Tribunale penale Internazionale per i crimini commessi in ex-Jugoslavia (Tpi) - Parte IV
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- Scritto da Pacifico Scamardella
2.Cooperazione degli Stati e poteri del consiglio di Sicurezza
2.1 Introduzione e cenni storici
Da tempo si afferma che il miglior deterrente per i crimini lesivi di interessi comuni alla generalità degli Stati - i c.d. delicta contra gentium – è rappresentato dal maggior rischio per lo stesso individuo (esecutore materiale, superiore gerarchico che abbia impartito l’ordine, complice, ecc.), di essere penalmente perseguito, piuttosto che dalla possibilità di far valere l’eventuale responsabilità dello Stato per non aver prevenuto e/o represso le violazioni per decisione o per mano dei suoi organi.
Il rischio per l’individuo - privato o organo di Stato- di essere punito aumenta naturalmente nella misura in cui gli Stati - il maggior numero di Stati - realizzino a tal fine una cooperazione nella repressione penale del crimine, cooperazione che peraltro è tanto più difficile quanto più il crimine sia collegato con un ambito di sovranità statale. Con il passare del tempo si è giunti a permettere agli Stati diversi da quello di appartenenza la repressione penale dei crimini commessi in una sfera di controllo statale. In un primo tempo a ciò si è arrivati soltanto a fini di tutela del combattente, con la possibilità per gli Stati di perseguire penalmente gli individui responsabili di crimini di guerra anche se organi dello Stato nemico.
In realtà, fino al Trattato di Versailles del 1919 i processi agli individui autori di crimini erano limitati al periodo del conflitto, essendo fondamentalmente determinati da una situazione di fatto e cioè dalla circostanza che il criminale membro delle forze armate di una Parte belligerante si trovasse nelle mani dell’altra: vi era dunque il principio della reciprocità che teneva le cose in pari.
A Versailles, invece, abbandonata la prassi delle amnistie fino ad allora di norma contemplate nei trattati di pace, si fece emergere l’esigenza di assicurare i criminali alla giustizia anche a conflitto ormai concluso; inoltre tale principio venne esteso non solo ai membri delle forze armate dello Stato vinto responsabili di violazioni delle leggi e consuetudini di guerra, ma anche a colui che i vincitori della I guerra mondiale ritennero l’unico responsabile della stessa: l’imperatore tedesco Guglielmo II.
La repressione messa in moto dai vincitori non ebbe riscontro pratico poiché Guglielmo II trovò rifugio nei Paesi Bassi e il governo di tale paese ne negò l’estradizione. Da questo fatto storico deriverà l’idea di istituire una corte penale internazionale.
Nel quadro della Società delle Nazioni, sotto l’emozione suscitata dagli atti di terrorismo[1], già nel 1937, in aggiunta alla convenzione contro il terrorismo - firmata da 24 Stati - veniva adottato un Protocollo - firmato da 13 Stati - che prevedeva la creazione di una corte penale internazionale, che poi non fu mai istituita a causa anche delle vicende belliche che impedirono l’entrata in vigore di entrambi gli strumenti.
In seguito, fin dal primo operare delle Nazioni Unite, si sono poi tentate vie diverse nel campo della cooperazione interstatale per la repressione dei delicta iuris gentium.
Quella principale è stata la responsabilizzazione, nella repressione dei crimini, dei sistemi giuridici statali. Ciò è stato fatto con le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, che pongono a carico di tutti gli Stati parti l’obbligo della repressione di tutte le violazioni delle convenzioni secondo criteri di giurisdizione la cui scelta è lasciata agli stessi Stati, nonché l’obbligo della repressione delle c.d. infrazioni gravi secondo il criterio universale di giurisdizione (e cioè a prescindere da qualsiasi collegamento della fattispecie criminosa con la giurisdizione dello Stato).
Nella convenzione contro il genocidio del 1949 e in quella contro l’apartheid è stata invece seguita la via mista della previsione tanto della competenza obbligatoria degli Stati, solo secondo il criterio territoriale, quanto della competenza di una Corte penale internazionale, che non fu istituito nell’immediato, complici, forse, le vicende della Guerra Fredda. Per altri crimini contro l’umanità, dalla schiavitù, al terrorismo, al traffico di stupefacenti, alla presa di ostaggi, alla tortura, si pensò di responsabilizzare soltanto i sistemi statali, ponendo a carico degli Stati, nelle varie convenzioni relative alla prevenzione e repressione dei suddetti crimini, l’obbligo dell’esercizio della giurisdizione penale nei confronti degli autori materiali dei crimini e di coloro che si rendano responsabili di mancata prevenzione, di complicità, di incitamento, secondo i vari criteri di giurisdizione - come, oltre a quello territoriale, anche quello personale attivo, personale passivo, quello c.d. protettivo.
2.2 La cooperazione tra il Tpi e le giurisdizioni nazionali
Se è vero che tutti i membri delle Nazioni Unite sarebbero obbligati al rispetto delle decisioni del Tpi, essendo altresì obbligati a riconoscere la primazia del Tribunale sulle giurisdizioni statali, è pure vero che l’adempimento di un siffatto obbligo dipende sempre, in prima battuta, dalla cooperazione che gli Stati forniscono al Tribunale.
A differenza dei tribunali di Norimberga e di Tokyo che operavano in una situazione di occupazione bellica, il Tpi non ha un contatto fisico col territorio nel quale il crimine è stato commesso, né con i sospetti criminali, né con le vittime, né con i testimoni, se non in virtù e dopo che le giurisdizioni interne abbiano dato la loro collaborazione. Ad esempio le prove possono essere raccolte solo se le legislazioni interne si mostrano ligie alle richieste del Tpi. Secondo l’articolo 18, paragrafo 2, dello Statuto del Tribunale, il Procuratore del Tribunale “può, se necessario, sollecitare il concorso delle autorità dello Stato implicato”.
L’articolo 29 dello Statuto del Tribunale riguarda la cooperazione e l’assistenza giudiziaria, e recita così:
1. States shall co-operate with the International Tribunal in the investigation and prosecution of persons accused of committing serious violations of international humanitarian law.
2. States shall comply without undue delay with any request for assistance or an order issued by a Trial Chamber, including, but not limited to:
(a) the identification and location of persons;
(b) the taking of testimony and the production of evidence;
(c) the service of documents;
(d) the arrest or detention of persons;
(e) the surrender or the transfer of the accused to the International Tribunal.
Nel momento dell’istituzione del Tpi si è posto il problema di come regolamentare in modo equilibrato i rapporti con i giudici interni degli Stati. In base al diritto internazionale consolidatosi dopo laseconda guerra mondiale, sono numerosi i trattati internazionali[2] che pongono il principio della “giurisdizione universale” rispetto ai crimini di diritto internazionale previsti nello statuto del Tpi.
Questo principio comporta l’obbligo giuridico per gli Stati di processare o estradare i presunti autori di questi crimini una volta che siano presenti le condizioni di fatto che rendano possibile il giudizio (disponibilità nel proprio potere della persona accusata, disponibilità di prove sufficienti per iniziare un processo), indipendentemente dal luogo in cui il crimine è stato commesso.
Data l’assenza di un sistema giudiziario penale internazionale, la cooperazione degli Stati è considerata fondamentale al fine di un buon funzionamento del Tpi per ogni fase del suo lavoro, dalle indagini fino alla sentenza. La cooperazione in questo campo presupporrebbe un accordo tra Stati. Questa volta però la base giuridica di tale cooperazione sarebbe individuata nella decisione del Consiglio di Sicurezza di istituire un tribunale in base ai poteri conferitegli dal capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Questo tipo di decisione creerebbe degli obblighi per tutti gli Stati come vuole l’articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite, che recita: “I Membri delle Nazioni Unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni della presente Carta”.
Entrando nel merito in modo più dettagliato, il Regolamento autorizza il Procuratore ad inoltrare domande d’assistenza, previste dall’art. 29, paragrafo 2 dello Statuto, [3] ad uno Stato che è tenuto a soddisfarle. Inoltre il Procuratore può domandare alla Camera di prima istanza l’emissione di un’ordinanza rivolta ad uno Stato, qualora vi sia bisogno per le indagini di una precisa misura di coercizione.
Il problema interpretativo riguarda allora il contenuto vincolante o meno delle ordinanze che, ai sensi dell’art. 29, paragrafo 2 dello Statuto, la Camera può inoltrare agli Stati. Secondo una possibile interpretazione, tale ordinanza non avrebbe un potere vincolante e non comporterebbe, dunque, per gli Stati, un obbligo di esecuzione. L’art. 29 dello Statuto, letto alla luce del Regolamento, sembra invece dare adito all’interpretazione opposta.
In una pronuncia[4] del Tpia tale proposito, la Camera di prima istanza ha precisato che il Procuratore può inoltrare agli Stati delle richieste vincolanti sotto la veste di ordinanze della Camera ex art. 29 paragrafo 2, ma ha altresì chiarito che il Tribunale non ha il potere di infliggere sanzioni in caso di mancato rispetto delle stesse.
In tal caso il rimedio esperibile è che il Presidente, su richiesta della Camera, segnali l’atteggiamento di non collaborazione di uno Stato al Consiglio di Sicurezza, che potrà comminare eventuali sanzioni.
Ci sono due aspetti a proposito dell’obbligo degli Stati a cooperare col Tpi, così come previsto dall’articolo 29 dello Statuto. In primo luogo, lo Stato ha l’obbligo di fornire ogni sorta di collaborazione che possa facilitare lo svolgimento delle indagini o delle procedure a carico dei sospettati. In secondo luogo, lo Stato ha il dovere di eseguire, senza ingiustificati ritardi, le formali richieste o gli ordini che vengono dal Tpi. Lo Statuto indica un elenco non esaustivo degli ordini e delle richieste che il Tribunale può inoltrare. Così il Tribunale può emanare richieste che hanno effetto vincolante nei confronti degli Stati o degli individui. D’altro canto però lo Stato, per poter adempiere alle richieste, ha bisogno di vedersi inoltrata una richiesta ufficiale da un organo giuridicamente competente, prima di adottare misure quali la raccolta di prove, la detenzione di sospetti per procedere ad interrogatori o l’arresto degli accusati.
2.3 La concorrenza della giurisdizione del Tpi con le giurisdizioni nazionali e la sua primazia rispetto ad esse
Nello Statuto del Tribunale per la ex- Jugoslavia si prevede la concorrenza della giurisdizione internazionale rispetto a quelle statali. E’ quanto si stabilisce espressamente nell’articolo 9, paragrafo 1, dello Statuto[5]
Ciò significa che un sospetto può essere sottoposto a giudizio vuoi da un tribunale nazionale vuoi dal Tribunale internazionale. Anzi, nei fatti sarà più agevole che egli sia sottoposto a giudizio davanti ad un tribunale dello Stato sul territorio del quale il crimine è stato commesso o di quello sul territorio del quale il sospetto reo si trova. In fatto, dunque, sarà sempre un tribunale interno che avrà la priorità.
L’articolo 9 pone anche il principio della primazia del Tribunale sulle corti nazionali. Il principio della primazia trova specificazione nella previsione che ad ogni fase della procedura il Tpi possa chiedere alle corti nazionali il deferimento del procedimento.
Il Tribunale internazionale potrà dunque chiedere allo Stato nel quale un procedimento si sia aperto a carico di un sospetto criminale che costui gli venga trasferito insieme al fascicolo processuale per le ragioni più disparate: per esempio perché ritiene il processo interno non adeguato ai fini delle garanzie di imparzialità o di giusta repressione del crimine, oppure perché ritiene che un processo contro capi di Stato o di governo sia amministrato meglio da un Tribunale internazionale che da un tribunale interno ecc. In tal caso, il tribunale interno è tenuto a spogliarsi della sua competenza in favore del Tpi.
Bisogna costatare che la primazia del Tpi non si impone automaticamente, ma resta condizionata dalla natura obbligatoria e interstatale delle norme dello Statuto[6]. Per rendere operativo il principio della primazia, occorrerà far ricorso a misure coercitive del Consiglio di Sicurezza.
La soluzione prescelta nello Statuto per regolare il rapporto tra giurisdizione internazionale e giurisdizioni interne si affida perciò al principio della “giurisdizione concorrente”. Sia il Tribunale internazionale sia quelli interni hanno giurisdizione rispetto ai crimini indicati dallo Statuto del primo, che in effetti sono anche previsti come reato in qualunque codice penale nazionale di pace o di guerra; tuttavia il Tribunale ha priorità sui tribunali nazionali, potendo in ogni fase del procedimento richiedere formalmente che il caso trattato da un giudice di uno Stato sia deferito alla propria competenza in conformità alle norme dello Statuto e alle norme di procedure e relative alle prove del Tribunale. Le regole più specifiche di detta priorità sono contenute nell’articolo 10 dello Statuto del Tribunale penale per l’ex Jugoslavia. Per effetto di esse nessun tribunale nazionale potrà giudicare chicchessia per i medesimi fatti già giudicati dal Tribunale internazionale; mentre rispetto ai primi valgono due eccezioni al principio ne bis in idem.
Infatti, il Tribunale potrà nuovamente processare una persona che è già stata giudicata da una corte nazionale quando l’atto per il quale la persona e già stata giudicata sia stato qualificato come “reato comune”, e cioè in modo meno grave, nonché quando il processo nazionale si sia svolto in maniera parziale e dipendente con modalità miranti a porre l’imputato al riparo da responsabilità penali internazionali o il fatto non sia stato perseguito con la dovuta diligenza.
2.4 Gli obblighi di cooperazione degli Stati e l’articolo 61 delle regole di procedura e di prova del Tribunale per la ex Jugoslavia .
Le norme riguardanti la giurisdizione concorrente e la relativa priorità del Tpi vanno collegate con gli articoli dello Statuto dedicati alla “cooperazione e assistenza giudiziaria”. Per effetto di essi gli Stati devono collaborare con il Tribunale internazionale nelle indagini e nel perseguimento delle persone accusate di aver commesso i crimini di diritto internazionale previsti nel relativo Statuto e devono dare esecuzione, senza indebiti ritardi, alle richieste di assistenza o agli ordini delle camere di primo grado del Tribunale.
Per stabilire l’inesistenza, in capo al Tribunale, del potere di sanzionare gli Stati inadempienti, la Camera di prima istanza ha dovuto risolvere un interessante nodo interpretativo. La versione inglese e quella francese dell’art. 54 Regole di procedura e di prova sono differenti; la prima, infatti, stabilisce l’obbligo di cooperare degli Stati “sub poena” e tale espressione nei sistemi anglosassoni indica la minaccia di una sanzione in caso di mancata esecuzione; la versione francese parla, invece, di “assegnation” alla quale generalmente non sono collegate sanzioni. Partendo dal presupposto che il Tribunale sia in grado di esercitare un potere sanzionatorio solo nei confronti degli individui, la Camera ha adottato un’interpretazione restrittiva dell’art. 54 Regole di procedura e di prova, privilegiando quindi il significato francese[7].
Il Consiglio di Sicurezza può prendere misure in risposta della mancata cooperazione con il Tpi da parte degli Stati o degli individui. Uno Stato può essere chiamato a intraprendere direttamente un’azione che sia volta al raggiungimento dell’obiettivo che la richiesta o l’ordine del Tribunale si erano preposti. Lo Stato è tenuto inoltre a eseguire gli ordini indirizzati a singoli individui. Ciò può essere ottenuto attraverso i mezzi che sono messi a disposizioni dal diritto interno. Lo Stato inoltre, deve fornire la documentazione necessaria relativa al singolo individuo. Gli Stati possono designare gli organi statali competenti per la ricezione delle richieste o degli ordini provenienti dal Tpi. Gli Stati devono anche adottare una legislazione che descriva la procedure che deve essere seguita per rispondere alle richiesta e agli ordini provenienti dal Tpi.
Il Tpi può far presente al Consiglio di Sicurezza se lo Stato non coopera in modo adeguato col Tpi stesso in risposta alle richieste inoltrate. E’ vero che il Tpi è autorizzato a inoltrare richieste o ordini, tuttavia non può imporre nessuna sanzione allo Stato recalcitrante. L’organo abilitato a fare ciò è il Consiglio di Sicurezza, che può imporre sanzioni contro lo Stato che non adempie agli obblighi conseguenti alla decisione di istituire il Tpi in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.[8]
La Camera di prima istanza del Tribunale ha inoltre specificato che, nei confronti di singole persone, il Tribunale può emettere ordinanze vincolanti e, in caso di inesecuzione, ricorrere all’incriminazione per oltraggio alla Corte ai sensi dell’art. 77 Regole procedura e prova. Nella categoria dei privati possono rientrare anche rappresentanti ufficiali di uno Stato, se l’ordinanza concerne questioni non collegate ai loro incarichi.
La Camera, inoltre, ha definito i requisiti in base ai quali il Procuratore può ottenere un’ordinanza che ingiunga ad uno Stato di produrre dei documenti. Innanzitutto, devono essere indicati dei documenti precisi e non categorie generiche; inoltre la domanda deve contenere succintamente le ragioni per le quali i documenti sono pertinenti al processo e deve essere indicato un tempo ragionevole per l’esecuzione della richiesta.
La questione è stata evidenziata, come accennato prima, anche dalla Camera d’appello del Tpi nella sentenza relativa al caso Blaskic resa il 29 ottobre 1997[9]:
“(…)the International Tribunal is not vested with any enforcement and or sanctionary power vis à vis States. It is primaily for its parent body, the Security Council, to impose sanctions, if any, against a recalcitrant State, under the condition provided for in Chapter VII of the United Nation charter. However, the International Tribunal is endowed with the inherent power to make a judicial finding concerning a State’s failure to observe the provisions of the Statute or the Rules. It has also the power to report this judicial finding to the Security Counsil”[10].
La primazia dei Tribunali ad hoc sulle giurisdizioni statali resta quindi condizionata dalla natura puramente obbligatoria e interstatale delle norme statutarie e dalla necessità che gli Stati collaborino conformando i loro ordinamenti giuridici alle disposizioni di tali norme. Infatti, secondo il Tpi, l’attività è stata ostacolata soprattutto dagli Stati nel cui territorio si trovano i cosiddetti criminali. La Presidenza del Tpi ha più volte puntato il dito contro l’ex Serbia e Montenegro e Croazia. Ad esempio, per quel che concerne il governo di Belgrado, quest’ultimo si è sempre rifiutato di eseguire il mandato d’arresto degli imputati Karadzic e Mladic, Mrsic, Radic, Sljivancamin. Per quanto riguarda invece il Governo croato si veda il rifiuto di quest’ultimo a riconoscere al Tpi la competenza relativa ai crimini commessi durante l’operazione “Tempesta” e “Fulmine”. Recenti critiche sono arrivate dal procuratore Del Ponte relativamente al caso Gotovina, ove, tra l’altro, veniva denunciato un ruolo di copertura da parte del Vaticano.
Come si diceva nelle pagine precedenti, essendo il Tpi prodotto da una decisione del Consiglio di Sicurezza, gli Stati in teoria dovrebbero essere obbligati a dare esecuzione alle istanze di cooperazione[11]. Il Tpi ha utilizzato la possibilità di chiedere al Consiglio di Sicurezza di intraprendere misure di pressione. Il Consiglio di Sicurezza ha condannato in più occasioni gli Stati che non accettavano di sottoporsi ai diktat del Tpi[12].
Con la risoluzione 1207 del 17 novembre 1998 il Consiglio, agendo in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, ha domandato alla Repubblica Federale di Jugoslavia di adottare tutte le misure necessarie in virtù del proprio diritto interno per dare esecuzione alle previsioni della risoluzione 827 del 1993 ed allo Statuto del Tpi, ha condannato il rifiuto di tale Stato di eseguire i mandati d’arresto emessi dal Tpi pretendendone l’immediata ed incondizionata attuazione, ed ha richiesto la piena cooperazione delle autorità Jugoslave con le attività inquirenti del Procuratore del Tribunale. Nella risoluzione, tuttavia, il Consiglio si asteneva dall’adottare qualsiasi misura coercitiva nei confronti della Repubblica Federale di Jugoslavia
Ciononostante, il quadro della cooperazione tra Tribunale e Stati viene definito nei rapporti annuali presentati dal Tribunale alle Nazioni Unite problematico[13] .
Come si diceva nelle pagine precedenti, essendo il Tpi prodotto da una decisione del Consiglio di Sicurezza , gli Stati in teoria dovrebbero essere obbligati a dare esecuzione alle istanze di cooperazione[14]. Il Tpi ha utilizzato la possibilità di chiedere al Consiglio di Sicurezza di intraprendere misure di pressione. Il Consiglio di Sicurezza ha condannato in più occasioni gli Stati che non accettavano di sottoporsi ai diktat del Tpi[15].
[1]Attentati contro il Re di Jugoslavia Alessandro e del Ministro francese Bartou uccisi a Marsiglia il 9 ottobre 1934
[2]La giurisdizione universale è contemplata come contenuto di un obbligo degli Stati nel testo comune del secondo comma degli art. 49, 50, 129 e 146, rispettivamente, della I, II, II e IV Convenzione di Ginevra del 1949, nonché nell’art. 85 del I Protocollo aggiuntivo del 1977; all’art. V della Convenzione sull’apartheid del 1973; nell’art. 5 n. 3 della Convenzione contro la tortura del 1984; nell’art. VI della Convenzione sul genocidio del 1948. Cfr. F. LATTANZI, Garanzie dei diritti dell’uomo nel diritto internazionale generale, Milano, 1983, p.388; F. FRANCIONI, Crimini internazionali, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. IV, Torino, 1989, p. 464 ss.
[3]Per un preciso commento dell’art. 29 dello Statuto si veda: J.R.W.D. JONES, The practice of the international criminal tribunals for the former Yugoslavia and Rwanda, 1998, New York, p. 117.
[4]V. sentenza del 29 ottobre 1997 – Prosecutor v. Blaskic (IT- 95- 14- AR108- bis).
[5] “The International Tribunal and national courts shall have concurrent jurisdiction to prosecute persons for serious violations of international humanitarian law committed in the territory of the former Yugoslavia since 1 January 1991. The International Tribunal shall have primacy over national courts. At any stage of the procedure, the International Tribunal may formally request national courts to defer to the competence of the International Tribunal in accordance with the present Statute and the Rules of Procedure and Evidence of the International Tribunal”.
[6]AA.VV, L’ex- Jugoslavia e il Tribunale internazionale, CUEM, Milano 2001 intervento di Flavia Lattanzi pag.71 e ss.
[7]La Camera d’Appello con la suddetta sentenza riformò una pronuncia della Camera di prima istanza. Per un’analisi della sentenza v.: S. ZAPPALA’, Obbligo di cooperazione degli Stati e potere del Tribunale di indirizzare ordinanze vincolanti, in Dir.Pen.Proc., 1998/4, pp. 445-447.
La Camera di prima istanza aveva confermato, in sessione plenaria, la validità di un’ordinanza sub poena duces tecum, emessa dal giudice McDonald (IT- 95- 14- T), su richiesta del Procuratore, il quale nella sua motivazione, partendo dal principio della priorità della giurisdizione del Tribunale, argomentava che per analogia il Tribunale non poteva avere poteri inferiori a quelli riconosciuti alle giurisdizioni nazionali. I giudici di primo grado, inoltre, fecero riferimento alla dottrina dei poteri impliciti, secondo la quale un’organizzazione internazionale possiede non solo i poteri attribuitigli dall’atto costitutivo, ma anche quelli necessari per raggiungere gli obiettivi da tale atto determinati (tale teoria fu elaborata dalla Corte internazionale di giustizia, v: Reparation for Injuries Suffered in the Services of the United Nations, I.C.J. Reports, 1949, p. 182), nonostante nessuna disposizione statutaria o regolamentare facciano riferimento ad eventuali poteri necessari per svolgere efficacemente la funzione giurisdizionale (c.d. incidental or ancillary jurisdiction). Contraria all’esistenza di poteri impliciti in capo al Tribunale v. A. CIAMPI, Sull’applicazione della teoria dei poteri impliciti da parte del tribunale penale per la ex Jugoslavia, in Riv. Dir .Int., 1998/1, pp. 136-139. La giurisprudenza in materia è stata confermata in una recente sentenza (Camera di prima istanza – Pres. .Robinson - ottobre 2000 Simic e altri IT- 95- 9- PT), dove i giudici hanno esteso la possibilità di rivolgere ordinanze ex art., alla forza multinazionale S-FOR operante in Bosnia e agli Stati che ne sono membri. Per un commento di tale sentenza si consulti S. ZAPPALA’, Obbligo di cooperare con il Tribunale per S-FOR e Stati membri, in Dir.Pen.Proc., 2001/3, pp. 387 ss.
[8]Per approfondimenti vedere Virginia Morris e Michael P.Scharf, An Insider’s Guide to The International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia, Transnational Publishers, Inc. New York 1995 pag. 311 e ss.
[9]Il caso Blaskic
Tihomir Blaskic, un colonnello delle forze armate del Consiglio di Difesa Croato (HVO) e capo della zona operativa delle forze armate dell’HVO nella Bosnia Centrale durante gli eventi per i quali fu incriminato dal TPI, fu accusato sia di responsabilità penale diretta che di responsabilità gerarchica per crimini contro l’umanità, compresi stupri commessi in centri di detenzione. Il 3 marzo 2000, Blaskic venne condannato per una gamma di violazioni del diritto umanitario, compresi crimini di guerra, gravi violazioni e crimini contro l’umanità contro la popolazione musulmano-bosniaca della Bosnia centrale. Egli non fu condannato per aver commesso direttamente i crimini elencati nell’atto di accusa ma sulla base del fatto che aveva “ordinato, pianificato, istigato o si era reso altrimenti complice della pianificazione, preparazione ed esecuzione di quei crimini”.
[10]Cfr. Prosecutor vs Tihomir Blaskic, Judgement on the request of republic of Croatia for review of the Decision of Trail Chamber II of 18 july 1997, Case no IT-95-14-AR108bis, 29 ottobre 1997. La sentenza della Camera d’appello del Tpi riguardava la mancata esecuzione di un’istanza di produzione di documenti concernenti il caso dell’imputato croato Tihomir Blaskic emessa dal Tribunale nei confronti della Repubblica di Croazia e del suo ministro della Difesa
[11]Per approfondimenti vedere M. Arcari, Tribunali penali ad hoc, Corte Penale Internazionale e Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite,inG. Calvetti e T. Scovazzi(a cura di), Dal Tribunale per la ex-Jugoslavia alla Corte Penale Internazionale, , Giuffrè Ed. Milano 2004, p. 8 e ss.
[12]Si veda UN doc. S/PRST/1996/23 dell’8 maggio 1996 e UN doc. S/PRST/1996/34 dell’8 agosto 1996.
[13]Vedere UN doc. S/2003/829 parr.240-247
[14]Per approfondimenti vedere Maurizio Arcari, Tribunali penali ad hoc, Corte Penale Internazionale e Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, estratto dal volume Dal Tribunale per la ex-Jugoslavia alla Corte Penale Internazionale, a cura di Gianmaria Calvetti e Tullio Scovazzi, Giuffrè Editore 2004
[15]si veda UN doc. S/PRST/1996/23 dell’8 maggio 1996 e UN doc. S/PRST/1996/34 dell’8 agosto 1996. Inoltre con la risoluzione 1207 del 17 novembre 1998 il Consiglio, agendo in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, ha domandato alla Repubblica Federale di Jugoslavia di adottare tutte le misure necessarie in virtù del proprio diritto interno per dare esecuzione alle previsioni della risoluzione 827 del 1993 ed allo Statuto del Tpi, ha condannato il rifiuto di tale Stato di eseguire i mandati d’arresto emessi dal Tpi pretendendone l’immediata ed incondizionata attuazione, ed ha richiesto la piena cooperazione delle autorità Jugoslave con le attività inquirenti del Procuratore del Tribunale. Nella risoluzione, tuttavia, il Consiglio si asteneva dall’adottare qualsiasi misura coercitiva nei confronti della Repubblica Federale di Jugoslavia