Testo completo del rapporto di Hu Jintao al XVII Congresso del Partito Comunista Cinese

https://www.chinadaily.com.cn/china/2007-10/24/content_6204564_5.htm

 

Xi Jinping now wants economic growth to respect the environment

http://www.asianews.it/news-en/Xi-Jinping-now-wants-economic-growth-to-respect-the-environment-46216.html

 

Sito del Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente della Repubblica Popolare Cinese http://english.mee.gov.cn/