Notiziario Patria Grande - Giugno 2020

 

 

Giugno 2020

 

 

 

SOMMARIO

 

Il Gruppo di Puebla chiede di dichiarare legittima l'elezione di Evo Morales

 

Bolivia e Argentina di fronte all'emergenza Covid

 

Il COPINH denuncia pubblicamente e respinge le minacce alle installazioni del Centro Incontri e Amicizia “Utopia”

 

L’ex presidente argentino Mauricio Macri imputato di spionaggio

 

Popoli indigeni del Brasile, vittime dimenticate

 

In Colombia almeno 47 leaders sociali sono stati assassinati nel primo trimestre dell’anno

 

Cuba e la Santa Sede compiono 85 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte

 

Tra disperazione e mancanza di risposte: il fenomeno BLM

 

Come si lava il denaro sporco? Le dinamiche perverse della macchina mediatica

 

Verità scomode. Le proteste negli Stati Uniti e in altri Paesi hanno reso visibile un conflitto che tende a passare inosservato: la guerra simbolica contro le statue.

 

Díaz-Canel scrive al Segretario Generale delle Nazioni Unite

 

ALBA: la realtà concepita da Fidel e Chávez

 

 

 

RT Español / Attualità politica / Bolivia

Il Gruppo di Puebla chiede di dichiarare legittima l'elezione di Evo Morales

I leader latinoamericani chiedono alla presidente boliviana di fatto Jeanine Áñez di consegnare il potere dello Stato in seguito alla pubblicazione di uno studio che afferma che non vi sono state frodi.

 


Il Grupo de Puebla è un'organizzazione costituita da leader progressisti dell'America Latina che hanno richiesto ufficialmente all'Organizzazione degli Stati americani (OSA) di convalidare i risultati elettorali dei funzionari presidenziali boliviani e di dichiarare la legittimità delle elezioni del presidente dimesso Evo Morales.

 

In una dichiarazione firmata da 17 persone, tra cui gli ex presidenti Rafael Correa, Dilma Rousseff ed Ernesto Samper, la dichiarazione dell'OSA è stata descritta come "frettolosa e parziale", un documento approssimativo secondo il quale Morales avrebbe vinto irregolarmente non ottenendo la necessaria differenza del 10% dal contentdente ed evitando così un secondo turno.

Nella dichiarazione, il Grupo de Puebla chiede inoltre all’OSA di chiarire immediatamente gli elementi che hanno portato a presunte frodi nel processo elettorale, recentemente messo in discussione dallo studio indipendente intitolato "Le modifiche ai voti in ritardo indicano una frode? Prove dalla Bolivia” a cui hanno partecipato gli investigatori Nicolás Idrobo, Dorothy Kronick e Francisco Rodríguez e che afferma: "l'OSA non ha fornito prove di frode alle elezioni".

I firmatari della dichiarazione definiscono le azioni commesse dall'OSA contro la Bolivia ripugnanti, e affermano che se fosse provata la "discrezionalità" nelle elezioni del 20 ottobre, si potrebbe affermare “che l'organizzazione multilaterale è stata complice del rovesciamento di un governo democratico”.

Il Grupo de Puebla chiede al blocco americano "di chiarire immediatamente" i metodi utilizzati e che una commissione indipendente dal segretariato generale dell'OSA, l’oppositore del governo del dimesso Morales Luis Almagro, “sia incaricata di ristabilire la legittimità democratica in Bolivia”.

Allo stessa stregua, chiede al governo di fatto di Jeanine Áñez "di consegnare immediatamente il potere dello Stato" a fronte del ritardo sistematico e inspiegabile delle elezioni.

 

https://actualidad.rt.com/actualidad/356152-grupo-puebla-pide-oea-legitimidad-morales

 


CIVG / EMERGENZA COVID / BOLIVIA E ARGENTINA

Bolivia e Argentina di fronte all'emergenza Covid

 

La Bolivia, il Paese andino esattamente nel cuore del continente sudamericano, ha una popolazione di 11 milioni di abitanti ed è da sempre caratterizzato da una povertà endemica. Nel periodo dei quasi 14 anni di governo di Evo Morales Ayma, però, si può dire che abbia compiuto, per la prima volta nella sua storia, un significativo passo avanti nella lotta contro la povertà, restituendo una dignità di vita ai boliviani residenti e non residenti e avviando una lunga serie di opere, soprattutto nel campo della Sanità dove, attraverso la realizzazione di una completa rete di ospedali e servizi anche per la cura dei pazienti oncologici, ha praticamente ricostruito la Salute Pubblica.

Nel novembre del 2019 si verifica un fatto drammatico che interrompe questo processo: il colpo di Stato organizzato da noti esponenti della destra boliviana, dall’ambasciata degli Stati Uniti e da quella del Brasile con il coinvolgimento della gerarchia cattolica. La “compagine” designa la seconda senatrice, Jeanine Añez, come presidente transitorio del Paese. Una donna dal torbido passato che accetta l’invito per 300.000 dollari che le vengono riconosciuti per il rischio della carica.

Nel marzo del 2020 fa la sua apparizione in Bolivia il coronavirus Covid-19. Il primo e unico provvedimento adottato dalla golpista è il decreto della rigida quarantena in tutto il Paese sulla base della presenza di due donne provenienti dal nord dell’Italia, dove la malattia si era presentata in modo violento e veloce. Il contagio inizia da Santa Cruz de la Sierra, nella Bolivia orientale, una regione già flagellata dal dengue con cadenza annuale.

 

 

 

Il governo golpista, durante i due mesi di quarantena, promette tutto e non mantiene nulla, esaurendo presto la pazienza dei boliviani perché il Paese vive per il 70% di commercio informale, che significa reddito giornaliero senza alcuna possibilità di organizzazione. I settori in sofferenza delle popolazioni di La Paz, Cochabamba e Santa Cruz, iniziano a lamentarsi: “Se non ci uccide il coronavirus ci ammazzerà la fame”. E infatti la fame costringe le zone più povere delle città a infrangere la quarantena imposta con la minaccia del governo, della polizia e del Ministro della Difesa. Polizia e soldati dell’esercito armati vigilano sull’applicazione delle misure. Il governo golpista non può fare altro che accettare la ribellione contro la quarantena forzata.Il governo corrotto compra i ventilatori per le terapie intensive a prezzi gonfiati, un traffico dove è coinvolto lo stesso Ministro della Sanità, sostituito tre volte in sei mesi. La presidente ad interim ha ricevuto prestiti e aiuti economici da istituzioni internazionali come l’FMI, la Banca Mondiale e altre per circa 530 milioni di dollari. I cittadini e l’Assemblea Plurinazionale chiedono dove viene speso tutto questo denaro, visto che negli ospedali pubblici manca tutto, dalle protezioni di biosicurezza ai letti di terapia intensiva nelle regioni di maggiore diffusione del virus, tutto questo in totale assenza di provvedimenti per la nomina di medici e infermieri necessari per la cura dei malati. Il personale ospedaliero in difficoltà continua a protestare con ripetuti scioperi contro la pessima gestione della pandemia.

Ma c’è di più su questo sciagurato governo di fatto: l’ospedale di terzo livello di Montero, Santa Cruz, che Evo Morales non riuscì a completare a causa del colpo di Stato, un bell’ospedale colorato di azzurro, è stato ritinteggiato dalla falsa presidente, corrotta e pornostar, con il colore verde del suo partito, ma non è ancora stato inaugurato, nonostante la drammatica necessità. I medici hanno manifestato contro questa atroce indecenza e l’hanno denunciata alle autorità, ma niente le commuove.

Di fronte a qualsiasi protesta, l'unica risposta è incolpare il governo di Evo Morales per non aver fatto nulla nel campo della Sanità, naturalmente mentendo, così la salute pubblica si arrabatta in vecchi ospedali che traboccano di malati fino all’inverosimile, realizzando così le più nefaste previsioni secondo cui la Bolivia avrebbe sofferto un’infinità di decessi, gente che muore nelle strade per l’incapacità e l’impossibilità degli ospedali di accogliere e curare i contagiati. Tanti cittadini muoiono sulle soglie dei Pronto Soccorso nell’indifferenza del Governo golpista, intento nell’unica occupazione del malaffare. In questo la Bolivia sta purtroppo seguendo le drammatiche orme dell’Ecuador e del Perù.

L’Argentina è il secondo Paese per estensione territoriale dopo il Brasile del continente sudamericano. Ha una popolazione di 41 milioni di abitanti. Sono molti, oggi, gli eredi della forte emigrazione italiana dei secoli XIX e XX che rivestono ruoli di guida del paese, a tutti i livelli. Il Covid fa il suo esordio nel Paese nei primi mesi del 2020, sostanzialmente causato da persone in movimento provenienti soprattutto dall’Italia. Immediatamente, il governo di Alberto Fernandez adotta le misure consigliate dai suoi funzionari e professionisti in materia di Salute.

 

 


Il virus, naturalmente, attacca per prima la città di Buenos Aires, la metropoli più popolosa del Paese, e poi Cordoba, la seconda città più importante. Inizia la quarantena in tutto il Paese e, a mano a mano che passano i giorni, il governo sa che deve rivolgere particolare attenzione ai settori più indifesi, così la crisi appare molto ben fronteggiata. L’economia è ridotta in ginocchio dalla disastrosa gestione di Macri, rappresentante dell’ultradestra che ha preso i soldi dall’FMI per metterli nelle mani dei suoi amici che li hanno portati fuori dal Paese. E’ in queste condizioni che l’Argentina si ritrova a dover fronteggiare il Covid. Ovviamente, l’Argentina ha sempre avuto un’economia non paragonabile a quella della Bolivia, ma la malafede dei suoi governanti ha finito spesso per esasperare le criticità.

Come Paese ben strutturato, l’Argentina può anche contare su una buona potenzialità sanitaria, soprattutto a Buenos Aires e nelle grandi città, dove esistono mezzi e organizzazioni capaci di reagire bene e in fretta. Fortunatamente, la stragrande maggioranza della popolazione ha accettato bene la quarantena, subito molto rigida e successivamente attenuata, e il governo non ha trascurato di supportare i settori più in difficoltà, cosa che in Bolivia ha solamente accennato e in modo molto contraddittorio.

Molti governi hanno riconosciuto a Fernandez la tempestività d’azione, a dispetto dei grandi capitali che volevano ritardare la quarantena, come hanno fatto in diversi Paesi del mondo.

 

Pablo Prada, CIVG

 


 

COPINH (HONDURAS) / DENUNCIA PUBBLICA

Il COPINH denuncia pubblicamente e respinge le minacce alle installazioni di “Utopia”

 

Il COPINH denuncia le minacce di attacco e di incendio al Centro di Incontri e Amicizia “Utopia”, dopo aver reso pubblica l'offerta di prestare temporaneamente le installazioni come centro di isolamento per le persone del centro penitenziario, sospette o contagiate dal COVID-19, su richiesta dei lavoratori della salute e del potere giudiziario. 

Queste minacce si aggiungono a recenti fatti in cui individui chiaramente identificati pretendono di organizzare gruppi per prendersi le installazioni del COPINH, arrecare danni e compiere furti nella struttura, cosa che è stata già denunciata ufficialmente presso le autorità competenti. 

Queste minacce van di pari passo con una campagna di diffamazione che mira a disinformare circa la disposizione dell'organizzazione a svolgere un lavoro umanitario in tempi di crisi sanitaria. 

Le autorità incaricate di far fronte alla crisi della pandemia COVID-19, chiaramente non hanno svolto il loro lavoro, nonostante i miliardi che han tirato fuori dai fondi pubblici, al contrario, ostacolano e stigmatizzano le iniziative dei cittadini. 

Il COPINH lamenta e respinge le manifestazioni di discriminazione contro le persone vulnerabili, quali sono i carcerati ed i contagiati dal COVID-19. 

Rivolgiamo un appello alla solidarietà da parte della cittadinanza di Intibucá e riaffermiamo la nostra posizione di disporre di “Utopia” come centro d’isolamento per chi ne abbia bisogno. 

La Esperanza, Intibucá - 23 giugno 2020 

 

https://copinh.org/2020/06/denuncia-publica-copinh-rechaza-amenazas-a-instalaciones-de-utopia/ 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / ARGENTINA

L’ex presidente argentino Mauricio Macri imputato di spionaggio

 

Il Pubblico Ministero Federale argentino Jorge Di Lello ha denunciato l’ex presidente Mauricio Macri per presunto atti illegali di spionaggio di persone impegnate in attività politiche e giornalistiche e di membri della Polizia in seguito alla denuncia presentata dall’Agenzia Federale d’Intelligence, ha informato Europa Press.

Cristina Caamaño, a nome dell'Agenzia di Stampa, ha presentato una settimana fa una denuncia contro la cupola dell’organismo che operava durante il precedente governo,  specificando che dal giugno del 2016 «Sono state messe in atto azioni di spionaggio a caselle di posta elettronica private di almeno 80 persone». E' ciò che emerge dalle informazioni recuperate da un hard disk che era stato cancellato.

La  Caamaño ha precisato che questo spionaggio non aveva alcun avallo giudiziario:

«Dobbiamo parlare chiaramente di operazioni d’intelligence illegali», ha affermato.

Il Pubblico Ministero Federale Jorge Di Lello ha accolto il capo di imputazione di Macri ed anche di altri importanti funzionati, tra i quali il capo di gabinetto della precedente amministrazione della AFI, Darío Alberto Biorci, l’ex direttore generale Gustavo Arribas e la vice direttrice Silvia Majdalani.

Di Lello ha ricordato che il Pubblico Ministero aveva già avviato investigazioni in occasioni precedenti su fatti di questo tipo e crede che con gli elementi presentati con  l’attuale denuncia sia necessario iniziare l’istruzione penale del processo.

Europa Press e GM per Granma Internacional, 30 maggio 2020

 


 


GRANMA (CUBA) / ESTERI / BRASILE

Popoli indigeni del Brasile, vittime dimenticate

Lontani dagli ospedali e con infrastrutture sanitarie molto scarse, i popoli orginali del Brasile soffrono l’attacco del nuovo coronavirus.

L’atteggiamento passivo del Governo di Jair Bolsonaro nella lotta alla pandemia lo stanno pagando i più deboli: l'Associazione dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) riferisce che sono morte più di 240 persone e ci sono almeno 2500 contagiati in questa parte di popolazione.

 

 

La APIB richiama l’attenzione sulla sotto stima della quantità di casi riportati determinata dall'assenza di assistenza sanitaria in molte comunità e dalla mancanza dei test per il COVID-19.

Angela Amanakwa, membro dell'unità di coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell’Amazzonia Brasiliana (COIAB), ha dichiarato in un’intervista a Russia Today che i professionisti della Salute affrontano un’enorme precarietà in tutto il paese, soprattutto in Amazzonia, e che molti villaggi non hanno nemmeno una presenza sanitaria, rendendo molto difficile un reale controllo dei malati.

Mentre queste organizzazioni fanno i più grandi sforzi per aiutare i popoli originari attraverso la consegna di alimenti, prodotti di base per l’igiene, dispositivi di protezione e materiale sanitario, il Governo informa in modo insufficiente sui casi dei nativi deceduti e contagiati dal COVID in tutto il Paese.

Ai problemi del servizio di Salute Pubblica brasiliano va aggiunto che gli abitanti delle città sulle rive del Rio delle Amazzoni, usano il fiume come principale via di trasporto e questo provoca un alto numero di contagi: di fatto del totale dei morti per sars-cov-2, l’88 % si registra negli Stati bagnati dalle acque del fiume.

Di fronte alla minaccia dell’infezione, la maggioranza delle comunità hanno bloccato le vie di accesso alle loro terre, salvo che per questioni di prima necessità come il rifornimento di alimenti.

La realtà è che molti popoli non riescono a rifornirsi e sono isolati già da tre mesi, e in molti casi si è perduta la sovranità alimentare o si soffre per il disboscamento illegale e le invasioni di  clandestini.

Angela Amanakwa ha detto a Russia Today che, come misura autonoma, le comunità si distribuiscono tra nuclei familiari come quando vanno a cacciare e risiedono presso altre famiglie per il tempo che serve e poi tornano.

Il coronavirus si sta espandendo con rapidità anche tra i popoli indigeni dei paesi confinanti. Nella grande Amazzonia che include anche Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Guayana Franceea, Perù e Suriname, si registrano già più di 7.000 casi di contagi e circa 700 morti.

Milagros Pichardo e GM per Granma Internacional, 16 giugno 2020



GRANMA (CUBA) / ESTERI/ COLOMBIA

In Colombia almeno 47 leaders sociali sono stati assassinati nel primo trimestre dell’anno

L’organizzazione colombiana di difesa dei diritti umani «Somos Defensores», ha denunciato che nel primo trimestre del 2020 sono stati riportate 197 aggressioni contro leaders sociali e difensori dei diritti umani nel paese, e almeno 47 leaders sociali sono stati assassinati.

 

 

Nel rapporto dell'organizzazione si legge che il 45 % dei fatti violenti sono stati commessi da presunti gruppi paramilitari; nel 37% dei casi non si conoscono gli autori dei crimini, mentre nel 7% si ssa che sono stati commessi dalla Forza Pubblica e nell'8% c'è la responsabilità delle frange dissidenti delle FARC. Il 2% è dovuto a una presunta responsabilità del ELN.

I leaders indigeni sono quelli che soffrono il maggior numero di aggressioni (59); la maggioranza di queste sono avvenute nei dipartimenti di Cauca e La Guajira.

Poi ci sono le aggressioni ai difensori dei diritti umani con 27 casi. I leader comunali, un altro settore fortemente colpito, riporta 21 casi; i leaders comunitari 20 casi e i leaders contadini 17.

Il rapporto segnala che delle 115 minacce documentate, 82 sono state annunciate da volantini, 18 con chiamate telefoniche o posta elettronica e una attraverso reti sociali.

«Somos Defensores» segnala nel suo rapporto che il 2019 à stato l’anno più letale dell’ultimo decennio per i leaders e i difensori dei diritti umani con 844 aggressioni. Tra le minacce (628), ci sono assassinii (124), attentati (52), detenzioni (29), sparizioni (3), 49 furti di informazioni e una esecuzione.

Telesur e GM per Granma Internacional, 4 giugno 2020


GRANMA (CUBA) / ESTERI / CUBA E VATICANO

Cuba e la Santa Sede compiono 85 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte

Il 7 giugno 2020 si celebrano gli 85 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte tra Cuba e la Santa Sede. Anche se già nel lontano 1898 il Papa Leone XIII aveva nominato Monsignor Placide-Louis Chapelle come suo primo Delegato Apostolico sull’Isola, fu solo l’11 settembre del 1935 che l’allora Segretario di Stato della Santa Sede, Cardinale Eugenio Pacelli poi Papa Pío XII, firmò il documento della fondazione della Nunziatura Apostolica a Cuba su richiesta di Papa Pio XI. Comre gesto di reciprocità, il 7 giugno dello stesso anno si era deciso, con Decreto N. 208, l'apertura di una Delegazione Diplomatica in Vaticano.

Come primo Nunzio Apostolico a Cuba fu nominato monsignor Giorgio Giuseppe Caruana, che si occupò delle questioni cubane dal 1925 come Delegato Apostolico per le Antille e il Messico. Questi presentò le carte credenziali il 6 dicembre del 1935.

Cuba fu rappresentata presso la Santa Sede dal suo Inviato Diplomatico a Parigi fino al 1936 quando, in  occasione della commemorazione del 10 ottobre - data dell’inizio delle lotte per l’indipendenza dell’Isola - fu accreditato il Ministro designato da L’Avana presso Sua Santità Pio XI. Vari storiografi considerano la decisione dell'allora Governo cubano di stabilire relazioni diplomatiche con la Santa Sede come un’azione coerente con il momento politico del Paese, incamminato a rinforzare il sentimento nazionale a partire dall'abolizione dell’Emendamento Platt, l'annesso alla Costituzione cubana del 1902 imposto unilateralmente dagli Stati Uniti.

La storia dei rapporti tra la Santa Sede e Cuba è colma di fatti positivi, di esempi di collaborazione e di protagonisti dalle due parti che si distinsero per sviluppare una diplomazia di reciproca fiducia.

Si ricordano uomini come monsignor Cesare Zacchi, che il leader storico della Rivoluzione Cubana Fidel Castro Ruz, con il quale mantenne un’amicizia personale, descrisse come un Nunzio intelligente e capace, con una grande capacità costruttiva. Il giornalista e scrittore Luis Amado Blanco, Ambasciatore di Cuba per più di dieci anni, si distinse nei rapporti bilaterali e giunse ad occupare il posto di decano del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

Sono state significative nella storia di queste relazioni le visite apostoliche a Cuba di tre Papi: San Giovanni Paolo II nel gennaio del 1998; Benedetto XVI nel marzo del 2012 e Francisco nel settembre del 2015.

In ognuna di queste occasioni, sia le autorità che il popolo cubano mostrarono rispetto, affetto e ospitalità ai massimi rappresentanti della Santa Sede che, a loro volta, ebbero occasione di conoscere meglio un popolo sicuro delle sue convinzioni, nobile, istruito, equanime e organizzato che difende la verità e ascolta con rispetto.

Sono state rilevanti le visite ufficiali al Vaticano realizzate dai Presidenti cubani Fidel Castro Ruz nel 1996 e Raúl Castro Ruz nel 2015, ricevuti dai  Papi Giovanni Paolo II e Francisco.

L’allora primo vicepresidente del Consiglio di Stato e dei Ministri, Miguel Díaz-Canel Bermúdez, era alla guida della delegazione cubana che, nel 2013, fu presente alla cerimonia dell’inizio del pontificato di Papa Francisco. Gli incontri celebrati in ognuna di queste visite ratificarono il proposito costruttivo delle relazioni tra i due Stati.

L'incontro svoltosi a L’Avana nel febbraio del 2016 tra il Papa Francisco e il Patriarca di Mosca e di Tutta la Russia, Kirill, che servì per la firma di una storica dichiarazione congiunta, ebbe un grande significato per Cuba. Nell’occasione, il Papa ebbe un nuovo incontro con l’allora presidente cubano Raúl Castro, e il fatto rinsaldò ulteriormente i già proficui legami.

Le relazioni tra la Santa Sede e Cuba hanno superato la prova del tempo: negli 85 anni si è forgiata una relazione caratterizzata dal rispetto e dal riconoscimento reciproco, e dalla volontà delle due parti di continuare a svilupparle.

Jorge Quesada Concepción per Juventud Rebelde e GM per Granma Internacional, 7 giugno 2020

 


 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / STATI UNITI

Tra disperazione mancanza di risposte

Alcuni manifestanti narrano che gli elicotteri militari volano su Washington D.C. tanto bassi che si possono vedere i soldati ammucchiati alle porte dei velivoli, e poi parlano della presenza di carri blindati all'imbocco delle strade e agli incroci tra i viali.

La capitale statunitense è l’unico territorio dove il Presidente può utilizzare l’Esercito senza consultare prima il Governatore: Donald Trump ha ordinato il dispiegamento di un battaglione della Polizia Militare, informa un dispaccio del Dipartimento alla Difesa. Si tratta di un’unità con 200- 500 soldati provenienti da Fort Bragg, Carolina del Nord.

 

 

Un presidente, per mobilitare le truppe degli Stati Uniti, deve invocare la Legge d’Insurrezione firmata da Thomas Jefferson nel 1807. Il Washington Post ha scritto sulle sue colonne: «Quando un presidente ritiene che si verifichino blocchi illegali [...] o ribellioni contro le autorità degli Stati Uniti e diventa impraticabile il rispetto della legge, può chiamare il servizio federale della milizia di ogni Stato e delle forze armate, se necessario, per far rispettare le leggi e sopprimere la ribellione».

Nel 1992, quando i disordini a Los Ángeles, scatenati dall’assoluzione dei poliziotti che picchiarono selvaggiamente Rodney King, l’allora presidente George W. Bush ordinò l’intervento delle truppe federali, ma in quel caso lo richiese al Governatore della California.

RT ha riferito che l’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti, James Mattis, e Donald Trump, si sono minacciati a vicenda in una violenta discussione per i disordini che il paese affronta dopo la morte di George Floyd.

In un articolo pubblicato mercoledì 3 giugno su The Atlantic, Mattis ha accusato il presidente di abusare del suo potere come capo di Stato cercando di dividere la nazione. L’ex segretario della Difesa ha detto che «militarizzare la nostra risposta, come abbiamo visto a Washington D.C., crea un falso conflitto tra i militari e la società civile... Erode la base morale che garantisce il vincolo di fiducia tra uomini e donne in uniforme e la società che hanno giurato di proteggere, e della quale loro stessi sono parte», ha dichiarato il generale.

L’attuale segretario alla Difesa, Mark Esper, ha criticato a sua volta le azioni di Trump: «Non appoggio l’invocazione della Legge d’Insurrezione. Queste misure si dovrebbero utilizzare come ultima risorsa nelle situazioni più urgenti ed estreme. Ora non ci troviamo in una di queste situazioni», ha detto in una dichiarazione alla stampa.

L’Unione brucia. Sono proteste razziali?

Mentre  gli Stati Uniti affrontano la maggior ondata di proteste dopo l’assassinio di Martin Luther King, Trump infiamma il conflitto e definisce le azioni «terrorismo nazionale». Migliaia di manifestanti si concentrano nelle grandi città ignorando il coprifuoco; le Forze  Armate pattugliano le strade di  Washington; si accendono violenti scontri tra manifestanti e polizia; i saccheggi di  Los Angeles giungono fino al centro di Hollywood; attorno alla Casa Bianca la Polizia militare protetta dagli scudi antisommossa carica centinaia di persone riunite pacificamente, usa gas lacrimogeni e cavalli per aprirsi la strada in Piazza Lafayette.

Sono proteste razziali? Il detonatore è stato l’assassinio di George Floyd ad opera della polizia razzista, ma la ragione è molto più profonda. Negri, latini e bianchi poveri si mescolano alla folla come un solo uomo. Sono il popolo stanco di anni di abusi e segregazione di classe e di razza, di miseria e mancanza di diritti. È la classica goccia che fa traboccare il vaso; è ilpeso dei più di centomila morti per Covid, in maggioranza negri, latini e bianchi poveri, sono i milioni di disoccupati, i milioni senza assicurazione, né assistenza medica. È il meglio del popolo statunitense che solidarizza con i suoi fratelli di fronte alla barbarie di un Governo di taglio fascista caotico e senza risposte. Quello che è esplosa è la disperazione, è il dolore taciuto da anni.

I suprematisti bianchi paramilitari di Trump hanno sparato contro la folla e da elicotteri privati. Il presidente invece di cercare di risolvere la situazione chiama alla violenza e infiamma la rabbia.

Molti se ne sono accorti e si chiedono perché.

È un paese diviso, frammentato, e alcuni militari hanno mostrato la loro indignazione e non vogliono partecipare alla repressione. La guardia nazionale formata in gran parte da latini e afro discendenti è tanto meno d’accordo.

«È il paese della libertà!» proclama Trump, e i manifestanti gli domandano: Libertà per chi?

 

Raúl Antonio Capote e GM per Granma Intrenacional, 8 giugno 2020


GRANMA (CUBA) / ESTERI / DISINFORMAZIONE

Come si lava il denaro sporco?

Se qualcosa ha insegnato ai cubani a stare sempre allerta rispetto alle fronde divisioniste e sovversive che caratterizzano l’aggressività dei governi degli Stati Uniti contro l’Isola, è questa vergognosa velleità con cui danno importanza - e poi gettano via quando non serve più - a qualsiasi misero figuro o a gruppuscoli che fanno da punta di lancia delle loro ostinate aggressioni

 

 

La migliore etichetta di «carne da cannone» se la accaparrano regolarmente delinquenti comuni o traditori a listino prezzi che si godono gli istanti della loro fama adulati, esaltati e finanche premiati con alte onoreficenze, che a loro volta portano altre coccarde e denaro contante nella narrazione dell'impero.

A volte ci sono però alcuni specifici personaggi, scelti per scimmiottare le parole d'ordine del momento, che stupisce vedere quanto riescano a cadere in basso. E' il caso, ad esempio, dei personaggi scelti proprio dal Dipartimento di Stato e sostenuti da altri figuri in giacca e cravatta come gli arcinoti Marco Rubio e Bob Menéndez.

In questa lunga storia di «usa e getta», il caso più recente vorrebbe piazzare nell’arena pubblica il famoso delinquente José Daniel Ferrer, lo stesso che scatenava l'ilarità generale quando prendeva a testate un tavolo, lo stesso che addestrava all'uso del coltello alcuni discepoli incappucciati. Sempre quello, è stato premiato con una medaglietta che dice tutto già solo a leggere i nomi Truman-Reagan.

Giudicando in base ai curriculum dei soggetti onorati dai vari premi, borse di studio, programmi e riconoscimenti, è facile capire che si tratta ancora una volta di una nuova trama per giustificare i milioni di dollari che il Governo degli Stati Uniti, nella sua testardaggine contro Cuba, toglie di tasca ai suoi contribuenti per ingrassare non quelle dei mercenari a libro paga, ma di "agenti" lontani. Forse la medaglietta serve per lavare questi milioni destinati alla sovversione della Rivoluzione cubana: denaro che fluisce a decine di organizzazioni degli Stati Uniti che servono da paravento al lavoro della CIA.

È dimostrato che solo una piccola parte di questo denaro giunge nelle mani dei gruppuscoli mercenari e che il vero «primo premio» resta ai padroni del business della controrivoluzione che, un anno dopo l’altro vivono delle attenzioni riservate loro dal governo, una specie di copioso Potosí, di cui buttano le briciole ai piedi dei Ferrer e compagnia.

 

Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 16 giugno 2020

 


 


GRANMA (CUBA) / ESTERI / DISCRIMINAZIONI RAZZIALI

Verità scomode

Le proteste negli Stati Uniti e in altri Paesi per l’assassinio di George Floyd hanno reso visibile un conflitto che tende a passare inosservato: la guerra simbolica contro le statue. I manifestanti hanno identificato un nemico di bronzo o di marmo apparentemente tranquillo e lo hanno attaccato con furia.

 

 

«È una verità scomoda che la nostra nazione e le nostre città debbano gran parte della loro ricchezza al commercio degli schiavi», ha detto il sindaco di Londra, Sadiq Khan, nel mezzo del dibattito sulle azioni del movimento antirazzista contro le icone della barbarie coloniale.Lo scorso 7 giugno, a Bristol, nel sud ovest dell’Inghilterra, la statua del trafficante di schiavi  Edward Colston è stata abbattuta e gettata nel fiume Avon. Rappresentazioni di Robert Milligan e di Cecil Rhodes, colonizzatori e schiavisti, sono state imbrattate. «Figlio dello schiavismo e del lucro colonialista», hanno scritto sull’immagine di  Robert Dundas, secondo visconte di Melville di Edimburgo.

A Londra, vicino al Parlamento, è apparsa la frase «era un razzista» sull’effige di Winston Churchill, tanto idealizzato per il suo ruolo nella 2ª Guerra Mondiale. Già a Praga, sotto un’altra immagine di Churchill, avevano scritto questa stessa verità scomoda.

Boris Johnson ha accusato  questi «estremisti  violenti» d’attaccare protagonisti del passato: «Non possiamo censurare il nostro passato, non possiamo cambiare la Storia».

La ministra degli Interni, Priti Patel, ha detto che queste azioni di «vandalismo sono una distrazione dalla causa per cui la gente protesta realmente». Montserrat Álvarez replica: «È esattamente il contrario: questa è la presa di coscienza dei motivi storici reali dei fatti».

A Bruxelles, Leopoldo II, maestoso a cavallo, nella piazza di Trône, ha mostrato all'alba scritte anti razziste «BLM» e una denuncia: «Quest’uomo ha ammazzato 15 milioni di persone», alludendo al  genocidio nel cosiddetto Congo belga. Ad Amberes e in altre città, Leopoldo 2º è stato pitturato e umiliato.

Gli USA si sono divisi di nuovo, come fosse scoppiata  una nuova Guerra di Secessione, stavolta su un piano simbolico. Trump ha respinto l’iniziativa di cambiare il nome delle basi militari battezzate in onore di ufficiali del sud, che lottarono a sangue e fuoco in difesa della schiavitù. Ma le statue dei generali Wickham (Richmond, Virginia) e Lee (Montgomery, Alabama), di Jefferson Davis, presidente degli Stati Confederati durante la Guerra de Secessione (Durham, Carolina del Nord) e del giornalista e politico razzista Carmack (Nashville, Tennessee) sono state abbattute.

A Portland, in Oregon, è caduta l’immagine in bronzo di Thomas Jefferson, che firmò la Dichiarazione d’Indipendenza degli USA e fu il terzo presidente del Paese. Sull’immagine hanno scritto: «schiavista» e «padrone di schiavi».

Varie autorità locali del Sud hanno proposto di ritirare certi irritanti emblemi razzisti. Su Colombo pesa il genocidio dei popoli indigeni dopo la presunta «scoperta». Le sue effigi sono state gettate al suolo nella stessa Richmond e a Saint Paul, in Minnesota. Una è stata decapitata a Boston, in Massachussets. A Houston, in Texas, un’immagine è apparsa la mattina con il volto tinto di rosso; a Miami, Cristoforo Colombo e Ponce de León, «scopritori della Florida», sono stati marcati con frasi contro il razzismo.

La casa di produzione cinematografica HBO Max ha ritirato dal suo elenco il film del 1939 "Via col vento", tanto celebre e tanto razzista. Gli studi  Paramount hanno cancellato il programma televisivo "Cops", i cui protagonisti sono poliziotti statunitensi. La presidente della Camera dei Rappresentanti, la democratica Nancy Pelosi, ha chiesto di ritirare 11 statue di militari confederati dal  Capitolio. Nello stesso tempo, gruppi di suprematisti bianchi si mobilitano per difendere la bandiera del sud, i loro idoli, il machismo primitivo dei loro eroi, sempre armati. E' un fenomeno degno di studio.

Monumenti e simboli sono sempre stati distrutti in vari paesi in determinate congiunture storiche, ma mai fino ad ora si era visto un assalto al passato su scala tanto ampia. Si dice che le statue diventano invisibili nel tempo, che la gente si abitua alla loro presenza e smette di farsi domande sul loro significato. Ma i manifestanti antirazzisti le hanno viste eccome, e hanno interpretato il loro messaggio. Una certezza è saltata davanti ai loro occhi: il sistema capitalista attuale è fondato su secoli di colonialismo, discriminazioni, abusi e su milioni di morti. Hanno compreso, come ha detto  Umair Haque, che «gli statunitensi bianchi di oggi sono ricchi perchè i loro antenati hanno schiavizzato i negri, e che oggi le nazioni bianche sono ricche perché  i loro antenati hanno conquistato e schiavizzato un mondo».

 

Abel Prieto e GM per Granma Internacional, 18 giugno 2020


GRANMA (CUBA) / ESTERI / Nazioni Unite

Díaz-Canel scrive al Segretario Generale delle Nazioni Unite

 

L’Avana, 26 giugno 2020

Anno 62º della Rivoluzione

 

Eccellentissimo Signor Antonio Gutérres,

Segretario Generale delle Nazioni Unite, Nuova York

 

Eccellenza:

Sono passati 75 anni da quando gli Stati membri di questa organizzazione hanno firmato la Carta delle Nazioni Unite garantendo il massimo rispetto dei suoi propositi e principi, del Diritto Internazionale e della salvaguardia del multilateralismo, oggi valori più importanti che mai.

Ci troviamo oggi ad affrontare molte crisi, conseguenze della pandemia della COVID-19, i cui pesantissimi effetti sono visibili in tutti gli ambiti della società, minacciano di stagnare a lungo e vanno a sommarsi alle sfide globali già in corso. Lo scenario internazionale è sempre più complesso, proliferano i conflitti e la corsa alle armi, si intensificano le guerre non convenzionali con fini di dominio, le ggressioni, le sanzioni unilaterali, la manipolazione e la politicizzazione dei diritti umani e il mancato rispetto della libera determinazione dei popoli. Si attacca il multilateralismo, si ignorano gli accordi internazionali e si squalifica il ruolo di organizzazioni come l'ONU e l’Organizzazione Mondiale della Salute.

Nello stesso tempo, l’ingiusto ordine economico internazionale vigente acuisce le disuguaglianze e il sottosviluppo, aumenta povertà, fame ed emarginazione, e rende sempre più difficile l’accesso ai servizi essenziali per la vita come quelli della salute.

Il momento e il senso comune impongono alla Comunità Internazionale di tralasciare le differenze politiche e cercare soluzioni insieme per affrontare i problemi globali mediante la cooperazione internazionale

È dovere di tutti rispettare gli impegni che abbiamo assunto firmando la Carta della ONU, sempre fondamentale nel tempo, universale e indispensabile per promuovere un ordine internazionale giusto, democratico ed equo che risponda alla richiesta di pace, sviluppo e giustizia dei popoli del mondo, e contribuisca all’espletamento dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo  Sostenibile.

Approfitto dell’opportunità per rinnovare a Sua Eccellenza la testimonianza della mia più alta considerazione e stima.

Miguel Díaz-Canel Bermúdez

Presidente della Repubblica di Cuba.

 

GM per Granma Internacional, 26 giugno 2020


GRANMA (CUBA) / ESTERI / ALBA

ALBA: la realtà concepita da Fidel e Chávez

Quando il 14 dicembre del 2004 nacque l’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra América (ALBA) concepita da Fidel e Chávez, si realizzava un progetto fondato nel pensiero dei due grandi uomini e nei principi che la Rivoluzione cubana aveva già posto in pratica: fare della solidarietà una bandiera con cui i popoli si sarebbero lanciati per conquistare la vera indipendenza.

Un compito coraggioso, soprattutto in una regione considerata come il cortile secondario di casa degli interessi dei governi di Washington, a partire da una data tanto lontana come il 1823, quando fu proclamata la Dottrina Monroe: "l’America agli americani", la stessa che oggi Donald Trump e Mike Pompeo vogliono perpetuare.

Senza dubbio l’ALBA ha rivoluzionato le fondamenta dei paesi che il neocolonialismo aveva trasformato in tesserine di un sistema neoliberale creato a supporto e sostegno di un capitalismo che, come si è visto adesso con la COVID-19, ha nel denaro la sua ragione d’essere, al di sopra degli esseri umani che muoiono per mancanza di prevenzione, assistenza e risorse per salvare le loro vite.  

Vale la pena ricordare Fidel che, parlando nell’agosto del 2005 in occasione della cerimonia di laurea dei professionisti della Salute nella Scuola Latinoamericana di Medicina dell'Avana, aveva detto: "Quanto ho detto è poca cosa al confronto del colossale movimento di formazione di medici d’avanguardia che, alla luce dell’ALBA bolivariana, stanno portando avanti il Venezuela e Cuba (…) In dieci anni avremo 40.000 nuovi laureati", e aveva aggiunto: "A Cuba, inizia lo sviluppo di un programma di formazione che nello stesso periodo preparerà 20.000 medici venezuelani provenienti dalla Missione Ribas o dai licei, e altri 30.000 medici provenienti dai paesi latino americani e dei caraibi. Potranno scegliere questa opportunità i giovani latino americani e caraibici che per le loro umili origini non possono studiare nei migliori licei, né ottenere spazio nei centri di formazione medica".

Il Comandante in Capo aveva precisato: "Formare un medico negli Stati Uniti, come si sa, costa non meno  di 300.000 dollari. Di fatto, Cuba sta formando in questo momento più di 12.000 medici per il Terzo Mondo, fornendo un contributo al benessere di questi paesi il cui valore è di circa 3 miliardi di dollari. Formerà o contribuirà a formare 100.000 medici di altri paesi in dieci anni, con un apporto equivalente di 30 miliardi di dollari, anche se Cuba è un piccolo paese del Terzo Mondo bloccato economicamente dagli Stati Uniti".

Oggi questo contributo cubano è una realtà che va oltre la nostra regione ed è diventato un’azione quotidiana con paesi africani e di altre latitudini e che senza dubbio ha salvato  migliaia di vite. Cuba ha combattuto la pandemia di COVID-19 come non hanno fatto neanche molti paesi sviluppati, dove i governi sono stati incapaci di disporre di risorse e applicare politiche sanitarie che servissero a tutti e non solo a chi ha più denaro.

Questa è ciò che spiegava Fidel quando diceva: “Dov’è il segreto? Nel fatto che il capitale umano può più del capitale finanziario. Il capitale umano implica non solo conoscenza, ma anche e soprattutto coscienza, etica, solidarietà, sentimenti autenticamente umani, spirito di sacrificio, eroismo e capacità di fare molto con poco".

Questi principi trasformano i nostri popoli nei più forti e danno una vera risposta a coloro che hanno abbandonato l’ALBA perchè non sono stati capaci di vivere in unione, preferendo scegliere di ritirarsi in cambio di un applauso di Donald Trump e della svergognata OSA, i due attori protagonisti della feroce campagna di discredito del personale medico cubano che presta servizio solidale in decine di paesi.

Elson Concepción Pérez e GM per Granma Internacional, 28 giugno 2020